Immigrazione. La nuova disciplina dei rimpatri
Il 2011 ha messo in evidenza le difficoltà di relazione tra il legislatore nazionale – geloso delle proprie politiche in materia di immigrazione, spesso utilizzate a fini politici contingenti e locali – e quello europeo, specie sul versante del diritto penale. Solo a seguito della condanna da parte della Corte di giustizia l’Italia ha preso atto della necessità di adeguare l’ordinamento interno alla direttiva 2008/115/CE, provvedendovi con il d.l. 23.6.2011, n. 89 il quale però potrebbe non risultare pienamente conforme alle disposizioni della direttiva recepita. Nel contempo la Corte costituzionale prosegue la difficile opera di riconduzione entro i limiti della legalità costituzionale delle norme introdotte con la legge n. 94 del 2009.
Con il d.l. 23.6.2011, n. 89, convertito in legge 2.8.2011, n. 129, l’Italia ha recepito la direttiva 2008/115/CE in materia di rimpatri dei cittadini non europei, modificando ampie parti del testo unico sull’immigrazione. Sincronicamente a questa ultima novella, la Corte costituzionale, con la sentenza del 25.7.2011, n. 245, ha restaurato il testo dell’art. 116 c.c., illegittimamente novellato dal legislatore del 2009. La Consulta è anche intervenuta a regolare un conflitto di competenza legislativa tra Stato e Regioni in materia di assistenza socio-sanitaria e assistenziale agli immigrati, con la sentenza del 9.2.2011, n. 40.
Il d.l. n. 89/2011 modifica l’apparato sanzionatorio dei principali reati connessi alla presenza irregolare dello straniero, ma interviene anche sull’intera disciplina del contrasto di polizia all’immigrazione illegale, con particolare riguardo alle procedure di espulsione e alle misure di privazione della libertà degli stranieri destinatari di un provvedimento di allontanamento. Nel contempo vengono anche modificate od introdotte alcune norme riguardanti l’autorizzazione al soggiorno in casi particolari. Le nuove disposizioni attendono ora il vaglio della Corte costituzionale, la quale nel 2011 ha cancellato la novella apportata dal legislatore del 2009 all’art. 116 c.c. ed ha imposto all’interprete una lettura costituzionalmente conforme degli artt. 35 e 36 del t.u. imm. cond. stran.
Costretta dalla condanna ricevuta dalla Corte di giustizia il 28.4.2011 nel caso Hassen El Dridi1, l’Italia ha finalmente recepito la Direttiva 115 del 2008 con il d.l. n. 89 del 2011, solo marginalmente modificato dalla legge di conversione (l. 2.8.2011, n. 129), ponendo così fine ad una situazione di inadempimento invero espressamente negata, sino ad allora, dalle massime autorità di governo ed invece subito segnalata dalla dottrina e dalla giurisprudenza2.
3.1 Il d.l. n. 89/2011 ed il diritto penale dell’immigrazione
Numerose sono le novità che il d.l. n. 89/2011 introduce. In primo luogo, conseguenza immediata e necessaria della sentenza El Dridi è stata, ovviamente, la soppressione delle pene detentive previste per l’inottemperanza al decreto di espulsione. In molti si aspettavano, però, che il recepimento della direttiva avrebbe condotto anche all’abolizione del reato di cui all’art. 10 bis, od almeno ad un ripensamento dei suoi effetti sul piano extrapenale, tra i quali il divieto di reingresso, ancora oggi mantenuto al di sopra della soglia temporale consentita dalla direttiva rimpatri; ciò non è avvenuto e questo ci destina, probabilmente, ad una ulteriore condanna da parte della Corte di giustizia3. Vero è che la Corte non ha messo in dubbio – al contrario, confermandola – la facoltà degli Stati membri di rendere penalmente rilevante l’ingresso clandestino o la presenza non autorizzata sul territorio nazionale dello straniero. Nel contempo, però, ha anche individuato alcuni importanti limiti di legittimità comunitaria alla potestà di diritto penale degli Stati, in primo luogo ribadendo il divieto di ostacolare, attraverso la criminalizzazione della presenza irregolare od in qualsiasi altro modo, gli effetti utili della direttiva; e poi sottolineando l’obbligo di rispetto dei diritti fondamentali dello straniero, ancorché irregolarmente soggiornante.
