Immagini dalle arti figurative occidentali
Il repertorio di immagini presentato in questo capitolo e il testo che lo accompagna intendono costituire una traccia per orientarsi tra le innumerevoli letture del corpo umano offerte dalle arti figurative del mondo occidentale, documentando alcune significative tematizzazioni, esplicative di diverse epoche, società, culture. La produzione artistica, dunque, è in questa sede considerata come fonte per ricostruire il modo in cui l'uomo occidentale ha visto sé stesso e, attraverso la propria immagine, ha reso manifesti i valori e le concezioni che gli appartengono. Non si tratta quindi di una esposizione sistematica dell'arte o dei vari stili nel tempo, né di una storia della figura umana, impresa che sarebbe velleitaria per la centralità che essa riveste nella nostra cultura figurativa. Si vogliono delineare, invece, alcune idee essenziali, degli spunti, sul modo in cui la creatività artistica occidentale ha interpretato l'immagine dell'uomo. La scelta si è orientata prevalentemente su opere di pittura e scultura, su alcuni disegni e incisioni, trascurando, per evidenti ragioni di spazio, altri repertori pur fecondissimi nel documentare le tendenze, i costumi, l'immaginario legati al corpo, come, per es., le cosiddette arti minori. La varietà degli elementi che 'costruiscono' sul piano espressivo le immagini del corpo ‒ lo studio delle proporzioni, il nudo, la schematizzazione, il simbolismo, il naturalismo, e altri ancora ‒ impone necessariamente di considerarne volta per volta l'uno o l'altro, scegliendoli tra i più rilevanti e caratterizzanti ciascun periodo. Dalla canonizzazione nel mondo classico, alle deformazioni espressioniste nel Medioevo, al culto per il corpo rinascimentale, all'oscillare del barocco tra il martirio e l'estasi della carne, fino alla scomposizione e alla rottura nel Novecento, è un lungo susseguirsi di interpretazioni. Qui si è privilegiata la lettura del corpo nella sua interezza, dedicando minore attenzione alla raffigurazione del volto, e quindi alla ritrattistica, pur così importante nella tradizione figurativa dell'Occidente per gli apporti prima della fisiognomica, poi della psicologia e della psicoanalisi. L'excursus, pur seguendo una linea cronologica, riserva più spazio ad alcuni periodi rispetto ad altri, tracciando, con una certa libertà di movimento, uno svolgimento rapido ed esemplificativo, costruendo un percorso a grandi scansioni per scorgere, nelle 'forme', alcune delle 'idee' principali sul corpo. Il mondo greco Il modello del corpo umano elaborato nell'arte greca condiziona fortemente l'immagine che si ha di esso lungo tutto lo sviluppo dell'arte occidentale. La concezione del corpo presso i greci, nei suoi caratteri di bellezza, armonia, integrità, è indissolubilmente legata alla posizione di centralità attribuita all'uomo nella cultura ellenica. L'antropomorfismo dell'arte è connaturato all'istanza razionale propria di quella civiltà; la ricerca formale tende a ridurre la realtà divina, umana e naturale, a un sistema organico e coerente, a un ordine in cui tutti gli elementi si integrano. Alla figura umana, grande protagonista delle arti nell'antica Grecia, è affidato il compito di riflettere il 'macrocosmo' dell'universo nel 'microcosmo' dell'uomo. Nella religione gli dei sono concepiti a immagine e somiglianza dell'uomo, il loro corpo è perfetto, giovane e vigoroso. Le divinità olimpiche, i semidei, gli eroi del mito rappresentano le forze positive della razionalità e della bellezza che si affermano sulle forze bestiali dell'irrazionale, come le gorgoni, i giganti, gli ibridi. Nell'equazione tra bellezza del corpo e razionalità da una parte, e tra degenerazione fisica e irrazionalità dall'altra, è evidente il valore di modello assoluto attribuito al corpo umano; per contrapposizione, si allontana da esso tutto quanto di mostruoso si trovi in natura. La 'forma ideale' del corpo che la cultura greca propone si basa sulla corrispondenza tra concezione etica e concezione estetica del mondo: la bellezza e l'armonia rappresentano i valori morali, individuali e collettivi. Il problema della 'forma' nella ricerca artistica in generale, e in particolare nell'elaborazione dei modelli di rappresentazione del corpo umano, è pertanto tutt'uno con la speculazione filosofica. Anche nella ricerca della 'forma' del corpo è evidente la tendenza all'astrazione, ad andare oltre i limiti dell'individualità per realizzare paradigmi universali. Vi troviamo, in altre parole, quella caratteristica tensione verso la sintesi di due sollecitazioni diverse: l'osservazione naturalistica della realtà e l'approccio geometrico e matematico del pensiero filosofico. Rispetto alle tradizioni figurative precedenti, l'arte greca si accosta alle forme organiche della natura, superando la stilizzazione e lo schematismo propri dell'arte delle civiltà orientali. Ma il 'naturalismo', pur nascendo dall'osservazione delle forme 'vere' e riconoscibili del corpo, aspira alla raffigurazione non di un individuo, ma dell'uomo. Si ricercano le proporzioni ideali, tipiche del corpo, si fissa il canone che stabilisce i rapporti tra le varie parti e tra ciascuna parte e l'insieme. Così Galeno, nel 2° secolo d.C., spiega il canone di Policleto che stabilisce il modello del corpo nella statuaria classica: "La bellezza non consiste negli elementi ma nella armonica proporzione delle parti, nella proporzione di un dito con l'altro, di tutte le dita col resto della mano, della mano con il polso, di questo con l'avambraccio, dell'avambraccio con il braccio intero, infine, di ogni parte con tutte le altre" (De placitis Hippocratis et Platonis, 5, 449, 2-3). L'adozione di rapporti numerici nasce dall'esigenza di raggiungere la perfezione: l'altezza della figura è definita da un modulo costituito dalla testa, le cui misure sono a loro volta stabilite in base a quella del naso, e così via. Un certo livello di astrazione, dovuto all'applicazione del principio di normatività del canone, si rende necessario per raggiungere l'armonia dell'insieme. Un elemento cardine della figurazione greca è la nudità, che si attribuisce con funzione idealizzante alle divinità e agli atleti. Il nudo eroico, che conferisce alla figura umana un valore di perfezione elevandola su un piano divino, è, fino alla metà del 4° secolo a.C., solo maschile; la nudità femminile si afferma alla fine dell'età classica nell'iconografia di Afrodite, molto diffusa nell'arte ellenistica e con precedenti in quella preistorica e in varie civiltà e culture nelle quali era associata ai riti della fecondità. La documentazione più cospicua sulla rappresentazione del corpo nell'arte greca, per la perdita quasi totale di esempi pittorici, è data dalla statuaria, dominata sin dalle origini dall'elemento umano. Il suo lungo itinerario muove nell'età arcaica con l'elaborazione della figura del κοῦρος, in posizione ferma e bloccata, con i piedi ben piantati per terra, il capo eretto, le braccia lungo il corpo. Già questo modello, che pure presenta poche ed essenziali linee nella figura, documenta l'aspirazione, sconosciuta ad altre civiltà artistiche dell'antichità, a definire la struttura anatomica. In Egitto e in Mesopotamia l'immagine del corpo si basava per lo più su convenzioni fisse, su un''idea' tendente all'astrazione, su una costruzione mentale slegata dalla visione. L'orientamento naturalistico dell'arte greca matura attraverso una serie di ricerche sulle forme esatte del corpo arrivando, tra la fine del 6° e il 5° secolo a.C., alla definizione della figura resa analiticamente in tutte le parti e atteggiata in una varietà di movimenti. Il modellato si sostituisce al tracciato lineare, morbidezza e naturalezza prendono il posto delle rigidità geometriche della scultura arcaica; i volti non presentano più l'enigmatico 'sorriso', scompaiono le capigliature calligrafiche in favore di quelle compatte. I gesti, le posizioni delle figure mettono in discussione l'intero sistema dei muscoli, dei tendini e delle vene. In età classica gli scultori raggiungono il pieno dominio della costruzione anatomica, anche se i volti rimangono improntati a un'espressione neutra e impassibile. Solo più tardi, a partire dalla metà del 4° secolo a.C., comincia la ricerca delle diverse fisionomie. Nasce la ritrattistica, si moltiplica la gamma dei tipi umani raffigurati. La scultura ellenistica rappresenta il corpo in tutte le fasi della vita, cogliendone le relative proporzioni e trasformazioni della muscolatura, cosicché bambini, adulti, vecchi si aggiungono al topos della figura giovanile nella piena fioritura. Il realismo conduce anche alla raffigurazione di corpi devastati dalla malattia, dalle deformità, dal vizio. Le passioni dell'animo ridisegnano i volti e i corpi: le torsioni drammatiche esprimono un pathos inedito; con un'ampia libertà proporzionale e strutturale si ricercano il virtuosismo e gli effetti drammatici. L'area italica Il principio di organicità del corpo idealizzato, proprio dell'arte greca, viene meno in area italica. Nella cultura figurativa etrusca, e successivamente in quella romana, la caratterizzazione del corpo umano è affidata soprattutto alla testa che, in un certo senso, ne rappresenta l'insieme. Le teste-coperchio dei vasi e delle urne cinerarie etrusche, per quanto prive di intenzionalità ritrattistiche, preludono al modello del ritratto romano limitato ai sembianti del capo. Anche quando il corpo appare per intero, è evidente l'abbandono, da parte degli artisti etruschi, dei criteri di organicità, formale e concettuale. Nelle effigi funerarie non si tende a un modello ideale, né alla caratterizzazione individuale; l'opulenza di certi corpi semidistesi sul coperchio dei sarcofagi vuole semplicemente alludere alla condizione di benessere fisico e sociale della persona raffigurata. Di età romana restano numerosi ritratti, impressionanti per vivacità, potenza espressiva e varietà dei tipi umani. Ciò ha fatto ritenere questo genere quasi un'invenzione dell'arte romana, e a volte se ne sono individuati i precedenti nell'arte italica. In realtà, il ritratto di tipo 'fisiognomico', volto alla rappresentazione delle fattezze somatiche e psicologiche individuali, è frutto della cultura umanistica greca e risale alla metà del 4° secolo a.C., anticipando analoghe testimonianze apparse in ambiente etrusco e romano, comunque di influenza ellenica. La spiccata inclinazione dell'arte romana per il ritratto risponde a precise esigenze d'ordine religioso, politico e ideologico. Lo sviluppo della ritrattistica nella Roma repubblicana è infatti legato al culto degli avi e all'esigenza del patriziato di affermare l'antichità della stirpe; una norma giuridica, lo ius imaginum, concedeva solo alle famiglie più illustri il privilegio di esibire le immagini dei defunti. Secondo la testimonianza di Plinio il Vecchio, teste-ritratto erano conservate nell'atrio delle case in armadi a sportelli e disposte in modo da formare una specie di albero genealogico. Il volto, come si è detto, riassume tutta la figura, sottolineandone l'individualità: nel busto-ritratto, nell'erma, nell'immagine clipeata, prodotti tipici della sensibilità romana, il corpo è poco più che un sostegno della testa. Anche quando è raffigurato interamente, è loricato, rivestito dalla corazza, o coperto dall'ampia toga, come avviene nella ritrattistica imperiale. Un altro importante filone della scultura romana è ispirato agli esempi della statuaria greca. In particolare, nel ritratto onorario imperiale la figura si richiama ai modelli degli atleti e delle divinità olimpiche. Il personaggio è completamente nudo, impostato classicamente secondo la ponderatio e la disposizione a 'chiasmo' degli arti; la muscolatura e le linee anatomiche, idealizzate, ricercano la perfezione delle forme. I tratti del volto tendono invece al realismo, sebbene con un'inclinazione verso la tipizzazione. In certi casi, il contrasto tra il verismo a