KABAKOV, Ilya ed Emilia (nata Kanevsky)
Artisti ucraini, Ilya, nato a Dnepropetrovsk (Ucraina), il 30 settembre 1933, ed Emilia, nata a Dnepropetrovsk, il 3 dicembre 1945. Residenti negli Stati Uniti, producono opere su carta (album), ambienti e installazioni dalla forte valenza concettuale, la cui origine è radicata nel contesto sociale e culturale dell’Unione Sovietica, ma che affrontano temi universali quali la storia, l’identità, l’intimità e l’immaginazione. Dagli anni Novanta il loro lavoro è stato esposto in importanti musei e in mostre periodiche, tra le quali Documenta 9 di Kassel (1992), la XLV Biennale di Venezia del 1993 (dove hanno rappresentato la Russia con The red pavilion), la Whitney Biennial (1997), la Biennale di Mosca (2009) e Monumenta 2014. I K. hanno ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui l’Oscar Kokoschka Preis (2002) e l’onorificenza di Chevalier des arts et des lettres (1995) del ministero della Cultura francese.
Ilya K., dopo aver studiato, tra il 1945 e il 1951, presso il VA Surikov Art Academy di Mosca, iniziò la sua carriera come illustratore di libri per l’infanzia, dedicandosi poi, tra il 1960 e il 1970, alla produzione di lavori astratti. Nel decennio seguente legò il suo nome al Noma, movimento concettuale russo di opposizione all’arte ufficiale sovietica. Alla fine degli anni Ottanta K. si trasferì in Europa dove nel 1985 si tenne la sua prima mostra personale europea alla Galleria Dina Vierny di Parigi. Nel 1989 iniziò la collaborazione con Emilia (che avrebbe sposato nel 1992).
Emilia Kanevsky, dopo aver frequentato il Music College di Irkutsk e studiato lingua e letteratura spagnola all’Università di Mosca, era immigrata in Israele nel 1973, e si era poi trasferita a New York nel 1975, dove lavorò come mercante d’arte e curatrice di mostre.
Il primo lavoro su scala ambientale dei K. è stato Ten characters (1988, Ronald Feldman Gallery, New York), che ha inaugurato l’idea dell’installazione totale, dotata di un suo tempo e di una sua struttura narrativa, capace di coinvolgere il pubblico su più livelli, che è, ancora oggi, il tratto distintivo del loro lavoro. In questo caso, rifacendosi all’omonimo album (1972-75) di Ilya, i due artisti hanno lavorato su dieci diversi personaggi (l’artista senza talento, l’uomo che è entrato nella sua pittura, l’uomo che colleziona opinioni altrui, l’uomo che va nello spazio dal suo appartamento, l’uomo basso, il compositore, il collezionista, l’uomo che descrive la sua vita attraverso gli altri, l’uomo che non getta nulla, l’uomo che ha salvato Nikolai Viktorovich) immaginando una biografia e lo spazio di una piccola stanza a raccontarli, spazio in cui lo spettatore potesse muoversi vivendo una temporalità e un’atmosfera ambigue. Ancora una narrazione in forma ambientale è la soluzione che i due hanno scelto per The toilet, il loro intervento a Documenta nel 1992, per cui i K. hanno riprodotto l’ambiente interno ed esterno dei servizi igienici provinciali sovietici, arredandoli modestamente, quasi che degli ipotetici abitanti reali si fossero momentaneamente allontanati, inducendo lo spettatore a esplorare il luogo, ma anche a violarlo, in bilico tra intimità ed esposizione.
Sul tempo, la percezione e l’identità riflette invece Where is our place? (2004, MAXXI, Museo nazionale delle Arti del XXI secolo, Roma), esposto per la prima volta alla Fondazione Querini Stampalia, nell’ambito della Biennale di Venezia (2003). Si tratta di un lavoro in cui la coesistenza di tempi (presente, passato e futuro) e punti di vista è fisicizzata nelle sale di un museo appositamente allestito con, all’altezza dei nostri occhi, una serie di anonime fotografie sovietiche, accompagnate da poesie. In alto cornici dorate di quadri enormi, dei quali riusciamo a scorgere soltanto la parte inferiore e, in basso, paesaggi lontani e minuscoli. Lo spettatore rimane sconcertato e schiacciato dalla presenza di un uomo e una donna giganteschi, abbigliati in modo ottocentesco, dei quali si possono scorgere solo i piedi e intuire le dimensioni. Lo spazio così costruito pone al pubblico la domanda ontologica che è il titolo del lavoro: qual è il nostro posto? E implicitamente quindi: qual è il nostro sguardo?
In occasione di Monumenta di Parigi al Grand Palais (2014), i K. hanno allestito The strange city, luogo, ancora, di una doppia identità, intima e massiva insieme. Formato da più ambienti, fisici e simbolici, è una città ideale capace di mostrare, attraverso gli arredi e la musica – nei corridoi che circondano l’ambiente sferico centrale vi sono, per es., lavori che rimandano alla corrente concettuale di cui Ilya fece parte e che si riuniva segretamente nella Russia di Stalin –, la doppia identità russa e di artisti come i K. negli anni del totalitarismo: autartica e moderna, impegnata tra il dogmatismo e le sue opposizioni.
Bibliografia: Ilya Kabakov. Installations 1983-1995, Paris 1995; B. Groys, D.A. Ross, I. Blazwick, Ilya Kabakov, London-New York 1998; Ilya/Emilia Kabakov. Where is our place?, catalogo della mostra, Venezia, Fondazione Querini Stampalia, Milano 2003; Ilya Kabakov. Artists’ books 1958-2009, hrsg. M. Haldemann, Bielefeld 2011; J.H. Martin, Ilya et Emilia Kabakov, Paris 2014.