ILLUSTRAZIONE
L'i. intesa come immagine o insieme di immagini, disegnate o miniate, che accompagnano un testo per chiarirlo, commentarlo, facilitarne la comprensione, non è certo invenzione medievale."Primitus Aegyptus umbrarum lumina pinxit" scriveva Rabano Mauro (Carm., XXXVIII; PL, CXII, col. 1624), in pieno sec. 9°, al confratello Attone da Fulda; in Egitto, infatti, ebbe inizio, intorno al sec. 2° a.C., stando alle più antiche testimonianze superstiti, la lunga storia del rapporto tra parola scritta e figura. Un rapporto che si arricchì in seguito per via di diverse soluzioni fisiche e semantiche - dal fondo al margine superiore, dalla posizione intercolonnare a quella a sinistra della colonna, in funzione di traduzione, di accompagnamento e chiarimento del testo ma anche di integrazione o addirittura di sostituzione -, nato comunque nella forma rotolo e in essa e per essa strutturatosi in soluzioni impaginative tipiche e funzionali che il mondo greco ereditò poi dall'Egitto ellenistico e a sua volta trasmise.Tre furono gli 'arrangiamenti' principali: figure scontornate intercalate alla colonna scritta, nel punto richiesto dalla comprensione del testo, - 'stile papiro' secondo la fortunata definizione di Weitzmann (1947) -, i. collocate nei margini, immagini che occupano l'intero spazio o quasi del supporto grafico. Furono quegli stessi arrangiamenti a trasferirsi nella nuova/vecchia forma libraria - il codice - pronta ad accoglierli e a crearne di nuovi e originali per costruzione e tecnica.Se infatti il nuovo aspetto della pagina, la sua autonomia, le sue dimensioni, il variato distendervisi del testo offrirono agli artefici nuove possibilità di disporvi le immagini, di moltiplicare le scene, di aumentare il formato, il nuovo supporto - la pergamena resistente, compatta e uniforme, tagliata e assemblata in fogli distesi, non più arrotolati - accettava l'uso di colori spessi e di oro in foglia senza eccessivo pericolo che il continuo arrotolamento e srotolamento ne provocasse il distacco e tollerava tecniche esecutive più complesse del veloce disegno a tratti immediati, che giunsero infatti a prevedere anche schizzi e disegni preparatori. Ma si trattò di cambiamenti lenti e graduali.Sebbene assai poco sia pervenuto della più antica produzione illustrata in forma di codice, numerosi manoscritti carolingi, copie di esemplari anteriori, testimoniano l'eredità e l'accettazione dei precedenti sistemi, che attraversarono, con adattamenti e modifiche, tutto il Medioevo.È il caso anzitutto dei libri di contenuto tecnico e scientifico, in cui la disposizione intercolonnare delle i. collocate in stretta prossimità del passo da chiarire, a sinistra, a destra, sopra o sotto, era senza dubbio la soluzione più efficace e funzionale. Esemplare a questo proposito il caso degli Aratea, commentari astronomici basati sui Phaenomena di Arato di Soli, poema in esametri sulla localizzazione e la configurazione delle stelle, composto intorno al 275 a.C., di pronta e duratura fortuna, come testimoniano le molte copie superstiti, tutte non anteriori all'età carolingia e tutte, o quasi, in 'stile papiro'.Altrettanto interessante, tra le opere più fortunate, è il caso del De materia medica di Pedanio Dioscoride, testo del sec. 1° d.C. fondamentale di una letteratura medica che andava dalla ginecologia alle virtù medicamentose delle erbe, dal modo di fasciare le slogature e di cauterizzare le ferite agli antidoti dei veleni, diffusa in manoscritti destinati non solo a fini pratici e professionali, ma anche di lettura colta. Nella produzione libraria tenuta in vita dall'aristocrazia del Basso Impero si inserisce perfettamente il c.d. Dioscoride di Vienna (Öst. Nat. Bibl., Med. gr. 1), eseguito a Costantinopoli intorno al 512 per Anicia Giuliana, figlia di Flavio Anicio Olibrio, imperatore d'Occidente nel 472, codice sontuoso con alcune soluzioni impaginative nuove, ma sempre testimone di un tipo di rapporto in cui l'elemento visivo, reso ancora più