Immediata impugnazione del bando di gara
Con la sentenza 26.4.2018, n. 4 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha affermato il principio secondo cui le clausole del bando di gara che non rivestano portata escludente devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere impugnate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura.
Il codice dei contratti pubblici, approvato con d.lgs. 18.4.2016, n. 50, ha portato novità anche nel processo amministrativo e, in particolare, nel rito appalti1. Ha introdotto un rito ancora più veloce anticipando l’onere di impugnazione dei provvedimenti di ammissione alla gara di altri concorrenti, asseritamente viziati per non essere l’operatore economico in possesso dei requisiti soggettivi, economico-finanziari o tecnico-professionali richiesti per partecipare alla gara; il termine di trenta giorni per proporre ricorso decorre dalla pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante del relativo provvedimento, ai sensi dell’art. 29, co. 1, del codice dei contratti. Evidente la ratio sottesa all’intervento del legislatore, id est evitare che a conclusione della procedura, di durata non indifferente, si possa mettere in discussione l’esito per un vizio che è riconducibile ai primi atti della procedura. Ed è proprio in considerazione della finalità della riforma del 2016 che, nell’individuare gli atti immediatamente impugnabili lo schema di decreto di recepimento del codice dei contratti, approvato dal Consiglio dei ministri del 3.3.2016, era andato oltre, disponendo l’immediata impugnazione anche della composizione della commissione di gara. Tale previsione è stata però espunta in adesione al rilievo, sollevato dal Consiglio di Stato nel parere n. 855 dell’1.4.2016 sullo schema di decreto, secondo cui «vista la natura eccezionale del rito, derogatorio rispetto ai termini e alle regole generali, si impone un’attuazione non estensiva della delega; … l’espunzione è anche coerente con la ratio del nuovo rito, volto a definire la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente all’esame delle offerte e alla conseguente aggiudicazione». La pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 4/20182 trae origine proprio dal tentativo, della Sezione III del Consiglio di Stato, di ampliare le ipotesi di immediata impugnazione degli atti della procedura di gara prima che la stessa arrivi a conclusione, andando oltre la portata letterale della norma in considerazione delle finalità che la stessa intende raggiungere. In tal modo il giudice di appello ha riaperto una tematica che era stata, negli anni, oggetto di ampio dibattito dottrinario e giurisprudenziale ma che aveva trovato un punto fermo nella sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 29.1.2003, seppure con qualche tentativo, fallito, di rimeditare le conclusioni del 2003. In particolare, la sentenza n. 1/2003 aveva chiarito che le clausole del bando che debbono essere immediatamente impugnate sono, di norma, quelle che prescrivono requisiti soggettivi di ammissione o di partecipazione alle gare per l’aggiudicazione, dal momento che la loro asserita lesività non si manifesta e non opera per la prima volta con l’aggiudicazione, bensì nel momento anteriore nel quale tali requisiti sono stati assunti come regole per l’amministrazione. Sussiste ancora un dovere di immediata impugnazione del bando di gara o della lettera di invito con riferimento a clausole, in essi contenute, che impongano, ai fini della partecipazione, oneri assolutamente incomprensibili o manifestamente sproporzionati ai caratteri della gara o della procedura concorsuale, e che comportino sostanzialmente l’impossibilità per l’interessato di accedere alla gara ed il conseguente arresto procedimentale. L’Alto Consesso aveva invece escluso l’onere di immediata impugnazione: a) delle clausole del bando riguardanti la composizione ed il funzionamento del seggio di gara; b) delle prescrizioni del bando che condizionano, anche indirettamente, la formulazione dell’offerta economica tra le quali anche quelle riguardanti il metodo di gara, il criterio di aggiudicazione e la valutazione dell’anomalia; c) delle clausole del bando che definiscono gli oneri formali di partecipazione. Come si è detto, l’orientamento dell’ A.P. n. 1/2003 è stato seguito in modo pressoché costante dai giudici di primo e di secondo grado. Qualche tentativo di ampliare le ipotesi di obbligo di immediata impugnazione della lex specialis di gara si è avuto da parte della Sezione VI del Consiglio di Stato, che per tre volte ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria, senza peraltro che questa decidesse sul punto. Con una prima ordinanza 18.1.2011, n. 351 la Sezione VI aveva riproposto la questione sul duplice rilievo, da un lato dei costi di rinnovo dell’intera gara ove ad aggiudicazione