3.2 Porte aperte solo in uscita e legificazione del «permesso di soggiorno per motivi umanitari»
Il d.l. n. 89, oltre ad apportare alcune correzioni di non grande rilievo alla disciplina di recepimento della direttiva 2004/38/CE, in materia di libertà di circolazione dei cittadini europei e dei loro familiari (anche non europei)4, contiene un’ampia ed articolata novella del d.lgs. n. 286 del 1998 (testo unico sull’immigrazione). Tra le modifiche apportate va segnalata la legificazione del «permesso di soggiorno per motivi umanitari». Vero è che il regolamento di attuazione del testo unico sull’immigrazione (il d.P.R. 31.8.1999, n. 394) già prevedeva (e prevede), all’art. 11, co. 1, lett. c) ter, che il questore possa rilasciare un permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base di idonea (e libera) documentazione dalla quale risultino «oggettive e gravi situazioni personali che non consentono l’allontanamento dello straniero dal territorio nazionale». Ma ora la previsione di questo tipo di permesso di soggiorno acquisisce forza di legge per meglio significare la volontà di attuazione dell’art. 6, co. 4, della direttiva n. 115 del 2008. Un’altra modifica riguarda gli stranieri già irregolarmente presenti sul territorio nazionale che si trovino ad uscirne spontaneamente. I nuovi art. 10 bis, co. 2, e art. 13, co. 2 ter, dispongono infatti la non punibilità per il reato di presenza irregolare, nonché la non espellibilità, dello straniero identificato come irregolare durante i controlli in uscita dall’Italia. Sino ad oggi, seppur con la ricorrente (ma non unanime) sconfessione dei giudici di pace5, accadeva che molti stranieri venissero bloccati al controllo dei passaporti nei varchi in uscita dall’Italia e ricondotti sul territorio nazionale per essere espulsi dal prefetto, con la minaccia, per lo più solo teorica, del riaccompagnamento coattivo alla frontiera; molti di loro non sono ovviamente più andati via.
3.3 Obbligo di motivazione e bilanciamento di interessi nelle decisioni di allontanamento
Il recepimento della «direttiva rimpatri» comporta una rivoluzione copernicana nella disciplina del procedimento di espulsione dello straniero, soprattutto riguardo alla parte motivazionale del provvedimento. Prevede infatti il nuovo testo dell’art. 13, co. 2, d.lgs. n. 286 del 1998 che ciascun provvedimento sia ora adottato valutandone caso per caso l’opportunità in una serie ben tipizzata di situazioni di irregolarità del soggiorno. Contro l’interpretazione minimalista della novella si erge il considerando n. 6 della «direttiva rimpatri», ove è affermato che le decisioni di rimpatrio «ai sensi della presente direttiva dovrebbero essere adottate caso per caso e tenendo conto di criteri obiettivi, non limitandosi quindi a prendere in considerazione il semplice fatto del soggiorno irregolare». Pur nella sua apparente leggerezza, l’inciso «caso per caso» implica dunque l’obbligo per l’amministrazione di non limitarsi alla mera constatazione della irregolarità del soggiorno, operando comunque un bilanciamento degli interessi sia pubblici che privati alla luce dei valori apicali dell’ordinamento. Assumono così più evidente rilievo, ai fini della legittimità del provvedimento di espulsione, lo svolgimento di un’adeguata istruttoria e la completezza della motivazione centrata sul caso individuale, la quale dovrà dunque essere completa, sia in diritto che in fatto6.
