imaging cerebrale funzionale, aspetti tecnici
Risoluzione spaziale e temporale
La risoluzione spaziale (RS) e la risoluzione temporale (RT) descrivono rispettivamente la capacità di distinguere singoli elementi tra loro ravvicinati spazialmente e il tempo minimo necessario per registrare un fenomeno che si sta osservando.
In passato per definire la RS in radiologia convenzionale era impiegato un reticolo a bande nere alternate a spazi chiari: secondo questa schematizzazione, la RS veniva espressa nel dominio della frequenza spaziale in coppie di linee per millimetro (cl/mm) e corrispondeva, fisicamente, alle dimensioni della più piccola struttura distinguibile. In questo sistema, i limiti intrinseci erano determinati dalla lunghezza d’onda della radiazione impiegata: secondo il principio di Huygens-Fresnel, infatti, non è possibile distinguere un oggetto di dimensioni inferiori a quelle della lunghezza d’onda della radiazione impiegata, a causa di effetti diffrattivi. Ne deriva che in una radiografia convenzionale, la RS dipende dalle dimensioni della macchia focale del tubo radiogeno, a sua volta legata alle dimensioni della sorgente di raggi X e alle caratteristiche del sistema ottico elettronico.
Nei sistemi basati su elaborazioni digitali del segnale, come per la tomografia assiale computerizzata (TAC) e la risonanza magnetica (RM), l’unità di misura della RS è il voxel, definito come area del pixel (la dimensione minima rilevabile con una data metodica e con propri parametri spaziali) moltiplicata per lo spessore di strato. L’ampiezza della RS dipende sia dalla dimensione del campo di vista sia dalla matrice di ricostruzione impiegata: la stessa immagine costituita da un determinato numero di pixel può avere una RS più elevata scegliendo un campo di vista più piccolo; analogamente, in un’immagine con un campo di vista e uno spessore di sezione fisso, si può incrementare la RS dividendola in un numero maggiore di pixel. La RS in ambito di elaborazione digitale viene definita come l’inverso del voxel, ma può essere espressa anche in termini di numero di pixel per unità di superficie (DPI, dots per inch). La scelta di una RS può essere determinata dalla necessità di mantenere un livello di qualità diagnosticamente accettabile dell’immagine: quando un’immagine viene suddivisa in voxel più grandi, la quantità dei dati utilizzati per determinare il valore di ciascun voxel aumenta, incrementando il rapporto segnale-rumore (SNR, Signal-to-Noise Ratio), che permette di massimizzare la qualità dell’immagine, a scapito di una diminuzione dell’RS. In generale, per ogni applicazione è necessario un compromesso tra un’alta RS e un SNR adeguato. In RM le problematiche della RS sono complicate, ma allo stesso tempo agevolate, dalla possibilità di incrementarla ponendo le antenne che ricevono il segnale a più diretto contatto del distretto anatomico in esame, così da non disperdere segnale e diminuire l’inquinamento dovuto al rumore naturale ed elettronico, insito nella tecnica. È possibile incrementare l’SNR per l’acquisizione di immagini di RM di elevata qualità, senza aumentare le dimensioni del voxel, utilizzando bobine a radiofrequenza riceventi locali, adattate alla forma geometrica dell’organo da monitorare e configurate per specifiche regioni di interesse. Attualmente, le bobine impiegate nei tomografi RM commerciali presentano una forma geometrica simmetrica e standardizzata, non particolarmente adatta ad assicurare le migliori prestazioni in termini di fattore di riempimento della struttura da esaminare e di adattamento alla sua superficie. Per ottimizzare tali parametri, in alcuni centri di ricerca (tra cui l’Istituto di fisiologia clinica del CNR di Pisa) si stanno sviluppando (2010) bobine ‘indossabili’, perfettamente adattabili alla forma geometrica del corpo in esame, in grado di fornire immagini anatomiche caratterizzate dal più elevato SNR possibile.
Analogamente alla RS vi è nell’ambito dell’imaging la necessità di sviluppare sistemi veloci di acquisizione delle immagini, che riducano al minimo il gap temporale esistente tra il verificarsi della maggior parte dei fenomeni fisiologici osservati e la loro registrazione: gli impulsi elettrici che viaggiano lungo le fibre nervose raggiungono le singole stazioni in pochissimi millisecondi, per cui un fenomeno dipendente da un processo di elaborazione cerebrale giunge a termine nell’ordine di pochissime centinaia di millisecondi. Questo fa sì che, per es., se si volesse seguire l’attività cerebrale nel corso di uno stimolo visivo, sarebbero necessari strumenti in grado di registrare variazioni elettriche di pochissimi millisecondi, come fanno i potenziali evocati visivi (PEV). Questi però danno una valutazione solo quantitativa del fenomeno, senza alcuna rappresentazione anatomica delle sedi e delle strutture coinvolte. Tra le metodiche d’imaging cerebrale funzionale, solo l’ecografia può avvicinarsi a una registrazione pressoché in tempo reale, ma per la presenza dell’osso cranico non è possibile ottenere nell’adulto immagini risolutive. La TC è la metodica che più si avvicina a tempi di misurazione dell’ordine di millisecondi: nelle acquisizioni angiografiche per es., si possono ottenere sino a migliaia d’immagini in pochi secondi durante i singoli cicli cardiaci. La RM è ancora piuttosto lontana da questi standard: si possono al massimo ottenere, con apparecchiature a uso clinico ed elevato campo magnetico, solo immagini ogni 200 ms, e questo rappresenta un limite allo studio di alcuni fenomeni fisiologici con la RM, come quelli legati ai processi di elaborazione mentale. Questo non ha comunque impedito di acquisire in ambito fisiologico e patologico dati fondamentali sul cervello umano. Basti pensare che gran parte della neurofisiologia è stata rivoluzionata e ristudiata nel giro di un solo decennio, grazie alle applicazioni di metodiche RM, quali la fMRI (functional Magnetic Resonance Imaging) e la DTI (Diffusion Tensor Imaging).