avvenuta il giudice, dinanzi al quale è stata impugnata l’aggiudicazione, ha accolto il motivo proposto avverso il bando; dall’altra, della mancanza di una ragione per cui le clausole, escludenti o meno che siano, ritenute illegittime non debbano essere immediatamente impugnate. Sotto quest’ultimo profilo l’ordinanza ha fatto leva sul principio di buona fede oggettiva, contenuto negli artt. 1337 e 1338 c.c., la cui violazione genera la responsabilità della «parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte», giungendo a sostenere che «quell’affidamento, così spesso invocato a danno della p.a., debba valere anche a favore di quest’ultima, nel momento in cui un soggetto chiede e sia ammesso a partecipare ad un procedimento sulla cui onerosità e complessità non è necessario ricordare»3. Con successiva ordinanza 8.5.2012, n. 2633 ancora la Sezione VI ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria sulla base delle stesse argomentazioni della precedente ord. n. 351/20114. Una terza ordinanza (1.2.2013, n. 634), sempre della Sezione VI, ha nuovamente rimesso la questione all’Adunanza Plenaria affermando che «le imprese partecipanti a procedure contrattuali ad evidenza pubblica dovrebbero ritenersi tenute ad impugnare qualsiasi clausola del bando illegittima, entro gli ordinari termini decadenziali». Ciò in quanto, con la domanda di partecipazione alla gara le imprese concorrenti divengono titolari di un interesse legittimo, quale situazione soggettiva protetta corrispondente all’esercizio di un potere, soggetto al principio di legalità ed esplicato, in primo luogo, con l’emanazione del bando. A qualsiasi vizio di quest’ultimo si contrappone, pertanto, l’interesse protetto al corretto svolgimento della procedura, nei termini disciplinati dalla normativa vigente in materia e dalla lex specialis5.
A mettere nuovamente in dubbio che le conclusioni, alle quali era pervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 1/2003, fossero ancora attuali dopo la riforma introdotta dall’art. 204 del codice dei contratti pubblici era stata la Sezione III del Consiglio di Stato con la sentenza 2.5.2017, n. 20146, limitatamente alla clausola del bando che individuava il sistema di scelta dell’aggiudicatario. Aveva affermato che il bando di gara, che prevede il sistema di aggiudicazione della gara del massimo ribasso, è immediatamente impugnabile, sussistendo tutti i presupposti per non rinviare all’avvenuta aggiudicazione il ricorso, quali: a) la posizione giuridica legittimante avente a base, quale interesse sostanziale, la competizione secondo meritocratiche opzioni di qualità oltre che di prezzo; b) la lesione attuale e concreta, generata dalla previsione del massimo ribasso in difetto dei presupposti di legge; c) l’interesse a ricorrere in relazione all’utilità concretamente ritraibile da una pronuncia demolitoria che costringa la stazione appaltante all’adozione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ritenuto dalle norme del nuovo codice quale criterio ordinario e generale. Postergare l’impugnazione della lex di gara finanche quando la violazione è già conclamata, può avere un senso solo in relazione a clausole che non violino immediatamente l’interesse del singolo imprenditore, e così certamente non è per quelle che gli impediscono di concorrere sulla qualità. Ad avviso di Cons. St. n. 2014/2017, gli artt. 95, 204 (nella parte in cui prevedono l’immediata impugnabilità dell’ammissione di altri operatori economici), 211, co. 2 (sull’autotutela cd. doverosa), d.lgs. n. 50/2016 rendono, infatti, chiaro che sussiste un bene della vita, che è quello della competizione secondo il miglior rapporto qualità-prezzo, dotato di autonoma rilevanza rispetto all’interesse finale all’aggiudicazione, ed è quindi meritevole di tutela immediata. La rimeditazione dell’ormai pressoché costante orientamento del giudice amministrativo era stata motivata anche con riferimento al rilievo che si sarebbe irragionevolmente derogata la logica bifasica (ammissioni/esclusioni prima fase; aggiudicazione seconda fase) che ha caratterizzato il nuovo approccio processuale in tema di tutela, poiché è evidente che l’illegittimità del bando, sub specie del criterio di aggiudicazione, è un prius logico giuridico rispetto alle ammissioni, condizionandole e rendendole illegittime in via derivata. Con il risultato che l’intento di affrancare il contenzioso sull’aggiudicazione da tutte le questioni sollevabili in via incidentale dal controinteressato (e, fra queste, anche quelle relative all’illegittimità del bando, strumentali all’utilitas della riedizione della gara), che ha ispirato la formulazione delle nuove norme processuali, risulterebbe tradito proprio in relazione ad aspetti basilari della prima fase. La riforma del 2016 del codice dei contratti, nel prevedere l’onere di immediata