3.4 Più rimpatri volontari, meno espulsioni con accompagnamento alla frontiera
Viene, almeno in teoria, ridimensionata la casistica delle espulsioni immediatamente eseguibili. Ai sensi della direttiva n. 115, l’allontanamento coattivo dovrebbe infatti costituire una misura residuale, facendo eccezione alla facoltà di rimpatrio volontario. Ma nel d.l. n. 89 del 2011 ad apparire ordinarie sono proprio le procedure di espulsione coattiva, relegando a casi tutto sommato marginali le ipotesi di rimpatrio volontario su richiesta dell’interessato, quest’ultimo definito nel suo contenuto minimo, vincolante per gli Stati membri, come un ordine di allontanamento non eseguito coattivamente dalla forza pubblica mediante l’immediato accompagnamento od il trattenimento in detenzione, ma dotato di un termine per lo spontaneo adempimento. Il recepimento della direttiva, riguardo a questo suo fondamentale istituto, è però avvenuto addirittura al di sotto del livello minimo consentito, riducendo il rimpatrio volontario ad ipotesi marginali e prive di un effettivo vantaggio per lo straniero, che entro sette giorni, salvo eventuali proroghe, dovrebbe a sue spese lasciare l’Italia. Vero è che la direttiva non obbliga ma solo consente ai paesi membri di non collegare alcun divieto di reingresso al rimpatrio volontario. L’Italia ha deciso di mantenere tale divieto, pur trovandosi costretta a diminuirlo, anche nel caso espulsione con accompagnamento, entro i più brevi limiti temporali previsti dalla direttiva. A chi adempia spontaneamente all’ordine di allontanamento è solo concessa la possibilità di chiedere, una volta tornato nel suo Paese, la revoca del divieto di reingresso. Pensando ad un recente caso, conclusosi con la condanna dell’Ambasciata d’Italia in Brasile per avere dato appuntamento all’8 aprile 2015 ad una donna brasiliana che le aveva chiesto, nel 2009, appuntamento per la legalizzazione di un atto di stato civile7, viene da chiedersi – ora che la richiesta di revoca del divieto di reingresso viene ad essere disciplinata da una norma di attuazione della direttiva europea – se l’eccessiva durata del procedimento di revoca, incluso il caso dell’annullamento giudiziale del diniego della stessa, non possa facilmente divenire ragione di un’azione di risarcimento per la sua eccessiva durata, oltre che oggetto di una procedura di infrazione. Che il rimpatrio volontario sia stato destinato dal decreto legge ad un utilizzo meno che marginale emerge del resto dalle difficili condizioni di ammissione a questa più gentile procedura di allontanamento. Eccessiva, in particolare, pare la pretesa che l’espellendo esibisca idonea documentazione comprovante la disponibilità di un alloggio, a fronte, per altro verso, del divieto di stipulare o rinnovare contratti aventi ad oggetto il godimento di un immobile con stranieri privi di autorizzazione al soggiorno.
