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immaginazione

Dizionario di filosofia (2009)
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immaginazione


Nella psicologia aristotelica, facoltà di produrre immagini sensibili (φαντάσματα). Connessa ai sensi ma non limitata o condizionata da essi, distinta dall’intelletto e dall’opinione, l’i. è per Aristotele una forma di movimento (κίνησις) che si produce negli esseri dotati di sensazione (è causa di molte azioni, soprattutto negli animali) ed è capace di comporre immagini sia in rapporto a oggetti presenti ai sensi, sia costruendone liberamente senza riferimento immediato agli oggetti stessi. Il neoplatonismo, soprattutto con Plotino, tenta una sintesi della dottrina aristotelica e di quella platonica, spiegando l’operare dell’i. come facoltà umana nel quadro dello sviluppo gerarchico dell’essere di cui l’i. incarna uno dei gradi.

Il Rinascimento e l’età moderna

Probabilmente proprio alcune caratteristiche creatrici riconosciute all’i. hanno portato a collegarla – già nella medicina araba, poi nella cultura aristotelica medievale e soprattutto rinascimentale – con alcune operazioni umane che si presentano anch’esse come creatrici: la profezia, l’astrologia, la magia, quindi la poesia; ampie nel Rinascimento e nel Seicento furono le discussioni sulle forze dell’immaginazione. Importanti per il Rinascimento le posizioni di Ficino e Bruno, che mettono in evidenza gli aspetti di produttività e innovatività dell’i. e le sue connessioni con l’arte della memoria, mentre nel Seicento si sviluppa soprattutto il dibattito sulle forze dell’i., sulla loro capacità di modificare anche la realtà esterna e sui pericoli che tali forze comportano, aspetto, questo, che contribuisce a portare a quella netta svalutazione della funzione conoscitiva dell’i. che si attua con Cartesio e soprattutto con Malebranche, il quale definisce l’i. «la pazza di casa», la «folle qui se plaît à faire la folle». Ma la riabilitazione dell’i., in opposizione alla svalutazione razionalistica, si compie già nella tradizione empiristico-sensualistica settecentesca, per es. con J.-B. Du Bos (ma in altro ambito e in un relativo isolamento già Vico si era opposto alla svalutazione razionalistico-malebranchiana dell’i.). La distinzione fra due aspetti dell’attività dell’i. porta anche nei manuali (come la Psychologia empirica, 1732, di Wolff) alla distinzione tra l’i. come «facoltà di produrre le percezioni delle cose sensibili assenti» e la facoltà capace di «produrre, mediante la divisione e la scomposizione delle immagini, l’immagine di una cosa mai percepita dal senso». Distinzione questa ben presente in Kant che definisce l’i. come «facoltà di rappresentare un oggetto anche senza la sua presenza nell’intuizione», e pone netta differenza tra l’i. produttiva e l’i. riproduttiva: l’i. è produttiva se è «soltanto spontaneità», come «effetto dell’intelletto sulla sensibilità e sua prima applicazione a oggetti dell’intuizione possibile»; come quando, per es., s’immagina un cerchio, nell’intuizione, ma secondo una regola dell’intelletto; riproduttiva se è «sottoposta alle leggi empiriche dell’associazione». La prima è a priori, la seconda no. La 1ª ed. della Critica della ragion pura (➔) (1781) poneva l’i. accanto a sensibilità e intelletto come una delle «tre fonti soggettive di conoscenza su cui si fonda la possibilità di una esperienza in generale». Una posizione essenziale l’i. assume nella dottrina della scienza di Fiche; l’i. produttiva pone il non io: «l’i. produce la realtà, ma in essa non vi è realtà: solo dopo che è stata concepita e compresa nell’intelletto, il suo prodotto diventa alcunché di reale». Nella cultura settecentesca e poi soprattutto in quella idealistica e romantica l’i. assume un’importanza rilevante non solo in ambito gnoseologico ma anche in quello estetico nel senso che in essa viene identificata quella facoltà a cui va riportata la produzione e la fruizione dell’arte, anche se i legami tra l’i. e la sfera estetica sono rintracciabili in periodi in cui quella connessione privilegiata non si era ancora istituita, com’è per es. evidente in alcuni aspetti del pensiero degli stoici, nella cultura rinascimentale e in F. Bacone, che enuncia già nel 1605 la celebre correlazione tra le «tre parti della scienza umana» e le «tre parti dell’intelletto umano»: alla memoria corrisponde la storia, alla i. la poesia, alla ragione la filosofia (schema che si ripresenterà, con poche modifiche, nel pensiero del Settecento e in partic. nell’Encyclopédie). In genere il riconoscimento del nesso essenziale tra arte e i. non porta all’isolamento di questa facoltà nella sua specializzazione univoca, non va cioè nel senso di un’i. «specificamente o autonomamente estetica», o in quanto indicante un dominio ‘specifico’ dell’estetico. Anche in Hegel, che distingue tra i. semplicemente riproduttiva e i. creatrice o fantasia, e che fonda in quest’ultima («simboleggiante, allegorizzante, poetante») il concetto di genio, la rivendicazione dell’i. o della fantasia va nel senso dell’individuazione di una «facoltà» o di una condizione essenziale per l’intera esperienza, non per un suo aspetto più o meno presuntivamente separato o «specifico». Tali problemi saranno poi ripresi nell’ambito dell’estetica novecentesca, in cui la problematica dell’i. è ormai connessa a una più ampia riflessione sugli aspetti creativi e costruttivi dell’esperienza umana nel suo complesso.

