Imbalsamazione
L'imbalsamazione è un'operazione intesa a conservare inalterato, dopo la morte, il corpo dell'uomo e degli animali. Le pratiche d'imbalsamazione, antiche e moderne, si basano essenzialmente su due operazioni: sottrarre forti quantità di acqua al cadavere e impedire o ritardare la putrefazione. Per la buona riuscita del processo, la sottrazione d'acqua è molto importante: lo dimostrano i casi di mummificazione spontanea in luoghi caldi e ventilati e l'enorme perdita di peso dei cadaveri mummificati, alcuni dei quali non raggiungono i 5 kg.
L'adozione di pratiche tendenti ad assicurare la conservazione del cadavere è diffusa presso numerose popolazioni. Alcune di queste pratiche sono collegate al costume funebre della collocazione e abbandono del cadavere all'aperto, o sui rami d'un albero, o su apposite piattaforme (Australia, America Settentrionale), o in speciali costruzioni o contenitori (Indonesia). Per es., fra i cacciatori a cultura totemica dell'Australia centrale sono praticati l'asportazione dei visceri e l'essiccamento dei tessuti a mezzo del fuoco o dell'affumicamento. Si ottiene in tal modo una sorta di mummificazione del cadavere, che può essere conservato per lungo tempo se la mummia è protetta da involucri e collocata, successivamente, in ambienti chiusi abbastanza asciutti (grotte) o nella stessa casa dei vivi. Ma la facilità dell'essiccamento e la durata dei mezzi adottati per la conservazione dei tessuti tegumentari dipendono anzitutto dalle condizioni climatiche: i climi desertici sono quelli nei quali la mummificazione del cadavere ha potuto diffondersi maggiormente, sino a divenire, talora, il costume funebre di tutta la popolazione, come nell'antico Egitto e nell'antico Perù. Un'altra grande area etnologica nella quale si è registrata la pratica dell'imbalsamazione, sebbene usata di regola soltanto per i capi e le persone di alto rango, è l'Oceania. Le operazioni comprendono l'essiccamento mediante la fumigazione o l'esposizione al sole, l'asportazione dei visceri e in qualche caso del cervello, il drenaggio dei liquidi prodotti dalla putrefazione tramite pressione e con il sussidio di particolari incisioni, l'introduzione di sostanze impregnate di sale o di oli aromatici. Procedure simili sono attestate presso vari gruppi etnici della Polinesia e della Nuova Caledonia.
2. Cenni storici
I popoli antichi praticarono su larga scala l'imbalsamazione, che fu in uso, come già accennato, presso gli egizi, e anche gli assiri, i persiani, gli ebrei ecc. Gli egizi raggiunsero nell'arte d'imbalsamare i cadaveri una singolare perfezione, testimoniata dalla conservazione delle loro mummie. Erodoto e Diodoro Siculo hanno lanciato un'accurata descrizione dei loro sistemi: l'imbalsamazione era eseguita in un laboratorio chiamato we'be, o anche pernofer ("la buona casa"), da un corpo di artigiani specializzati, i colciti, con modalità diverse a seconda della classe di appartenenza del cadavere. I trattamenti più sofisticati, riservati alle classi superiori, prevedevano varie fasi: dapprima si eseguiva una laparatomia con un coltello rituale di silice e si asportavano i visceri, che venivano lavati con oli, cosparsi di resine e posti in speciali recipienti, i canopi, fatti d'alabastro, di pietra o terracotta; venivano poi rimosse tutte le parti putrescibili, la lingua, gli occhi e, attraverso un foro praticato a livello dell'osso etmoidale, le strutture cerebrali. Il cadavere così preparato veniva immerso in una soluzione concentrata di carbonato di sodio, trattato con oli, resine e pece per un periodo di 40 giorni, e in seguito avvolto in fasce di lino finissimo. Particolare era il bendaggio della testa, con un intreccio di 8 strisce di bende, in maniera che i lineamenti rimanessero inalterati. Successivamente il cadavere veniva adagiato in una serie di casse di legno odoroso e quindi nel sarcofago di pietra. Tecniche di conservazione del cadavere furono praticate anche nel mondo grecoromano: Plutarco, Cornelio Nepote ed Emilio Probo narrano, per es., che, essendo morto Agesilao lontano dalla patria Sparta, il suo corpo fu avvolto con cera per essere trasportato nella città di origine senza essere manipolato. Stazio riferisce, invece, che il corpo di Alessandro Magno, in esecuzione delle sue ultime volontà, fu imbalsamato e spalmato di miele. Anche Plinio il Vecchio attribuisce al miele una forte azione conservativa; in ambedue i casi, però, è possibile che il miele sia stato confuso con un altro prodotto delle api, il propoli, di cui effettivamente le api si servono per saldare i favi dell'alveare e per 'mummificare' eventuali intrusi, come insetti o grosse farfalle. Durante il Medioevo l'imbalsamazione di cadaveri o di parti di essi (specie del cuore), praticata sporadicamente per coloro che morivano in concetto di santità, fu sempre effettuata con mezzi empirici; nei tempi moderni essa è rimasta in uso, ma in seguito alla scoperta degli antisettici chimici, la tecnica si è rinnovata profondamente.
