Abstract
Sono illustrate le caratteristiche essenziali della competenza dell’Unione europea in materia di immigrazione e di asilo e i risultati più significativi che sono stati conseguiti nel controllo delle frontiere e della politica dei visti; nel politica di asilo; nella gestione dell’immigrazione; nelle politiche di integrazione e nella cd. dimensione esterna ti tutte queste politiche.
La competenza dell’Unione europea in materia di immigrazione e di asilo trova collocazione nel capo 2 del titolo V del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Si tratta di una competenza molto ampia, andando dalle misure volte ad assicurare la libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione a quelle sull’attraversamento delle frontiere esterne, sul soggiorno, sull’allontanamento e sulla concessione dello status di rifugiato. La dissolvenza dei tre pilastri ad opera del Trattato di Lisbona ha consentito di estendere a questa politica anche le regole generali vigenti in materia di adozione degli atti e sul ruolo delle istituzioni, politiche e giudiziarie. Permane l’applicazione differenziata a Regno Unito, Irlanda e Danimarca in base a quanto disposto, rispettivamente, dai Protocolli n. 21 e 22, allegati ai Trattati. Nessuna deroga è prevista, invece, per gli altri Stati, neanche per quelli di nuova adesione, per i quali solo vige una graduale applicazione delle norme in materia di eliminazione dei controlli alle frontiere interne, condizionata dall’esito positivo delle periodiche valutazioni previste nel sistema Schengen.
Si tratta di una tipica competenza concorrente, che consente all’Unione di adottare anche atti di armonizzazione nel rispetto dei principi di proporzionalità e di sussidiarietà, rimanendo sempre salvo l’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna (art. 70 TFUE). Rimane anche di competenza esclusiva nazionale la fissazione del numero massimo di lavoratori provenienti da Paesi terzi (art. 79, par. 5, TFUE): una riserva di competenza molto ampia che può consentire agli Stati anche di negare qualsiasi ingresso di cittadini di Paesi terzi per motivi di lavoro.
Inoltre l’art. 67, par. 2, TFUE qualifica la politica come fondata sulla solidarietà tra gli Stati membri ed equa nei confronti dei cittadini di Paesi terzi. Tuttavia il principio di solidarietà, ribadito anche nell’art. 80 TFUE, stenta ad affermarsi in questa materia i cui oneri di gestione pesano maggiormente sugli Stati di frontiera esterna, meridionale e orientale (conclusioni del Consiglio, 8.3.2012).
Quanto alle modalità di attuazione, l’art. 68 TFUE espressamente prevede che il Consiglio europeo definisca gli orientamenti strategici generali per la pianificazione legislativa e operativa nell’ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, come avvenuto con il programma di Tampere (1999-2004), dell’Aja (2004-2009) e di Stoccolma (2009-2013). Da tali programmi è possibile enucleare gli obiettivi e gli elementi portanti di questa politica dell’Unione, nel quadro dei più generali principi e obiettivi dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
In base all’art. 77, par. 1, TFUE l’Unione sviluppa una politica volta a eliminare i controlli alle frontiere interne e a garantire i controlli alle frontiere esterne. È stato così adottato il regolamento n. 562/2006 recante il Codice frontiere esterne (regolamento del 15.3.2006, in GUUE, 13.4.2006, L-105/1-32) con il quale sono state riformulate le norme in materia di attraversamento delle frontiere contenute negli articoli da 2 a 8 della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, ora abrogati. L’eliminazione dei controlli alle frontiere interne è stata possibile anche grazie alla creazione Sistema informatico Schengen (SIS), modificato e ampliato con il cd. SIS II, che consente la registrazione e la consultazione delle segnalazioni effettuate dalle autorità di polizia degli Stati membri (COM(2001)720, 18.12.2001).