impugnazione dell’ammissione degli altri concorrenti, si contrappone ad una granitica giurisprudenza del giudice amministrativo, formatasi sulla portata dell’art. 100 c.p.c., secondo cui «…per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse…»7; tale evoluzione dà sostanza e tutela ad un interesse al corretto svolgimento della gara, scisso ed autonomo, sebbene strumentale, rispetto a quello all’aggiudicazione. Ed è proprio questo interesse che giustificherebbe un onere di immediata impugnazione anche delle clausole della lex specialis di gara che, sebbene non inibiscano la partecipazione alla procedura, tuttavia la inficiano perché viziate. Ha aggiunto la sentenza n. 2014/2017 che poiché secondo l’orientamento tradizionale il ricorrente è ammesso a far valere la violazione dell’obbligo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, insieme a tutti gli altri vizi di legittimità del bando che non attengano a clausole escludenti, a prescindere se la mancata aggiudicazione sia riferita, o meno, proprio all’operare di quella clausola ‒ non essendo cioè necessaria la dimostrazione che, in assenza del vizio, l’aggiudicazione sarebbe stata senz’altro riconosciuta al ricorrente ‒ non sussiste ragione alcuna per attendere, al fine di invocare tutela, che la procedura si concluda con l’aggiudicazione a terzi. La stessa Sezione III, peraltro, a fronte di un contrasto giurisprudenziale formatosi sulla possibilità di considerare superato, almeno in alcune ipotesi, l’orientamento consolidatosi all’indomani della A.P. n. 1/20038, con ordinanza 7.11.2017, n. 5138 ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. Ha chiarito che la questione sottoposta all’Alto Consesso riguarda l’esatta definizione dei casi in cui, nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici (così come di qualsiasi procedura selettiva o concorsuale), sussiste l’onere di immediata impugnazione del bando o di altri provvedimenti conclusivi di autonome fasi dell’iter, autonomamente lesivi, diversi dall’atto finale di aggiudicazione. Sebbene nella vicenda processuale all’esame della Sezione il punto controverso riguardi, in particolare, l’impugnazione delle clausole del bando di gara concernenti la scelta della stazione appaltante di procedere con il metodo di aggiudicazione del prezzo più basso, in luogo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, secondo il parametro del miglior rapporto tra qualità e costo, risulta però evidente che il tema proposto, riguardante l’individuazione delle ipotesi in cui si manifesta l’immediata lesività di atti intermedi di sequenze procedimentali complesse, non possa essere isolato al solo caso della determinazione del criterio di selezione dell’offerta, ma richieda una rivisitazione complessiva dei risultati ermeneutici cui è approdata la giurisprudenza prevalente, espressa dall’Adunanza Plenaria n. 1/2003, tenendo conto degli ulteriori, talvolta divergenti, indirizzi interpretativi sviluppatisi a partire da tale momento. L’ordinanza, aderendo ai rilievi espressi dalla stessa Sezione con la sentenza n. 2014/2017, ha aggiunto che se non v’è dubbio che l’avere previsto una legittimazione anticipata del concorrente, svincolata dall’altrui chances di aggiudicazione, oltre che dalle proprie, ha significato riconoscere un bene della vita diverso, autonomo anche se strumentale rispetto a quello squisitamente personale dell’aggiudicazione (ossia l’interesse a competere esclusivamente con chi ne ha titolo), è parimenti pacifico che questo bene della vita si colloca, su di un piano gerarchico, in posizione gradata rispetto all’interesse del concorrente ad una disciplina della gara che sia conforme ai criteri di legge in base ai quali l’operatore si è attrezzato per competere (su tutti il criterio di aggiudicazione). Ha aggiunto l’ordinanza che l’art. 95 del nuovo codice dei contratti pubblici, dopo avere affermato che «i criteri di aggiudicazione non conferiscono alla stazione appaltante un potere di scelta illimitata dell’offerta» e che «essi garantiscono la possibilità di una concorrenza effettiva e sono accompagnati da specifiche che consentono l’efficace verifica delle informazioni fornite dagli offerenti al fine di valutare il grado di soddisfacimento dei criteri di aggiudicazione delle offerte», ha imposto l’offerta economicamente più vantaggiosa come criterio principale, e il massimo ribasso come criterio del tutto residuale utilizzabile solo in alcuni tassativi casi, e comunque previa specifica ed adeguata motivazione. Il criterio di aggiudicazione cessa dunque di essere un mero criterio tecnico economico, servente rispetto agli standard desiderati dell’amministrazione, e necessitante, in quanto tale, ai fini di una sua astratta sindacabilità, della prova di resistenza (ossia la prova che, ove il criterio fosse stato diverso, le chances di aggiudicazione