illusione finanziaria
Insieme di artifici attraverso i quali i governanti inducono nei cittadini una rappresentazione erronea delle ricchezze pagate o che devono essere pagate a titolo d’imposta, o di certe modalità del loro impiego. Il concetto di i. f. fu introdotto nel 1903 da A. Puviani (➔) in Teoria dell’illusione finanziaria e successivamente ripreso da altri studiosi come M. Fasiani (➔) e J.M. Buchanan (➔). Nella visione di Puviani gli interessi dei governanti (dominatori) si contrappongono a quelli dei cittadini (dominati). In particolare l’attività finanziaria è il mezzo attraverso cui la classe dominante mantiene, o accresce, i propri privilegi a danno dei dominati. Le imposte divengono, dunque, un mezzo per contenere i salari entro livelli che non consentano l’accumulazione ai lavoratori. Se tale funzione dell’imposta fosse chiara ai cittadini, questi reagirebbero tentando di sovvertire l’ordine sociale. È pertanto necessario che i governanti operino artifici volti a occultare la reale entità e la finalità delle imposte riscosse. Puviani, rifacendosi a eventi storici, classifica le varie tipologie di illusioni finanziarie.
Consistono nell’occultare la quantità, la qualità e la durata delle spese sostenute, alterando la percezione del reale sacrificio sostenuto dalla collettività. Tale dissimulazione può essere esercitata attraverso il segreto, o artifici contabili, oppure tramite una distorta informazione sulle finalità generali di una o più opere pubbliche (si potrebbe tentare di mascherare un interesse di parte con l’interesse economico generale). Tuttavia, in presenza di un certo grado di controllo, tali artifici potrebbero ritorcersi contro i governanti: l’i. ottimistica potrebbe trasformarsi in pessimistica e condurre a una sfiducia generale nei confronti di tutte le opere pubbliche (➔ illusione fiscale).
Consistono in una serie di azioni volte a occultare la reale natura delle entrate pubbliche. Il più semplice esempio consiste nel pubblicare dati di bilancio pubblico poco trasparenti o incompleti. In altri casi i governanti operano un occultamento dell’onere del prelievo in relazione alla sua fonte. Questo è il caso, per es., della svalutazione monetaria determinata dalla politica di bilancio pubblico. L’aumento dei prezzi che ne origina viene fatto percepire come opera della speculazione o di altri fattori esogeni e non come imposta inflazionistica generata da una cosciente volontà dei governanti (tassa da inflazione). In certe situazioni, invece, i governanti fanno leva sul fattore psicologico, avendo coscienza che in particolari circostanze il prelievo fiscale è avvertito dal cittadino come meno gravoso, poiché collegato a eventi gradevoli di natura privata. È l’esempio dell’imposta sulle donazioni, sulle eredità di parenti lontani o di alcune imposte sui consumi. In altri casi ancora i governanti contano su eventi privati spiacevoli. È il caso dell’imposta sulle eredità dei parenti prossimi, in cui la perdita di benessere collegata al pagamento dell’imposta è di norma di scarso rilievo in relazione al dolore del lutto. Un altro espediente consiste nel frazionamento e nella diluizione nel tempo dell’imposta, elementi che ingenerano l’erronea percezione di un peso minore rispetto al pagamento in un’unica soluzione. Infine si fa menzione dell’esasperazione della traslazione del tributo, per cui l’identificazione del contribuente risulta molto difficoltosa. È questo il caso delle imposte indirette sui consumi o sulla produzione.