I controlli sono effettuati applicando il concetto di sistema integrato di gestione delle frontiere esterne, che vede nell’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne – FRONTEX - l’organismo chiave per la sua attuazione (reg. n. 2007/2004, 26.10.2004, in GUUE, 25.11.2004, L-349/1-11). L’Agenzia svolge azioni di coordinamento dell’attività degli Stati, i quali effettuano i controlli attraverso le proprie guardie di frontiera sulla base delle norme contenute in primis nel Codice frontiere esterne. Resta inoltre salva la competenza esclusiva degli Stati circa la delimitazione geografica delle rispettive frontiere, conformemente al diritto internazionale, ai sensi dell’art. 77, par. 4, TFUE.
Connessa alla politica della gestione delle frontiere è la politica dei visti e degli altri titoli di soggiorno di breve durata (art. 77, par. 2, TFUE). La norma chiave della disciplina è il reg. n. 810/2009, istitutivo del Codice visti, che ha sostituito e innovato quanto già sviluppato in sede di cooperazione Schengen. È stato così consolidato quel sistema di regole condivise per il rilascio dei visti di breve durata che, proprio perché rilasciati secondo regole comuni, consentono la circolazione nel territorio degli altri Stati membri fino ad un periodo massimo di novanta giorni. Per assicurare una parità di trattamento dei richiedenti il visto è stato redatto il Manuale per il trattamento delle domande di visto, destinato a tutto il personale consolare degli Stati membri, in modo da ridurre le differenze nella prassi degli Stati (decisione C(2010)161, 19.3.2010).
Una delle competenze esclusive dell’Unione in questa materia è la definizione dell’elenco dei Paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto per l’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco di quelli i cui cittadini sono invece esenti dal visto (reg. n. 539/2001, 15.3.2001, in GUCE, 25.3.2001, L-81/1-7). La lista dei Paesi, periodicamente aggiornata, è stabilita anche applicando il principio di reciprocità, volto a garantire che i cittadini dell’Unione possano viaggiare per brevi periodi, senza visto, in tutti quegli Stati terzi ai cittadini dei quali è permesso viaggiare senza visto nell’Unione.
La politica di asilo dell’Unione europea è basata sulla nozione di protezione internazionale, che deve rispettare il principio di non respingimento (art. 19 della Carta dei diritti fondamentali) e la Convenzione di Ginevra del 28.7.1951, della quale l’Unione non è parte ma ne sono parti tutti gli Stati membri. Le misure adottate si applicano solo ai cittadini di Paesi terzi in quanto gli Stati membri si considerano reciprocamente Paesi d’origine sicuri a tutti i fini giuridici e pratici connessi alle questioni inerenti l’asilo, come disposto dal Protocollo n. 24 allegato ai Trattati.
L’attuazione di questa politica è avvenuta attraverso una strategia basata su due fasi: la prima, volta a raggiungere un livello minimo di armonizzazione delle norme nazionali con disposizioni che si inseriscono all’interno dell’impianto normativo nazionale con scarse modifiche; la seconda, caratterizzata da un livello più elevato di armonizzazione. Sono state così adottate diverse misure che hanno dato corpo a tre forme di protezione internazionale, costituite dallo status di rifugiato, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea. Lo scopo delle tre forme di protezione dovrebbe essere quello di consentire a chiunque necessiti di una protezione internazionale di vedersi riconosciuto lo status appropriato alla propria situazione.
In particolare le diverse misure adottate hanno concorso a definire: uno status uniforme in materia di asilo e di protezione sussidiaria a favore di cittadini di Paesi terzi, valido in tutta l’Unione (direttiva 2011/95/UE, in GUUE, 20.12.2011, L-337/9-26, di rifusione della direttiva 2004/83/CE); un sistema comune volto alla protezione temporanea degli sfollati in caso di afflusso massiccio di sfollati (direttiva 2001/55/CE, in GUUE, 7.8.2001, L-212/12-23); procedure comuni per l’ottenimento e la perdita della protezione internazionale (direttiva 2013/32/UE di rifusione della direttiva 2005/85/CE, GUUE, 29.6.2013, L-180/60-95); criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale, cd. Dublino III (reg. n. 604/2013 di rifusione del reg. n. 343/2003, in GUUE, 29.6.2013, L-180/31-59 e Reg. istitutivo di «Eurodac» n. 603/2013 di rifusione del reg. n. 407/2002, in GUUE, 29.6.2013, L-180/1-30); norme concernenti le condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (direttiva 2013/33/UE di rifusione della direttiva 2003/9/CE, in GUUE, 29.6.2013, L-180/96-116).