prontamente recepibile dall'uso dei colori e dalla grandezza delle immagini che ne aumentavano la leggibilità figurativa, è aiuto fondamentale alla comprensione. Analoga relazione spaziale tra parola e figura si ritrova, a testimonianza di una predilezione ininterrotta che non è possibile esemplificare meno selettivamente, in un erbario toscano del sec. 15° (Lucca, Bibl. Statale, 196), in cui "grandi disegni colorati [...] hanno un ruolo primario e occupano buona parte della pagina [mentre] la descrizione espressa per verba, le indicazioni relative al reperimento della pianta e al suo impiego sono confinate nei margini" (Dalli Regoli, 1980, p. 132).Tra gli autori di testi letterari che vennero largamente illustrati nel Medioevo va ricordato soprattutto Terenzio, perduto nell'esemplare illustrato tardoantico, probabilmente eseguito a Costantinopoli nel sec. 6°, ma tramandato da copie medievali scalate tra il sec. 9° e il 12°, che ripetono in molti casi l'impostazione del raccordo tra testo e immagine propria del rotolo. Ma anche autori più recenti come Prudenzio, la cui Psycomachia, testo 'figurabile' per eccellenza, fonte inesauribile di temi per artisti e miniatori, si prestava alla perfezione all'alternanza tra descrizione verbale e trascrizione iconica, o addirittura il 'moderno' Rabano Mauro, il cui De rerum naturis, scritto tra gli anni 842-847, ripete nella più antica copia illustrata, eseguita a Montecassino al tempo dell'abbaziato di Teobaldo (1022-1035; Montecassino, Bibl., 132), "il modello decorativo dei rotoli papiracei antichi e tardo antichi egiziani e greci" (Reuter, 1984, trad. it. p. 17).Si tratta in questo caso di un modello che la civiltà longobardo-cassinese aveva già utilizzato, e continuò a utilizzare, adattandolo a esigenze diverse e specifiche e perciò profondamente modificandolo, in manufatti che sono unici e irripetuti nella storia del libro manoscritto illustrato: i rotoli liturgici. Usati nella liturgia del Sabato Santo, durante la quale l'officiante lasciava ricadere il rotolo dall'alto dell'ambone, gli Exultet - come vengono usualmente definiti dalla parola d'inizio dell'inno liturgico della benedictio cerei che prevalentemente contengono -, mentre ripetono la formula tradizionale nell'alternanza tra testo e immagini spesso disegnate direttamente sulla pergamena senza cornice, la innovano nella funzione e nel significato. In essi, infatti, le scene, solitamente collocate in senso inverso alla scrittura, in anticipo sul passo da commentare, non solo costituiscono la trascrizione iconica del testo, una sorta di narrazione parallela per immagini destinata e quindi rivolta a coloro per i quali già Gregorio Magno aveva predicato la pittura come lectio (Registrum epistolarum, IX, 209, XI, 10; Corpus Christianorum Lat., CXL, 1982), gli analfabeti che non comprendevano la parola scritta, ma costituiscono anche la manifestazione visiva di ciò che la parola non può esprimere - la Risurrezione e il mistero della Redenzione - e, se è giusta l'ipotesi di un'esposizione dal pulpito anche dopo la cerimonia, assolvono pure una funzione catechetica di trasmissione di messaggi non solo dottrinali ma anche ideologico-politici (Cavallo, 1994, p. 57). Si tratta insomma di un sistema di segni di forte suggestione e simbologia, che traduce un altro sistema di segni dilatandone i significati e che può giungere addirittura, negando la più intima valenza dell'i., a vivere autonomamente dal testo, come nell'Exultet della metà del sec. 13°, conservato a Salerno (Mus. Diocesano), pervenuto, e secondo alcuni studiosi nato, privo della parola scritta.A parte il caso eccezionale e anomalo del rotolo salernitano, l'i. medievale conservò generalmente fino ai secoli più tardi le forme di equilibrio con la scrittura che aveva ereditato dal mondo antico e tardoantico, anche quando, rovesciando l'originario rapporto, si configurò non come elemento determinante per la comprensione del testo ma come elemento complementare, di amplificazione