sarebbero cresciute), e diviene una prescrizione di legge vincolante, a garanzia della qualità delle prestazioni e della corretta dinamica concorrenziale che fisiologicamente presuppone nel committente un’aspettativa in termini di miglior rapporto qualità/prezzo. nel rimettere la questione l’ordinanza ha anche suggerito all’Alto Consesso la soluzione più corretta, affermando che «l’approdo più coerente con l’evoluzione della posizione giuridica di interesse legittimo tracciata, potrebbe essere quello di affermare che tutte le clausole attinenti le regole ‘formali’ e ‘sostanziali’ della gara debbano essere immediatamente impugnate, con eccezione delle prescrizioni generiche e incerte, il cui tenore eventualmente lesivo è destinato a disvelarsi solo con i provvedimenti attuativi». Lo “strappo” ai principi generali, lungi dal costituire una rivisitazione della teoria della concretezza ed attualità della lesione ai fini dell’esperimento della tutela demolitoria, si inserirebbe, sempre ad avviso di Cons. St., ord. n. 5138/2017, nel solco della specialità del settore dei pubblici appalti, rinvenendo in quest’ultima la sua ratio ultima9. L’Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 4/2018, non ha aderito alle conclusioni dell’ordinanza di rimessione, riconfermando, di contro, l’orientamento del 2003. Ha accolto solo l’incipit della Sezione III, secondo cui «non è praticabile l’opzione ermeneutica, astrattamente prospettabile, secondo la quale le esigenze di ampliare la tutela giurisdizionale in coerenza del canone di effettività della tutela imposto dal diritto dell’Unione europea, implicherebbero che l’operatore economico potrebbe scegliere se impugnare immediatamente il bando o attendere l’esito della procedura. Al contrario, deve porsi una chiara delimitazione delle ipotesi in cui un atto è lesivo, generando l’onere di tempestiva e autonoma impugnazione». diverse le argomentazioni dell’Adunanza Plenaria a supporto delle proprie conclusioni. In primo luogo la conferma dell’attualità dell’arresto dell’Adunanza Plenaria del 2003 è, ad avviso dell’Alto Consesso, nel codice del processo amministrativo, che avrebbe «conferito rango legislativo all’impostazione della decisione» della A.P. laddove, al co. 5, dell’art. 120, precisa che per i bandi e gli avvisi con cui si indice una gara, «autonomamente lesivi», il termine per l’impugnazione decorre dalla pubblicazione. Prescrizione questa che, ad avviso della A.P. n. 4/2018, sembra interpretabile nel senso che tale eventualità sia ravvisabile soltanto nell’ipotesi in cui il bando presenti clausole escludenti, e tale non è la clausola del bando inerente al criterio di aggiudicazione10. Ha aggiunto che nel momento iniziale della procedura il concorrente che ritiene illegittima la clausola inerente il criterio di aggiudicazione sarebbe, seguendo la prospettazione della Sezione rimettente, onerato ad impugnarla solo sulla base del timore di una futura ed ipotetica lesione, al fine di tutelare un interesse (quello strumentale alla riedizione della gara), certamente subordinato rispetto all’interesse primario (quello a rendersi aggiudicatario), del quale non sarebbe certa la non realizzabilità; unico risultato certo sarebbe un aumento del contenzioso e, paradossalmente, un rallentamento dell’espletamento delle procedure di gara perché la stazione appaltante difficilmente proseguirebbe le operazioni prima della decisione del ricorso proposto avverso il bando. L’Adunanza Plenaria ha quindi richiamato l’art. 211 d.lgs. n. 50/2016, sia nel testo originario interpolato dal d.lgs. 19.4.2017, n. 56, che in quello vigente, siccome novellato dal d.l. 24.4.2017, n. 50, disciplinante dapprima (co. 2) l’istituto delle raccomandazioni vincolanti dell’Autorità nazionale anticorruzione e, dopo la sua abrogazione, la legittimazione dell’ANAC all’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (co. 2-bis). Il legislatore sembra aver circoscritto in capo all’Autorità anticorruzione l’interesse a che i bandi vengano emendati immediatamente da eventuali disposizioni (in tesi) illegittime, seppure non escludenti, attribuendole il potere diretto di agire in giudizio nell’interesse della legge. L’Adunanza Plenaria ha anche chiarito che la conclusione cui è giunta non si pone in contrasto logico con la novella introdotta nel rito appalti dall’art. 204 (sulla quale v. retro § 1) che, per evitare di rimettere in discussione l’intera gara con l’impugnazione, unitamente all’aggiudicazione, anche dell’ammissione di altro concorrente, ha riconosciuto autonoma rilevanza ad un interesse procedimentale (quello legato alla corretta formazione della platea dei concorrenti). I co. 2-bis e 6-bis, dell’art. 120 c.p.a. non sono, ad avviso dell’Alto Consesso, espressivi di un principio generale secondo cui tutti i vizi del bando dovrebbero essere