Il regolamento Dublino III e la definizione di norme comuni concorrono al conseguimento del comune obiettivo della limitazione dei movimenti secondari tra gli Stati membri, e della cooperazione operativa tra le amministrazioni nazionali. Anche a questo fine è stato istituito l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, con sede a Malta (reg. n. 439/2010 del 19.5.2010, in GUUE, 29.5.2010, L-132/11-28). In particolare l’obiettivo dell’Ufficio è di migliorare l’attuazione del sistema europeo comune di asilo attraverso un sostegno alle amministrazioni degli Stati membri per facilitare, coordinare e rafforzare la cooperazione pratica. L’Ufficio dovrebbe svolgere un ruolo cruciale anche nel sostegno degli Stati membri, soprattutto quelli di frontiera esterna, che risultano maggiormente onerati a causa del sistema Dublino. Tale sostegno è teso sia ad affrontare le situazioni di emergenza su richiesta dei singoli Stati sia a garantire una migliore attuazione del sistema di asilo europeo le cui criticità sono state evidenziate sia dalla Corte di giustizia sia dalla Corte europea dei diritti umani (C. giust. 21.12.2011, C-411/10, N.S.; CEDU, 24.1.2011, n. 30696/09, MSS v. Belgium and Greece). Inoltre varie attività statali sono finanziate attraverso il Fondo europeo rifugiati, un programma volto a sostenere finanziariamente progetti relativi all’accoglienza dei rifugiati.
La normativa adottata dall’Unione ha il merito di avere realizzato un inquadramento sistematico delle diverse forme di protezione, rafforzando la tutela già derivante da altri strumenti internazionali, tra i quali spicca la Convenzione europea dei diritti umani (C. giust., 17.2.2009, C-465/07, Elgafaji).
Nelle direttive è espressamente prevista l’intercambiabilità degli status in qualsiasi momento, così come è previsto il diritto al ricorso avverso le decisioni negative. Inoltre le modifiche apportate alla direttiva 2011/95/UE tendono ad uniformare il trattamento riservato ai titolari dei diversi status. È così prevista l’eliminazione della differenza di durata dei rispettivi permessi di soggiorno oltre alla equiparazione dei diritti da essi derivanti sia per quanto riguarda l’accesso al lavoro e alla formazione professionale, l’accesso all’istruzione, all’alloggio e agli strumenti di integrazione.
Rimane di competenza nazionale una quarta forma di protezione, la protezione umanitaria, che dovrebbe riguardare casi residuali, determinati da motivi caritatevoli. Secondo la Corte di giustizia è inoltre fatto salvo anche il diritto di asilo costituzionale, sebbene l’adozione di norme di armonizzazione tenda ad escludere la compatibilità di norme nazionali più restrittive o più favorevoli, dato che potrebbe essere vanificato uno degli obiettivi fondamentali della politica di asilo dell’Unione europea (C. giust., 9.11.2010, C-57/09, B e D).
L’Italia ha applicato tale protezione alle persone arrivate a partire dal 1.1.2011 e fino al 5.4.2011 (regime poi prorogato fino al 30.3.2013), alle quali è stato rilasciato un permesso di soggiorno temporaneo ai sensi dell’art. 20, d.lgs. n. 286/1998 (d.P.C.M., 5.4.2011, in GU, 8.4.2011, n. 81). La scelta del Governo italiano ha suscitato aspre critiche da parte di altri Paesi europei, prima la Francia e più recentemente la Germania (http://schengenalia.com/2013/05/31/190/), che hanno determinato la Commissione a presentare una proposta di modifica del Regolamento Schengen volto a rendere più flessibile il ripristino dei controlli alle frontiere esterne (COM(2013)96, 8.2.2013). La denominazione del permesso rilasciato dalle autorità italiane richiama la direttiva 2001/55/CE sulla protezione temporanea, ma non ha alcuna connessione con essa. L’applicazione della direttiva è stata invocata dall’Italia ma né la Commissione né la maggior parte dei Governi dell’UE hanno voluto attivare tale strumento, sia per la negazione del presupposto essenziale, ossia il massiccio afflusso di sfollati, sia per la mancanza di un numero significativo di richieste di protezione internazionale.