W. Hunter fu il primo, nel 1783, a introdurre nella pratica di imbalsamazione l'iniezione nei vasi sanguigni di liquidi di conservazione, adoperando una soluzione composta da trementina di Venezia ed essenze di lavanda e rosmarino. Nell'Ottocento le tecniche imbalsamatorie, acquisite dagli istituti scientifici, furono utilizzate per la conservazione a scopo didattico e di ricerca di salme e di organi. Nel 1837, G. Tranchina iniettò nel letto vascolare sostanze che, fluide a caldo, si solidificano con il raffreddamento; successivamente usò una soluzione di arsenico bianco come antisettico. Nel 1867, L. Brunetti propose il metodo della tannizzazione, consistente nell'iniettare nelle arterie acqua per lavare il letto vascolare, etere solforico per sgrassare, soluzione di acido tannico per tannizzare, aria compressa asciutta e calda per prosciugare i tessuti. Nel 1886, S. Laskowski precisò le norme di tecnica delle iniezioni endovascolari e propose una miscela di glicerina, acido fenico e alcol puro con bicloruro di mercurio e cloruro di zinco. Il suo metodo è ancora oggi utilizzato: infatti glicerina, acido fenico e alcol puro sono tuttora impiegati nel liquido di conservazione anatomica di Winckler, che assicura integrità e compattezza al cadavere. Nel 1889, W.B. Richardson utilizzava a Londra il cloruro di zinco e, nel 1891, R. Dubois, a Lione, descrisse l'essiccamento rapido dei tessuti per mezzo di una miscela disidratante liquida di alcol etilico e di etere nitrico, cui seguiva l'essiccazione del cadavere all'aria e la ricopertura mediante una vernice: questa tecnica, però, non assicurava la conservazione prolungata del cadavere. Negli anni Trenta del 20° secolo, A. Brosch propose un processo d'impregnazione antiputrida, consistente nell'iniettare con una particolare siringa a pressione e lunghi aghi-cannule una soluzione di formalina, cloruro di sodio e acido fenico liquido. Tutti questi metodi hanno conosciuto successivamente numerosissime varianti. Una nuova tecnica, messa a punto da G. Von Hagens, è la 'plastinazione', che conferisce al preparato anatomico proprietà meccaniche atte a renderne indeformabile la struttura al pari di un modello in plastica. Con tale tecnica si possono 'plastinare' organi cavi o parenchimatosi e interi distretti topografici, ed eseguire sezioni macroscopiche e microscopiche. Il procedimento prevede la sostituzione di una buona parte della componente idrica del reperto biologico con particolari resine e si sviluppa attraverso fasi successive: fissazione, disidratazione, impregnazione forzata e cura. Il cadavere viene conservato in toto o in parte, preservandone le caratteristiche morfologiche a tempo indeterminato, e ciò costituisce un utile ausilio nella didattica dell'anatomia umana.
A. Bouchet, L'embaumement et la conservation des cadavres humains au cours des siècles, "Lyon Medical", 1972, 227, pp. 19-20.
G. von Hagens, Plastination technique, "Heidelberg Plastination Folder", Aprile 1985, pp. 1-2.
V. Terribile Wiel Marin, C. Corrain, Pratiche imbalsamatorie in Europa, "Pathologica", 1986, 78, pp. 107-21.