imborgarsi
Denominale di conio dantesco (cfr. Parodi, Lingua 266), con costrutto intransitivo pronominale; è seguito dal complemento indiretto preceduto da ‛ di ', sul tipo di si lava / di Rodano (Pd VIII 58-59), di torri si corona (If XXXI 41). Ricorre una sola volta, in rima, in Pd VIII 61 quel corno d'Ausonia che s'imborga / di Bari e di Gaeta e di Catona.
Il Buti spiega che " s'incittadinesca, e hae per borghi, cioè per cittadi ", e il Landino " che si veste delle città infrascritte ". Ma per il Sapegno il verbo acquista un " senso più determinato se a borgo si attribuisce il valore di ‛ castello ', ‛ fortezza ' quasi Dante dicesse: ‛ s'incastella, ha i suoi baluardi estremi ' " (cfr. anche Pézard, in Lett. dant. 1491: " preferiamo, con lo Zingarelli, ritrovare nel verbo il radicale burg nel vecchio senso germanico di fortezza militare, o il pyrgos, la torre munita dei Greci: almeno i castelli di Bari e di Gaeta erano piazzeforti di prim'ordine "). Il Porena per confutare la prima interpretazione obbietta che D. non ha ricordato Napoli, la capitale, e preferisce intendere s'imborga " come derivato da borgo, nel senso di parte d'una città contigua ad essa ma fuori della cerchia muraria, periferica: che era il significato di borgo più comune nel Trecento... Il Poeta considererebbe qui Bari, Gaeta e Catona come luoghi periferici del Regno, quasi borghi attorno alla parte più centrale, che era Napoli e la sua regione ".