Il Novecento

Nel pensiero filosofico del Novecento, un ruolo importante viene attribuito all’i. nel quadro della fenomenologia: Husserl (nelle Idee per una fenomenologia pura, 1913) ne sottolinea la funzione di riproporre (ripresentare) le esperienze vissute in forma di «libere fantasie», tali quindi da rivelare, una volta divenute oggetto di contemplazione, la loro vera natura. Pur prendendo le mosse da Husserl, Sartre si serve dell’analisi dell’i. (L’imagination, 1936; L’imaginaire, 1940) per fondare la prospettiva ontologica, l’opposizione essere-nulla, pensiero-cose. Raffrontando l’i. agli atti intenzionali, Sartre sottolinea il fatto che il contenuto di essa non corrisponde necessariamente a un oggetto trascendente, ma rimane esclusivamente nell’ambito della coscienza. Stabilendo vari gradi nei prodotti dell’i., Sartre afferma che quanto più l’immagine è completamente tale, tanto più si perde il suo contenuto trascendente, cioè l’originario riferimento all’oggetto reale. La dottrina dell’i. presenta sviluppi anche nella psicoanalisi (Freud), nella psicologia analitica (Jung) e nell’antropologia strutturalistica (Bachelard), dove viene introdotta la categoria dell’«immaginario» come complesso dei prodotti dell’i. (miti, simboli onirici, creazioni poetiche).

Vedi anche
realtà realtà Qualità e condizione di ciò che esiste effettivamente e concretamente. filosofia La nozione di realta è legata al problema tipicamente moderno dell'esistenza del mondo esterno. A partire da R. Descartes si era, infatti, affermata la tesi secondo cui gli uomini conoscono soltanto le idee, ossia ... memoria Processo legato alla genesi di una modificazione (traccia mnestica) di un substrato, organico o non, attraverso il quale un determinato effetto persiste e diviene suscettibile di rimanifestarsi nel corso di ulteriori occasioni. In particolare, la funzione psichica, che nell’uomo raggiunge il completo ... estetica filosofia Dapprima disciplina riguardante la conoscenza sensibile o la percezione, dalla metà del 18° sec. il suo significato prevalente è di disciplina riguardante il bello (naturale e in particolare artistico), la produzione e i prodotti dell’arte, il giudizio di gusto su di essi. I due significati ... Platóne Platóne (gr. Πλάτων, lat. Plato). - Filosofo greco (Atene 428 o 427 a. C. - ivi 348 o 347). Era di famiglia agiata e nobile; la tradizione racconta che gli era stato inizialmente imposto il nome del nonno, Aristocle, e che quello di Πλάτων gli fu dato più tardi con scherzosa allusione al suo esser πλατύς ...
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Vocabolario
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