immediatamente denunciati, ancorché non strutturantisi in prescrizioni immediatamente lesive in quanto escludenti, avendo il legislatore perimetrato l’interesse procedimentale (cristallizzazione della platea dei concorrenti, ammissioni ed esclusioni) di cui favorire l’immediata emersione, attraverso una puntuale e restrittiva indicazione dell’oggetto del giudizio da celebrarsi con il rito superaccelerato11. né la scelta limitativa del legislatore potrebbe essere tacciata di illogicità, atteso che l’anticipata emersione di tale interesse procedimentale si giustifica in quanto la maggiore o minore estensione della platea dei concorrenti incide oggettivamente sulla chance di aggiudicazione, mentre le censure attinenti clausole non escludenti del bando perseguono semmai la diversa ‒ e subordinata ‒ finalità della ripetizione della procedura. La riforma del 2016 non è dunque espressione di un principio generale volto ad affermare l’immediata impugnabilità di atti preparatori e la tutelabilità immediata di interessi procedimentali, ma una deroga positivamente prevista al diverso principio generale che vuole l’impugnabilità del bando per vizi che non siano immediatamente escludenti unitamente all’atto applicativo.
La conclusione alla quale perviene l’Adunanza Plenaria n. 4/2018 appare condivisibile. La riforma del rito appalti del 2016 sembra rappresentare una “fuga in avanti” nel limitare i casi di impugnazioni una volta pervenuta a conclusione la gara, rendendo autonomamente ed immediatamente impugnabili gli atti illegittimi intervenuti nel corso del procedimento anche se non ancora lesivi (ad es. l’ammissione di un concorrente, che diventa lesiva solo nel momento in cui lo stesso si aggiudica la gara) nell’intento di non mettere in discussione una intera gara per i vizi che inficiano un atto iniziale della stessa. ma tale finalità non può arrivare a superare i principi informatori del processo amministrativo, come avallati da granitica giurisprudenza del giudice amministrativo, formatasi sulla portata dell’art. 100 c.p.c., secondo cui «…per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse…»12. Le conclusioni alle quali è pervenuta l’Adunanza Plenaria n. 4/2018, muovendosi proprio nell’alveo dei concetti elaborati dalla giurisprudenza (in particolare, dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 23.2.2014, n. 9), rendono ancora più evidente come probabilmente poco giustificata ‒ da un punto di vista strettamente giuridico più che pratico ‒ sia la riforma introdotta con il co. 2-bis, dell’art. 120 c.p.a. dal legislatore del codice dei contratti pubblici, nella parte in cui ha introdotto l’onere di immediata impugnazione delle ammissioni dalla gara. Ha ricordato l’Adunanza Plenaria nel 2014 che l’azione di annullamento davanti al giudice amministrativo è soggetta – sulla falsariga del processo civile – a tre condizioni fondamentali che, valutate in astratto con riferimento alla causa petendi della domanda e non secundum eventum litis, devono sussistere al momento della proposizione della domanda e permanere fino al momento della decisione; tali condizioni sono: a) il cd. titolo o possibilità giuridica dell’azione ‒ cioè la situazione giuridica soggettiva qualificata in astratto da una norma, ovvero, come altri dice, la legittimazione a ricorrere discendente dalla speciale posizione qualificata del soggetto che lo distingue dal quisque de populo rispetto all’esercizio del potere amministrativo; b) l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. (o interesse al ricorso, nel linguaggio corrente del processo amministrativo); c) la legitimatio ad causam (o legittimazione attiva/passiva, discendente dall’affermazione di colui che agisce/resiste in giudizio di essere titolare del rapporto controverso dal lato attivo o passivo). L’interesse ad agire, come ha chiarito l’Alto Consesso nel 2014, è scolpito nella sua tradizionale definizione di bisogno di tutela giurisdizionale, nel senso che il ricorso al giudice deve presentarsi come indispensabile per porre rimedio allo stato di fatto lesivo; è dunque espressione di economia processuale, manifestando l’esigenza che il ricorso alla giustizia rappresenti extrema ratio; da qui i suoi caratteri essenziali costituiti dalla concretezza ed attualità del danno (anche in termini di probabilità), dalla posizione soggettiva di cui si invoca tutela; esso resta logicamente escluso quando sia strumentale alla definizione di questioni correlate a situazioni future e incerte perché meramente ipotetiche13. La mancanza di certezza della non aggiudicazione della gara a fronte di una clausola del bando non escludente rende inconfigurabile l’interesse alla sua impugnazione prima della conclusione della procedura ad evidenza pubblica, con esito non favorevole. Solo la clausola che preclude la partecipazione alla gara ingenera già la