3.5 Il rimpatrio assistito
Gli artt. 14 bis e 14 ter del testo unico (quest’ultimo introdotto dal decreto legge) chiariscono la relazione sussistente tra rimpatrio volontario e rimpatrio assistito: se è vero che anche gli espulsi ammessi al rimpatrio volontario potranno accedere ai programmi di rimpatrio assistito, il medesimo «beneficio » potrà essere concesso anche a tutte le altre categorie di stranieri destinatari di un ordine di allontanamento (respingimento; espulsione con trattenimento e accompagnamento; ordine di espatrio con i propri mezzi a seguito di espulsione); ed ovviamente possono beneficare del rimpatrio assistito anche i non espulsi che lo richiedano; gli uni egli altri nei limiti delle risorse disponibili e con le modalità previste nei programmi che saranno all’uopo attivati e finanziati. Anche sui programmi di rimpatrio assistito pesa però la spada di Damocle delle cause di esclusione, indicate al nuovo art. 14 ter, co. 5, t.u. imm. cond. stran. In primo luogo quella derivante dall’espulsione di competenza ministeriale; dall’inosservanza del termine di rimpatrio volontario precedentemente dato; dall’espulsione ricevuta nelle ipotesi di cui agli artt. 15 e 16 del t.u. e nelle altre ipotesi in cui sia stata disposta l’espulsione dello straniero come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, tra cui rientrerebbe in teoria anche l’ipotesi della condanna davanti al giudice di pace per il reato di presenza irregolare. L’irragionevolezza di tale disposizione è evidente, dato che qualsiasi straniero irregolarmente soggiornante è, di per sé, colpevole di tale reato, risultando ingiusto discriminare chi sia stato già condannato rispetto a quelli la cui notizia del reato (già consumato) emerga solo (e per ragioni di mera casualità) con l’ammissione alle procedure di rimpatrio assistito. Si impone dunque una interpretazione non letterale ma sistematica e comunitariamente orientata delle norme del d.l. n. 89/2011 che quasi certamente accomunerà la posizione dei condannati per il reato di cui all’art. 10 bis del t.u. a quella dei già denunciati e dei non ancora denunciati.
3.6 La detenzione in attesa dell’allontanamento
La detenzione amministrativa dell’espulso appare nel decreto legge come il nuovo pilastro delle politiche di contrasto all’immigrazione irregolare. Ma ne è, in realtà, anche l’elemento più fragile, in ragione delle contraddizioni tra l’enunciazione teorica del minor ricorso possibile al trattenimento ed i meccanismi di esecuzione in concreto configurati dal decreto legge. L’art . 14, co. 1, del t.u. dispone ora che «quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, a causa di situazioni transitorie … il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di identificazione ed espulsione più vicino …». Il legislatore procede poi a formulare una elencazione delle situazioni transitorie che nella sostanza pare comprendere tutte le situazioni nelle quali non vi sono i presupposti per la concessione del rimpatrio volontario. Al riguardo va osservato che l’art. 15 della direttiva considera legittimo il trattenimento dell’espulso solo a condizione che siano impraticabili misure meno coercitive ma ugualmente sufficienti; ed a tale riguardo enuncia due sole giustificazioni alla decisione di trattenimento: la sussistenza del rischio di fuga ed il comportamento illecitamente non collaborativo dell’espellendo. L’art. 14, co. 1, t.u. imm. cond. stran., invece, considera il trattenimento come la misura da adottare ordinariamente «quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera», tacendo – e dunque censurando – il requisito della residualità. L’intento di eludere tale requisito è poi dimostrato anche dalla diversa elencazione, essa pure non tassativa, delle giustificazioni apponibili al provvedimento di trattenimento: non solo il rischio di fuga, ma anche la necessità di prestare soccorso allo straniero; o di effettuare accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità; od ancora, di acquisire i documenti per il viaggio o la disponibilità di un mezzo di trasporto idoneo. Un’elencazione che consente di trattenere sempre lo straniero quando non sia praticabile l’immediato allontanamento8. Il nuovo art. 14, co. 5, del t.u. prevede che lo straniero possa essere trattenuto sino a diciotto mesi, utilizzando dunque la soglia temporale