e sostegno. È così anche quando il susseguirsi delle immagini liberamente accolte nel testo in posizioni sempre diverse è debole eco dell'antico modello, ma precisa testimonianza di quella funzione pedagogica della pittura sostenuta da Gregorio Magno, passata attraverso Valafrido Strabone e approdata al secondo prologo del De avibus di Ugo di Folieto (PL, CLXXVII, coll. 15-16) e alle decisioni del sinodo di Arras del 1205: come nell'esemplare della seconda metà del sec. 13° conservato a Verona (Bibl. Civ., 1853), dove settantotto scene che si susseguono quasi cineticamente permettono una lettura per figure della leggenda di s. Giorgio e s. Margherita.Se è vero che la formula illustrativa tipica dei papiri proseguì nel Medioevo fino al periodo gotico, è anche vero che nel tempo essa subì adattamenti e modifiche. Destinata a grande successo e a durare a lungo fu la soluzione che prevedeva l'inserzione delle immagini in un quadro dal fondo colorato, arricchito o meno da motivi geometrici o floreali e dall'aggiunta di paesaggi, membrature architettoniche, interni di edifici. Presente già nei più antichi codici illustrati - basti pensare al c.d. Virgilio vaticano, prodotto forse a Roma al più tardi all'inizio del sec. 5° (Roma, BAV, Vat. lat. 3225), o alle cinquantadue carte superstiti dell'Iliade ambrosiana, scritta e miniata con ogni probabilità in un'officina libraria di Alessandria tra la fine del sec. 5° e l'inizio del 6° (Milano, Bibl. Ambrosiana, F.205 inf.) -, la formula sembra legata, almeno all'origine, alla volontà di dare lusso e prestigio all'immagine e al suo contenitore con l'aggiunta di colori densi e brillanti e a volte d'oro in foglia, oltre che al desiderio di un'impaginazione più geometrica che l'unità base del codice, il foglio più o meno rettangolare, sollecitava e suggeriva. Poco usata nei manoscritti carolingi, conquistò sempre maggior fortuna dal sec. 12° in avanti, in concomitanza con il moltiplicarsi degli elementi iconografici e il loro sempre più articolato organizzarsi nella pagina, per esplodere poi nel Trecento, spesso fisicamente collegata all'iniziale miniata con cui costituisce blocco visuale. L'abbondanza degli esempi, più o meno ricchi a seconda della lussuosità del manoscritto, con scene collocate quando all'inizio o alla fine della colonna, quando a interrompere una o più volte la sequenza verbale, ristrette in larghezza nello spazio di una colonna o distese nella giustezza di due, con cornici ora semplici - frequente il nastro rosso filettato di bianco - ora elaborate in intrecci, nastri, nodi, motivi geometrici e floreali, sconsiglia le citazioni. Valga per tutti il ricordo dei manoscritti danteschi o dei codici giuridici prodotti in ambito padano tra la fine del sec. 13° e gli ultimi decenni del 14°, nelle cui pagine introduttive, costruite in una complessa e studiata geometria di parole e immagini, una struttura architettonica è costante nel riquadro maggiore, che, dilatandosi sulle due colonne, solitamente introduce e anticipa il contenuto del testo, mentre i minori sono riservati a racconti più minuti e precisi: valga la menzione di uno solo tra i tanti miniatori più o meno noti che a quei codici lavorarono, l'Illustratore, scelto non per fama e talento, pur eccezionali, ma per la significatività del nome attribuitogli dalla critica moderna.L'invenzione della cornice, se offriva immediatamente visibilità alle immagini, esaltandone la valenza iconica con la frantumazione della pagina, se permetteva impaginazioni delicate altrimenti impensabili pur spezzando il ritmo della lettura, se facilitava il lavoro del miniatore guidandolo entro spazi misurati e precisi - rassicurante confine per alcuni, insopportabile catena per altri -, era anche l'annuncio e la premessa di un modo nuovo e diverso di risolvere il rapporto tra testo e immagine. Interrotta la naturale continuità tra scrittura e figura, saltata a volte la contiguità tra parole e trascrizione figurata, rotto insomma il nodo stretto