volte impietoso della testa e la bellezza del corpo, prestante e anonimo, elaborato secondo i principi del nudo eroico, appare stridente e rivela la sostanziale incomprensione dei modelli greci e della loro rigorosa coerenza formale. Un linguaggio originale, autenticamente romano, che nelle forme del corpo supera l'antinomia fra tradizione greca e tradizione italica, matura dopo la metà del 1° secolo d.C. e si manifesta nel rilievo storico posto a decorazione dell'architettura, negli archi di trionfo, sul perimetro di altari celebrativi, o, con andamento spiraliforme, lungo il fusto delle colonne coclidi. Laddove i greci raccontano le vicende del mito, i romani, invece, raffigurano gli eventi della storia contemporanea, fatti di interesse pubblico, di carattere civile e militare. Una miriade di figure, tra le quali ricorre sovente quella dell'imperatore, punteggia i fregi, rappresentando nel modo più efficace e diretto il sentimento etico e politico dei romani. Tra Occidente e Oriente La scultura tardo imperiale romana, di proporzioni talvolta colossali, accentua la valenza simbolica del personaggio. L'immagine deve esprimere l'aspetto sacrale e intangibile della maestà: la figura, dallo sguardo fisso e lontano, carica di solennità, è atteggiata a ieratica contemplazione. La forza espressiva è accentuata dai caratteri innaturali, come l'immobilità, le dimensioni maggiori, la frontalità. L'arte cristiana non nasce in contrasto con quella romana, ché anzi è inscindibile da essa; ne rappresenta semmai un filone, destinato ad avere nel tempo uno sviluppo autonomo. Le immagini dell'uomo della prima produzione cristiana sono le stesse del repertorio della tarda romanità, ma assumono nuovi significati: per es., le iconografie di Cristo come Buon pastore, o come Orfeo, riprendono i modelli della tradizione ellenistica corrente. Accanto a esse nuove figurazioni, come quella dell'Orante, vista frontalmente, le braccia sollevate verso l'alto, sono emblematiche dell'approccio rappresentativo e simbolico, non narrativo, che l'arte cristiana va assumendo. I mutamenti di natura espressivo-formale procedono di pari passo con l'adozione di nuovi modelli mutuati dall'ebraismo ellenizzato e ispirati a temi biblici. La concezione del corpo cambia in relazione alla crescente importanza che la sfera del trascendente acquista rispetto al mondo sensibile. Sulle preoccupazioni formali della raffigurazione naturalistica greco-romana prevale la volontà di esplicitare i contenuti del messaggio religioso. Le immagini del corpo diventano schematiche, e semplificate; l'attenzione per la resa volumetrica e plastica viene meno, mentre, al contempo, risultano evidenziati alcuni dettagli, per es. gli occhi, specchio dell'anima, spalancati come se si volesse raffigurare l'essere interiore, la realtà spirituale. Diviene abituale l'uso di proporzioni gerarchiche, di posizioni convenzionali, e di contro diventa marginale l'interesse per lo spazio e per la correlazione tra figure e spazio. Si profila un nuovo linguaggio che decreta, per usare le parole dello storico J. Le Goff, la 'disfatta del corpo', segnando la fine del mondo antico e l'inizio del Medioevo. La statuaria, tra tutte le arti la più legata al limite fisico dell'oggetto, scompare: la cultura cristiana tende infatti a escludere dalla produzione artistica tutto ciò che può richiamare gli idoli pagani. Si diffonde il rilievo, parte integrante della decorazione degli edifici religiosi. Al movimento fluente e continuo dei corpi, tipico del rilievo ellenistico-romano, si sostituisce una composizione frammentata, con i personaggi disposti in rigide simmetrie frontali. Il rapporto con la tradizione greco-romana, tuttavia, non si recide mai del tutto; il retaggio classico continua a esercitare un'influenza a volte sotterranea, altre volte più manifesta, pur mescolandosi a stili, tecniche e apporti diversi. L'arte bizantina è la cultura figurativa che fa da tramite tra il Tardo Antico e l'arte medievale. Il mosaico, la tecnica decorativa più in uso nel tempo, presenta immagini fortemente tipizzate: alla posizione di tre quarti della figura umana, propria dell'arte classica, si preferisce quella frontale, con personaggi isolati e distribuiti ritmicamente su piani paralleli o con andamenti concentrici. La stilizzazione, l'iterazione, la simmetria generano teorie di esseri ieratici e cerimoniali. Figure bidimensionali si stagliano su uno sfondo ideale, spesso dorato, come sagome appiattite, prive di corpo, ricoperte da vesti preziose che esprimono il rango dei personaggi. L'immagine è costruita su schemi e modelli iconografici che l'artista deve rigorosamente osservare. Il gusto per il cromatismo orientale, carico di significati simbolici, sostituisce la dimensione della spazialità fisica. La figurazione sacra bizantina trasforma la scena in una 'fanìa', in un'apparizione, trasfigura la realtà attraverso una rete di simboli, a scapito dei riferimenti corporei e delle ambientazioni reali. Solamente la rappresentazione simbolica, non mimetica del reale, può infatti stabilire il collegamento dell'immagine a una realtà superiore, condurre all'invisibile, guidare il fedele dalla sfera terrena al trascendente. L'iconografia medievale In età medievale, la pressoché totale assenza del nudo nell'iconografia artistica è emblematica della mutata concezione del corpo nella mentalità collettiva. Adamo ed Eva diventano consapevoli della loro nudità dopo il peccato originale, e i loro corpi accusano l'onta della lussuria e della vergogna. La visione cristiana considera la carne debole, infida, vulnerabile; di conseguenza, già nei primi secoli del cristianesimo, e per l'intero Medioevo, i corpi sono ricoperti da ampi panneggi. Solo alcuni soggetti richiedono la nudità: la Crocifissione di Cristo, gli episodi della Genesi con Adamo ed Eva, talvolta il Giudizio universale e le scene di agonia dei martiri; anche in questi casi, tuttavia, cambia il canone rappresentativo: le figure sono quasi asessuate, mancano di caratterizzazione individuale, sono spesso sottoposte a deformazioni convenzionali. Responsabile dell'origine del male, il corpo è associato alla morte e al peccato; per contro, la vita ascetica e soprattutto il monachesimo assurgono a modelli di comportamento in quanto implicano l'astinenza, la rinuncia all'edonismo, l'isolamento dalla sfera secolare e mondana, l'affermazione della spiritualità. La concezione del corpo come carne da redimere richiede il sacrificio, e dunque la corporeità trova riscatto nella sofferenza fisica. Le immagini frequenti di santi e martiri sottoposti a torture e prossimi alla morte evocano la vittoria dello spirito sulla carne; i loro volti impassibili, i corpi offerti docilmente al martirio, fanno da contraltare ai tormenti subiti dai dannati dell'Inferno. Nel Giudizio universale, tema caro all'iconografia medievale, i reprobi, ben distinti dagli eletti, lottano tra le fiamme, dimenandosi tra atroci supplizi. I repertori di immagini delle chiese romaniche e gotiche, vere e proprie enciclopedie figurate a uso dei fedeli, testimoniano anche la diffusione di un genere che potremmo definire 'mostruoso antropomorfo': entro composizioni fantastiche e suggestive, isolate, talvolta ridotte a elementi strutturali come capitelli, mensole, doccioni, è tutto un pullulare di creature semibestiali, grottesche, deformi, che simboleggiano particolari vizi o, più generalmente, il potere demoniaco. Queste figurazioni esprimono l'immaginario dell'uomo medievale, il pensiero ossessivo del peccato e della dannazione; esse convivono sia con le iconografie sacre di Cristo, dei santi, degli evangelisti, sia con i cicli profani raffiguranti i lavori stagionali, i mestieri, le costellazioni zodiacali. Un momento di svolta, nella visione del corpo, è segnato dall'evoluzione del modello iconografico della Croce dipinta che, nel corso del Duecento, si allontana progressivamente dai canoni della tradizione bizantina. L'immagine devozionale del Cristo crocifisso, situata nell'iconostasi o pendente dall'arco trionfale delle chiese, è sottoposta a un mutamento significativo: al Cristo ancora vivo sulla croce, triumphans, subentra il Cristo morto, patiens. L'immagine del dolore umano, dell'uomo sofferente, si sostituisce a quella della trascendenza e del trionfo. Il fedele può riconoscervi Dio come uomo, con il quale può più facilmente identificarsi. L'innovazione iconografica corrisponde a una progressiva umanizzazione del soggetto e all'accentuazione dei caratteri realistici del corpo. Alla figura ideografica di tipo bizantino, dove il pathos è sottolineato dalla forma schematizzata del corpo che si inarca a destra in un'ampia curva, il ventre tripartito orizzontalmente e percorso verticalmente da una linea divisoria, il capo reclinato sulla spalla, gli occhi a 'esse', va sostituendosi un'indicazione delle linee anatomiche più vicina al vero, una maggiore naturalezza nella ricerca delle reazioni fisiche e degli atteggiamenti di sofferenza. Il passaggio è evidente dal confronto del Crocifisso di Giotto con quello di Cimabue, più legato alla tradizione. Giotto dipinge un corpo morto 'vero', pesante, proteso in avanti, con le mani, secondo la convenzione, disposte a palma piatta, incurvate, la testa staccata dalla croce e inclinata in basso. Egli passa dalla presentazione iconica al racconto, alla 'rappresentazione' del martirio, mediante l'uso di un inedito linguaggio gestuale affidato al corpo, che apre un nuovo capitolo nella storia della raffigurazione delle passioni umane. L'Umanesimo Nel sistema rinascimentale di rappresentazione del mondo gli artisti e i letterati esprimono una nuova concezione dell'uomo e della società, della natura e della storia. Attuano una revisione profonda nel modo di osservare, analizzare e tematizzare i dati del reale, che nel campo delle arti figurative si concretizza in un complesso unitario di idee al cui centro è l'uomo. Si sviluppa una vera e propria 'teoria dell'arte', quasi un sapere autonomo che riflette sull'atto artistico, sulla sua finalità e sui suoi significati. All'origine dei mutamenti verificatisi in Italia nei primi decenni del Quattrocento è il ritorno alle fonti della civiltà classica, che si pone all'inizio come istanza morale, aspirazione a emulare le virtù degli antichi quali emblemi di una vita più schietta, di una filosofia più laica e mondana. Un altro cardine delle ricerche degli artisti rinascimentali è la prospettiva, l'insieme di regole atte a rappresentare 'razionalmente' lo spazio, restituendo alla visione la tridimensionalità. Il modello teorico della prospettiva è strettamente connesso all'interpretazione dell'uomo quale soggetto reale e storico, misura di tutte le cose e simbolo dell'universo. Non è quindi solo un sistema matematico-scientifico di raffigurazione dello spazio, è soprattutto una straordinaria costruzione intellettuale che concepisce uno spazio unitario e coerente come scenario dell'azione umana, del rapporto dell'uomo con il mondo. Lo stesso atteggiamento culturale si manifesta nello studio delle proporzioni, fondato anch'esso su un tipo di conoscenza 'per comparazione', attuata mediante confronti tra grandezze diverse. Dalle schematiche proporzioni del corpo umano del Medioevo, dedotte da un modello tradizionale e non dall'osservazione empirica, si passa alla verifica delle reali misure delle membra e delle articolazioni del corpo. Se è l'uomo a dare misura a tutte le cose, le sue 'divine proporzioni' devono riflettersi in quelle degli edifici: nel Quattrocento si giunge alla definizione delle relazioni ottimali tra sistema architettonico e corpo umano, e l'architettura è vista come fattore di equilibrio proporzionale tra l'uomo e la natura, tra la scala umana e quella naturale e cosmica. Il corpo è dunque considerato come un sistema, un 'metro' per quantificare lo spazio e determinare rapporti 'razionali' tra le parti, per stabilire i principi proporzionali della forma urbana e