ILIPA (Ilâa)
Piccola città iberica sita nelle vicinanze dell'odierna Alcalá del Río, poco a nord di Siviglia. Ivi pregso si combatté nel 207 a. C. l'ultima grande battaglia fra Romani e Cartaginesi per il dominio della Spagna.
Comandava i Romani P. Cornelio Scipione detto poi Africano, i Cartaginesi Asdrubale, figlio di Gisgone, che aveva ai suoi ordini Magone, il fratello di Annibale, e il principe numida Massinissa. I Cartaginesi erano forti di 50.000 fanti (alcuni ne dànno con esagerazione 70.000) e 4500 cavalli; i Romani di 45.000 fanti e 3000 cavalli. Scipione vinse adoperando la stessa manovra a tenaglia, di cui il primo esempio aveva dato Annibale a Canne e che già Scipione stesso aveva adoperata con successo a Becula. Qui il successo fu dovuto soprattutto all'avere Scipione fatto ignorare al nemico fino all'ultimo momento le disposizioni da lui prese per la battaglia. Mentre infatti nei giorni precedenti i due eserciti s'erano disposti con le meno fide milizie iberiche ai fianchi e le truppe romane o, rispettivamente, africane al centro, nel giorno della battaglia Scipione schierò al centro gl'Iberi e alle ali i legionarî e dissimulò questa nuova formazione dietro la cavalleria e le truppe leggiere, che furono inviate a prendere contatto con il nemico. Ritirate poi queste e quella nel momento in cui si stava per attaccare battaglia, assalì con le sue validissime ali di legionarî le fiacche e malfide truppe iberiche dei Cartaginesi e affidò agl'Iberi del centro il compito di avanzare lentamente, tenendo a bada la fanteria cartaginese, mentr'egli conduceva contro le due ali l'attacco definitivo. La vittoria non fu così piena come a Canne, perché la fanteria cartaginese poté sottrarsi all'aggiramento sia per la fiacchezza delle truppe iberiche che l'attaccavano, sia perché dovette entrare in azione la forte cavalleria di Magone e Massinissa, della quale del resto le fonti non fanno più cenno dopo le prime avvisaglie. Esse dicono invece che dopo la rotta delle ali la pioggia impetuosa impedi ai Romani di compiere la loro vittoria. Comunque, l'impressione della disfatta e la diserzione che seguì degl'Iberi scampati costrinsero i Cartaginesi ad abbandonare il campo e impedirono a essi di rinnovare contro i Romani la resistenza in aperta campagna, il che rese poi facile a Scipione di compiere la conquista.
Bibl.: J. Frantz, Die Kriege der Scipionem in Spanien, Monaco 1883, p. 73 segg.; M. Jumpertz, Der römisch-karthagische Krieg in Spanien 211-206, Berlino 1892, p. 28 segg.; W. Brewitz, Scipio Africanus Maior in Spanien, Tubinga 1914, p. 38 segg.; U. Kahrstedt, Geschichte der Karthager, III, Berlino 1913, p. 532 segg.; G. Veith, presso J. Kromayer, Antike Schlachtfelder, III, ii, Berlino 1912, p. 684 segg. (cfr. Schlachten-Atlas, tav. 8, Lipsia 1922); G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, ii, Torino 1917, p. 496 segg.; H. H. Scullard, Scipio Africanus in the Second Punic War, Cambridge 1930, p. 120 seguenti.