lesione alla sfera giuridica dell’operatore economico e lo legittima ad impugnare. Lesività che invece non è configurabile con riferimento all’immediata impugnazione delle ammissioni alla gara di concorrenti, introdotta dal co. 2-bis, dell’art. 120 c.p.a. dunque la deroga al principio generale per il quale, per poter agire in giudizio occorre che la lesione si sia già concretizzata e non sia solo temuta, ha richiesto una copertura normativa (l’art. 204 del codice dei contatti pubblici), copertura che le conclusioni alle quali è pervenuta l’ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria n. 4/2018 non hanno14. Infine, e per concludere, sembra potersi dire che non sono destituiti di fondamento i timori che la riforma operata con l’introduzione del co. 2-bis porti ad aumentare il contenzioso in un settore nel quale, invece, il contenimento dello stesso appare un valore da tutelare. In quest’ottica, dunque, è certamente condivisibile l’arresto dell’Adunanza Plenaria n. 4/2018, che ha giustamente osservato come al di là delle argomentazioni di carattere strettamente processualistico, diversamente opinando verrebbe a complicarsi un quadro già frastagliato, sino ad ipotizzare tre diverse occasioni in cui il medesimo giudice è chiamato a pronunciarsi sulla medesima gara: tale frammentazione non sembra giustificata dall’emersione di un interesse reale, dovendosi ribadire che l’interesse dell’operatore economico ad ottenere una lex di gara che gli consenta di competere secundum legem, quando non espressamente tutelato con una norma primaria, è recessivo rispetto all’interesse di questi ad ottenere l’aggiudicazione, e che ove eventualmente resosi aggiudicatario, l’operatore non avrebbe alcun interesse a contestare una lex specialis che comunque gli ha attribuito il bene della vita cui aspirava.
1 Per una panoramica delle novità processuali sia consentito rinviare a Ferrari, Gi., Il nuovo rito appalti, in Libro dell’anno del Diritto 2017, Roma, 2017, 737 ss.
2 La A.P. n. 4/2018 si è anche pronunciata su un altro tema, non risolto dalla precedente A.P. n. 3/2001, relativo alla necessità o meno della domanda di partecipazione alla gara quale condizione di impugnabilità. La A.P. n. 3/2001, infatti, non si è pronunciata espressamente sul punto, ma, indicando la presentazione della domanda di partecipazione come elemento necessario a qualificare l’interesse del soggetto rispetto alla procedura, pare richiederla quale requisito di ammissibilità dell’impugnazione del bando. La A.P.
n. 4/2018 ha ribadito il consolidato orientamento secondo cui l’operatore del settore che non abbia presentato domanda di partecipazione alla gara non è legittimato a contestare le clausole di un bando di gara che non rivestono nei suoi confronti portata escludente, precludendogli con certezza la possibilità di partecipazione. non sussistono, ad avviso dell’Adunanza Plenaria, ragioni per mutare orientamento, tenuto conto che: a) la presentazione di una domanda di partecipazione alla gara non sembra imporre all’operatore del settore alcuno spropositato sacrificio; b) in alcun modo la detta domanda di partecipazione può pregiudicare sul piano processuale il medesimo, tenuto conto della granitica giurisprudenza secondo cui nelle gare pubbliche l’accettazione delle regole di partecipazione non comporta l’inoppugnabilità di clausole del bando regolanti la procedura che fossero, in ipotesi, ritenute illegittime, in quanto una stazione appaltante non può mai opporre ad una concorrente un’acquiescenza implicita alle clausole del procedimento, che si tradurrebbe in una palese ed inammissibile violazione dei principi fissati dagli artt. 24, co. 1, e 113, co. 1, Cost., ovvero nella esclusione della possibilità di tutela giurisdizionale; c) la situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo, è ricollegabile unicamente alla partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione: la procedura cui non si sia partecipato è res inter alios acta e non legittima l’operatore economico ad insorgere avverso la medesima (Cons. St., A.P., 7.4.2011, n. 4; Id., 25.2.2014, n. 9). Per completezza espositiva giova aggiungere che la questione è stata sottoposta al vaglio della Corte di giustizia UE dal TAr Liguria, ord., 29.3.2017, n. 263, che ha chiesto al giudice europeo se l’art. 1, §§ 1), 2) e 3), e l’art. 2, § 1), lett. b), della direttiva 89/665/CEE, avente ad oggetto il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, ostino ad una normativa nazionale che riconosca la possibilità di impugnare gli atti di una procedura di gara ai soli operatori economici che abbiano presentato domanda di partecipazione alla gara stessa, anche qualora la domanda giudiziale sia volta a sindacare in radice la procedura, derivando dalla disciplina della gara un’altissima probabilità di non conseguire l’aggiudicazione.