Sul piano europeo in casi come questi potrebbe invece essere attivato un altro strumento, disposto dall’art. 78, par. 3, TFUE, in base al quale, qualora uno o più Stati membri debbano affrontare situazioni di emergenza determinate da un afflusso improvviso di cittadini di Paesi terzi, il Consiglio su proposta della Commissione può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato membro o degli Stati membri interessati, deliberando previa consultazione del Parlamento europeo.
Ai sensi dell’art. 79 TFUE l’Unione può adottare misure relativamente alle condizioni di ingresso e di soggiorno e norme sul rilascio da parte degli Stati membri di visti e di titoli di soggiorno di lunga durata, compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare.
Uno dei primi atti normativi adottati in questa materia è stata la direttiva 2003/86/CE sul diritto al ricongiungimento familiare, approvata dopo un lungo negoziato iniziato nel 1999 (direttiva 2003/86/CE, 22.9.2003, in GUUE, 3.10.2003, L-251/12; C. giust., 27.6.2006, C-540/03, Parlamento c. Consiglio). Essa reca norme minime assieme a diverse opzioni lasciate agli Stati circa il regime da adottare. Stante la scarsa efficacia armonizzatrice, essa ha avuto la funzione di definire un nucleo comune agli Stati membri, senza però introdurre elementi di innovazione tali da costringerli a modificare o abrogare la normativa nazionale se non su singoli aspetti dell’istituto. L’assenza di pronunce interpretative da parte della Corte di giustizia, può essere considerata un indice della scarsa incidenza della direttiva sulla disciplina dell’istituto del ricongiungimento familiare sul quale le legislazioni nazionali sono ancora prevalenti e, spesso, più favorevoli.
Ancora più difficile è stato disciplinare le regole sugli ingressi per motivi economici. Fallito un primo tentativo di definire il quadro giuridico generale (COM(2001)386, 11.7.2001, in GUUE, 27.11.2001, C-332E/248-256), la Commissione ha presentato un Libro verde sull’immigrazione per motivi economici, in seguito al quale è stato adottato il Piano d’azione sull’immigrazione legale (SEC(2005)1680, 21.12.2005). In base ad esso è stata adottata la direttiva 2009/50/CE, sulle condizioni di ingresso e di soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendono svolgere lavori altamente qualificati, istitutiva della cd. «Carta Blu» (direttiva 25.5.2009, in GUUE, 18.6.2009, L-155/17-29). Scopo della direttiva è agevolare l’ingresso dei lavoratori altamente qualificati, migliorandone anche lo status giuridico nell’intera Unione. Per potere essere ammessi la direttiva richiede, tra l’altro, che i candidati possiedano un contratto di lavoro o un’offerta di lavoro altamente qualificato di durata almeno annuale. Sono sempre fatte salve le norme nazionali in materia di quote di ingresso che sono decise autonomamente dai singoli Stati membri. L’autorizzazione all'ingresso e al soggiorno è certificata dalla ‘Carta Blu’, valida di regola da uno a quattro anni. Dopo diciotto mesi di residenza legale in un Paese il lavoratore matura il diritto a spostarsi in un altro Stato membro per svolgervi un lavoro altamente qualificato, fatti salvi, tuttavia, i limiti fissati dalle autorità di tale Stato circa il numero massimo di stranieri che possono essere ammessi ogni anno.
