illusione fiscale
Errata percezione, con la caratteristica di essere sistematica, dei parametri f. – entrate pubbliche, oneri f., benefici e costi associati ai programmi pubblici – da parte dei votanti-contribuenti, i quali, non essendo in grado di controllare l’attività del governo per ignoranza razionale, realizzano scelte distorte, con la conseguenza di supportare erroneamente alcune azioni pubbliche, tra cui, per es., politiche di eccessiva espansione della spesa. Originariamente sviluppata nel 1903 dall’economista A. Puviani (➔), la teoria sull’i. f. ha ricevuto in seguito un nuovo impulso a partire dai lavori nel 1967 di J. Buchanan (➔) e nel 1976 di R.E. Wagner (➔ anche illusione finanziaria). In un contesto di asimmetria informativa tra cittadini (principale) e governo (agente), il secondo, il cui obiettivo è la massimizzazione delle entrate, si trova dunque nella condizione di poter nascondere i costi effettivi dell’azione pubblica, così da ‘illudere’ i primi riguardo al fatto che, per es., le tasse siano state ridotte o che la spesa non sia stata aumentata.
L’i. f. può scaturire dalla complessità del sistema f.: infatti, quanto più complicato è il sistema delle entrate o inadeguata è la trasparenza nel bilancio dello Stato, tanto più probabile è per il contribuente sottovalutare il carico f. associato ai programmi pubblici e, più in generale, più difficile individuare il vero ammontare delle entrate e delle spese pubbliche.
L’i. f. può originare dall’elasticità rispetto al reddito del sistema f.: in un periodo di crescita del prodotto nazionale, i sistemi f. caratterizzati da una più elevata elasticità rispetto al reddito tenderanno a generare, a parità di altre condizioni, una maggiore espansione della spesa pubblica, poiché l’impiego di imposte progressive accresce le entrate senza la necessità di nuove imposte (cosiddetto fiscal drag; ➔ drenaggio fiscale).
Altra motivazione si ritrova nel cosiddetto deficit spending, che consiste nel fare ricorso ai disavanzi come canale di finanziamento della spesa pubblica, limitando l’onere f. corrente, al fine di acquisire il consenso elettorale e di scaricare parte del suo costo sulle generazioni future.
Un’ulteriore causa dell’i. f. è nel cosiddetto flypaper effect («effetto carta moschicida»), osservato in numerosi studi empirici sugli aiuti intergovernativi, il quale indica che l’incremento dei trasferimenti a somma fissa all’ente locale produce un aumento della spesa pubblica decisamente maggiore rispetto all’incremento del reddito privato legato a una equivalente riduzione delle imposte.
L’i. f. può derivare, infine, dal cosiddetto rental effect. L’evidenza che le giurisdizioni locali tendano a spendere di più sui servizi locali quanto maggiore è la frazione di affittuari tra i loro abitanti è frutto dell’i., da parte degli affittuari, di non dover pagare per i servizi pubblici locali, essendo la tassa di proprietà – fonte primaria di entrate f. locali – a carico del proprietario delle abitazioni. Gli affittuari, poiché non sarebbero in grado di capire il legame tra il livello di spesa locale e il livello di affitto che pagano, sarebbero dunque propensi a sostenere bilanci pubblici esagerati, che possono condurre a un eccesso di spesa nel settore pubblico locale.