architettonica. Per le relazioni armoniche nelle piante delle chiese, come anche per i capitelli e gli elementi strutturali degli arredi, il corpo umano diventa quindi un paradigma di riferimento. L'adozione del metodo prospettico, la scoperta del mondo naturale, la concezione del dipinto come apertura sulla realtà, di cui l'uomo è protagonista e arbitro, conducono a una vera e propria rivoluzione formale. Già nei primi anni del Quattrocento, con Masaccio, le figure acquistano lo spessore di individualità concrete, fisicamente tangibili, dotate di sentimenti terreni, ben salde in uno spazio misurabile, definito dalle regole della prospettiva e dalla luce. Lo scenario paesaggistico o architettonico in cui sono inserite concorre a esaltarne la fisicità e le restituisce alla sfera terrena, integralmente umana. Per la prima volta dall'antichità, ricompare la statua a figura intera di dimensioni naturali. Giunge a compimento un processo già avviato nella scultura del Tardo Medioevo, allorché la figura umana si era andata progressivamente svincolando dalla struttura muraria, accentuando la tendenza verso la volumetria e il tutto tondo. Con Donatello la statua è di nuovo concepita come fenomeno autonomo, che si caratterizza per le sue qualità formali, spogliandosi in parte dei significati allegorici, dei sovrasensi etico-religiosi della mentalità medievale. La forza morale delle figure, la saldezza delle masse, la concisione del gesto, l'acquisizione di un sicuro dominio dello spazio, si uniscono a una ritrovata potenza espressiva, quale non si era più vista dalla fine dell'età classica. Il grande sviluppo della ritrattistica è indissolubilmente legato al valore attribuito all'individuo nell'umanesimo. Eclissatosi dall'orizzonte medievale, con l'eccezione della tipologia del committente inginocchiato ai piedi della Vergine o dei santi nelle pale d'altare, l'individuo fa la sua ricomparsa più profana, nella duplice versione idealizzata e realistica. Lo studio del movimento è al centro dell'interesse degli artisti fiorentini ed è direttamente collegato alla ricerca del naturalismo. L'indagine è condotta sia dal vero, sia sulla base degli esempi antichi, e i risultati si diramano in molte direzioni: Antonio Pollaiolo, che si interessa al dinamismo, dipinge corpi prorompenti di energia; Luca Signorelli li esplora in una variatissima gamma di posizioni e scorci arditi, nel tentativo di coglierne la tridimensionalità. Il disegno è la tecnica che più si adatta alla rappresentazione del movimento. In numerosi schizzi di artisti del Rinascimento, molti dei quali preparatori di importanti opere pittoriche, il corpo è scandagliato nella sua anatomia: l'artista riesce a farne sentire la spinta interna, la muscolatura, l'ossatura, che padroneggia con la linea di percorso esterna. Di alcune celebri figure di Leonardo e Raffaello, abbigliate nelle fogge della tradizione iconografica, esistono i rispettivi modelli di studio anatomico, del sistema muscolare e osseo, quale tentativo di esplorare il corpo nella sua struttura interna. D'altra parte, già nel 1435, nel De pictura, Leon Battista Alberti aveva esortato gli artisti a disegnare le figure nude prima di rivestirle. Leonardo da Vinci Il corpo umano è tra i primi oggetti dell'indagine leonardesca sulla realtà, elemento privilegiato di una natura che non è più verità rivelata ma problema aperto, la più importante macchina di cui studiare il funzionamento, 'piccolo mondo' di cui scoprire il segreto, entro una visione di tipo cosmologico. Nel campo degli studi anatomici Leonardo apporta un contributo rilevante, sia sul piano della conoscenza scientifica sia su quello della figurazione. Le sue ricerche si diramano a vari livelli: il corpo è aperto, scrutato, 'nomicizzato' nei disegni di anatomia, ricomposto negli studi sul movimento e restituito nella sua interezza nelle opere di pittura, dove si compie il prodigio della ricongiunzione delle forme esatte del corpo con ciò che l'artista chiama gli 'affetti', i sentimenti, la dimensione psichica. Insieme a pochi capolavori di pittura, Leonardo ha lasciato nei suoi manoscritti una messe di disegni, studi, schizzi, tutti strettamente connessi alla riflessione sul corpo, in un'inedita ostensione di immagine e parola, disegno e testo. Vedere e rappresentare non sono sempre esattamente la stessa cosa, ma in Leonardo osservazione scientifica e ricerca artistica, pur rimanendo distinte, sono intimamente legate. Per l'artista la pittura è il linguaggio più appropriato per comunicare la conoscenza del mondo sensibile, ma l'attività artistica è anche attività creativa, sicché nei dipinti Leonardo 'ricrea' la natura, realizza un suo mondo, una nuova sintesi dei fenomeni che ha conosciuto attraverso la ricerca dal vero. Il corpo umano osservato nella dissezione, le cui 'ragioni', o leggi che lo governano, sono riportate nei disegni anatomici, si arricchisce nelle opere pittoriche di simbologie e significazioni metaforiche proprie della sensibilità e della cultura iconografica contemporanee. Al tema della maternità, al mistero della nascita, Leonardo, per es., si accosta spinto per un verso dai suoi interessi scientifici, per l'altro dal suo lavoro di artista: agli stessi anni (1504-1509) risalgono sia alcuni disegni di anatomia, nei quali il corpo femminile dischiuso rivela gli organi dell'apparato riproduttivo, sia l'enigmatico dipinto di Leda, noto solo da copie e studi preparatori. Leda è una figura sensuale e piena di grazia, il corpo, dalle forme ondulate e sinuose, nel quale è stato riconosciuto lo stesso profilo di figura femminile di un abbozzo anatomico coevo, è simbolo delle forze generatrici della natura. Una gamma di tipi umani e di caratteri attraversa l'opera di Leonardo: personaggi di varie età, figure di guerrieri, bambini; anche le deformità fisiche e morali lo interessano. La sua attenzione è rivolta soprattutto alle attitudini e ai movimenti. Scrive Leonardo: "Il bono pittore à da dipingere due cose principali, cioè l'homo e il concetto della mente sua; il primo è facile, il secondo difficile perché s'ha a figurare con gesti i movimenti delle membra" (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Cod. Urb. Lat., 1270, 60). I moti corporei sono il riflesso di quelli dell'animo, il gesto ha una causa interna, è la manifestazione di un processo interiore: lo studio congiunto dell'anatomia, del movimento e dell'espressione è dunque la linea di ricerca intrapresa da Leonardo. Le sue figure segnano una svolta nell'arte della fisiognomica: sono vivificate da un'intensa animazione psicologica e approfondite nella sostanza emotiva attraverso un'attenzione agli sguardi e alla mimica sconosciuta alla pittura del tempo. Con Giorgio Vasari si può dire che Leonardo "dette veramente alle sue figure il moto e il fiato". Esempi di questa straordinaria capacità espressiva si trovano in alcuni disegni giovanili di Madonne con Bambino; le figure, colte in atteggiamenti non convenzionali, sono oggetto di acutissimi scavi nelle dinamiche affettive tra madre e figlio; del bambino sono riportate le esatte proporzioni del corpo, la vivacità e l'irrequietezza infantili. Nel disegno Leonardo non definisce le forme corporee con una linea di contorno netta e compiuta ma, come ha fatto notare E.H. Gombrich (1966), tende piuttosto verso un indefinito formale e psicologico. Un groviglio di linee che si sovrappongono e si incrociano evoca la forma e suggerisce diverse possibilità di moti e di rapporti tra le figure; l'immagine è rapida, fluida, quasi una sintesi tra ciò che è e ciò che sarà. Nelle opere pittoriche di impianto monumentale, il senso di indefinitezza formale dell'immagine è ottenuto grazie allo 'sfumato', il sottilissimo graduarsi dell'ombra in morbidi toni. Nella Vergine delle Rocce (1483-86, Parigi, Louvre) o in Sant'Anna, la Madonna, il Bambino e san Giovannino (1510 circa, Parigi, Louvre), le figure perdono la rigidità di molta pittura rinascimentale e conquistano una naturalezza di atteggiamenti, una continuità di gesti e di sguardi, una profondità fisica e psichica, che sono tratti peculiari del linguaggio leonardesco. Questo particolare modo di riportare il dinamismo del corpo, non disgiungibile dallo spazio, è visibile anche nei ritratti, dove il personaggio avanza con una spalla verso l'osservatore, come nella Dama con l'ermellino (1485-90, Cracovia, Galleria Czartoryski) o nella Testa femminile della Biblioteca Reale di Torino. E proprio un ritratto, quello celeberrimo della Gioconda (1503-06, Parigi, Musée du Louvre), può considerarsi il manifesto della poetica di Leonardo. La qualità evocativa dell'immagine, l'animazione psichica che si rivela nel famoso sorriso, nascono da sottili trapassi di luce e dall'avvolgimento atmosferico della figura immersa nel lontano paesaggio 'geologico' dello sfondo. Essere umano e natura sembrano compenetrarsi: vi è rappresentata la continuità, l'armonia tra i vari elementi dell'universo, che sono alla base della concezione del mondo e dell'indagine scientifica di Leonardo. Il nudo nel Rinascimento La splendida fioritura del nudo nel Rinascimento è la diretta conseguenza della ripresa dei modelli classici e dell'interesse per l'uomo e le sue forme.Tra i tanti, significativi nudi rinascimentali, quelli virili di Michelangelo, robusti, imponenti e vigorosi, dal movimento vitale e inquieto, saranno per secoli un paradigma nella tradizione figurativa. Michelangelo si forma sugli esempi della statuaria antica conosciuti nel 'giardino' dei Medici e si alimenta della cultura figurativa fiorentina degli ultimi anni del 15° secolo, segnata da un forte interesse per la ricerca anatomica e il movimento. Sul piano formale, l'artista muove dal canone classico del corpo per giungere a una libera interpretazione delle proporzioni. L'opera di Michelangelo, la sua concezione estetica, la sua 'idea' del corpo, possono essere meglio comprese alla luce della visione filosofico-religiosa dell'artista, ascrivibile al pensiero neoplatonico fiorentino, all'idea che l'anima ascenda all'intuizione del divino, al tentativo di cercare una sintesi tra platonismo e cristianesimo, tra valori classici e valori cristiani. Se la bellezza sensibile è riflesso di quella divina, il corpo rappresenta un momento assoluto dello splendore divino della natura: il bello 'visibile', terreno, per l'artista non è altro che un 'mortal velo' dietro il quale si cela un'idea di bellezza superiore e trascendente. La nudità ha dunque, come nella Grecia antica, una funzione idealizzante, affranca la figura umana dalla sfera del quotidiano dotandola di tratti 'eroici'. Questa concezione di Michelangelo spiega anche la sua avversione per il ritratto considerato 'particolare' e contingente, così caro invece a Leonardo e Raffaello. Processo creativo e itinerario spirituale coincidono. La scultura in marmo, per Michelangelo la prima tra le arti, è un'operazione intellettuale, un impegno etico, realizzato 'per via di levare', ossia eliminando la materia inerte, eccedente, al fine di affrancare lo spirito. Nel liberare la forma, 'il concetto', già esistente nel blocco di marmo, dalla pietra che l'avvince, 'il soverchio', si attua il trapasso dal materiale allo spirituale. È proprio questo il senso del 'non finito' michelangiolesco, non una formulazione incompiuta né un abbozzo, quanto il travaglio interiore dell'artista, il contrasto tra materia e spirito: una dialettica che informa le statue allegoriche della Sacrestia Nuova di S. Lorenzo a Firenze (1525-34), i Prigioni dell'Accademia (1530-34, Firenze), le ultime Pietà. Nel Cinquecento cresce anche l'interesse per il nudo femminile, già diffuso nella seconda metà del 15° secolo. A Firenze Botticelli ne aveva decretato la ripresa con alcune opere di soggetto mitologico, tra cui La nascita di Venere, ove il nudo ha una funzione idealizzante e le forme fluide, leggiadre del corpo della dea simboleggiano la purezza e l'innocenza. I canoni della bellezza femminile