Immaginazione
Definita genericamente, l'immaginazione è la facoltà di formare immagini mentali, di trasformarle, di svilupparle e anche di deformarle. Nel linguaggio psicologico, immaginazione indica una particolare forma di pensiero che non segue regole fisse né legami logici, ma si presenta come riproduzione ed elaborazione libera del contenuto di un dato sensoriale presente o passato, legata a un determinato stato affettivo e, spesso, orientata attorno a un tema. Dal punto di vista della scienza cognitiva, le immagini mentali mostrano come la memoria non soltanto codifichi i dati frutto della percezione, ma li organizzi in categorie, generalizzandoli e interpretandoli. L'immaginazione può dar luogo a un'attività di tipo sognante (il cosiddetto daydreaming), oppure a creazioni armoniose o anche, con un meccanismo che si riallaccia all'intuizione, portare a conclusioni ricche di contenuto pratico.
di Alberto Oliverio
I.
Le immagini mentali consentono di rappresentare una realtà già nota, oppure si prestano a raffigurare una realtà fantastica, oppure, ancora, vengono prodotte in modo del tutto inconscio negli stati di dormiveglia, di sogno, sotto l'azione di droghe. Ciascun individuo, se il cervello non è affetto da alterazioni patologiche, è in grado di visualizzare i tratti di una persona o di un ambiente noto, di richiamare alla memoria gli scenari di un sogno molto significativo, di ripercorrere mentalmente un percorso conosciuto o di possedere degli schemi spaziali i quali prescindono da informazioni specifiche: per es., anche a occhi chiusi è possibile allungare una mano per raggiungere un oggetto sul proprio tavolo di lavoro oppure è possibile muoversi in un ambiente familiare come la propria casa. Queste capacità possono essere più o meno sviluppate e, in alcuni soggetti, far parte di una vita interiore particolarmente vivace, scissa o parallela rispetto alla realtà; l'attività di un pittore, di uno scrittore, di un poeta, di un musicista, di un regista cinematografico, ma anche la vita interiore di un uomo di scienza, si basano sulla capacità di inventare e dare vita a delle realtà che travalicano il mondo dei sensi e delle memorie reali: in questa accezione le immagini mentali segnano il passaggio da una realtà e da una memoria prettamente sensoriali, ovvero fondate sulla mera trasposizione delle informazioni empiriche in codici mentali, a un'altra realtà, frutto di un'attività di rielaborazione che è spesso totalmente separata da specifiche esperienze.
Considerate in questi termini, le immagini mentali indicano come la memoria (v.) non costituisca una semplice attività di puntuale codificazione dei dati, ma anche un complesso processo di formazione di categorie, di generalizzazione, di interpretazione, senza il quale non sarebbe possibile alcuna forma di astrazione oppure di creatività. Questo concetto è stato ben espresso da G. Leopardi, che, nello Zibaldone, in data 30 novembre 1828, nota come la registrazione dell'esperienza, di ciò che viene percepito attraverso i sensi, costituisca un primo momento dei processi della memoria, cui fanno seguito la reminiscenza e, soprattutto, la rielaborazione, un'attività che trascende il significato dell'informazione iniziale, cosicché l'oggetto della memoria si 'sdoppia': "All'uomo sensibile e immaginoso, che viva come io sono vissuto gran tempo, sentendo di continuo e immaginando, il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà con gli occhi una torre, una campagna; udrà cogli orecchi il suono di una campana; e nello stesso tempo coll'immaginazione vedrà un'altra torre, un'altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di obbietti sta tutto il bello e il piacevole delle cose. Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non gli oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione" (ed. Mondadori 1930, p. 65).
L'annotazione di Leopardi anticipa i temi del dibattito sulla coscienza o sulla vita interiore che, intorno alla fine dell'Ottocento e all'inizio del Novecento, contrappose, da un lato, i primi cultori della psicologia sperimentale e, dall'altro, i fautori del cosiddetto comportamentismo o behaviorismo. Gli psicologi sperimentali ritenevano infatti che un modo per affrontare il tema delle funzioni mentali in generale, e della coscienza in particolare, consistesse nella descrizione analitica delle sensazioni primarie evocate dalla presentazione di uno stimolo o dalla sua rievocazione attraverso la memoria.
