ILKHANIDI
Dinastia mongola che governò l'Iran, l'Iraq, il Caucaso e l'Anatolia dal 1256 al 1353, in un periodo contrassegnato da notevoli turbolenze interne, ma anche da una fase di prosperità economica.In campo artistico gli I. continuarono a impiegare molte delle forme architettoniche, delle tecniche di costruzione e dei materiali che erano stati elaborati in Iran durante il periodo precedente. La forma della moschea congregazionale restò quella classica, sviluppatasi nel sec. 12° e caratterizzata da una corte con īvān su ciascuno dei quattro lati e da una sala di preghiera cupolata, come nel caso della moschea di Varāmīn, la cui costruzione venne iniziata nel 1322. In qualche caso furono comunque adottate altre tipologie, in particolare quella della sala ipostila, comune nelle regioni nordorientali del territorio ilkhanide, dove il clima è particolarmente rigido, quella a due īvān, diffusa nel centro dell'Iran, e quella a unico īvān, impiegata per una delle più grandi moschee legate a questa dinastia, quella fatta costruire dal visir ῾Alī Shāh a Tabriz intorno al 1315, con la quale si intendeva superare in splendore il leggendario Ṭāq-i Kisrā di Ctesifonte. La tipologia a quattro īvān venne usata anche per altri tipi di edifici religiosi e profani, tra i quali madrase, conventi per i sufi (khānaqāh), caravanserragli e palazzi.Il solo esempio conservato di palazzo ilkhanide è costituito dal padiglione di caccia costruito da Abaqa a partire dal 1275 ca. a Takht-i Sulaymān, dove venivano incoronati gli imperatori sasanidi; il complesso presentava uno specchio d'acqua artificiale al centro di una grande corte (m. 125150), circondata da portici con quattro īvān, ed era riccamente decorato con marmi scolpiti e piastrelle. A giudicare dalle descrizioni testuali e dalle raffigurazioni in dipinti coevi, anche altri palazzi ilkhanidi potevano avere avuto lo stesso tipo di pianta e la stessa elaborata decorazione. Dal momento che la corte degli I. si spostava nel corso dell'anno tra sedi estive e sedi invernali, altre residenze dovevano essere costituite da grandi e articolate tendopoli, che naturalmente sono andate perdute.Le sepolture importanti erano contrassegnate da torri funerarie o da mausolei a baldacchino di pianta quadrata o poligonale. Gli edifici funerari costruiti per i discendenti degli imām o di principi minori erano relativamente piccoli e sorgevano isolati, mentre i mausolei eretti per le personalità più importanti erano riuniti in grandi complessi multifunzionali. Il più imponente tra i mausolei conservati è quello fatto edificare da Sulṭān Muḥammad Öljaytü Khudābanda (1305-1313) a Sulṭāniyya; si tratta di un enorme ottagono del diametro di m. 38 circondato da otto minareti, con una sala di preghiera rettangolare adiacente al lato meridionale. Questa sepoltura, che oggi si erge splendidamente isolata, era un tempo il centro di una grande fondazione religiosa, che comprendeva luoghi per la preghiera, l'istruzione e la lettura del Corano, alcuni alloggi e un ospedale. Un complesso analogo venne fatto edificare dal visir Rashīd al-Dīn (1247-1318) nella Rab῾-i Rashīdī, la residenza nei pressi di Tabriz dove egli si stabilì. A quanto attesta l'atto di donazione, alla fondazione erano permanentemente addette oltre trecento persone (cento tra impiegati salariati e lavoratori giornalieri e duecentoventi schiavi). Complessi simili vennero costruiti anche intorno alle tombe dei santi sufi, mistici del periodo o di epoche anteriori. Golombek (1974) ha definito questi santuari come 'piccole città di Dio' e ne ha segnalati cinque, per il loro stato di conservazione particolarmente buono, situati in Iran: quello di ῾Abd al-Ṣamād al-Iṣfahānī a Naṭanz, costruito tra il 1304 e il 1325; quello di Shaykh Ṣafī al-Dīn (m. nel 1334), eponimo della dinastia safavide, ad Ardabīl; il Pīr-i Bakrān, eretto tra il 1299 e il 1312 nei pressi di Isfahan; il santuario di Bāyazīd, edificato nel 1313 a Bisṭām; il complesso fatto erigere intorno al 1330 da Aḥmad b. Abū'l-Ḥasan a Turbat-i Shaykh Jām. Mentre i complessi più antichi presentavano una disposizione casuale, con il passare del tempo si prestò sempre maggiore attenzione alla facciata principale, di solito messa in risalto con un pīshṭāq, alto e solenne portale costituito da un arco inserito all'interno di una cornice rettangolare e con funzione simile a quella di un īvān poco profondo.Il repertorio di forme architettoniche impiegate nel periodo ilkhanide comprendeva īvān, cupole, pennacchi e minareti, che venivano di solito associati secondo schemi prefissati: gli ambienti cupolati presentano l'alzato tripartito che era stato in uso per secoli, con una fascia intermedia con pennacchi per consentire il passaggio da un vano quadrato o poligonale alla base circolare di una cupola; i minareti, utilizzati come elementi di incorniciatura, sono disposti a fianco di un īvān o agli estremi della facciata; le proporzioni mutano, con gli ambienti che si fanno più alti, gli archi che divengono più acuti e i minareti meno evidenti. Il nuovo gusto dello sviluppo verticale si unisce a un raffinato senso della forma, come dimostrano gli imponenti portali con svettanti doppi minareti. Il mattone cotto rimase il più diffuso materiale da costruzione, ma vennero sviluppate nuove tecniche per vivacizzare le superfici. Il colore divenne sempre più importante: le superfici esterne furono spesso decorate con mattoni invetriati e gli interni rivestiti da piastrelle e