mutano sensibilmente nella pittura veneta del 16° secolo. Non più corpi adolescenziali e asessuati, ma corpi fiorenti e sensuali, costruiti dalla modulazione del colore, prescindendo dunque dall'impostazione plastica tradizionale data dal disegno: morbidi e abbandonati in Giorgione, forti e vitali in Tiziano. Un motivo distintivo dell'umanesimo veneto è rappresentato dal nudo femminile inserito nel paesaggio, in un rapporto simbiotico di immedesimazione con la natura. Arte e anatomia Il rapporto tra conoscenza scientifica e naturalismo artistico non è sistematico né regolare. I due campi sono infatti relativamente indipendenti: esistono periodi nei quali a una conoscenza approfondita dell'anatomia corrisponde, nell'arte, una resa stilizzata e astratta del corpo umano. Ma esistono anche momenti, come l'età ellenistica e il Rinascimento, nei quali gli artisti manifestano una penetrante capacità di osservazione, pur limitandosi di solito ad alcuni aspetti dell'anatomia, quali l'ossatura e la muscolatura, cioè le parti rilevanti per la raffigurazione dell'esterno del corpo e per la resa del movimento. Nel 15° secolo, per es., Antonio Pollaiolo, Andrea Mantegna, Luca Signorelli giungono a una rappresentazione realistica e avanzata della struttura anatomica, approssimandosi alle forme naturali molto più di quanto non facessero i disegnatori dei trattati anatomici coevi, che non adottavano ancora la prospettiva nella illustrazione del corpo. Leonardo da Vinci costituisce un caso a sé, unendo alle qualità di artista le competenze scientifiche derivate dalla ricerca sperimentale sul corpo umano. Nel Rinascimento è diffusa la collaborazione tra anatomisti e artisti, molti dei quali sono soliti assistere alle dissezioni o praticarle. Albrecht Dürer, Michelangelo, Raffaello, Rosso Fiorentino hanno consuetudine con gli studi di anatomia. Dopo la pubblicazione del De humani corporis fabrica, il testo di Andrea Vesalio del 1543 considerato l'atto di nascita dell'anatomia scientifica moderna, si verifica una perfetta corrispondenza tra ricerca anatomica e rappresentazione del corpo in chiave naturalistica. Sia nelle tavole dei libri scientifici sia nelle opere d'arte si tende alla ricerca di un tipo ideale di corpo, superando l'elemento caratterizzante e individuale. A questo modello si giunge anche attingendo dal patrimonio della scultura grecoromana: Raffaello, Michelangelo e i disegnatori delle tavole dei trattati di anatomia traggono ispirazione dalla statuaria antica, e ne ripetono le forme prestanti, come quelle dell'Ercole Farnese o del Torso del Belvedere (v. figg. 1.101; 1.158). Se gli artisti desumono dalla scienza medica le conoscenze per meglio rappresentare le parti anatomiche, spingendosi a volte a descrizioni fin troppo realistiche, come per es. nell'iconografia della testa recisa di Giovanni Battista, gli atteggiamenti delle figure che illustrano i testi scientifici si rifanno al repertorio artistico più diffuso. La donna gravida porge, come Eva, una mela, lo 'scorticato' ripete le positure di san Bartolomeo. È palese l'influenza dei modelli iconografici legati al tema della morte: benché vivo, in piedi, con gli occhi aperti, il corpo dissezionato è mostrato nella sua sostanza terrena, se ne sottolinea la corruttibilità, il disfacimento fisico, in immagini dal contenuto macabro. Gli 'scorticati' sono presentati nell'atto di contemplare un teschio, o recano la falce, attributi della morte nell'iconografia del periodo; altri oggetti che li circondano, come per es. la clessidra, alludono al trascorrere del tempo, al concetto di vanitas. Manierismo e caravaggismo La rappresentazione della figura umana nel Cinquecento ha origine formalmente nell'intrecciarsi delle invenzioni e delle ricerche di Leonardo, Raffaello e Michelangelo, e contenutisticamente risente del conflitto religioso seguito alla Riforma e alla crisi dell'universalismo della Chiesa di Roma. È anche il momento della crisi delle certezze del mondo umanistico, della visione antropocentrica, dell'equivalenza natura-ragione, dell'idea della conoscibilità della natura, della razionalità della storia. L'immagine del corpo è improntata sia a modelli classicisti, sia a una visione che, pur partendo dallo studio dal vero, finisce per alterare le proporzioni naturali del corpo, sottoponendole a deformazioni, contraffazioni e suggestioni fantasiose. Dalla sicurezza delle regole proporzionali del corpo umano si passa, nel Rinascimento maturo, all'eccezione, all'anticonformismo, all'arbitrio. Tale processo aveva avuto inizio con Michelangelo: il gigantismo, l'accentuata muscolatura, l'androginia delle figure femminili, espressione dell''attezza', cioè della vitalità prorompente, della potenza fisica, l'avevano condotto ben lontano dalla resa delle proporzioni oggettive. La strada percorsa dai manieristi produce immagini eleganti e intellettualistiche che modificano il modello del corpo, ora assottigliandolo (Parmigianino) o rendendolo imponente e spigoloso (Rosso Fiorentino), ora rivestendolo di cromatismi chiari e irreali (Pontormo) o accendendolo in vampate di luce (Domenico Beccafumi), sulla base di un immaginario che non riproduce una realtà esterna e 'naturale', ma rinvia a un mondo visionario e angosciato. La tendenza all'eleganza e all'artificio è palese nel modello della figura 'serpentinata' di ascendenza michelangiolesca, risultante da un modo originale e complicato di articolare le membra del corpo per accentuarne l'espressività, pur in assenza di qualsiasi sforzo o tensione sul volto del personaggio raffigurato. La crisi dei principi rinascimentali di rappresentazione del corpo si articola in direzioni diverse, a volte divergenti: dall'interpretazione drammatica, che nasce dalla coscienza religiosa e spirituale dell'artista, alla preziosità ricercata, intellettualistica, dell'arte profana di corte, tesa alla bizzarria, al capriccio e ad altre 'licenze' in soluzioni di dirompente novità. Il gusto per un'esteticità diffusa, tipico di una committenza raffinata, l'intento di suscitare meraviglia, la ricerca dell'illusionismo, conducono a una serie di curiose invenzioni formali che hanno per oggetto il corpo umano. In questa tendenza si collocano i vari tentativi di 'antropomorfizzazione' dell'architettura (Palazzo Zuccari a Roma), o di riduzione a immagine umana di elementi della natura (le Teste allegoriche di Giuseppe Arcimboldi), o altre bizzarie come per es. le anamorfosi, le grottesche, le caricature, nonché un'abbondante produzione di oggetti d'uso ornamentali nei quali appare la figura umana, come la Saliera ideata da Benvenuto Cellini per Francesco I. Di tutt'altro segno è l'interpretazione naturalistica della realtà e dell'uomo che, a partire dall'esperienza di Caravaggio, si diffonde nell'arte europea del 17° secolo: il corpo è restituito alla sua dimensione più reale e concreta. Sentimento del divino e sentimento del reale convivono in perfetta armonia nell'opera di Caravaggio, per il quale l'esperienza quotidiana degli uomini è incarnazione visibile e tangibile di Dio. L'immagine dell'uomo, di forte tensione anatomica, carica di potenza e verità, è svelata da una luce intensa che la fa emergere plasticamente dall'oscurità di uno sfondo impenetrabile, per farsi strumento di una nuova rivelazione della realtà. La luce dà risalto ai corpi con istantanea verità ottica, illuminando l'azione dell'uomo nell'acme dell'evento e nella flagranza dell'accadere. Caravaggio propone immagini di pittura sacra che suscitano sconcerto e riprovazione negli ambienti vicini alla corte pontificia: la sua carica naturalistica e popolaresca, entrando in conflitto con le norme di decoro cui le storie sacre devono conformarsi, è giudicata irriverente. Eppure, i piedi nudi dei suoi santi, la presentazione 'terrena' della morte della Vergine, i modi semplici delle sue figure sacre, sono solo un indizio dell'adesione dell'artista a movimenti spirituali di tipo pauperistico diffusisi nel variegato mondo della religiosità della Controriforma. La rivoluzione naturalistica operata da Caravaggio ha conseguenze in tutta Europa, soprattutto a Napoli e in Spagna, dove Jusepe de Ribera, Francisco Zurbarán e Diego Velázquez ne sviluppano le istanze di verità umana e religiosa. Al centro dell'interesse degli artisti è la natura, il mondo sensibile, senza distinzioni gerarchiche tra natura morta e figura umana. Velázquez ritrae con la stessa oggettività re e pontefici, personaggi di corte e cardinali, bambini, nani e buffoni, un'umanità composita sottoposta al vaglio di una sensibilità etica profonda. Nel mondo nordico, la straordinaria fioritura artistica del Seicento olandese, legata all'ascesa della borghesia mercantile e alle potenzialità di un ricco mercato privato, si manifesta attraverso una quantità di opere che hanno per tema scene della vita quotidiana e momenti dell'organizzazione sociale e familiare, dove il carattere profano della figurazione è incoraggiato dall'atteggiamento del protestantesimo calvinista contrario alla diffusione delle immagini religiose. Frans Hals, Rembrandt, Jan Vermeer esplorano la condizione umana da un'angolazione naturalistica, toccando registri di grande significato emotivo. Tra i soggetti più frequenti risaltano i ritratti di gruppo e le scene d'interno; anche gli episodi biblici sono interpretati come temi profani, oggetto di indagine psicologica. L'opera di Rembrandt domina tra le tante esperienze figurative che privilegiano questo tipo di approccio alla realtà dell'uomo: il volto dei personaggi raffigurati e i suoi stessi celebri autoritratti sembrano accesi da un fuoco interno e sono scrutati dall'artista con uno sguardo che scava nell'interiorità. Il barocco Nel Seicento le arti figurative assumono una progressiva rilevanza, al punto che il fenomeno stilistico più importante del secolo, ossia il barocco, è stato definito in termini di 'civiltà delle immagini'. Nell'affermazione della sua autorità, la Chiesa vede nell'arte lo strumento attraverso il quale veicolare il messaggio di una possibile salvezza per l'umanità. Più in generale, la comunicazione dei valori istituzionali, delle ideologie politiche oltre che religiose, è affidata al potere di persuasione del linguaggio visivo. I sistemi di rappresentazione della realtà sono molteplici. Si riprende la concezione classica della mimesi dell'arte, ma non per conoscere e rappresentare l'oggetto con un sistema proporzionale commisurato all'uomo, quanto per stabilire un rapporto nuovo, di natura emozionale, con lo spettatore. Il barocco è iperbole, trionfalismo, propaganda, seduzione dei sensi e della mente. Il suo fine è lo scatenamento dell'immaginazione, lo spettacolo coinvolgente e stupefacente. Gli artisti cercano di commuovere, di persuadere, mediante vistosi effetti scenografici ottenuti attraverso l'interazione di tutte le arti. La nuova scienza e l'immaginario barocco minano le fondamenta cosmologiche del mondo. Le scoperte di Copernico e Galileo mettono in crisi le concezioni rinascimentali dell'uomo, la sua centralità, l'equivalenza uomo-terra-universo esemplificata nelle immagini dell'uomo-astrologico (v. fig. 1.56). Ne derivano una nuova visione dello spazio infinito e un diverso sentimento della natura, non più sentita come campo esclusivo dell'agire umano. La rappresentazione del corpo consegnata dalla scienza e dalla dissezione comporta la fine delle tradizioni magico-religiose. Il corpo appare come uno dei tanti congegni della grande macchina dell'universo. Nelle raffigurazioni artistiche, verosimiglianza, approssimazione al dato fisico e illusionismo spaziale non sono in contraddizione, ma convivono talvolta in una stessa opera. La sfida di Gian Lorenzo Bernini all'immaginazione è portata al limite estremo: l'evidenza realistica di alcuni particolari, l'adesione virtuosistica del marmo alla dinamica plastica dei corpi, si spingono nella sua scultura al punto di suggerire una parvenza di vita proprio nel momento in cui si svela