massima di detenzione consentita dalla direttiva, la quale, però, vi connette limiti e condizioni di praticabilità che non sembrano essere stati adeguatamente recepiti dal legislatore nazionale. Vedremo, ad ogni modo, quale sarà la tenuta, anche davanti alle due corti europee, delle procedure di detenzione amministrativa degli stranieri, specie negli ultimi dodici mesi di trattenimento, riguardo ai severi presupposti di legittimità comunitaria come configurati dall’art. 15 della direttiva n. 115/2008, che sul punto sembra strettamente collegarsi con l’art. 5 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo9. Presupposti che consistono nei seguenti principi di diritto:
a) la residualità del trattenimento, pensato come extrema ratio, in presenza di un concreto rischio di fuga o di un comportamento ostruzionistico da parte dello straniero da allontanare;
b) la rigorosa funzionalizzazione del trattenimento alla diligente preparazione del rimpatrio e/o dell’allontanamento;
c) l’obbligo della massima brevità possibile, pur nella cornice del periodo massimo consentito di diciotto mesi, per cui il requisito di legittimità non è dato automaticamente dal contenimento entro il limite temporale massimo consentito in astratto ma dalla effettiva utilità del trattenimento in pendenza dell’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio;
d) l’obbligo delle dimissioni immediate, senza attendere lo scadere del termine finale della proroga stabilita dal giudice, quando, essendo venute a mancare le condizioni sin là poste per esistenti, l’ulteriore trattenimento sarebbe ormai da considerarsi illegittimo;
e) l’illegittimità – data l’efficacia self executing dell’art. 15, par. 4, della direttiva – del periodo di trattenimento che, quand’anche validamente iniziato, manchi ormai di una «prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi» o comunque siano venute a mancare le condizioni iniziali di legittimità;
f) l’onere, in capo al questore nei riguardi del giudice di pace (ma anche dello Stato membro – dunque dello stesso giudice di pace – nei confronti della Corte di giustizia e della Commissione europea) di dimostrare in concreto gli elementi di eccezionalità (integrati dalla dimostrazione della piena diligenza e correttezza e della sussistenza delle prospettive di allontanamento) che giustificano il trattenimento ulteriore rispetto ai primi centottanta giorni a causa della mancata cooperazione da parte del cittadino di un Paese terzo interessato, o dei ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi. Il nuovo art. 14 t.u. imm. cond. stran. sembrerebbe reagire alla violazione dell’ordine di allontanamento da parte dello straniero con l’emissione di una nuova espulsione cui potrebbe accompagnarsi un nuovo provvedimento di detenzione oppure un nuovo, semplice, ordine di allontanamento, a sua volta sanzionato penalmente ed alla cui violazione potrebbe poi seguire una ulteriore espulsione con ulteriore trattenimento. Se questo è ciò che il lettore del decreto legge dovrebbe credere ad una interpretazione, appunto, letterale, ben diversa deve essere la conclusione cui giungere confrontando il testo del decreto legge con le regole poste dalla direttiva, per le quali il raggiungimento della soglia di 18 mesi di detenzione finalizzata all’esecuzione dell’espulsione non ammette meccanismi amministrativi o penali capaci di prolungare il periodo di privazione della libertà dello straniero irregolarmente soggiornante. Al riguardo pare imprescindibile il riferimento alla sentenza Kadzoev10. In quella decisione la Corte di giustizia ha precisato il significato della soglia temporale massima della detenzione amministrativa dello straniero, affermando, tra l’altro, che l’art. 15, nn. 4 e 6, della direttiva n. 115/2008 «deve essere interpretato nel senso che non consente, quando il periodo massimo di trattenimento previsto da tale direttiva sia scaduto, di non liberare immediatamente l’interessato in quanto egli non è in possesso di validi documenti, tiene un comportamento aggressivo e non dispone di mezzi di sussistenza propri né di un alloggio o di mezzi forniti dallo Stato membro a tale fine», benché sia improbabile che lascerà il territorio nazionale del Paese che, avendo deciso il suo allontanamento, non sia riuscito, nel tempo massimo consentito per il trattenimento, ad allontanarlo.