3 Le questioni sollevate con l’ord. n. 351/2011 non sono state, tuttavia, esaminate dall’Adunanza Plenaria la quale, con la sentenza n. 4/2011 incentrata sulla tematica del rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale, si è limitata ad affermarne l’irrilevanza rispetto alla controversia decisa.
4 Anche in questo caso l’Adunanza Plenaria (31.7.2012, n. 31) non ha deciso la questione perché non rilevante ai fini della decisione della res controversa.
5 L’adita Adunanza Plenaria (22.4.2013, n. 8) non ha approfondito la questione, avendo ritenuto legittima la clausola del bando controversa.
6 V. anche TAR Lazio, Roma, 7.8.2017, n. 9249; TAR Basilicata, 27.9.2017, n. 612; TAR Lazio, Roma, 30.11.2017, n. 11875; TAR Sicilia, Catania, 22.1.2018, n. 168; TAR Toscana, 19.2.2018, n. 285. In effetti alle stesse conclusioni del giudice di appello era pervenuto prima ancora il giudice di primo grado (TAR Lazio, Roma, 13.12.2016, n. 12439).
7 Del tutto condivisibilmente Severini, G., Il nuovo contenzioso sui contratti pubblici (l’art. 204 del Codice degli appalti pubblici e delle concessioni, ovvero il nuovo art. 120 del Codice del processo amministrativo), in giustiziaamministrativa.it, 2016, afferma che il legislatore, «abilitando al ricorso immediato, dà per costituito l’interesse a ricorrere, quasi fosse avvenuto a quel riguardo un effetto di lesione al bene della vita: cioè come ad applicarvi – secondo lo schema proprio delle finzioni giuridiche – una fattispecie legale di costituzione della lesione medesima. Il nuovo art. 120, co. 2 bis, c.p.a., senza dirlo (mentre lo diceva espressamente lo schema di decreto legislativo sottoposto al parere del Consiglio di Stato, per il quale i vizi relativi alla ammissione o all’esclusione dalla gara ‘sono considerati immediatamente lesivi’), agisce così sul rapporto tra lesione, interesse a ricorrere e azione in giudizio. La formula mostra che gli atti relativi alla costituzione dei protagonisti della gara sono considerati automaticamente generatori di un distinto interesse a ricorrere: e così è data azione in quanto ne è presunto l’interesse».
8 Fermi sulle posizioni delle A.P. nn. 1/2003 e 4/2011 sono TAr Puglia, bari, 30.10.2017, n. 1109; TAr Veneto, 21.7.2017, n. 731.
9 Sulla portata dell’ordinanza di rimessione n. 5138/2017 all’Adunanza Plenaria v. Casini, R.-Gagliardini, G.-Biancardi, B., L’onere di immediata impugnazione del bando di gara, in federalismi.it, 2018, 2. Ad avviso di berti Suman, A., L’immediata impugnazione delle clausole del bando di gara e il ruolo dell’interesse strumentale nel (nuovo) contenzioso appalti A margine della Adunanza Plenaria n. 4/2018, in giustiziaamministrativa.it, 2018, seguendo l’impostazione della ordinanza di rimessione, l’interesse strumentale non emerge più dopo, come modalità di riparazione della lesione al bene della vita rappresentato dall’aggiudicazione (lesione che, in-vero, è solo potenziale), ma immediatamente con la pubblicazione del bando, identificandosi nell’interesse personale del ricorrente a partecipare ad una gara le cui regole siano legittime. Seppure l’indirizzo evolutivo prospettato dalla III Sezione sia degno di attenzione, in quanto in linea con le istanze di anticipazione della tutela che caratterizzano il momento attuale, la soluzione della Plenaria pare condivisibile, anzitutto, nell’ottica di tutelare al massimo l’operatore economico al quale dev’essere assicurato un sistema di giustizia effettivo.