l'inganno, l'artificio della materia. L'immagine del corpo nell'arte barocca è illustrativa e sentimentale, teatrale e scenografica. Nell'atteggiamento delle figure è evidente il passaggio dal gesto naturale a quello espressivo, con una palese derivazione dalla mimica teatrale; i personaggi, dalla gestualità magniloquente, sembrano attori declamanti, inscenanti situazioni fortemente emotive: l'estasi, il delirio, il dramma. I segni esteriori delle passioni, visibili nei volti e negli occhi delle figure, traggono ispirazione dagli studi coevi della fisiognomica sul rapporto tra anima e corpo. Peter Paul Rubens propone una delle interpretazioni più originali del corpo nell'arte barocca. Il pittore fiammingo sviluppa le potenzialità espressive del nudo femminile, così come aveva fatto Michelangelo con il nudo maschile un secolo prima. L'esuberanza vitale e terrena delle sue figure è, tuttavia, quanto di più lontano vi possa essere rispetto all'inquietudine spirituale espressa dalle forme corporee michelangiolesche. Le sue composizioni storiche, mitologiche, allegoriche, sono gremite di personaggi in movimento i cui corpi chiari e opulenti comunicano un'atmosfera di solennità calda e festosa. Un altro importante filone della cultura del corpo riflette la sensibilità religiosa seicentesca, legata alle tendenze mistiche e alla diffusa spiritualità. Le figure di Teresa d'Avila, Ignazio di Loyola, Filippo Neri costituiscono modelli di vita, tramiti con il divino, intermediari della grazia. L'esperienza mistica dell'estasi di Teresa d'Avila è rappresentata da Bernini come un rapimento spirituale e sensuale, un grandioso spettacolo sovrannaturale di cui il fedele è spettatore e testimone. Ma ciò che meglio esprime il cattolicesimo post-tridentino sono le grandi decorazioni delle chiese barocche, che esplicitano visivamente l'ambizioso progetto di integrare e fondere tutte le arti in un tripudio di immagini, ottenute mediante l'uso di una grande varietà di tecniche, materiali, effetti cromatici. Le decorazioni delle volte degli edifici sacri, come cieli aperti sui fedeli, simulano spazi profondissimi illuminati da luci dorate, popolati da moltitudini di figure sacre volteggianti nel vuoto. Queste rappresentazioni sono da mettere in rapporto sia con il nuovo concetto di spazio e di infinito, sia con gli orientamenti della Chiesa, decisa a utilizzare le arti ad maiorem Dei gloriam, per farne strumento di diffusione dei suoi principi e della sua autorità. Lo spazio dilatato verso l'alto, in un continuum vorticoso con l'interno della chiesa, esibisce torme di figure, spesso allacciate, a gruppi, che mettono alla prova l'abilità degli artisti nella tecnica dello scorcio. Sia che la volta venga sfondata illusivamente con un'architettura dipinta con effetto a cannocchiale, con la fusione di spazio reale e spazio dipinto, come avviene nella Gloria di s Ignazio di Andrea Pozzo (Roma, S. Ignazio), sia che le figure irrompano nella navata precipitando dall'alto in un viluppo di angeli e beati come nel Trionfo del nome di Gesù, opera di Giovan Battista Gaulli (Roma, Chiesa del Gesù), l'effetto dei corpi in questi trionfi celesti è comunque di grandiosità ornamentale. All'esuberanza, alla maestosità e sensualità dei corpi delle figure di Rubens e di Bernini, fa riscontro una produzione di registro diverso, incentrata sul richiamo alla morte e alla caducità della condizione umana. Il corpo è anche memento mori: il gusto per il macabro si manifesta nel gran teatro della morte, nella profusione di ossa, scheletri e teschi in bella mostra non solo nei monumenti funebri, ma negli elementi decorativi delle chiese. Il tema dell'agonia, del disfacimento del corpo attraversa tutta l'arte seicentesca: l'esposizione della carne piagata, malata, l'immagine del cadavere, è ricorrente in un secolo in cui la popolazione si sentiva minacciata dalla peste; il concetto dell'uguaglianza di fronte alla morte si riflette variamente nelle iconografie: chiunque può esserne colpito, giovani, vecchi, sovrani, pontefici. Coppie di amanti spensierati sono sorprese dalla figura della morte, floride donne che si guardano allo specchio vi scorgono riflesso un volto decrepito o ridotto a un teschio. Neoclassicismo e romanticismo L'origine dell'arte moderna è comunemente datata alla seconda metà del Settecento. È il periodo delle grandi trasformazioni storiche ‒ la Rivoluzione francese, quella industriale ‒ ma anche dell'affermarsi di un interesse per gli aspetti che attengono alla coscienza e alla dimensione psicologica dell'uomo, temi che incidono profondamente nell'arte e nell'immaginazione artistica. Per questi decenni la critica ha coniato i termini di 'neoclassicismo' e 'romanticismo'. Entrambi i movimenti sono filiazioni della stessa cultura di fine Settecento, della stessa temperie intellettuale prodotta dall'Illuminismo; non nascono in contrapposizione e convivono, a volte sovrapponendosi o influenzandosi reciprocamente, altre volte divaricandosi e procedendo separatamente. Il fenomeno più evidente dal punto di vista formale è la tendenza a trasferire il modello classico in un codice linguistico valido per il presente, dal momento che i caratteri razionali, laici, didattici dell'Illuminismo trovano negli esempi dell'antichità valori da proporre ai contemporanei. D'altra parte, l'esaltazione illuminista dell'intelletto e della ragione, attribuendo all'individuo un ruolo centrale, deve necessariamente tener conto degli aspetti soggettivi, sentimentali. Anche il richiamo all'antico si colora di una vena nostalgica dovuta alla consapevolezza della ineguagliabilità di quel mondo perduto. Il riferimento formale al classico e ai suoi principi di semplicità, misura ed equilibrio, in funzione polemica contro le forme enfatiche, esuberanti del barocco e del rococò, assume quindi valore di critica verso la società dell'ancien régime di cui erano espressione. Al contempo matura la tendenza preromantica per un'arte fantastica e visionaria che, formalmente legata all'esperienza neoclassica, è rappresentativa della sfera psichica ed emozionale, accentua gli elementi di introversione, il mito dell'anima, del sogno, della propensione malinconica. La concezione neoclassica del corpo scaturisce dall'idea dell'opera d'arte come visualizzazione del 'bello ideale' formulata da Johann Joachim Winckelmann: esso, secondo lo studioso tedesco, si raggiunge non imitando la natura, ma scegliendone le parti più belle e fondendole insieme, emendandola da ogni difetto e irregolarità. Come avevano teorizzato i greci, il corpo deve esprimere 'nobile semplicità' e 'serena grandezza', superando l'inquietudine, l'agitarsi delle passioni; sia nell'espressione che nell'atteggiamento, i corpi devono rimanere imperturbati, controllati dall'intelletto. Nel linguaggio formale della pittura si prende a modello il disegno dell'arte antica, desumendolo dalle decorazioni vascolari e dai rilievi. La linea di contorno indica un procedimento razionale ed essenziale, non deriva dall'esperienza dei sensi come il tratto, il chiaroscuro, l'effetto di luce e di colore. Gli scultori cercano nei corpi levigati e patinati l'estrema finitezza formale, la manifestazione del 'sentimento universale del bello'. L''esecuzione sublime' è, per Antonio Canova, la depurazione di qualsiasi impulso emotivo; tuttavia, nonostante i presupposti teorici, le sue figure esprimono effusioni sentimentali con l'esaltazione dell'amore, della grazia, dell'amicizia. La sfera affettiva ha punti di consonanza con l'orientamento romantico: ulteriore conferma della difficoltà di tracciare un confine preciso nei due movimenti, tra inclinazioni dell'animo e modi espressivi. Qualche decennio più tardi, Jean-Auguste-Dominique Ingres offrirà un'altra interpretazione del corpo inscrivibile, per alcuni aspetti, nell'ambito dello stile neoclassico. La bagnante di Valpinçon si può considerare il manifesto della sua pittura, come ricerca estetica fine a sé stessa, svincolata dai contenuti. Nel classicismo di Ingres, tutt'altro che archeologico, rivive la grande tradizione dei maestri rinascimentali, in particolare Raffaello. Non interessano il volto e la sua espressione, ma il corpo morbido, sfumato, perfettamente bilanciato nella struttura compositiva del quadro, frutto dell'insistenza sui valori lineari e di superficie piuttosto che sull'effetto volumetrico. Il maturare delle suggestioni romantiche non comporta significativi mutamenti nella resa formale del corpo. Sia il neoclassicismo sia il romanticismo rappresentano corpi ideali, prestanti, tratti dal repertorio greco-romano e da quello rinascimentale. Tuttavia, nella figurazione romantica tale modello è variamente arricchito da nuove componenti realistiche e psicologiche, che inducono a variazioni nel criterio compositivo dell'opera e nell'ambientazione. Nella pittura storica del romanticismo francese, per es., si tende a superare le scene ordinate nelle quali pochi protagonisti esprimono chiaramente la propria passione nell'azione, come nel Giuramento degli Orazi di Jacques-Louis David. Le composizioni, affollate da un'umanità agitata, evocano situazioni estreme, i personaggi formano grovigli, viluppi di corpi accomunati da una tensione comune. Jean-Louis-Théodore Géricault stabilisce un legame strettissimo tra arte e vita, ponendo al centro della sua opera l'abnorme, l'abiezione, la follia, la morte. Le figure forti e vigorose dei naufraghi della Zattera della Medusa, avvolte in un'atmosfera livida, carica di angoscia morale, presaga della tragedia umana che sta per compiersi, hanno alle spalle gli studi dal vero dei Frammenti anatomici, cruda rappresentazione dell'orrore della morte e della degradazione del corpo. Altre volte l'interesse dell'artista si sposta dal dramma collettivo al dramma individuale: nei volti degli Alienati si leggono le ossessioni e le turbe psichiche, le specifiche monomanie da cui sono affetti. È evidente, in queste celebri tele, la conoscenza da parte dell'artista degli approdi della scienza psicologica, degli studi della frenologia e della mimica, che proprio in quegli anni stabilivano uno stretto rapporto con le arti figurative. Un'altra matrice della sensibilità romantica rimanda all'Oriente, ad atmosfere dominate dal gusto per l'esotico, l'insolito, l'incontaminato. Il bisogno di evasione e la ricerca di un paradiso terrestre conducono verso mondi diversi e lontani, ai quali si attribuiscono significati di critica verso la civiltà occidentale o di evocazione di atmosfere seducenti e accattivanti. Infine, si deve tener conto della centralità dell'idea di 'natura' nell'esperienza romantica: la preminenza data alla natura, il culto del paesaggio determinano il ridimensionamento della figura umana, quando non la escludono del tutto. Se essa vi appare, è disposta magari di spalle, assorta a scrutare lo scenario naturale, ridotta comunque a elemento secondario: ne derivano la solitudine del soggetto, sovrastato dalla potenza della natura, e il contrasto tra finitezza umana e infinita grandezza della natura. L'artista romantico vi si accosta con una scala di emozioni che vanno dalla percezione dell'incommensurabile al senso di attrazione e di sgomento verso l'infinito, l'inconoscibile. La natura è dunque interpretata come luogo mitico nel quale rifugiarsi, al quale ispirarsi contro i disagi della civiltà, o come universo simbolico, carico di mistero e di spiritualità. Il positivismo e le arti La stagione del realismo, che si apre in Francia a metà Ottocento, è legata al positivismo, all'impulso nuovo dato allo studio critico della società, alla scienza, ai fondamenti del progresso umano, ai risultati dell'indagine conoscitiva sull'uomo e sulla natura. Come la scienza elabora l'antropologia metrica, l'anatomia normativa, così l'arte adotta strumenti di analisi imparziali e obiettivi, rivitalizza l'immagine del corpo traendola fuori dalle secche dell'accademismo, avvia un confronto diretto con l'individuo della realtà