IMMANUEL Romano (Immānū'ēl ben Shĕlümüh; Manoello giudeo)
Poeta ebreo, nato a Roma fra il 1268 e il 1274 all'incirca. Oltre che a Roma, dimorò in varie altre città italiane, a quanto pare come pedagogo presso famiglie ebraiche agiate. Morì dopo il 1328.
I suoi numerosi scritti ebraici, in versi e in prosa rimata, furono da lui stesso riuniti in una raccolta sul tipo delle maqāmāt arabe e delle composizioni neolatine miste di prosa e di versi. La raccolta consta di una introduzione e di ventotto maḥbārüt o "composizioni" (è questo il termine tecnico ebraico corrispondente a quello arabo di maqāmāt), ed è designata appunto col titolo di Maḥbārüt. Il suo contenuto è svariatissimo: vi si trovano poesie amorose, conviviali, encomiastiche, giocose, epigrammi, enigmi, epistole, elegie e anche alcuni inni religiosi. Ma le composizioni serie sono in minoranza; nella più gran parte delle Maḥbārüt I. si propone soltanto lo scopo di divertire il lettore con la sua simpatica vivacità, con l'ininterrotto fuoco di fila delle sue arguzie, e con la maestria di cui dà prova nel dominio della lingua ebraica e della fraseologia biblica, usata spesso scherzosamente in senso diverso da quello dell'originale. Nel metro e nello stile, nelle immagini e nelle espressioni, negli argomenti e nel modo di trattarli egli suol prendere a modello i poeti ebrei di Spagna e in particolar modo Yĕhūdāh al-Hărīzī, ma in parte non piccola ha l'occhio alla poesia italiana del tempo suo. Coi metri arabo-ebraici egli riesce a riprodurre il ritmo dei versi italiani; ed è il primo ad introdurre nella poesia ebraica la forma metrica italiana del sonetto. Nei suoi versi d'amore egli imita spesso i concetti e la fraseologia del dolce stil nuovo; gli ultimi tre versi di un suo sonetto sono la traduzione quasi letterale di tre versi di un sonetto di Dante. Un suo serventese è un rifacimento ebraico del Serventese del maestro di tutte l'arti di Ruggeri Apugliese. La ventottesima e ultima delle Maḥbārüt, tutta in prosa rimata, è una visione d'oltretomba, che non solo nella concezione generale, ma anche in molti particolari mostra evidenti tracce di imitazione dantesca. Immanuel scrisse anche in ebraico diversi commentarî biblici e operette minori, e in italiano sonetti giocosi e una frottola intitolata Bisbidis. La notizia più volte ripetuta che egli fosse amico personale di Dante non ha appoggio sufficiente nelle fonti; invece è sicuro che egli fu in rapporti amichevoli con Bosone da Gubbio e con Cino da Pistoia.
Edizioni delle Maḥbārüt: Brescia 1491, Costantinopoli 1535, Berlino 1796, Leopoli 1870; un'ottima edizione moderna sulla base dei manoscritti è stata cominciata a pubblicare da H. Brody (I, Berlino 1926). Dei sonetti italiani l'ultima edizione è quella dei Massera, Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli (I, Bari 1920, pp. 145-147; v. anche II, pp. 93-94,136); del Bisbidis l'ultima edizione è quella del De Bartholomaeis, Rime giullaresche e popolari d'Italia (Bologna 1926, pp. 68-71).
Bibl.: U. Cassuto, L'elemento italiano nelle Mechabberot, in Rivista Israelitica, II-III (1906); id., Dante e Manoello, Firenze 1921; id., in Encyclopaedia Judaica, s. v.; J. Schirmann, Die hebräische Übersetzung der Makamen des Hariri, Francoforte s. M. 1930, pp. 121-125.