Essi concepivano i contenuti della coscienza come i dati fondamentali della psicologia, sui quali lo psicologo doveva lavorare allo scopo di costruire delle teorie della mente; questo concetto affondava le sue radici nella filosofia empirista inglese, in particolare nel pensiero di J.S. Mill, il quale riteneva che esistesse una sorta di 'chimica mentale', costituita dalle associazioni tra diversi 'elementi', le sensazioni e le memorie derivanti da esse, in seguito ricombinate in associazioni di più vasto significato. Analizzare la coscienza e le sue immagini costituiva, quindi, il terreno privilegiato di ogni analisi psicologica. I comportamentisti, seguaci di J. Watson e, in seguito, di B.F. Skinner, ritenevano, al contrario, che ogni tentativo di sondare la vita interiore fosse inutile e superficiale, viziato da interpretazioni individuali da cui rifuggire. Partendo da tale prospettiva, essi proposero dunque, di limitare l'indagine alle 'leggi' del comportamento, senza descrivere il mondo interno della mente. Questa posizione, che per anni ha ricoperto un ruolo decisamente maggioritario nell'ambito della psicologia nordamericana, è entrata in crisi nel momento in cui le scienze cognitive, legate all'intreccio tra neuroscienze, filosofia della mente, linguistica, nonché informatica, hanno messo in evidenza l'importanza delle operazioni mentali - e, in taluni casi, dei contenuti della mente - tra cui l'immaginazione occupa un posto di grande rilievo.
Uno dei problemi centrali in rapporto alle immagini è quello del modo secondo cui esse operano nella vita mentale, così da costituire dei veri e propri 'oggetti' della mente. Alcuni sostengono che le immagini mentali, in particolar modo quelle spaziali, siano caratterizzate dalle stesse proprietà che si ritiene esse rappresentino nella mente: in altre parole, esse darebbero luogo a una sorta di fotografia della realtà trasposta attraverso appropriati codici neurobiologici. Altri, invece, ritengono che questa forma di rappresentazione 'passo a passo' delle immagini non consenta di darne una descrizione adeguata e che invece si debba ricorrere alle rappresentazioni simbolico-proposizionali, tipiche della logica: la mente agirebbe come un computer che analizza l'informazione sulla base di annotazioni, regole e procedure formali. Infine, una terza posizione guarda alle immagini secondo un'ottica molto lontana sia da quella meccanicistica (la prima), sia da quella logico-formale (la seconda): l'immaginazione farebbe capo a un sistema simbolico 'privato', fortemente individuale, utilizzato come uno strumento utile per scopi diversi, dall'orientarsi nello spazio alla rievocazione dei ricordi, alla soluzione dei problemi. Secondo questo punto di vista, ogni persona adotterebbe una strategia individuale e ricorrerebbe all'immaginazione come a una delle diverse attività utili alla vita mentale, servendosi anche di altre forme di simbolizzazione. Per comprendere quali siano il ruolo e la logica delle immagini mentali è però necessario accertare come esse si formino nel nostro cervello; se esse non sono distinguibili dall'immediata percezione di un oggetto reale, si potrebbe infatti concludere che esista un'identità tra l'immagine e la sua matrice neurobiologica; mentre, se vi è evidenza di una rapida manipolazione o alterazione dell'immagine, bisogna allora ipotizzare che vi sia un'attività di conversione e rappresentazione, logico-formale o 'privata', da parte della nostra mente. Gli esperimenti condotti in quest'ambito indicano che esistono anzitutto una memoria e un'immaginazione di tipo eidetico, particolarmente evidenti nei bambini; nell'infanzia, la capacità di formare immagini visive ha un ruolo importante, superiore a quella di altre età, caratterizzate soprattutto da una memoria e da un'attività mentale di tipo semantico-linguistico che ristruttura memorie e immagini su base linguistica. Il processo di formazione delle immagini visive - sia nell'adulto sia nel