che legava e amalgamava i due elementi principali della pagina, forme di comunicazione diverse, ma ambedue da leggere, l'i., modificando il rapporto di pieno-vuoto, era pronta a trasferirsi nei margini, a sfruttare gli spazi che la struttura del codice, con le sue pagine singole e separate da sfogliare e non da svolgere, ripetutamente lasciava liberi non solo in alto e in basso, ma anche a sinistra e a destra. Frequenti nei manoscritti greci di Siria e Palestina, soprattutto salteri e vangeli, in Occidente le i. marginali, spesso al tratto, furono sovente ospitate da cronache e annali, tanto che "è probabile che quel tipo di illustrazione fosse sentito come caratteristico dei libri di storia" (Bertelli, 1975, p. 920).Commentario per immagini che costeggia lo svolgimento del testo, vi allude più che trascriverlo, lo amplifica o lo condensa, ne esalta un significato o ne sottolinea un passaggio magari lontano, estensione piacevole e illuminante che accompagna una lettura comunque capace, avvertita e indipendente, l'i. marginale offriva al miniatore la possibilità di allentare il nodo con il testo, di preferire un commento simbolico a uno letterale, magari di accostare a un testo importante come il Liber Sententiarum di Pietro Lombardo figure di animali fantastici e di uomini fortemente caratterizzati nei volti (San Daniele del Friuli, Civ. Bibl. Guarneriana, 42; sec. 12°), "il cui unico scopo sembra essere di divertire" (Bergamini, in Miniatura, 1985, p. 25). E la stessa libertà offriva a chi, preposto all'impaginazione, non era costretto a delicate misurazioni per ripartire equamente gli spazi tra testo e immagini, per mantenere un equilibrio, almeno formale, tra elemento iconico e verbale; libertà non abusata almeno fino all'inoltrarsi del Quattrocento, quando, per il lievitare del dato figurale legato al ruolo sempre più d'apparato del libro miniato, il fregio marginale si trasformò in mostra di prestigio e potere - vi trovano posto stemmi, ritratti, emblemi - o in contenitore di piccole storie collocate in medaglioni, losanghe, quadrati, svincolandosi sempre più dal testo o richiamandolo per allusioni o citazioni. Esemplari sono le pagine introduttive dei codici italiani del Rinascimento, cariche di elementi decorativi, putti, anfore, candelabri, perle, mostri, armature, bucrani, arricchite da citazioni archeologiche, animate da paesaggi e personaggi, tanto numerose nella quantità da non permettere selezione alcuna.Quando un miniatore geniale, probabilmente il non meglio identificato Petrus V., avrebbe rappresentato come inchiodata a un'architettura con putti, colonne e armature una pergamena ritagliata contenente le Laudes bellicae di Alessandro Cortesi trascritte forse da Bartolomeo Sanvito (Wolfenbüttel, Herzog August Bibl., Guelf. 85. 1. 1. Aug. 2°), quel gioco illusionistico, presente anche poi nei primi incunaboli miniati, avrebbe segnato il ribaltamento del ruolo originario di immagine e parola. Negando la realtà bidimensionale della pagina, sarebbe stata l'immagine, sfuggita alla soggezione della parola scritta a farsi protagonista e a ospitare il testo, ma sarebbe stato un testo inchiodato, come in Cortesi, o legato, come nelle pagine del Maestro di Maria di Borgogna (Madrid, Bibl. Nac., Vit. 25-5), espressione di un rapporto che non è più simbiotico né di fertile e creativa convivenza. E neppure di reciproca integrazione, come quando, nel solco segnato dai carmina figurata, "la parola contribuisce direttamente a comporre l'immagine e [...] reciprocamente la struttura figurale offre punti d'appoggio per la dislocazione di elementi verbali" (Dalli Regoli, 1980, p. 134). Notissimo è il caso del manoscritto astronomico del sec. 9° (Londra, BL, Harley 647), eseguito in area franco-germanica, in cui le parole si modellano a costruire i segni delle costellazioni, ma esemplari anche, per la seconda soluzione, sono i tre codici del sec. 14° che conservano i Regia Carmina, poema latino in onore di Roberto d'Angiò attribuito