contemporanea. Abbandonati i soggetti religiosi, mitologici, di storia del passato, si diffonde una pittura interessata ai problemi della società moderna, che ha per tema le condizioni di vita e di lavoro delle classi sociali legate alle trasformazioni apportate dalla rivoluzione industriale, come i processi di spopolamento delle campagne e di urbanizzazione. Si privilegia la raffigurazione dei contadini e del proletariato urbano nelle pose non convenzionali del lavoro quotidiano e della fatica fisica. Il grande iniziatore del realismo è Gustave Courbet, che eleva al rango di pittura di storia frammenti della vita quotidiana, e dipinge il 'brutto' in quanto parte del 'vero'. È sua la dirompente dichiarazione della pari dignità di tutti gli aspetti della realtà ai fini della rappresentazione artistica, fuori da ogni velleità idealistica e spiritualistica. Gli spaccalegna e i contadini, le giovani donne distese a riposare lungo il fiume, o raffigurate nel sonno incuranti della loro esibita nudità, hanno una consistenza tangibile, cruda e violenta, fanno sentire il turgore dei corpi, la densità della sostanza fisica. Due celebri quadri di Édouard Manet, Colazione sull'erba e Olympia, danno il segno delle novità apportate dal realismo all'immagine del corpo. Il nudo femminile, tutt'altro che idealizzato, si inserisce in un quadro di totale identificazione tra realtà e vita, nell'assoluta esigenza di contemporaneità. La donna raffigurata in un boschetto accanto a due uomini vestiti e la bella Olympia attraversano il quadro con lo sguardo, puntando direttamente allo spettatore. I loro corpi chiari e veri, perché caratterizzati individualmente, atteggiati nelle pose classiche riprese soprattutto dalla tradizione rinascimentale veneta, sono di una modernità sorprendente. I pittori impressionisti vogliono cogliere 'l'impressione' della realtà, la percezione visiva del mondo naturale. La scelta di privilegiare la luce e lo studio dei suoi effetti li porta a preferire soggetti di vita quotidiana en plein air, dove si offrono le condizioni migliori per sperimentare la nuova tecnica pittorica fatta di tocchi di colore separati tra loro, senza ombreggiature e contorni. Il corpo non ha più nulla della figura accademica tipica dei dipinti d'atelier, nei quali il nudo era trattato al fine di ottenere chiaroscuro e rilievo plastico. Macchie colorate si riverberano sui corpi floridi e vitali delle figure femminili di Pierre-Auguste Renoir, bagliori di luce colpiscono i parigini che affollano i caffè all'aperto filtrando dalle foglie degli alberi: le vibrazioni cromatiche disintegrano la materialità dei corpi assimilati alla totalità del quadro, dissolti nell'insieme della figurazione. Lo sviluppo della fotografia nel 19° secolo accresce enormemente il patrimonio di immagini e determina una diversificazione tra immagini dell'arte e immagini ottenute con la tecnica fotografica. Se all'inizio le sfere di interesse dei due campi non sono separate, la fotografia in seguito si rivolge ad ambiti precedentemente riservati alla figurazione pittorica come la ritrattistica. Nel contempo la pittura, liberata dai compiti di mera rappresentazione, approfondisce lo studio dei suoi caratteri intrinseci, come il colore, acquistando maggiore libertà espressiva. La tecnica fotografica influenza la pittura nella costruzione dell'immagine, per es. nei tagli diagonali, nello studio del movimento, nella definizione del rapporto tra figure e ambiente. Tra gli artisti che si avvalgono dell'ausilio del nuovo mezzo è Edgar Degas, che riporta l'immagine umana negli interni, inquadrandola in composizioni dagli arditi tagli fotografici, spesso con effetti di scorcio; non sono importanti le azioni, ma il movimento in sé stesso. I corpi delle ballerine che danzano, riposano, aspettano, sono ora energici e frenetici, ora pesanti e inerti. Le figure femminili occupate in gesti quotidiani e ripetitivi, come lavarsi e pettinarsi, sono frutto di una visione obiettiva palesemente legata alla ricerca scientifica di fine Ottocento. Il 'realismo scientifico' di Degas trova la più celebre espressione nella Ballerina di quattordici anni, che rivela l'applicazione degli studi antropologici sul corpo: la scienza ha ormai cambiato la raffigurazione del corpo umano e l'arte recepisce l'eclissi del tradizionale senso del bello. Tra la fine dell'impressionismo e la nascita delle avanguardie artistiche del Novecento, nuove ricerche formali e ansie spiritualistiche si alternano e si sovrappongono, determinando una varietà di interpretazioni della figura umana. L'impressionismo entra in crisi quando Paul Cézanne afferma di volerne fare un'arte "solida come quella dei musei", privilegiando il significato dell'operazione artistica e la struttura della forma. L'interesse si sposta dalla dimensione ottica al piano concettuale. Cade l'interesse per il soggetto in sé, il dipinto è essenzialmente un insieme di forme e colori rispondenti a un principio, a un ordine. La figura umana, il corpo, non sono più elementi privilegiati di studio, come era stato il nudo nella formazione tradizionale degli artisti: cominciano a divenire pretesto, motivo, tra gli altri, per costruire una pittura che trova al suo interno le proprie regole espressive. Per Cézanne il corpo umano è parte di una realtà rappresentata non per come appare sulla base della percezione, ma nella sua struttura logica, in nome di un'autonomia segnica estranea agli intenti di verosimiglianza e realismo. I corpi femminili delle bagnanti, nati dalla pennellata 'costruttiva' dell'artista, sono tracciati in modo grezzo, al di là di ogni istanza di bellezza o compiutezza. La pittura di Paul Gauguin ha una forte componente simbolica, con riferimenti alla civilizzazione, alla vita, alla sessualità. L'artista traspone in una realtà incontaminata dal progresso un ideale di armonia che considera irraggiungibile nella civiltà occidentale. I corpi femminili dipinti a Tahiti comunicano un senso di calma e voluttà, esprimono una dimensione di purezza originaria; le idee e i sogni si traducono in immagini dalle forme semplificate, definite da contorni decisi e da campiture di colori in aree piatte; la bidimensionalità e il decorativismo risentono di influssi dell'arte primitiva e giapponese. Con la violenza del colore Vincent van Gogh esprime le sue divoranti passioni. L'atto del dipingere non rappresenta la realtà, ne spiega la verità, ne cattura l'essenza, in un coinvolgimento fisico e psichico totale, come negli autoritratti, vere e proprie 'autoscopie' dal segno inquieto, spezzato, proiezione bruciante del travaglio dell'artista. Il corpo entra a far parte di un mondo di straordinaria fantasia con Henri Rousseau, detto il Doganiere, in scene dove la libertà pittorica si unisce a risonanze simboliste; le sue creature hanno forme stilizzate, chiare e nette, una frontalità quasi ieratica, proporzioni inventate. I colori irreali, algidi, gli sfondi con selve immaginarie, costruiscono un mondo di sogno che invita al mistero e alla liberazione dell'inconscio. Nella produzione scultorea di fine Ottocento risaltano le interpretazioni del corpo di Auguste Rodin e Medardo Rosso, la prima ancora legata al linguaggio del realismo ottocentesco, sebbene alterato da deformazioni e semplificazioni, la seconda orientata allo sfaldamento plastico. Rodin non si ferma a riprodurre l'esterno del corpo, ma vuole esprimerne la spiritualità, rivelando così una matrice romantica e un aggancio con la tradizione michelangiolesca. Medardo Rosso traspone nella scultura il linguaggio degli impressionisti: fa entrare nella forma plastica i valori luministici e atmosferici, anticipando per alcuni aspetti la ricerca di Umberto Boccioni, basata proprio sulla fusione tra figura e ambiente. Simbolismo e spiritualità Nell'ultimo ventennio del 19° secolo si affermano nelle arti figurative tendenze in contrasto con le posizioni di matrice positivista: esse tentano di rispondere con l'esperienza estetica al livellamento dei valori della civiltà industriale, a difesa dell'integrità dell'uomo e della sua vita spirituale. In sintonia con gli orientamenti filosofici e letterari, le correnti simboliste, rivalutando i tratti spiritualistici della cultura romantica e il lato poetico dell'espressione artistica, concepiscono l'arte come il punto di incontro e di fusione tra mondo interiore e dimensione della realtà percettiva. Analogamente alla scienza contemporanea, che ha introdotto nuovi metodi di indagine sull'uomo come il microscopio e i raggi X, andando ben oltre la conoscenza anatomica sedimentata, l'arte non cerca l'oggettivo, ma il soggettivo, guarda il corpo per cogliervi qualcosa che sta al di là dell'apparenza, del quantificabile. La poetica simbolista comprende una pluralità di tematiche: la religiosità, l'esoterismo, la dimensione onirica. La pittura può prescindere da ogni riferimento al vero, è un linguaggio i cui oggetti sono segni di una realtà remota da articolare e decifrare, intellettualizzata e complessa. "Le cose contingenti, anche le minime ‒ dice Charles Baudelaire ‒ sono simboli che conducono l'uomo a comprendere l'idea", l'essenza misteriosa del reale, il messaggio profondo della natura. Le immagini dei corpi nelle opere di Gustav Klimt, Egon Schiele e Oskar Kokoschka, considerati i cantori della finis Austriae, esprimono l'amara immersione nei fantasmi latenti dell'essere. Il tema del sesso è ricorrente, il rapporto uomo-donna è al tempo stesso esaltante e impossibile; l'erotismo, la passione amorosa, sono legati al motivo della morte. Nell'opera estetizzante di Klimt, le decorazioni hanno ampio spazio e si coniugano con l'accentuato naturalismo dei corpi e dei volti, incastonati in una tessitura di materiali e colori preziosi e brillanti. Le figure crudamente erotiche di Schiele, definite da una linea dura e incisiva, parlano della miseria del corpo, involucro di solitudine, di angoscia che neanche l'atto amoroso riesce a lenire. I volti recano espressioni sofferte, smorfie, riflesso di un dolore esistenziale. In Kokoschka, i frammenti di una realtà caotica, non più comprensibile e governabile dall'uomo, sono restituiti in un turbine di segni e di colori; il corpo è raffigurato con esasperato espressionismo, al limite della disgregazione in un moto molecolare. James Ensor e Edvard Munch propongono l'immagine dell'uomo a metà strada tra simbolismo ed espressionismo. Ensor dipinge, con colori irreali e violenti, figure grottesche, sproporzionate e deformi, somiglianti più a maschere e scheletri che a esseri umani. Munch scava nei recessi occulti dell'animo: l'adolescente di Pubertà è soverchiata dalla grande ombra nera, riflesso del suo turbamento. I temi della solitudine, della morte, del disagio esistenziale connotano il celebre dipinto Il grido. È ormai evidente che qualcosa di straordinario sta schiudendo all'arte occidentale molteplici orizzonti di ricerca: l'irruzione dell'inconscio, la formulazione della psicoanalisi mutano profondamente l'idea di sé dell'uomo contemporaneo. Gli studi di Sigmund Freud divengono un punto di riferimento per comprendere l'immagine dell'uomo come entità a più facce della produzione artistica del nostro secolo. Sperimentazioni delle avanguardie Le avanguardie storiche, le correnti che aprono il 20° secolo e con forza dirompente stravolgono la figurazione artistica tradizionale, privilegiano i valori istintivi, irrazionali, vitalistici, gli atteggiamenti estetizzanti. Disdegnano gli schemi dell'intelletto a favore di un atto conoscitivo immediato, l'intuizione, e insistono sulla relatività e poliedricità di ogni assunto di verità. Le avanguardie si costituiscono in aggregazioni che elaborano le idee guida dell'operare artistico, spesso stilando veri e propri manifesti: il proposito è di non circoscrivere l'intervento al campo estetico, ma di influire anche nell'ambito dell'etica e del costume, precisando la propria visione del mondo e della società