Sempre in materia di ingresso e di soggiorno sono da menzionare due misure, una direttiva recante la definizione di una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso di soggiorno e lavoro (direttiva 2011/98/CE, 13.12.2011, in GUUE, 23.12.2011, L-343/1-9), e un regolamento del 2002 che ha stabilito un modello uniforme di permesso di soggiorno, oggetto di varie modifiche successive (reg. n. 1030/2002, 13.6.2002, in GUUE, 15.6.2002, L-157/1-7).
Altre due direttive sono in calendario per l’approvazione nel 2013: una riguardante i lavoratori stagionali che mira a definire regole in materia di ingresso e soggiorno di tale categoria di lavoratori stranieri (COM(2010)379, 13.7.2010); l’altra sui trasferimenti intrasocietari che mira ad agevolare i trasferimenti di lavoratori sia verso l’Unione sia al suo interno (COM(2010)378, 13.7.2010). Misure specifiche sono state adottate per favorire l’ammissione dei cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica, sia delineando procedure accelerate sia favorendo il rilascio del visto; in una raccomandazione è anche formulato l’invito ai Paesi membri di consentire ai ricercatori di Paesi terzi già legalmente presenti nel proprio territorio a presentare domanda per il permesso di soggiorno a fini di ricerca direttamente alle autorità nazionali, senza ritornare prima nel Paese d’origine (direttiva 2005/71/CE, 12.10.2005; raccomandazione 2005/761/CE, 28.9.2005; raccomandazione 2005/762/CE, 12.10.2005; tutte pubblicate in GUUE, 3.11.2005, L-289/15). Rilevante in questo ambito è anche la direttiva 2004/114/CE, 13.12.2004, sull’ammissione per motivi di studio, scambio e tirocinio (GUUE, 23.12.2004, L-375/12-189). Queste misure concorrono a conseguire uno degli obiettivi dell’agenda di Lisbona, teso a rendere l’economia europea basata sulla conoscenza e competitiva a livello mondiale.
L’Unione è competente ad adottare misure di incentivazione e di sostegno dell’azione degli Stati membri al fine di favorire l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti nel loro territorio (art. 79, par. 4, TFUE). È esclusa l’adozione di misure di armonizzazione e, quindi, anche lo sviluppo di una politica comune in materia di integrazione. Tuttavia il coordinamento delle politiche nazionali può condurre a risultati significativi anche in termini di uniformazione delle politiche nazionali, pur se nel medio e lungo periodo.
I principi in materia di integrazione sono stati espressi dalla Commissione europea nell’Agenda comune per l’integrazione, formulata dapprima nel 2005 e rinnovata nel 2011 (COM(2011)455, 20.7.2011). Essa ha inoltre promosso la pubblicazione di un manuale sull’integrazione, con tre edizioni già pubblicate, l’ultima nel 2010. Anche in questa materia è operante un fondo per il finanziamento delle iniziative a livello nazionale attraverso il Fondo europeo per l’integrazione (decisione n. 2007/435/CE, 25.6.2007, in GUUE, 28.6.2007, L-168/18-36).
L’obbiettivo dell’integrazione è perseguito anche con l’adozione di misure volte a definire i diritti dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro, comprese le condizioni che disciplinano la libertà di circolazione e di soggiorno negli altri Stati membri (art. 79, par. 2, TFUE). Tra queste rientra il regolamento n. 859/2003 del 14 maggio 2003 che ha esteso le disposizioni del reg. n. 1408/71 sul coordinamento delle misure di sicurezza sociale ai cittadini di Paesi terzi (in GUUE, 20.5.2003, L-124/1-3) e la direttiva 2003/109/CE sullo status dei lungo-soggiornanti (in GUUE, 23.1.2004, L-16/44-53), ora estesa anche ai beneficiari dello status di protezione internazionale (direttiva 2011/51/UE, in GUUE, 19.5.2011, L-132/1-4). Quest’ultima consente l’acquisizione dello status di residente di lungo periodo dopo cinque anni di soggiorno regolare in uno Stato membro. Una volta acquisito, lo status è tendenzialmente permanente ma soggetto a rinnovo periodico ogni cinque anni e salvo non si verifichi una delle cause di revoca. Tra gli aspetti caratteristici dello status oltre alla limitazione delle possibilità di allontanamento e la parificazione ai cittadini dell’Unione Europea quanto all’accesso ad alcuni servizi, vi è il diritto di circolare e di soggiornare in un altro Stato membro per un periodo superiore a tre mesi. Tale diritto di circolazione può, però, trovare un limite nella facoltà riconosciuta agli Stati di fissare regole e criteri che i cittadini di Paesi terzi devono soddisfare per potere soggiornare in un altro Stato membro, confermando la volontà degli Stati di fissare il numero massimo di stranieri extra-UE ammessi nel proprio Paese.