stucchi modellati e dipinti. Le muqarnas non furono più elementi strutturali realizzati in mattoni, ma elementi decorativi in stucco modellato e scolpito, sospesi alle volte o ai muri; l'esempio più significativo tra quelli conservati è rappresentato dalla volta a muqarnas che copre il citato mausoleo di ῾Abd al-Ṣamād al-Iṣfahānī a Naṭanz.Nel periodo ilkhanide il panorama della produzione artistica andò spostandosi sempre più verso le arti legate alla produzione libraria, che divennero anzi lo strumento attraverso il quale nuove idee e motivi venivano trasmessi anche ad altri media. Una delle ragioni di tale fenomeno fu l'ampia disponibilità di carta, che fu prodotta anche in formati assai grandi, come nel caso degli enormi manoscritti a più volumi del Corano, realizzati all'inizio del 14° secolo. I disegni eseguiti su carta venivano facilmente trasferiti in altri mezzi artistici e disegnatori professionisti (naqqāsh) firmarono opere prodotte su diversi materiali, tra cui il metallo inciso, lo stucco scolpito, il legno e le piastrelle smaltate. Libri miniati ovviamente erano stati realizzati anche in precedenza, ma in questo periodo aumentarono in misura considerevole le loro dimensioni, con miniature sempre più numerose e sempre più grandi, in cui trovò spazio la raffigurazione di nuovi temi, anche storici e letterari. La produzione si fece più complessa, con gruppi di calligrafi e miniatori impegnati su opere in più volumi: lo scriptorium che Rashīd al-Dīn aveva installato nella sua fondazione caritatevole doveva produrre ogni anno due grandi copie - una in arabo, l'altra in persiano - delle sue opere, tra le quali la Jamī῾ al-tawārīkh (Il compendio delle storie); esse dovevano essere trascritte in splendida grafia su carta di Baghdad di buona qualità, confrontate accuratamente con l'originale e rilegate in pelle di capra. Il lavoro più ambizioso della generazione successiva, una copia in due volumi del c.d. grande Shāhnāma (Libro dei re) mongolo, noto in passato come Shāhnāma Demotte (oggi smembrato in più collezioni pubbliche e private) e decorato da ca. duecento miniature realizzate probabilmente a Tabriz negli anni trenta del sec. 14°, mostra il rapido sviluppo delle convenzioni figurative e l'ampia gamma di fonti a disposizione in questo mondo di cultura cosmopolita.Una simile ricchezza di fantasia figurativa si può cogliere in coevi utensili metallici, sui quali compaiono composizioni e scene che sembrano tratte da miniature. La stretta connessione tra miniatura e metallistica è evidente in opere attribuite alla committenza degli Injuidi, governatori della provincia del Fārs. Tali opere possono essere messe in relazione con una serie di manoscritti miniati, tra cui varie copie dello Shāhnāma, che contengono miniature vibranti, energiche e in qualche caso quasi 'improvvisate', e con una particolare tipologia di oggetti metallici, ossia coppe dal profilo arrotondato e particolarmente ribassato, decorate con cartigli epigrafici, tra cui quello che reca la scritta "erede del regno di Salomone", ai quali si alternano medaglioni polilobati che presentano figure di cacciatori, cavalieri e personaggi in trono.La produzione tessile fu sempre una delle principali attività industriali e un caposaldo dell'economia, ma solo pochi tessuti di seta e oro possono essere attribuiti con certezza all'Iran ilkhanide. In primo luogo un sontuoso lampasso con inserti di tessuto composito che venne usato come veste funeraria per Rodolfo IV d'Asburgo (m. nel 1358; Vienna, Dom-und Diözesanmus.); la stoffa reca il nome e i titoli che il sovrano ilkhanide Abū Sa῾īd (1317-1335) assunse dopo il 1319 e la sua sicura origine ha permesso di datare allo stesso periodo una serie di tessuti di lampasso di seta e oro a essa correlati. In miniature dell'epoca che raffigurano regnanti in trono compaiono anche alcuni tappeti, ma questo tipo di rivestimenti pavimentali doveva essere piuttosto raro e non se ne conserva alcun esemplare.Le ceramiche, che nel periodo precedente avevano assunto caratteri di varietà e innovazione, si fecero più uniformi poiché la tenera fritta bianca, impiegata nella maggior parte delle produzioni, precluse la realizzazione di forme così raffinate come in passato. La decorazione sopra vetrina venne sostituita dalla più economica tecnica della pittura sotto vetrina, come nel caso delle ceramiche del tipo c.d. Sulṭānābād, che sono decorate in bianco su ingobbio grigio sotto uno spesso strato di invetriatura. La ceramica a lustro metallico continuò a venir prodotta a Kāshān, ma si registrò un calo nella qualità: la decorazione pittorica si fece più semplice e stilizzata e nei recipienti prodotti tra il 1261 e il 1284 i motivi appaiono scuri e pesanti. Anche se la produzione di piastrelle con decorazione a lustro proseguì fino al 1340, i membri delle famiglie di maggiore tradizione nella lavorazione di questo tipo di ceramica cominciarono gradualmente a orientare il proprio lavoro verso altri settori. Un diverso tipo di ceramica di lusso, prodotta in questo periodo - la c.d. lājvardina (dal persiano lājvard 'lapislazzuli'), - è caratterizzata da foglie dorate e dipinte sopra vetrina in rosso, nero e bianco; sembra che essa abbia preso il posto delle produzioni smaltate del periodo premongolo, ma, nonostante l'impiego di materiali costosi e la seconda cottura in un forno speciale, presenta impasti ruvidi e grigiastri e un modellato grossolano.
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