3.7 Cambia nuovamente la normativa sui minori non accompagnati
Il decreto legge ha anche modificato l’art. 32 del t.u., il quale, dopo che la precedente novella introdotta con la l. n. 94/2009, sembrava aver gravemente limitato la possibilità di rilasciare ai minori non accompagnati, al raggiungimento della maggiore età, un’autorizzazione al soggiorno per studio, accesso al lavoro o lavoro11. Il legislatore del 2009 aveva infatti strettamente condizionato questa possibilità alla condizione che un ente autorizzato provasse, mediante idonea documentazione, che il ragazzo straniero fosse giunto in Italia da non meno di tre anni e che avesse partecipato ad un progetto di integrazione sociale presso la sua struttura per non meno di due anni. Doveva inoltre essere assicurata la disponibilità di un alloggio e la frequenza ad un corso di studi oppure, in alternativa, la disponibilità di un impiego o lo svolgimento di un’attività lavorativa. Nella sua attuale e recentissima riformulazione, l’art. 32, co. 1 bis, dispone che «ai minori stranieri non accompagnati, affidati ai sensi dell’articolo 2 della legge 4.5.1983, n. 184, ovvero sottoposti a tutela previo parere positivo del Comitato per i minori stranieri di cui all’articolo 33 del presente testo unico, ovvero ai minori stranieri non accompagnati che siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale …» sia rilasciabile al compimento della maggiore età (trovandosi essi in una almeno di queste due ben distinte e diverse condizioni) il permesso di soggiorno «per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, al compimento della maggiore età». In buona sostanza, rispetto al diritto vivente previgente al 2009, l’unica differenza di rilievo pare ora costituita, stando all’interpretazione letterale del nuovissimo art. 32, co. 1 bis, dalla necessità del parere del Comitato per i minori stranieri perché si possa procedere alla nomina del tutore. Clausola a dire il vero piuttosto strana, forse esito di un almeno parziale lapsus calami, con la quale sembrerebbe realizzarsi una invadenza dell’autorità amministrativa su di un terreno sin qui esclusivo della volontaria giurisdizione. Invadenza che potrebbe essere spiegata – a volerla spiegare – con la preoccupazione che la magistratura (tutelare e minorile) possa porsi in contrasto con le pretese di protezione del minore non accompagnato espresse dall’autorità consolare del suo Paese di cittadinanza. Sorge peraltro il dubbio, a mio parere fondato, che la norma (pensata, ma non scritta) fosse invece nel senso di prevedere la necessità del previo parere del Comitato per i minori stranieri non già per la nomina del tutore ma per il rilascio del permesso di soggiorno alla maggiore età al ragazzo già sottoposto a tutela; o addirittura – ma qui il dubbio degrada a mera, non altrettanto verosimile, congettura – anche nel caso del minore affidato. Vero è che per scrivere l’una o l’altra di queste ipotetiche disposizioni il legislatore avrebbe dovuto disporre ben diversamente le parole e la punteggiatura del co. 1 bis, ma l’interprete è forse legittimato, in ragione di una interpretazione sistematica della norma, a supplire alla probabile dimenticanza di una virgola e propendere per la prima delle due ipotesi interpretative alternative a quella meramente letterale.
3.8 La dichiarazione di incostituzionalità della novella del 2009 all’art. 116 c.c.
Il panorama delle modifiche normative intervenute nel 2011 non sarebbe completo se non si desse conto di alcune importanti pronunce della Corte costituzionale. La Consulta è dovuta intervenire, tra l’altro, a tutela della libertà matrimoniale. Come è noto, la l. n. 94/2009 aveva infatti novellato l’art. 116 c.c., aggiungendo ai requisiti per la celebrazione del matrimonio dello straniero nello Stato l’esibizione di un «documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano». La dottrina aveva invero subito denunciato la violazione del diritto fondamentale di libertà matrimoniale da parte della novella del 2009, mirante ad impedire assai più efficacemente i matrimoni autentici che non quelli di comodo o simulati12. L’incostituzionalità della nuova formulazione dell’art. 116 c.c. era poi stata resa evidente da una importante decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo, che aveva condannato il Regno Unito per avere introdotto nel proprio ordinamento una disposizione del tutto simile13. Nel luglio del 2011, facendo proprie le perplessità della dottrina, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della novella all’art. 116, riportandolo alla sua originaria formulazione14.