contemporanea. Espressionismo, cubismo, futurismo, dadaismo, surrealismo, sottopongono il linguaggio artistico a un rinnovamento radicale, avviando un processo di 'rottura' della forma. Il corpo nel tema del nudo all'aperto, già caro a Cézanne, Gauguin, Rousseau, si tinge nelle avanguardie dei caratteri di una verginità primigenia che, da elemento contenutistico, diviene scelta espressiva dell'artista, il quale sembra voler partire da zero, rinnegando la tradizione. Il primitivismo da mito esotico si trasforma in questione formale, ricerca di sintesi, di forme compatte e chiuse che si oppongono allo spazio. Tutte le soluzioni sono possibili, la ricerca sulla figura umana si apre in più direzioni, in un ampio ventaglio di proposte. Il colore fiammeggiante ed esplosivo 'costruisce' il corpo nella pittura espressionista, annullando il volume e il chiaroscuro. Gli audaci accostamenti di colori puri, i gialli, i rossi e i blu, si accompagnano spesso a un vivace decorativismo. I due principali indirizzi dell'espressionismo, quello francese dei fauves e il tedesco Die Brücke, spingono verso l'accentuazione dei contenuti espressivi dell'immagine, con una sottolineatura del ruolo del soggetto, delle sue emozioni, della sua interiorità. Henri Matisse semplifica l'immagine del corpo, elimina la tridimensionalità, adotta colori poco naturalistici, cerca una relazione tra figure e spazio, dipinge forme ideali campite dal disegno e rivestite di tinte pure. Nella Danza la concatenazione dei corpi, la composizione e i colori esprimono lo 'slancio vitale' di un'umanità libera, primigenia. Più drammatici, invece, gli accenti dell'espressionismo nordico, che esaspera la carica psicologica della rappresentazione. Le tecniche grafiche della tradizione popolare germanica danno origine a forme stilizzate, angolose e tormentate. I corpi, dalle linee di contorno scure e decise, sembrano, per la loro durezza, intagliati nel legno. La condizione dell'uomo è colta in rapporto alla vita moderna, metropolitana: le figure allungate di Ernst Ludwig Kirchner, tese e inquiete, popolano le strade di amara solitudine; i corpi angolosi e aspri dei suoi nudi mostrano sproporzioni enfatizzate dai colori irreali. L'opera che determina una svolta nella storia dell'arte e della rappresentazione del corpo umano è Les demoiselles d'Avignon di Pablo Picasso. Il dipinto, nato da una lunga gestazione, ha alla base due importanti esperienze: la ricerca di Cézanne e la suggestione della scultura negra. Con Les demoiselles, Picasso compie un'azione di rottura violenta rispetto alla tradizione figurativa e al modello del corpo dell'arte occidentale. I nudi femminili ‒ inutile chiedersi se di prostitute, bagnanti, idoli ‒ suscitano scandalo per la sconcertante disarmonia delle forme, per l'apparenza di esseri al tempo stesso razionali e primordiali. I volumi dei corpi, non più arrotondati, ma spigolosi e spezzati, la presentazione della stessa figura di fronte e di profilo, la riduzione dei colori al rosa, all'azzurro e al nero, rompono definitivamente le convenzioni dell'immagine 'classica' del corpo e della bellezza basate su criteri di simmetria, di equilibrio, di distinzione tra forma e spazio, tra pieno e vuoto, tra figura e sfondo. La forma del corpo, ormai esplosa, viene nel cubismo scomposta e 'sintetizzata' in una nuova unità, diversa da quella naturale, dotata di una propria struttura e coerenza. La scomposizione abolisce l'unicità del punto di vista e la prospettiva come sistema di rappresentazione illusivo per piani di profondità: ciò che conta è la simultaneità della visione. Il corpo ha un carattere architettonico, si costruisce in forme nelle quali si intersecano i piani dei solidi geometrici, mentre il colore è ridotto a minime variazioni cromatiche. Nella fase più radicale del cubismo, quella 'analitica', l'unità della forma si frantuma, il contorno è meno deciso, disperso in tante brevi linee, il volume si sfaccetta in piccoli cunei. Tuttavia, anche in questa fase la figura umana 'resiste', evoca la realtà naturale, e si ritrova proprio nel ritratto, 'genere' che tradizionalmente richiedeva la maggiore aderenza al modello. Marcel Duchamp rivolge la ricerca verso lo studio del dinamismo del corpo. In Nudo che scende una scala n. 2, una figura smembrata in forme ritmicamente reiterate si muove in modo meccanico, come un robot. Nella società moderna questo sembra essere il destino degli uomini, la trasformazione in macchine, in congegni tecnologici, come si evince anche dall'opera di Fernand Léger e di Kazimir MalevicŠ. La forma del corpo umano è assimilata all'ambiente, partecipa a un universo fisico e sociale cui è subordinata. La velocità è assunta dal futurismo come tema centrale, in un'idea vitalistica della realtà. Si esalta il progresso, la città industriale, il futuro tecnologico; la macchina e la velocità sono elevate a 'religione' dell'uomo moderno. Nel secondo Manifesto tecnico della pittura futurista (1910) si proclama il distacco dalla pittura realista, l'avvento di una nuova sensibilità, la 'sensazione dinamica', che coinvolge anche il corpo dell'uomo, la rottura della concezione spaziale tramandata. Tema centrale è la rappresentazione del movimento, della dimensione temporale. Umberto Boccioni, il principale 'teorico' tra gli artisti futuristi, mutua da Henri Bergson i concetti di dinamismo, simultaneità, durata. L'inno alla velocità raggiunge i risultati più alti nella rappresentazione del corpo umano sottoposto all'effetto del movimento. Mentre Giacomo Balla è interessato al moto lineare del corpo e alla scomposizione del movimento in termini analitici, dedotti dalla fotografia, Boccioni concepisce il movimento come sintesi, simultaneità; il dinamismo plastico è la conseguenza di un 'moto universale' che coinvolge anche il corpo. Forme uniche della continuità nello spazio è la raffigurazione plastica di un uomo che cammina, la sfida di Boccioni alla rappresentazione del movimento. La scelta è tanto più audace perché si propone di superare la fissità della forma scultorea per esprimere la continuità del moto. Il risultato è un'immagine deformata dell'uomo con parti anatomiche palesemente aerodinamiche. Il corpo si trasforma fendendo lo spazio, l'effetto fisico della velocità lo plasma, rendendolo simile a quello di altri esseri viventi, come gli uccelli e i pesci, la cui forma risulta forgiata dall'attrito dell'aria e dell'acqua. Corpo e psiche Tra le avanguardie del Novecento, metafisica, dadaismo e surrealismo, pur presentando notevoli differenze, possono essere accomunate per il loro addentrarsi nella coscienza dell'uomo, nel misterioso labirinto della psiche, negli strati della mente non riferibili all'elaborazione razionale, nelle zone ai confini del sogno, dell'assurdo, della follia, in quel mondo sommerso e sconosciuto rivelato dalla psicoanalisi freudiana. Il corpo è interpretato come il luogo della psiche, dell'inconscio da liberare, fuori da ogni controllo e facoltà razionale. Le radici in campo figurativo sono riconducibili al filone 'nero', onirico, del romanticismo di Johann Heinrich Füssli, Arnold Böcklin, Odilon Redon, Max Klinger, che aveva fatto emergere dalle profondità della psiche gli incubi, i fantasmi dell'uomo, tutto un deposito di materiali dell'immaginario già presente nell'arte dei grandi maestri fiamminghi del passato, come Bosch e Bruegel il Vecchio. Negli scenari metafisici la figura umana appare come una presenza ambigua e inquietante nella forma di singolari figure-oggetto: statue, busti classici, manichini ingessati, con il volto privo di lineamenti, quasi sempre in contiguità con altri oggetti, giocattoli, strumenti di lavoro. L'uomo non ha rapporti con il contesto naturale o storico, è parte di un'altra dimensione, metastorica, autonoma, più libera rispetto alla realtà abituale; le immagini metafisiche rivelano il nonsenso del mondo, indecifrabile, ma pur vero e profondo. Giorgio De Chirico, che aveva conosciuto negli anni del suo soggiorno a Monaco il pensiero di Friedrich Nietzsche e Arthur Schopenhauer, dipinge ne Le Muse inquietanti l'uomo nella sua qualità di 'cosa', oggetto tra gli oggetti; statua-manichino con la testa di stoffa, forma plastica essenziale che proietta un'ombra decisa su un palcoscenico e rivela, nella muta immobilità della sera dai toni intensi e caldi, il vuoto della realtà. Venuta meno l'unità logico-narrativa, gli elementi del dipinto sono combinati in modo casuale, non logico, e suggeriscono per l'uomo una condizione di straniamento, di immobilità, di attesa e di enigma. Il dadaismo, tra tutte le avanguardie la più apertamente provocatoria, polemizza con i valori della società e dell'arte, di cui vuole fare 'tabula rasa'. Al di là di ogni progetto, perché il solo modo di intervenire è uscire dalle regole del gioco, afferma l'incongruità dell'arte nella civiltà moderna: essa non ha finalità, non serve a conoscere, interpretare e rappresentare la realtà, è solo un segno, un gesto, pura creazione, casuale, ironica, imprevedibile. Tutte le tecniche sono adottate, purché servano a far deflagrare la cultura figurativa tradizionale. La fotografia, gli oggetti, i materiali poveri, il corpo stesso degli artisti, sono utilizzati per le creazioni-azioni dada, la vita rifluisce nell'arte e viceversa, in un continuo, reciproco scambio. Gli artisti vogliono stupire, suscitare uno shock nello spettatore; la provocazione di Marcel Duchamp, l'aver dipinto baffi e barba su una riproduzione della Gioconda, il quadro più decantato della storia, si pone come un gesto emblematico, eclatante (L.H.O.O.Q., La Gioconda con i baffi, 1919). È diffuso anche il procedimento opposto: attribuire valore a oggetti che non ne hanno alcuno, facendoli divenire, con firma e piedistallo, oggetti estetici. Francis Picabia dipinge strane 'macchine inutili' con simbologie erotico-sessuali: metafore di un'umanità disumanizzata e costretta a ritmi meccanici. Per il surrealismo il corpo è il luogo della vita interiore, fatto di spazi profondi, non razionali, i cui impulsi appaiono conflittuali e inafferrabili. Nel 1924, il primo manifesto dei surrealisti precisa l'ambizione del movimento: farsi strumento di conoscenza per una migliore comprensione dell'essere umano, per scandagliare i contenuti profondi della mente. I surrealisti vogliono affrancare lo spirito e l'uomo da ogni legame mediante la liberazione dell'inconscio; l'artista è veggente, porta in superficie le zone più oscure della psiche, le immagini prodotte dall'inconscio, esalta l'apparente incongruità del sogno o del 'sognare dipingendo', adotta un linguaggio figurativo ricco di presenze fantastiche, associazioni e combinazioni criptiche che coinvolgono il corpo. Presentato come qualcosa di mutevole, di fluttuante, sostanza molle o liquida che sembra aver perso l'impalcatura interna di ossa e muscoli, ora dato in frammenti, ora attraversato da corpi estranei, l'involucro corporeo sembra situarsi in uno spazio privo di gravità. Nei dipinti di Max Ernst prevalgono il gioco e la meraviglia, l'ironia e il sarcasmo, con l'unione, in atmosfere irreali, di elementi vegetali, antropomorfi, zoomorfi, tellurici, visti come forme organicistiche e germinazioni spontanee. Nella Vestizione della sposa l'uomo si trasforma in una spaventosa creatura ornitologica, sessuata e misteriosa. La metamorfosi ricorre anche nell'opera di Paul Delvaux e di Alberto Savinio, ove la 'visione' surrealista del corpo produce la dissoluzione delle forme codificate, l'intreccio tra stasi e movimento, l'inversione ibrida. Di altra natura è l'immagine del corpo in René Magritte: indica la polivalenza del reale e dell'uomo, evoca la pluralità e l'intercambiabilità dei significati a esso connessi, sottolinea l'enigma di ciò che si cela dietro il conosciuto e l'abituale; con un linguaggio intenzionalmente convenzionale, ricombina o modifica alcuni elementi per stravolgere l'idea che abbiamo del corpo o le relazioni che normalmente ci suggerisce. L'incongruità può essere data anche