La connessione tra le relazioni esterne e le politiche di immigrazione e di asilo è stata sempre sottolineata dalle istituzioni europee (COM(2002)703, 3.12.2002 Integrare le questioni connesse all'emigrazione nelle relazioni dell'Unione europea con i paesi terzi; conclusioni del Consiglio sulla migrazione e lo sviluppo, 15.5.2003). La Commissione ha così elaborato un vero e proprio approccio globale nel quale trovano una sintesi l’insieme delle azioni di intervento nei Paesi terzi finalizzate alla gestione delle politiche di immigrazione e di asilo (da ultimo si veda COM(2011)743, 18.11.2011, L’approccio globale in materia di migrazione e mobilità e il relativo parere del Comitato delle Regioni CDR9-2012, 18-19.7.2012). Tale approccio, condiviso da tutte le istituzioni europee, è divenuto uno dei pilastri della politica migratoria dell’Unione Europea.
Un capitolo rilevante delle relazioni esterne in materia di immigrazione è costituito dagli accordi di riammissione, per la conclusione dei quali l’Unione ha una competenza ad essa espressamente conferita (art. 79, par. 3, TFUE). Essi hanno l’obiettivo di contrastare l’immigrazione illegale prevedendo obblighi reciproci di cooperazione tra l’Unione europea e i Paesi terzi per il rimpatrio degli stranieri non regolarmente soggiornanti (Relazione sulla valutazione degli accordi di riammissione, COM(2011)76, 23.2.2011). Sovente tali accordi includono l’assistenza tecnica e finanziaria per effettuare il controllo delle frontiere nei Paesi terzi. Essi inoltre sono spesso associati alla previsione di facilitazioni per l’ottenimento dei visti, considerate una sorta di premialità nei confronti degli Stati che cooperano nel contenimento dei flussi verso l’Unione europea.
La competenza a concludere accordi internazionali in questo settore è concorrente, come deriva anche dal Protocollo n. 23 sulle relazioni esterne degli Stati membri, in base al quale in materia di attraversamento delle frontiere esterne, le misure che l’Unione europea può adottare non pregiudicano la competenza degli Stati membri a concludere accordi con Paesi terzi “a condizione che rispettino il diritto dell’Unione europea e gli altri accordi rilevanti”. Si tende così ad escludere che lo sviluppo della politica dell’Unione europea conduca a ritenere che, in base al principio del parallelismo, si arrivi ad affermare una competenza esclusiva dell’Unione a concludere accordi internazionali in questa materia (C. giust., parere 1/03, 7.2.2006).
Il settore nel quale il consenso tra gli Stati membri si è rivelato da subito più agevole da trovare è costituito dalle azioni in materia di contrasto dell’immigrazione irregolare, della tratta e del traffico di persone, ai sensi dell’art. 79, par. 2, lett. c) e d), del TFUE. Alcune misure sono state adottate su iniziativa degli stessi Stati membri come previsto dal regime transitorio introdotto dal Trattato di Amsterdam, tra le quali si annoverano la direttiva 2002/90/CE sulla definizione del favoreggiamento dell’ingresso illegale (in GUUE, 5.12.2002, L-328/17-18); la decisione quadro n. 2002/946/GAI, 28.11.2002 sul rafforzamento del quadro penale in materia di favoreggiamento dell’ingresso e del soggiorno illegale (in GUCE, 5.12.2002, L-328/1-3); la direttiva 2004/82/CE, 29.4.2004 sull’obbligo di comunicazione dei dati dei relativi ai passeggeri (in GUUE, 6.8.2004, L-261/24-27).