bambino - non consiste, però, nell'acquisizione e persistenza dell'immagine tale e quale alla realtà: l'immagine mentale non è una fotografia inalterata cui la mente possa successivamente ricorrere per rielaborarla in modi diversi. Per es., negli esperimenti realizzati con delle matrici di lettere o numeri (tre file sovrapposte di combinazioni di tre diverse lettere o numeri per fila) si chiedeva a un gruppo di soggetti di esaminare la matrice per qualche minuto e di formarsene un'immagine mentale. La matrice veniva in seguito rimossa e si chiedeva ai partecipanti di indicare quali lettere o numeri avessero costituito una riga particolare: mentre questo compito si dimostrava eseguibile, i soggetti avevano invece notevoli difficoltà nel riferire le sequenze di numeri oppure di lettere in altre direzioni (al contrario o in diagonale). Tutto ciò sta a dimostrare come l'immagine non rappresenti un archivio 'plastico', che è manipolabile in seguito alla sua presentazione, ma piuttosto un insieme di informazioni globali.
Anche altri esperimenti hanno indicato che l'immagine non permane come un materiale rielaborabile, e inoltre che diversi tipi di eventi ne possono produrre di molto simili. Un particolare tipo di immagini è costituito da quelle iconiche; se uno stimolo visivo viene presentato molto rapidamente, per es. una luce che lampeggia in un ambiente buio, la sua immagine persiste per un certo periodo di tempo dopo che l'osservatore l'ha sperimentata. Questa perdura in un particolare 'registro sensoriale' e viene definita iconica, in quanto appare simile a quella dell'oggetto reale, a differenza di quanto si verifica con le cosiddette immagini residue o postume che vengono percepite immediatamente dopo la fine di un'intensa stimolazione luminosa dell'occhio, prima sotto forma di immagine positiva e, successivamente, negativa. Le immagini residue o postume sono dovute al fatto che i pigmenti fotosensibili della retina si scolorano: nella zona che presenta questa scolorazione la sensibilità diminuisce rispetto alle zone circostanti e questo dà origine alle immagini postume negative. Allorché l'occhio si è adattato a una luce intensa (per es. a una lampadina accesa), vediamo muoversi nello spazio un'ombra scura della stessa forma della sorgente luminosa osservata. Le immagini postume positive (ombra chiara) sono più rare. Il fenomeno delle immagini postume è imputabile sia a fattori retinici, sia a fenomeni che appaiono legati all'adattamento dei neuroni visivi, quindi a fenomeni periferici (la retina) e centrali (i neuroni visivi).
Mentre le immagini residue possono essere disturbanti e di solito vengono ignorate o soppresse, quelle iconiche rappresentano invece memorie a brevissimo termine, estremamente dettagliate e vive. Questo tipo di memoria per immagini, ancor più evidente nel corso dell'infanzia, è stata studiata inizialmente da G. Sperling. Nei suoi esperimenti egli proiettava su uno schermo per 50 millesimi di secondo alcune file di lettere alfabetiche e invitava i soggetti dell'esperimento a riferire, subito dopo la percezione del messaggio, il contenuto di una di esse. La memoria iconica è estremamente precisa, anche se di breve durata: tuttavia essa è molto specifica, in quanto una piccola variazione del procedimento riduce notevolmente i risultati ottenuti. Se, per es., all'osservatore vengono presentate lettere e numeri mescolati e gli si richiede di ripetere le sole lettere o i soli numeri, la sua capacità di memoria è drasticamente ridotta. La memoria iconica è quindi legata a una forma sensoriale, anziché essere organizzata in una più complessa percezione; oltre a ciò, essa funziona come un insieme globale (Gestalt), anziché come singoli elementi concatenati. Gli esperimenti condotti da numerosi psicologi hanno dimostrato che le immagini iconiche non dipendono da una semplice impressione in un punto fisso della retina, ma da meccanismi centrali, che sono legati a memorie a brevissimo termine.
