IMBECILLITÀ (lat. imbecillitas; ted. Schwachsinnigkeit)
Difetto grave, ma non gravissimo, dello sviluppo psichico, che consente l'uso anche largo della parola (per lo più con qualche difetto d'articolazione: lamdacismo, rotacismo e altre forme di blesità), ma non permette un profitto scolastico tale da riuscire praticamente utile nei rapporti sociali. Al disotto degl'imbecilli stanno gl'idioti, al disopra e fino ai limiti della normale mediocrità stanno i semplici di spirito. La relativa ricchezza di sviluppo psichico (al paragone con gl'idioti) consente agl'imbecilli una psicologia più complessa e ricca di anormalità intellettuali e morali. Gl'imbecilli sono spesso fatui, vanitosi, bugiardi, ipocriti, volubili, riottosi, ribelli, crudeli. Possono presentare crisi distimiche, delirî di grandezza o di persecuzione, pervertimenti sessuali, insensibilità morale, tendenze criminali. Possono presentare anche squilibrî e disarmonie notevolissime nel grado di sviluppo delle varie attività sensoriali, mnemoniche, intellettuali, al punto da offrire, accanto a gravi deficienze, dei veri talenti parziali, ad esempio per il calcolo, per la musica. I processi organici che determinano l'imbecillità sono i medesimi che, in forma più grave, dànno luogo all'idiozia: le malattie fetali (specie luetiche), gl'incidenti del parto, le infezioni della prima infanzia, le cerebropatie d'indole degenerativa ed ereditaria. Le distinzioni psicopatologiche e cliniche tra le forme d'idiozia e quelle d'imbecillità sono di grado e non di natura.