10 da tale premessa la A.P. n. 4/2018 ha fatto conseguire che ove si arrivasse ad affermare la sussistenza di un obbligo di impugnazione immediata delle prescrizioni non escludenti del bando, ciò probabilmente non potrebbe avvenire in via ermeneutica ma dovrebbe passare per il vaglio della Corte costituzionale sulla compatibilità ‒ rispetto ai precetti di cui agli artt. 24 e 97 Cost. ‒ dell’inciso del co. 5, dell’art. 120 c.p.a. «autonomamente lesivi».
11 Come chiarito da Cons. St., parere dell’1.4.2016, n. 885, l’intento del legislatore è stato infatti quello di definire prontamente la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente all’esame delle offerte, creando un «nuovo modello complessivo di contenzioso a duplice sequenza, disgiunto per fasi successive del procedimento di gara, dove la raggiunta certezza preventiva circa la res controversa della prima è immaginata come presupposto di sicurezza della seconda».
12 Principi retti dal rapporto tra lesione, interesse a ricorrere e azione in giudizio.
13 Con precipuo riferimento alle controversie aventi ad oggetto gare di appalto, il tema della legittimazione al ricorso (o titolo) è declinato nel senso che tale legittimazione deve essere correlata ad una situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione.
14 Solo per completezza espositiva giova ricordare che la scelta del legislatore del 2016 non è andata immune da critiche. È stato affermato (Ferrari, Gi., Il nuovo rito appalti “super speciale”, loc. cit.) che si tratta di scelta che avrà, come effetto sicuro, il proliferare di ricorsi, molti dei quali, nella vigenza della pregressa disciplina, non sarebbero stati proposti per avere il concorrente presentato una offerta non competitiva. Sandulli, M.A., Nuovi limiti alla tutela giurisdizionale in materia di contratti pubblici, in federalismi.it, 2017, 15, spec. 14 ss., ha osservato che «l’ammissione degli altri concorrenti ad una gara pubblica non doveva e non dovrebbe essere immediatamente impugnata, perché non si può pretendere -pena un inaccettabile limite all’effettività della tutela -che un soggetto instauri un giudizio, sopportando oltretutto i gravi oneri del contributo unificato e degli onorari di legali super specializzati che dovrebbero riuscire a rappresentarne le ragioni nonostante i molteplici ostacoli sopra richiamati, senza magari neppure ottenere la sospensione del provvedimento in nome delle riferite esigenze imperative di esecuzione del contratto, per una gara che non sa se potrebbe mai vincere e per contestare l’ammissione di un concorrente di cui non conosce la possibile collocazione in graduatoria». Cocchi, L., Prime osservazioni sul nuovo rito degli appalti, in giustizia-amministrativa.it, 2016, ha affermato che «l’obbligo di impugnazione immediata delle ammissioni altrui a pena di decadenza rompe il collegamento tra l’interesse attuale e concreto, che è stato riconosciuto dover essere alla base della possibilità della impugnazione giurisdizionale, per correlarlo ad una posizione (quella di mero partecipante alla procedura) in realtà priva di quelle connotazioni che secondo l’insegnamento tradizionale erano ritenute indeclinabili per la proponibilità del ricorso. La nuova previsione appare quindi suscettibile di comportare ‒ forse in misura inferiore a quella che si potrebbe immaginare ad un primo acchito – una deflazione del contenzioso ed una maggiore ‘stabilità’ della procedura di gara, ma anche sotto altro profilo un effetto opposto di inflazione del contenzioso, quantomeno con finalità – al di là delle effettive esigenze – cautelative». Sul punto Severini, G., Il nuovo contenzioso sui contratti pubblici, loc. cit., ha avuto modo di osservare che «qualcuno in principio potrebbe avanzare dubbi rispetto agli artt. 24, comma 1 (‘Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi’) e 113, comma 1, Cost. (‘Contro gli atti della Pubblica Amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa’). mentre è dato, per esigenze di certezza, costruire legittimazioni straordinarie, potrebbe non esser dato figurare lesioni che in realtà sono inattuali e astratte: come riconoscere fittiziamente a chi non ne subisce o non ne ha subite ancora. Può essere tuttavia opposto a tali dubbi che, come si è visto, qui si è implicitamente raffigurato un vero e proprio interesse legittimo, di nuovo conio, alla giusta formazione della platea dei concorrenti in gara. non solo: qui l’attribuzione anticipata dell’interesse a ricorrere non coinvolge anche la legittimazione al ricorso, cioè la qualità di titolare dell’azione davanti al giudice amministrativo; e comunque postula l’avvenuta presentazione di una domanda di partecipazione alla gara, fatto che è di radicamento individuale e differenziato rispetto all’estraneo alla vicenda amministrativa».