In conclusione, i vari tipi di immagini mentali, sia che dipendano da stimoli esterni sia che vengano prodotte essenzialmente dalla mente, indicano come diverse attività (dalla percezione alla memoria) rispecchino complessi processi di rielaborazione, di categorizzazione, di generalizzazione, in cui emergono concezioni della realtà o 'visioni del mondo' globali: le immagini mentali, infatti, rimandano anch'esse a quella sfera dei significati, delle aspettative e dei fini - consci o inconsci - che traspare in ogni attività della nostra mente.
2.
Dal punto di vista psicologico, la capacità di visualizzare e di 'vedere' particolari realtà ‒ quantità, valori numerici o scenari - è stata analizzata, a partire dalla prima metà dell'Ottocento, da F. Galton, il quale ne ha messo in risalto il carattere di estrema individualità. Galton ha descritto come alcuni individui svolgano i calcoli mentali visualizzando i numeri, attribuendo loro forme e colori, anziché trattarli semplicemente alla stregua di entità simboliche. In seguito, è stato notato come le immagini mentali possano essere utili per risolvere alcuni tipi di problemi attraverso la visualizzazione.
L'immaginazione non è utile soltanto per ipotizzare soluzioni a problemi possibili, ma anche per delineare paesaggi o scenari fantastici, privi di un certo numero di connessioni con le regole della realtà in cui viviamo o con le leggi che le si attagliano. Questo processo mentale rappresenta un elemento unificante di varie strategie, da quelle che si riferiscono ai diversi ambiti della vita quotidiana a quelle che riguardano il modo di procedere di uno scienziato il quale è alla ricerca di una soluzione a un problema, oppure di un artista che ha in mente un particolare specifico prodotto e si sforza di tradurlo in termini concreti.
La capacità del cervello di formare immagini mentali e di ricombinarle in una sorta di continuo caleidoscopio, all'interno del quale vengono compiute associazioni sia logiche sia fantastiche, è alla base della cosiddetta creatività, una capacità in cui si fondono elementi ludici e processi logici e senza la quale non esisterebbe la possibilità di fornire risposte divergenti e innovative, di guardare alla realtà usuale con un'ottica insolita, di estrarre da informazioni banali elementi nuovi. Al fine di inquadrare il problema dell'immaginazione, i neuroscienziati si sono anzitutto rivolti alle differenze esistenti tra i due emisferi cerebrali, destro e sinistro. Le caratteristiche del nostro cervello fanno sì che, da un lato, siamo capaci di attività di tipo logico-simbolico, che si riallacciano alle strutture e alle funzioni del linguaggio tipiche dell'emisfero sinistro, dall'altro, di attività gestaltiche, cioè di cogliere diversi aspetti della realtà anche per i loro risvolti emozionali, dove tali capacità sono proprie dell'emisfero destro. Questo emisfero è caratterizzato da abilità d'insieme, da specificità nel trattare informazioni di tipo visivo-spaziale, da reattività agli stimoli musicali e, infine, da un pensiero divergente che è alla base dell'immaginario.
I rapporti tra immaginazione e pensiero divergente o creativo sono ben evidenti nella narrazione di quegli scienziati che descrivono il momento in cui l'associazione tra immagini mentali e processi logici ha portato a una scoperta oppure a una teoria scientifica. Un esempio tipico è rappresentato da quello relativo all'ellisse, che i matematici greci avevano descritto in dettaglio: Keplero 'vide' all'improvviso nell'ellisse una connotazione nuova, attraverso una sorta di illuminazione che forniva una possibile spiegazione al problema delle orbite planetarie. La sua immaginazione aveva individuato in una realtà già descritta alcuni elementi che andavano al di là delle apparenze o dei significati immediati. In maniera simile, K.F. Gauss, l'ideatore delle geometrie non-euclidee, riferisce che fu attraverso un vero e proprio colpo di fulmine che gli si rivelò l'esistenza di una geometria non tradizionale; analogamente, F.A. Kekulé affermò di aver sognato un serpentello che si mordeva la coda: e fu proprio questa immagine a suggerirgli la formula della struttura ciclica del benzene, intorno alla quale si era invano affannato per un lungo periodo di tempo.
