Im Lauf der Zeit
(RFT 1975, Nel corso del tempo, bianco e nero, 176m); regia: Wim Wenders; produzione: Wim Wenders; sceneggiatura: Wim Wenders; fotografia: Robbie Müller; montaggio: Peter Przygodda; scenografia: Heidi Lüdi, Bernd Hirskorn; musica: Improved Sound Ltd., Axel Linstädt.
Bruno vive da due anni su un camion attrezzato come casa-laboratorio con cui si sposta lungo la frontiera tra le due Germanie, riparando i proiettori delle sale cinematografiche. Durante una sosta sulle rive dell'Elba incontra Robert, un pediatra che si occupa di problemi del linguaggio, da poco separato dalla moglie e che ha appena rischiato di inabissarsi con la propria auto nel fiume al termine di una folle corsa. Robert si aggrega a Bruno e si sdebita dell'ospitalità aiutandolo occasionalmente nel lavoro: tra i due nasce una profonda complicità che non ha bisogno di troppe parole. Si separano momentaneamente quando Robert decide di far visita al padre, editore di un piccolo quotidiano di provincia, con il quale ha sempre avuto un rapporto difficile. Si ritrovano e partono a bordo di un sidecar, fino a raggiungere un'isoletta sul Reno, dove si trova la casa ormai abbandonata in cui Bruno ha trascorso l'infanzia. Un diverbio mette fine alla loro amicizia quando, ripreso il viaggio, giungono in prossimità della frontiera. Aspettando il treno, Robert scambia la propria valigia vuota con il quaderno di un bambino; Bruno, invece, dopo aver ascoltato la proprietaria della sala cinematografica Weisse Wand, sconsolata per la situazione del cinema in Germania, strappa la mappa del proprio itinerario.
Girato al termine di una lunga serie di sopralluoghi lungo la frontiera con la ex RDT per la scelta delle ambientazioni, frutto di una continua rielaborazione della sceneggiatura durante le riprese, Im Lauf der Zeit è una lucida riflessione sul cinema, sulla sua probabile morte, sui suoi rapporti con la vita e sulle possibilità del suo rinnovamento. Di qui la scelta del personaggio principale, un tecnico riparatore di proiettori, e delle tappe del viaggio, le sale cinematografiche di provincia, per concentrarsi sul cinema proprio a partire dalle sue componenti materiali (evocate fin dai titoli di testa, dove si indicano le caratteristiche fisiche della pellicola: bianco e nero, suono in presa diretta, dimensioni del mascherino) e sulla sua valenza in un mondo inflazionato dalle immagini. La concezione del cinema di Wim Wenders trova il suo emblema nel meccanismo della croce di Malta, quello che durante la proiezione, come afferma Bruno, "ventiquattro volte al secondo fa fare un passo avanti al film". Il cinema, dunque, per trasformare la propria vocazione autoreferenziale in un movimento di avanzamento e rinascita, deve ripartire dalle componenti di base dell'immagine. La vicenda narrata ricalca nella sua struttura proprio questa idea: il tragitto circolare compiuto dai due protagonisti (che vivono antiteticamente il proprio rapporto con la memoria, tema centrale nella cultura tedesca del secondo dopoguerra) diviene, attraverso l'alternanza di movimento e stasi (la stessa che si verifica nel meccanismo della croce di Malta), un percorso di crescita e maturazione. Se Robert si libera dal peso opprimente della propria storia (il divorzio dalla moglie, la perdita della madre, l'incomunicabilità con il padre), Bruno ritrova il proprio passato in occasione della visita alla casa sull'isola, unico luogo dove sia possibile una vera e propria stasi.
Tuttavia ciò è possibile solo attraverso una riscoperta fenomenologica del reale, rispetto alla quale la dimensione del viaggio è privilegiata. La trasformazione è infatti il risultato di uno spostamento nello spazio, il prodotto incidentale del caso (e il lavoro sulla sceneggiatura, generata dal viaggio compiuto dal regista per effettuare le riprese, lo conferma), l'effetto della rinuncia dei personaggi a essere protagonisti di una vera e propria storia a favore di una continua riflessione sulla propria condizione, alternata a lunghi silenzi in cui è il paesaggio a dominare. Se da un lato Wenders sembra limitarsi, attraverso la lentezza della narrazione e un'attenzione maniacale per gli aspetti minimali della vita dei due personaggi, a una registrazione del reale priva di intenti espressivi, dall'altro si dimostra raffinatissimo nella scelta di inquadrature, movimenti di macchina, raccordi di montaggio, musiche (diegetiche e non), mai fine a se stessa, tesa a produrre un ricco intreccio di rimandi al cinema tanto europeo quanto americano. Il film, girato in un bianco e nero che rimanda implicitamente al 'cinema dei padri' (quello dell'espressionismo tedesco), fa propria anche la lezione dei classici del cinema americano sia per il tema dell'amicizia virile (aggiornata, attraverso le figure dei due uomini, all'immaginario hippy degli anni Settanta), sia per la dimensione del viaggio e per le aperture paesaggistiche di desolata e struggente bellezza simili ai vasti spazi d'oltreoceano, cui si accompagna una colonna sonora di brani classici del rock statunitense. In questo modo Wenders pare anelare a una sorta di purezza primigenia del cinema, espressa anche attraverso un divertente omaggio al teatro delle ombre e, nella sequenza finale, con il nome dell'ultima sala cinematografica visitata da Bruno, Weisse Wand, letteralmente 'schermo bianco'. Il film, presentato in concorso al Festival di Cannes del 1976, si aggiudicò il premio della critica FIPRESCI.
Interpreti e personaggi: Rüdiger Vogler (Bruno Winter, 'King of the Road'), Hanns Zischler (Robert Lander, 'Kamikaze'), Lisa Kreuzer (Pauline), Rudolf Schündler (padre di Robert), Marquard Bohm (uomo dell'incidente), Dieter Traier (Paul), Franziska Stömmer (padrona del cinema Weisse Wand), Patrick Kreuzer (bambino alla stazione), Peter Kraiser (proiezionista).
P. Bonitzer, Allemagne, années errantes, in "Cahiers du cinéma", n. 268-269, juillet-août 1976.
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Sceneggiatura: W. Wenders, F. Müller-Scherz, Der Film von Wim Wenders Im Lauf der Zeit, Frankfurt am Mein 1976; Nel corso del tempo, a cura di G. Spagnoletti, Milano 1979.