Lo stesso spirito cooperativo si è registrato relativamente all’adozione delle misure in materia di allontanamento dei cittadini di Paesi terzi in posizione irregolare, volte a definire sia un quadro di cooperazione tra gli Stati ai fini di facilitare l’esecuzione dei provvedimenti di espulsione sia la definizione di norme e procedure comuni. Queste ultime sono disposte dalla direttiva 2008/115/CE (in GUUE, 24.12.2008, L-348/98-107). La direttiva, che ha abrogato due articoli della Convenzione di Schengen, impone agli Stati di allontanare lo straniero non regolarmente soggiornante attraverso una pluralità di modalità esecutive, caratterizzate dalla gradualità crescente nell’uso delle misure coercitive, che vanno dalla partenza volontaria all’accompagnamento coattivo, con preferenza per la partenza volontaria tutte le volte che non vi sia motivo di ritenere che ciò possa compromettere la finalità della procedura di rimpatrio. In particolare gli Stati sono chiamati a valutare la sussistenza di un rischio di fuga che, se tenue, può determinare la previsione di misure di garanzia durante il periodo concesso per la partenza volontaria; altrimenti può determinare l’emissione di un ordine di allontanamento eventualmente corredato da misure coercitive nel rispetto del principio di proporzionalità e sulla base di un uso ragionevole della forza. In questo contesto è previsto anche il trattenimento ai fini di espulsione con una durata massima di diciotto mesi (C. giust., 28.4.2011, C-61/11 PPU, El Dridi; C. giust., 30.11.2009, C-357/09 PPU, Kadzoev; C. giust., 6.12.2012, C-430/11, Sagor).
Da ultimo nell’ambito del contrasto dell’immigrazione irregolare è stata adottata la direttiva 2009/52/CE sulle sanzioni ai datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (in GUUE, 30.6.2009, L-168/24-32). La direttiva introduce un divieto generale di impiegodi cittadini di Paesi terzi non regolarmente soggiornanti e stabilisce norme minime comuni relative alle sanzioni e ai provvedimenti applicabili negli Stati membri verso i datori di lavoro che violano tale divieto. Essa si applica ai cittadini di Paesi terzi, sia che siano entrati regolarmente trattenendosi oltre quanto consentito, sia che siano entrati irregolarmente. Non considera invece l’impiego di coloro che non hanno diritto di lavorare o hanno un limitato diritto di lavorare nonostante siano regolarmente soggiornanti. Nel Trattato, infatti, tali situazioni hanno una base giuridica diversa e, dunque, tale disciplina non poteva trovare regolazione in questo testo normativo.
Infine significativa è l’azione dell’Unione in materia di contrasto della tratta degli esseri umani (strategia dell’UE per l’eradicazione della tratta degli esseri umani 2012-2016, COM(2012)286, 19.6.2012). In questo ambito sono da annoverare la direttiva 2004/81/CE, 29.4.2004 sul rilascio del permesso di soggiorno alle vittime dell’immigrazione illegale (in GUUE, 6.8.2004, L-261/19-23) e la direttiva 2011/36/UE del 5 aprile 2011 sulla prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani, sostitutiva della decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI (in GUUE, 15.4.2011, L-308/1-11). Pur innovando significativamente rispetto alla precedente decisione quadro del 2002, la direttiva 2011/36/UE non concerne il rilascio del permesso di soggiorno alla vittima di tratta che rimane, per ora, disciplinato dalla direttiva 2004/81/CE.
Art. 3, par. 2, TUE; Titolo V, Capo 2, TFUE (articoli 77-80); Artt. 4, 7, 15, par. 3, 18, 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
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