solo dal titolo: muta il rapporto tra l'oggetto e il nome che lo designa. Tra gli archetipi figura il nudo femminile, proposto in svariate soluzioni, frantumato in più elementi, ricomposto mediante un'operazione linguistica, trasformato per es. in un volto. Molti surrealisti esercitano la loro immaginazione sul corpo femminile; la donna, l'amore, l'erotismo, costituiscono la forza propulsiva di una nuova concezione dell'uomo; l'eros, tuttavia, può tradursi anche in ossessioni morbose, come in André Masson, Sebastian Matta e Delvaux, nei quali questo tema è legato alle simbologie della morte. Salvador Dalí offre immagini del corpo legate a incubi di castrazione, onanismo, voyeurismo. Nell'universo di Joan Miró la pittura figurale si intravede nei segni embrionali dai colori puri; un repertorio di piccole, mobili forme reinventa la figura umana come insieme di metafore vegetali o cosmiche. Babele di linguaggi e ritorno 'all'ordine' Nei primi decenni del Novecento, parallelamente alle avanguardie, artisti che non fanno riferimento a esse, pur essendo lontani dalla cultura accademica tradizionale, propongono una serie di specifiche, peculiari visioni del corpo. Parigi è il centro più vivace; è lì infatti che si forma la cosiddetta école de Paris punto d'incontro di artisti di tutto il mondo, crocevia di correnti e percorsi individuali in stretto rapporto con le più importanti esperienze letterarie. Domina la personalità di Picasso che, dopo l'esperienza cubista, attraversa tutti i movimenti con una vastissima produzione nel cui ambito muta continuamente linguaggio. Durante gli anni della Prima guerra mondiale Picasso recupera, anticipando una tendenza che pochi anni dopo si estenderà in tutta Europa, le forme classiche del corpo, per poi tornare alle ricerche cubiste che mescola a suggestioni surrealiste con instancabile creatività. A Parigi dimorano stabilmente o per lunghi periodi Georges Braque, Matisse, Hans Arp, Georges Rouault; gli artisti provenienti dall'Europa centro orientale, Marc Chagall, Chaïm Soutine, Constantin Brancusi; gli italiani Amedeo Modigliani, Gino Severini, De Chirico, Savinio, Filippo De Pisis. Le loro opere danno vita al più vario campionario di corpi: grotteschi, macerati, profilati da marcati contorni neri nelle figure di prostitute di Rouault; sospesi nell'aria, senza testa, per metà zoomorfi, nel colorato mondo lirico, fantasioso di Chagall, intriso di nostalgia per la nativa Russia; sensuali e armoniosi, compresi in una visione unitaria e volumetrica, nei nudi di Modigliani, dai volti allungati e malinconici. Nella scultura il corpo è interpretato riducendo l'anatomia a volumi essenziali, a forme archetipe sintetizzate in soluzioni formali di grande nitore. Brancusi, Arp, Modigliani, attratti inizialmente dall'arte primitiva, si avvicinano all'astrazione, pur conservando un rapporto con le forme naturali. Brancusi vuole raggiungere l'essenza del corpo, la forma più semplice ed elementare, elevata a perfezione assoluta. La testa umana non è altro che il puro, ideale volume ovoidale sul quale è rimasta una labile traccia di lineamenti. Le 'concrezioni plastiche' di Arp riducono il corpo in forme levigate, compatte e tondeggianti. A questo tipo di lettura del corpo è vicina l'opera di Henry Moore, le cui figure trasmettono un senso di vitalità e di crescita organica desunte da forme naturali, anche quando sono interpretate in chiave fantastica. Nell'immediato dopoguerra, in molti centri europei, il corpo è riportato alla solidità delle forme tradizionali; a Parigi alcuni protagonisti delle avanguardie dei primi del secolo, come Picasso e André Derain, ne propongono l'immagine in chiave naturalistica; le forme, compatte e stabili, sono improntate ai valori della storia e della classicità. Questo fenomeno si inscrive in una generale tendenza delle arti figurative europee verso un riassetto stilistico che ripropone canoni di armonia, di riconquista della forma, attraverso un linguaggio piano, essenziale, e l'uso di iconografie tradizionali, come il nudo, il ritratto. È il cosiddetto 'ritorno all'ordine', che segna l'abbandono dei modi sperimentali delle avanguardie e il recupero dei valori figurativi del passato. In Italia, alcuni artisti rivelano, nella resa del corpo, una vena intimista legata ai repertori iconografici più abituali. Severini ripropone il tema della maternità; Carlo Carrà rielabora nel corpo valori di arcaismo e classicità; Felice Casorati dipinge nudi in atmosfere di silenzio e mistero, tipiche del 'realismo magico'. Un fenomeno nuovo degli anni Trenta è l'attenzione nei riguardi del problema sociale: l'arte è promossa e utilizzata per sostenere le ideologie dominanti; nella decorazione degli edifici pubblici si diffonde il muralismo, in cui l'uomo è raffigurato con una sottolineatura degli aspetti connessi al lavoro. Nel 1937 compare a Parigi, in occasione dell'Esposizione universale, l'opera di Picasso Guernica. La grande tela, dedicata al bombardamento di un villaggio spagnolo effettuato dall'aviazione tedesca nel periodo della guerra civile, rappresenta un atto di impegno politico da parte dell'artista. Il grande pannello monocromo mostra un'umanità disperata e impotente sottoposta al massacro. Picasso dipinge con linguaggio cubista forme spezzate, in frammenti, di uomini, animali, cose; ma l'opera non è esente da riferimenti alla tradizione figurativa classica, da Raffaello a Grünewald, a David. Partendo dall'esempio di Guernica, molti altri artisti in Europa si mobilitano in difesa dei valori della civiltà, negando l'idea di un'arte celebrativa asservita al potere ed esprimendo, in un linguaggio tra l'espressionismo e il realismo, una decisa rivolta contro la dittatura. Negli anni Quaranta, i disastri della guerra e l'orrore dei campi di concentramento lacerano la coscienza dell'uomo e con essa l'immagine che egli ha di sé stesso. L'unità perduta. Tracce del corpo Dopo la Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti assumono un ruolo guida nelle nuove tendenze artistiche. Nella produzione che va dalla metà degli anni Quaranta ai Sessanta, il corpo quasi scompare, almeno se si considerano i fenomeni più importanti dell'arte americana ed europea accorpabili nell''arte informale'. Le nuove correnti muovono, soprattutto in Europa, dalla 'filosofia della crisi', dal pensiero esistenzialista: è il tema dell'angoscia, della condizione di alienazione e di illibertà dell'individuo nella società moderna. In pittura si assiste a un ritorno al quadro come superficie, pur nell'assenza di qualsiasi convenzione rappresentativa; è esclusa la forma, anche quella astratta, sostituita dalla materia. L'immagine scaturisce da un'esecuzione veloce, di getto, dalla vitalità del 'gesto' istintivo, guidato da vettori remoti, sconosciuti anche all'artista: è l'action painting, la pittura di azione, l'espressionismo astratto. Nell'atto istintivo ed emotivo del fare, il pittore esprime un impulso che coinvolge il corpo intero, non solo la mano e il braccio, al di là di ogni intenzionalità comunicativa. L'artista non 'rappresenta' il corpo, lo 'usa' in chiave espressiva: Jackson Pollock cammina sulla tela stesa per terra e vi fa gocciolare il colore direttamente dal barattolo, l'immagine nasce da un movimento impaziente, automatico, estemporaneo; altri artisti effettuano performance di vario tipo sul corpo: nelle Antropometrie (1960) Yves Klein imprime sulla tela 'segni', tracce colorate di corpi dipinti di modelle in carne e ossa. Siamo ancora in presenza del quadro, di uno spazio 'deputato' su cui l'artista opera. Nella body art (v. oltre, cap. 4), che adotta anche i mezzi della danza, del teatro, della fotografia, l'artista sottopone il proprio corpo a pratiche sado-masochistiche o lo usa in chiave narcisistica. Piero Manzoni ironizza sul concetto feticistico dell''oggetto d'arte' come 'espressione', e giunge all'estrema provocazione di usare prodotti del proprio corpo come rifiuti significativi: soffia in palloncini (Fiato d'artista, 1960) e inscatola i propri escrementi (Merda d'artista, 1961) consacrandoli con data e firma. Una vaga sembianza della primigenia forma del corpo si trova nell'opera di alcuni artisti che si collocano a metà strada tra il figurativo e l'astratto: entro una materia fatta di detriti, spessori irregolari, grumi di colore, l'immagine del corpo 'riaffiora' in un tessuto tipicamente informale. All'inizio degli anni Cinquanta Jean Dubuffet e Willem De Kooning riprendono l'archetipo femminile come immagine primordiale e senza tempo. Nel ciclo Corpi di donne, Dubuffet dipinge corpi il cui aspetto demolisce l'idea di bellezza femminile consolidata nell'arte occidentale; figure dalla testa piccola e dal corpo enorme, con l'evidente enfatizzazione del ventre, indicano un tipo di bellezza più vasto, ancestrale, che evoca i fluidi vitali e simboleggia la maternità, come le Veneri steatopigie. Il disegno di tipo infantile e arcaico scalfisce la materia del colore, spesso lavorato con le dita e impastato con materiali eterogenei. Le figure femminili di De Kooning, robuste e icastiche, rappresentano, con una dose di amara ironia, il dramma della donna moderna. I grandi occhi, il seno prosperoso, il sorriso seducente, che costituisce lo stereotipo femminile delle riviste patinate, si trasformano in una maschera orrida, emblematica dell'essere umano nella realtà sociale americana, e la figura della donna assume un aspetto aggressivo, selvaggio, predatorio. Altri artisti stilizzano il corpo, lo deformano e lo manipolano in vari modi. Le figure filiformi di Alberto Giacometti sono scarnificate, smaterializzate, ridotte a 'segni', sottili elementi verticali dai contorni frammentati, quasi rosi dallo spazio circostante, 'apparizioni e sparizioni', come sono state definite da Jean-Paul Sartre. Eterni e contemporanei, fragili e imperituri, questi corpi sembrano racchiudere tutta la storia della rappresentazione figurativa dell'uomo. I personaggi di Francis Bacon hanno un corpo terrificante e contorto, nel quale non c'è differenza tra interno ed esterno, fatto di lacerti che sembrano visceri; il volto, privo di tratti fisionomici, sfigurato da smorfie o urla, reca impresso il marchio di un dolore acuto, l'assenza di speranza dell'uomo contemporaneo. Le interpretazioni del corpo degli ultimi decenni sono influenzate dai linguaggi della fotografia, del cinema, dei fumetti. Diversamente dalla cultura europea, più legata ai modelli della storia dell'arte, negli Stati Uniti la sperimentazione di nuovi mezzi, in un contesto ad alto contenuto tecnologico, porta a lavorare sul presente, sulla società dei consumi, sull'immagine urbana, con un'adesione feticistica. Il corpo 'iperrealista' è guardato con un'ottica distaccata e oggettiva, propria della fotografia, ma quanto più l'immagine è registrata fedelmente, tanto più risulta impersonale, anonima, atemporale. Così è nel calco della figura umana, realizzato con colature di fibra di vetro e resina, con l'imitazione dei colori naturali del corpo e dell'epidermide, a volte vestito con abiti veri. I dati particolari ottenuti con la specializzazione tecnologica impediscono una visione più generale, 'storica', della vita. Una produzione di tipo figurativo permane tuttavia in Europa fino ai nostri giorni, per es. nell'opera di David Hockney e in quella di Lucien Freud. Concludendo questa rassegna, per chiudere il cerchio della nostra riflessione, non possiamo non accennare a un linguaggio antichissimo e attuale, ripreso soprattutto dalla fine degli anni Settanta, quello dell''impronta del corpo'. L'impronta su una superficie, sulla sabbia, sulla terracotta, è l'indizio di un passaggio, la traccia di un'esistenza, il fare più diretto, immediato, elementare. Essa ci riporta indietro ai primordi, all'impronta della mano preistorica sulla parete della grotta di Gargas, immagine archetipa, uno dei primi segni della presenza dell'uomo nel mondo.
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