Una delle strategie mentali su cui è fondata l'immaginazione è il ricorso all'analogia, un processo che consente di 'mappare' la somiglianza tra oggetti, situazioni, esperienze sulla base di relazioni e attributi, riempiendo dei vuoti conoscitivi e permettendo di trovare soluzioni: in tal modo, immaginando le relazioni possibili tra oggetti o situazioni, che apparentemente non sembrano essere correlate, viene costruito un modello mentale, un nuovo oggetto frutto di una diversa organizzazione. Numerosi esempi indicano che l'immaginazione deve anche essere in grado di sondare le possibili soluzioni mettendole a confronto con un corpus di conoscenze, anche aspecifiche, la cui ampiezza contribuisce ad aumentare le possibilità di cogliere relazioni e, quindi, di immaginare soluzioni: per es., B. Franklin, lavorando sui fenomeni elettrici, immaginò che i fulmini avessero caratteristiche simili alle scintille prodotte tra due elettrodi; J. Maxwell immaginò che le caratteristiche dell'elettromagnetismo potessero essere simili ai vortici e agli urti di un fluido; infine, T.H. Morgan immaginò che la struttura dei cromosomi potesse presentare alcune analogie con un filo di perle.
di Bruno Callieri
L'immaginazione è presente fin dalle prime età della vita ed è profondamente ancorata alle pulsioni, all'affettività, alla memoria. La ragione della sua notevole diminuzione, man mano che l'individuo va maturando, è da attribuirsi probabilmente all'efficacia del linguaggio e all'utilizzazione dei concetti astratti come guida del comportamento. È possibile che i diversi tipi di immaginazione siano associati alle credenze e alle pratiche di una particolare società, dipendendo ampiamente dalle condizioni culturali e ambientali esistenti all'età dell'apprendimento. Fino alla metà del 20° secolo, gli psicologi che si occupavano dell'immaginazione si attenevano a definizioni operative su base fisicalistica. Successivamente, le tecniche metodologiche e le elaborazioni teoriche hanno realizzato notevoli progressi; in questa maniera, l'immaginazione ha conquistato un posto di primaria importanza nello studio delle funzioni psichiche superiori (The function and nature of imagery 1972).
Alcuni autori (Paivio 1971) definiscono l'immaginazione in rapporto alle capacità simboliche del soggetto e alle sue abilità spaziali e figurali-trasformative; altri (Richardson 1969) adottano una definizione strettamente fenomenica, basandosi unicamente sul vissuto; gli autori di tradizione psicoanalitica ne sostengono la posizione al confine fra conscio e inconscio; altri ancora considerano l'immaginazione come l'anticamera delle rappresentazioni, considerandola in posizione intermedia tra queste e le percezioni. Si distinguono diversi tipi di immagini: ipnagogiche (che si verificano immediatamente prima del sonno) e ipnopompiche (che si verificano nella fase del risveglio), eidetiche, pseudoallucinatorie, oniriche, a occhi aperti (daydream, rêverie), postume, da privazione di sonno, da concentrazione, da LSD: la descrizione di ognuno di questi tipi, compiuta da Richardson, è considerata tuttora paradigmatica.
