ILLUSIONISMO
− Il termine critico i. è stato introdotto nella storia dell'arte antica da F. Wickhoff (v.) nel suo saggio sull'arte romana pubblicato nel 1895, ripreso ed esteso da A. Riegl (v.) e definitivamente acquisito all'usuale linguaggio critico da G. Rodenwaldt (v.). Per il Wickhoff i. è sinonimo di "impressionismo" (v.), termine, questo, che egli non usa mai, nemmeno per artisti moderni.
Il Wickhoff tiene sempre rigorosamente distinto il valore formale, stilistico, del termine, da quello tecnico, che lo assimila all'espressione del rendimento prospettico della realtà, quando nella decorazione parietale pompeiana di finte architetture egli definisce "naturalistiche" tali pitture dell'età augustea (cosiddetto II stile) riconoscendovi una tradizione ellenistica e una imitazione di elementi architettonici reali, e chiama "illusionistiche" le pitture di analogo soggetto dell'età flavia (cosiddetto IV stile), con architetture di fantasia. Egli definisce i. il modo di rendere la forma plastica non nella sua intera continuità di superficie organica, ma così che alcune forme vengano espresse in modo sommario e tale da creare per mezzo della luce, e con l'intervento della esperienza dello spettatore, che supplisce il ricordo ottico anche della forma non espressa, la illusione della realtà, còlta in una determinato momento. Secondo lo stesso autore, l'i. si ha per la prima volta nella civiltà artistica dell'antichità nell'arte romana di età flavia (circa 60-100 d. C.), con qualche ingenuo precedente nella plastica in terracotta di età etrusca e qualche affermazione nel ritratto romano di età repubblicana. L'i. sorge nello stesso tempo in scultura e in pittura, segnando il trapasso "dallo stile orientale-ellenistico a quello occidentale-latino" nell'arte del mondo antico. Come tipici esempî di i. nella scultura sono citati i rilievi del fornice dell'arco di Tito (Roma, Foro Romano) e quelli del sepolcro degli Hateril (v.). Una delle conseguenze dell'i. sarebbe la rappresentazione continua (v. continua, rappresentazione), che resta perciò stabilita come innovazione tipicamente romana. (Per le posizioni odierne della critica a questo proposito v. romana, arte). Anche la pittura di paesaggio (v.) e il colore locale sarebbero direttamente in connessione con la tendenza all'illusionismo. L'i. del II e del III sec. d. C. nell'arte romana, seguirebbe il massimo fiorire che tale categoria stilistica abbia raggiunto prima del sec. XVII.
Dal Riegl il termine fu ripreso ed esteso all'arte della tarda antichità (v. spätantike), specialmente alla scultura del III e IV sec. d. C., che si basa quasi esclusivamente sopra una concezione "ottica e non più tattile". Ciò significa che il rilievo plastico è diminuito di altezza e che non tutti gli aggetti delle singole forme entro il libero spazio sono valorizzati contemporaneamente e allo stesso modo, ma una parte dei massimi aggetti viene assorbita dalla luce, mentre altre parti vengono sottolineate da ombre più intense ottenute con una linea profondamente incisa per mezzo del trapano corrente. Si aboliscono in tal modo i passaggi plastici intermedi fra i massimi scuri e i massimi chiari e, mentre la memoria ottica dello spettatore integra i passaggi mancanti, si ottiene una illusione plastica di effetto più vivo e immediato. Tale i. plastico si manifesta in alcuni particolari già nell'età tardo-antonina (otto rilievi sull'attico dell'Arco di Costantino), raggiunge effetti più intensi nei rilievi dell'Arco di Settimio Severo a Leptis e diviene norma fondamentale di una concezione stilistica nuova nella tarda antichità, trovando poi la continuazione in età bizantina.