3.9 Il consolidamento della tutela costituzionale dei diritti sociali degli immigrati 1.3.1
Nel corso dell’ultimo biennio, sino alla amplissima motivazione resa con la sentenza n. 61 del 2011, la Consulta è stata arbitro di un conflitto di competenza legislativa tra Stato e Regioni in materia di prestazioni sanitarie e assistenziali ai cittadini stranieri15. Il Giudice delle leggi ha così avuto modo di affermare che la garanzia costituzionale del diritto alla salute, costituita dal combinato disposto degli artt. 2 e 32 Cost., anche a protezione della salute dello straniero irregolarmente soggiornante, non include le sole prestazioni sanitarie «essenziali», ma si estende anche alle prestazioni assistenziali finalizzate alla preservazione di tale diritto, confermando la costituzionalità delle norme regionali che in tal senso dispongano16. La Corte ha invece dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della l. reg. Friuli Venezia Giulia 31.3.2006, n. 6, recante Sistema integrato di interventi e servizi per la promozione e la tutela dei diritti di cittadinanza sociale, nella parte in cui esclude dalla fruizione delle prestazioni sociali ed assistenziali in esso previste i cittadini extracomunitari in quanto tali ed i cittadini comunitari residenti nella Regione da meno di trentasei mesi. La decisione della Consulta è fondata sul rilevato contrasto di tali norme con con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., non essendovi alcuna ragionevole correlabilità tra le condizioni di ammissibilità al beneficio previste dal legislatore friulano e lo stato di bisogno della persona, che è invece il presupposto costituzionalmente obbligato per l’erogazione del beneficio17. Questa decisione della Consulta sembra porsi come premessa ad altre possibili decisioni che potrebbero in un non lontano futuro riguardare alcune recenti leggi intervenute a limitare i diritti sociali degli stranieri regolarmente soggiornanti, discriminandoli in modo diretto od indiretto. Si pensi, esemplificativamente, all’introduzione del requisito di dieci anni di soggiorno legale e continuativo in Italia ai fini dell’acquisizione del diritto alla corresponsione dell’assegno sociale, ai sensi dell’art. 20, co. 10, del d.l. 25.6.2008, n. 112, convertito con l. 6.8.2008, n. 133; ma anche alla previsione, ai sensi dell’art. 11 del d.l. n. 112/2008, del requisito, richiesto ai soli cittadini stranieri, dell’iscrizione anagrafica almeno decennale sul territorio nazionale oppure almeno quinquennale in quello regionale per poter usufruire delle facilitazioni a finanziamento statale per i soggetti portatori di bisogno sociale.
1C. giust. UE, 28.4.2011, H.E.D. c. Italia, su cui: Nascimbene, La direttiva «rimpatri» e le conseguenze della sentenza della Corte di giustizia (El Dridi) nel nostro ordinamento, in Gli stranieri, 2011, fasc. 1, 7 ss.; Winkler, Il caso El Dridi al vaglio della Corte di giustizia: verso una gestione più umana dei rimpatri di stranieri irregolari in Italia?, in Resp. civ. prev., 2011, 1485 ss. La Corte ha interpretato la direttiva 2008/115/CE nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permanga in detto territorio senza giustificato motivo. La direttiva subordina infatti l’uso di misure coercitive al rispetto dei principi di proporzionalità e di efficacia per quanto riguarda i mezzi impiegati e gli obiettivi perseguiti.
2 Cfr., per tutti, Viganò-Masera, Giudice di pace ed immigrazione: le novità introdotte dalla direttiva 2008/115/CE in materia di espulsione, in Giud. pace, 2010, 97 ss.; Gabrielli, La mancata attuazione della direttiva rimpatri 2008/115/CE ed il «governo dei giudici» in attesa dell’interpretazione pregiudiziale della Corte di Giustizia, in Gli stranieri, 2011, fasc. 1, 33 ss.
