Vedi IMERA dell'anno: 1961 - 1973 - 1995
IMERA
(῾Ιμηᾖρα, Himera). − Città fondata dai coloni calcidesi di Zancle, insieme a fuorusciti siracusani, condotti da Euclide, Simo e Sacone, nel 648 a. C. sulla costa settentrionale della Sicilia. La sua posizione, indicata dalle fonti genericamente in rapporto al fiume da cui prese il nome, s'identifica con l'altopiano di S. Nicola (piano d'Imera e piano del Tamburino) che si eleva alla sinistra del fiume Grande o Imera settentrionale, a circa km 1,500 dal mare.
I. pervenuta a prosperità sotto il governo dei tiranni Terillo e Terone e sempre più, dopo la cacciata di Trasideo, sotto il larvato dominio di Gerone di Siracusa, prese parte notevole alla battaglia del 480 a. C. vinta da Gelone di Siracusa contro i Cartaginesi comandati da Amilcare, avvenimento che valse ad affermare in Sicilia ancora per un secolo il predominio dell'elemento ellenico su quello punico. Ma nel 409 la conquista della città da parte di Annibale, la fuga e la strage dei cittadini segnarono la definitiva scomparsa di I., la patria di Stesicoro.
Per quanto non si conosca con esattezza il perimetro della mura di fortificazione, è probabile che queste, oltre a cingere l'altopiano appoggiandosi a S-O alla Rocca del Drago, si prolungassero a N-E, verso la pianura costiera, in modo da difendere il porto che si apriva alle foci dell'Imera, chiudendo nel perimetro gli edifici portuali e il noto Tempio detto della Vittoria, per essere stato innalzato a ricordo della vittoria del 480. La popolazione urbana pare dovesse aggirarsi intorno ai 40.000 abitanti. Ma I. doveva avere un suo territorio, espanso oltre alle sorgive termali imeresi (Termae Himerenses) a O, fino al territorio di Cefalù a E, ma serrato verso mezzogiorno dai monti delle Madonie, abitati dagli indigeni, e dalla espansione di Agrigento che tendeva, attraverso le valli dei due Imera, al Tirreno. Della città sull'altopiano, mai scavata, si vedono tracce nei numerosissimi frammenti fittili portati in superficie dai lavori agricoli e nei ruderi di muri. Notizie e tracce si hanno di due necropoli, una a N-E dell'altopiano presso il burrone del Gatto, l'altra a O sulla collina Scacciapidocchi.
L'unico monumento ben noto, per essere stato scavato compiutamente nel 1929-30, è il Tempio della Vittoria, in pianura di fronte al mare, forse, nel luogo stesso dove avvenne la battaglia del 480. È un tempio dorico di m 55,91 × 22,45, periptero esastilo con 14 colonne sui lati lunghi, elevato su krepìdoma di 4 gradini, con pronao, cella, opistodomo e con qualche particolare struttivo, quale le scalette d'accesso al tetto tagliate nel muro divisorio tra cella e pronao, d'influsso agrigentino. Nonostante alcuni elementi arcaici, il tempio è attribuibile al secondo ventennio del V sec. a. C. per l'evoluto sistema di contrazione degli interassi tra le colonne dal centro verso l'estremità dei lati dello pteròn, per le forme dell'echino dei capitelli e per lo stile delle protomi leonine delle grondaie. Di queste, le 56 recuperate, datate fra il 480-60 dal Marconi, che vi riconosce l'opera di varî scultori e due diverse concezioni plastiche, formano una ricca serie di elevato valore d'arte.
Il tempio era racchiuso in un tèmenos insieme ad altri piccoli edifici sacri, edicole e tempietti di cui rimangono elementi architettonici, frammenti di colonne, capitelli, triglifi, ed elementi decorativi fittili dipinti e plastici, fra cui interessanti tipi di antefisse figurate. È nota dalle fonti l'esistenza di statue asportate dai Cartaginesi e poi restituite da Scipione a Termae, città erede di Imera. I. fu la prima città della Sicilia che nella monetazione usò il bronzo, fin dai primi decenni del sec. V, coniando l'hemilitra e sue divisioni. In argento coniò prima del 480, secondo il sistema eginetico, un tipo di dracma col quadrato incluso sul retro e il gallo del culto di Asklepios sul dritto. Dopo il 1480 subì l'influsso della monetazione agrigentina nel sistema euboico-attico adottato e nella rappresentazione del granchio sul didracma col gallo e l'iscrizione ΗΙΜΗΡΑ. Si scaglionano poi nel V sec. a. C. i varî conî, con varianti di rappresentazione e di stile, eleganti tipi di tetradracmi e di didracme con la ninfa sacrificante, personificazione delle sorgive di acque termali, note dalla più alta antichità (leggenda di Eracle e le ninfe). Sui tetradracmi più belli, vicino alla ninfa che liba su altare è figurata una fonte sotto il cui getto d'acqua sgorgante da protome leonina si bagna un sileno (sul retro quadriga al passo e ΙΜΗΡΑΙΟΝ), oppure ninfa in chitone trasparente e iscrizione ΑΡΗΜΙ e sul retro Pelope su biga al passo e ΠΕΔΟΨ all'esergo; su didracmi: ninfa con caduceo ornato di bende e cavaliere balzante giù dal cavallo in corsa con ΙΜΗΡΑΙΟΝ.
Bibl.: Storia: E. A. Freemann, The History of Sicily, Oxford 1891-94, I, p. 214; A. Holm, Storia della Sicilia nell'antichità, vers. ital., Torino 1896, I, p. 280 ss.; M. Columba, I porti della Sicilia, Roma 1906, p. 67; L. Pareti, Studi sicilioti e italioti, Saggio VI, Firenze 1914. Topografia ed arte: N. Palmeri, Saggio sul t. d'Imera, Napoli 1920; E. Mauceri, Cenni sulla topografia d'Imera e sugli avanzi del t. di Bonfornello, in Mon. Ant. Lincei, 1907, XVIII, cc. 385 ss.; P. Marconi, Himera, lo scavo del tempio della Vittoria e del temenos, Roma 1931; J. Bovio Marconi, in Not. Scavi, 1935, p. 201 ss.; B. Pace, Arte e civiltà della Sicilia antica, Torino 1935-1949, voll. I-IV (ivi bibl. precedente); E. Gabrici, Topografia e numismatica dell'antica Himera e di Terme, Napoli 1894; G. E. Rizzo, Monete greche della Sicilia, Roma 1946.