tradizionalmente a Convenevole da Prato, chierico, notaio e maestro di Francesco Petrarca (Londra, BL, Royal 6.E.IX; Vienna, Öst. Nat. Bibl., Ser. nov. 2639; Firenze, Bibl. Naz., II.I, 27) o un altro poema celebrativo, anteriore di più di un secolo, il Liber ad honorem Augusti, composto da Pietro da Eboli a esaltazione di Enrico VI e conservato in copia unica (Berna, Burgerbibl., 120 II; fine del sec. 12°), non solo sicuramente rivista e corretta dall'autore, ma anche in parte da lui stesso trascritta e concettualmente organizzata (Miglio, 1978).Quando le storie animate da Enrico VI e dal suo rivale Tancredi si distesero sulla pesante pergamena del codice di Berna, la piena pagina non era più ormai un revolutionary concept (Weitzmann, 1971, p. 97), come era stata al momento del suo apparire legato alla nascita del codice con superfici autonome e delimitate. Il tema più diffuso in quel suo primo sviluppo sembra sia stato il ritratto dell'autore o del committente o del destinatario dell'opera; ne fa fede Marziale (Epigrammi, 14, 186), alludendo a un codice di Virgilio con un frontespizio che non doveva essere troppo diverso dal busto clipeato di Terenzio nella copia carolingia scritta da Hrodegarius e miniata, tra gli altri, da Adelricus, monaci a Corvey (Roma, BAV, Vat. lat. 3868, c. 2r), ma lo dimostrano anche l'immagine di Anicia Giuliana mentre riceve il libro da un piccolo putto a c. 6v del citato codice di Vienna e quella di Esdra allo scrittoio nel celeberrimo Codex Amiatinus della Bibbia, scritto tra il 690 e il 716 a Wearmouth-Jarrow (Firenze, Laur., Amiat.1, c. 5r). E soprattutto lo attestano le tante e tante pagine con le figure degli evangelisti accompagnati dai loro simboli, seduti all'interno di architetture più o meno elaborate in atto di scrivere su rotolo o codice, che, collocate solitamente davanti a ogni libro dei Vangeli, arricchiscono e rendono sontuosi i codici carolingi, fissandosi in un'iconografia senza dubbio ereditata dall'età tardoantica se non addirittura precedente, tanto fortunata da estendersi a rappresentare genericamente la figura dell'intellettuale ecclesiastico o laico e da arrivare inalterata e senza interruzioni fino alla piena età rinascimentale. Ciò avvenne anche, con le varianti dovute al mutare del gusto, alle diversificate funzioni del codice, alle possibilità finanziarie del committente, per la scena di dedica, che a volte, in codici di grandissimo impegno e prestigio, arriva a distendersi sulla doppia pagina affrontata.La funzione esornativa e simbolica di 'presentare' il libro o il suo autore o chi l'aveva voluto o chi ne era il destinatario non fu la sola ragione dell'adozione della piena pagina; altrettanto importante fu, almeno all'inizio, la possibilità di concentrare interi cicli narrativi, di condensare più scene in uno spazio ridotto, in una sorta di reductio ad unum vantaggiosa non solo economicamente ma anche perché permetteva al miniatore di lavorare separatamente dallo scriba su carte sciolte da accorpare al codice al momento della legatura. Le piccole scene con storie della Vita di Cristo che nell'Evangeliario di s. Agostino, della fine del sec. 6° (Cambridge, C.C.C., 286, c. 129v), affiancano, quasi rilievi fra le colonne, l'immagine di Luca o i ventiquattro uccelli raggruppati su un'unica, notissima, carta del c.d. Dioscoride di Vienna (c. 483v) o le diciannove superstiti miniature a piena pagina del Pentateuco di Ashburnham (Parigi, BN, nouv.acq.lat. 2334), affollate di scene disposte su più registri, rispondono certo a esigenze di tal genere, non estranee, del resto, anche ai più lussuosi tra i codici carolingi, come per es. la c.d. Bibbia di S. Paolo f.l.m., ricca di ventiquattro miniature a piena pagina, tutte eseguite su fogli sciolti e spesso frammentate in più scene (Roma, S. Paolo f.l.m., Bibl. dell'abbazia).Altre volte, e sovente, sembrano essere state soprattutto ragioni ideologiche di ostentazione di lusso e/o potere a spingere a una scelta dispendiosa ma di grande