3 Al riguardo, cfr. Nascimbene, La direttiva «rimpatri» e le conseguenze della sentenza della Corte di giustizia (El Dridi) nel nostro ordinamento, in Gli stranieri, 2011, fasc. 1, 7 ss.
4 Al riguardo le modifiche più rilevanti riguardano forse la disciplina dell’allontanamento del cittadino europeo. In particolare cessa di essere automaticamente connessa a fattispecie tipizzate l’immediata esecutività dell’allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato e per motivi imperativi di pubblica sicurezza, anche se, per altro verso, ne viene estesa l’applicazione a tutti i casi allontanamento coattivo, sia prefettizi che ministeriali
5 Si veda, Giud. pace Roma, 21.9.2005, in Giud. pace, 2006, 245 ss., con nota di Morozzo della Rocca, Insensato – e perciò illegittimo – espellere lo straniero che sta già uscendo dal territorio nazionale (per regolarizzarsi), che annullava l’espulsione di una donna fermata in uscita alla frontiera aeroportuale.
6 Esigenza, quest’ultima, opportunamente sottolineata da Algostino, La direttiva rimpatri: la fortezza Europa alza le mura, in Minori giustizia, 2008, fasc. 3, 16.
7 Cfr. TAR Lazio, 30.5.2011, n. 4826, in Gli stranieri, 2011, fasc. 2, 116 ss. con nota di Marchini, Alcune questioni relative al riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis.
8 L’incongruenza tra l’art. 14, co. 1, e l’art. 15 della direttiva è stata già sottolineata da Bonetti, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso o permanenza irregolare nel sistema del diritto degli stranieri: profili costituzionali e rapporti con la Direttiva comunitaria sui rimpatri, in Dir. imm. citt., 2009, fasc. 4, 93, le cui osservazioni, al riguardo, rimangono attuali anche a seguito della novella di cui al d.l. n. 89 del 2011.
9 Su questo, le utili ed approfondite considerazioni di Amédro, La Cour de Justice de l’Union Européenne et la rétention des étrangers en situation irrégulière dans le cadre de la directive retour, in Rev. trim. droit homme, 2010, spec. 906 ss.
10 C. giust. CE, 30.11.2009, n. 357.
11 Sulla novella dell’art. 32 da parte della l. n. 94 del 2009, cfr. Miazzi-Perin, Legge n. 94/2009: peggiora anche la condizione dei minori stranieri, in Dir. imm. citt., fasc. 4, 2009, 183 s.
12 Cfr., Ferrando, Il matrimonio degli stranieri «irregolari» tra Corte di Strasburgo e Corte costituzionale, in Gli stranieri, 2011, 1, 55 ss.; Lenti, Matrimonio dello straniero e regolarità del soggiorno, in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, 196 ss.; Morozzo della Rocca, I limiti alla libertà matrimoniale secondo il nuovo testo dell’art.116 c.c., in Fam. dir., 2009, 1021.
13 C. eur. dir. uomo, 14.12.2010, C- 34848/07, su cui Ferrando, op.cit., 64 s.
14 C. cost., 25.7.2011, n. 245.
15 C. cost., 22.7.2010, n. 269, in Foro it., 2010, I, 3242; C. cost., 22.10.2010, n. 299, in Giornale dir. amm., 2011, 75; C. cost., 25.2.2011, n. 61, su cui Piergigli, La legge regionale campana sulla integrazione sociale degli stranieri supera il vaglio della Corte costituzionale, in Gli stranieri, 2011, fasc. 1, 77 ss.
16 Così Vrenna, La sentenza della corte costituzionale n. 269/2010 sulla legge regionale toscana dell’immigrazione: prime considerazioni, in Gli stranieri, 2010, fasc. 10, 37 ss.
17 C. cost., 9.2.2011, n. 40.