Si riscontra un certo rapporto fra il tipo di personalità e la qualità dell'immaginazione (opposti sono, per es., i dati immaginativi che si rilevano nelle personalità isteriche e in quelle rigide); come pure indubbio è il rapporto fra vivacità di immaginazione e alcune condizioni organiche (per es., processi febbrili, droghe, vari tipi di danno cerebrale), che indeboliscono la rimozione e altre difese analoghe, facilitando gli input endottici, vale a dire gli impulsi di stimolazione retinica di origine intraoculare. Anche il rapporto dell'immaginazione con la psicopatologia è stato campo di feconde indagini, sia qualitative sia quantitative, potendo l'immaginazione divenire a volte ossessiva e assumere persino qualità pseudoallucinatorie; in tali casi si parla genericamente di 'imagogia ipnotica'.
Nello sviluppo dell'individuo, esperire le immagini può essere considerato come il primo inizio dell'attività cosciente e della capacità di astrarre. L'immaginazione aiuta i processi mnemonici e, soprattutto, libera il bambino dalla esclusiva e primaria dipendenza dalle sensazioni, consentendo l'organizzazione delle proprie reazioni emotive. Anche la simbolizzazione dipende dalla maggiore o minore vivacità e fecondità dell'immaginazione (Rugg 1963). L'immaginazione non può essere ricondotta esclusivamente all'introspezione, in quanto essa si verifica a tutti i livelli della coscienza ed è intimamente associata con tutti gli altri processi mentali. Le differenze individuali sembrano avere un ruolo nel caso del sogno a occhi aperti, di cui il clinico si serve per studiare i contenuti e l'estensione delle situazioni conflittuali. J.L. Singer (1966) e altri hanno effettuato interessanti studi in proposito, identificando alcuni fattori importanti del daydreaming, legati sia all'instabilità emotiva e all'ansia sia a orientamenti più costruttivi e creativi.
È esperienza comune che molte di queste attività immaginative e di fantasia posseggono una qualità disforica, e implicano una tendenza a ripetere un piccolo numero di temi, a volte bizzarri e dotati di vivacità quasi allucinatoria. È stato identificato anche un gruppo di 'sognatori felici', costituito da soggetti ben adattati e privi di gravi disturbi o tensioni intrapersonali. Non ogni vivida immaginazione deve essere considerata psichicamente abnorme, perché può essere impiegata per autogratificazione e anche per una vera e propria attività creativa. I risultati della psicologia sperimentale nello studio dei processi dell'immaginazione dimostrerebbero che il mondo interiore dell'immaginazione stessa è costruito in modo pressoché identico a come il mondo reale viene percepito; ciò però non deve indurre a sottovalutare la sua complessità e anche l'autonomia delle sue dimensioni esistenziali. È stata indagata da molti studiosi l'influenza esercitata dalla perdita del controllo (per es., da mescalina, da acido lisergico, da psicosi tossiche, da stati psichici d'eccezione ecc.) sull'intensità dell'immaginazione. Si possono esperire immagini molto intense, che non si è in grado di evitare o scacciare; si possono, d'altro canto, esperire immagini poco vivaci, come può accadere in certi stati demenziali iniziali nonché in alcuni tipi di inibizione nevrotica. Comunque, la perdita del controllo sui contenuti dell'immaginazione è una delle più frequenti lamentele di molti nevrotici, soprattutto ossessivi e psicotraumatici, soggetti nei quali non raramente l'immaginazione assume la qualità del non-pertinente all'Io, dell'estraneità, della depersonalizzazione. Il rapporto transazionale delle immagini con le emozioni è molto evidente: queste ultime agiscono come motivi per l'immaginazione e vengono espresse nell'esperienza immaginativa; a loro volta, le immagini evocano risposte emotive. Innumerevoli sono le variazioni dello stile cognitivo dell'immaginazione, e ciò spiega l'immensa importanza di questa attività mentale nell'arte, nella scienza, nelle più elevate attività dello spirito umano e, anche, nella psicopatologia. L'immaginazione creativa viene intesa come libera rielaborazione dei contenuti latenti che vengono riorganizzati a nostro piacimento. In ultima analisi, l'immaginazione può assumere significato di evasione e di compensazione come anche di produzione intellettuale, specialmente di natura artistica.
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