e pronta attrattiva da parte di committenti interessati al codice più come oggetto di propaganda politica o sociale che di studio, preghiera, contemplazione, lettura. Un vero e proprio programma politico è stato riconosciuto nell'eccezionale Virgilio vaticano, monumento del paganesimo nostalgico, secondo la definizione di Pratesi (1985, p. 30), che mescola scene incorniciate nel testo a meno numerose i. a piena pagina, mentre "commissionato per essere esposto su un alto leggio, nel vestibolo o nel triclinio del possessore, all'ammirazione e all'invidia dei suoi frequentatori ed amici" (ivi, p. 33) è stato supposto il più tardo Virgilio romano (Roma, BAV, Vat. lat. 3867), confezionato, secondo un'accreditata ipotesi che si aggiunge alle molte altre (Cavallo, 1983, p. 31), nella Ravenna gota della prima metà del sec. 6°, le cui straordinarie - e discusse - miniature a piena pagina contribuivano certo ad accrescerne il potere d'attrazione.Anche se l'ipotesi che aveva individuato una precisa volontà politica nei libri di lusso prodotti negli ambienti di corte di Carlo Magno è stata recentemente discussa e ridimensionata (Petrucci, 1976), resta il fatto che furono proprio quegli ambienti a raccogliere l'eredità del libro-oggetto e quindi a produrre, e in abbondanza, codici di lusso il cui corredo illustrativo è assai spesso costituito da miniature figurate a piena pagina. Si tratta in massima parte di sfarzosi manoscritti liturgici - bibbie, evangeliari, sacramentari, salteri - commissionati da membri della famiglia imperiale e non di rado destinati in dono a personaggi o istituzioni di rango, inconsultati e inconsultabili vista l'imponenza della taglia, ma adatti all'esposizione e alla venerazione, facilitata ed esaltata proprio dalla presenza di pagine interamente miniate. Un potere, quello di calamitare gli sguardi e di visualizzare uno status, che la piena pagina conservò sempre, anche quando si trasferì dalla corte imperiale alle corti signorili o ai palazzi del potere borghese, dalle bibbie ai messali, dai salteri ai libri d'ore e alle nuove tipologie librarie della committenza pubblica, statuti, matricole, libri di corporazioni. Libri per gli occhi, innanzitutto, da guardare più che da leggere, in cui la separazione tra testo e immagine può essere anche non solo fisica, come nel grande messale per l'incoronazione di Gian Galeazzo Visconti (Milano, Bibl. Capitolare di S. Ambrogio, lat. 6; ca. 1395), prestigioso nella firma che reca a c. 153v ("Hoc de Imbonate opus fecit Anovelus"), in cui la scena con l'incoronazione del duca miniata a c. 2v è legata al codice, ma non al testo, dal filo tenue dell'occasione. Da mostrare, più che da guardare, anche i libri degli ordinamenti civili che la classe dirigente comunale andava commissionando a legittimazione e celebrazione del proprio ruolo politico e culturale; libri di cancelleria normativi e amministrativi, in cui il rapporto tra testo e immagine è appiglio più che aggancio concreto, in cui l'i. in funzione propiziatoria e autocelebrativa serve a evocare santi protettori o intercessioni divine - contrappunto visivo all'usuale formula di invocazione verbale a Dio, alla Vergine, ai santi -, a ricordare consoli e podestà, a perpetuare emblemi di arti e corporazioni.Frontespizio d'autore, segnalibro, antiporta sacralizzante, predella cartacea, l'i. a piena pagina non sempre disattese la funzione primaria di tradurre, sostenere, commentare un testo; basti per tutti la citazione di un codice per molti aspetti eccezionale e straordinario, lo Specchio umano di Domenico Lenzi, noto come Biadaiolo Fiorentino (Firenze, Laur., Tempi 3), in cui i riferimenti alle miniature - sette splendide tavole a piena pagina di cui sei in coppia - presenti nel testo la dicono lunga sulla funzione didascalica e didattica del ciclo illustrativo perché, sostiene Lenzi, "talora aviene che chi sa cognoscere per sé con fighura non sa forse leggere" (c. 59r).
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