immigrazione
immigrazióne s. f. – Anche se la presenza straniera non rappresenta una novità per l’Italia, il nostro Paese è stato investito, negli anni a cavallo del secolo, da un massiccio, e per certi versi inatteso, processo migratorio. Nel corso del primo decennio del 21° sec. la proporzione degli immigrati sul totale della popolazione raggiungeva valori prossimi al 7,5% e si andava così allineando a quella degli altri paesi europei. Nel 2011, secondo il Dossier statistico della Caritas, gli stranieri in Italia erano 4.570.317 e a questo valore andavano aggiunte circa 400.000 persone, regolarmente presenti ma non ancora registrate, e un numero difficilmente stimabile di immigrati irregolari. La maggioranza degli immigrati si concentrava nel Nord del Paese, in particolare nel settore nord-occidentale – in Lombardia gli stranieri rappresentavano il 10,7% della popolazione – e in alcuni grandi centri urbani come Roma. La Romania si collocava al primo posto tra i paesi di provenienza, seguita dall’Albania, dal Marocco, dalla Cina, dall’Ucraina, dalle Filippine. I settori produttivi che vedevano la più forte presenza di lavoratori immigrati erano quello dei servizi, in particolare il lavoro domestico e la cura della persona, quelli dell’industria manifatturiera e delle costruzioni, e infine l’agricoltura. Non mancavano però i titolari di imprese, arrivati a 228.540 nel 2011, che, secondo il Censis, rappresentavano il 10,7% sul totale degli imprenditori. La maggioranza dei lavoratori immigrati disponeva di un titolo d'istruzione superiore e l’11% aveva un alto livello di qualificazione, anche se svolgeva generalmente un lavoro non corrispondente, e spesso largamente inferiore, al livello di istruzione e alla qualifica professionale. Il reddito dichiarato al fisco dai lavoratori stranieri (dipendenti o autonomi) rappresentava, secondo i dati 2010, il 5,1% di tutto il reddito dichiarato mentre i loro versamenti all’Istituto previdenziale (INPS) costituivano nel 2009 il 4% dei contributi totali (nel Nord quasi il 5%), un ammontare complessivo che faceva degli immigrati una risorsa strategica del sistema pensionistico. Parte della manodopera immigrata, e la totalità di quella irregolare, lavorava senza contratto soprattutto in aree di ampia diffusione del lavoro nero, come l’edilizia e l’agricoltura. In questo contesto le condizioni lavorative assumevano spesso un carattere particolarmente drammatico di sfruttamento che venivano più volte denunciate dagli organi di stampa e che davano luogo, in qualche occasione, a violenti episodi di protesta, come avvenne a Rosarno, in Calabria, nel gennaio 2010 quando, il ferimento di un immigrato, accese la rivolta di lavoratori stagionali stranieri costretti a vivere in una fabbrica abbandonata in condizioni disumane. La crescita nel numero degli stranieri, certamente dovuta a un saldo migratorio positivo, dipendeva però in modo crescente anche dall’aumento dei nati di cittadinanza straniera (figli di entrambi i genitori stranieri residenti in Italia). Questo saldo naturale, per quanto limitato in quantità, assumeva una particolare rilevanza demografica perché appariva in controtendenza rispetto a quello osservato nella popolazione di cittadinanza italiana. Quest’ultima era infatti caratterizzata da un costante invecchiamento con tassi di fecondità di 1,29 per donna, al di sotto di quelli minimi necessari a mantenere la stabilità demografica, mentre gli immigrati erano mediamente più giovani con un tasso di fecondità del 2,13 per donna. Non a caso la presenza di alunni di cittadinanza non italiana è divenuta una realtà strutturale del nostro paese: nell’anno scolastico 2010-2011 erano 711.064 e costituivano il 7,9% della popolazione scolastica. Se la scuola elementare accoglieva la maggioranza di questi studenti, si registrava un incremento assai significativo della loro presenza anche nella secondaria superiore, mentre continuava a crescere la proporzione degli studenti stranieri nati in Italia che costituivano il 42.1% degli studenti stranieri iscritti. Nel caso dei minori nati in Italia si tratta di persone per le quali l’aggettivo 'straniero' appare assai inappropriato, esse sono infatti accomunate ai ragazzi italiani non solo dal luogo di nascita, ma dalla lingua di uso quotidiano, dal percorso formativo, dall’atteggiamento culturale e comportamentale, dalle forme di socializzazione. La distribuzione sul territorio di questa sottopopolazione di stranieri segue quella della dinamica migratoria con una prevalenza di alunni iscritti nel Nord e nel Centro: nel complesso nel 2010-2011 i tre quarti delle scuole italiane avevano, comunque, alunni stranieri e le nazionalità rappresentate nel sistema scolastico erano 187. La continuità nella presenza, il numero di figli nati in Italia, la crescita dei matrimoni misti e dei ricongiungimenti familiari dimostra che l’immigrazione è divenuto un elemento costitutivo della nostra società. La consapevolezza di questa trasformazione ha aperto una discussione sia sulla cittadinanza, basata in Italia sullo ius sanguinis, la nazionalità cioè dei genitori, e che può essere altrimenti ottenuta solo attraverso un lungo e complesso percorso burocratico, sia sul diritto di voto nelle elezioni amministrative. Nella prima decade del 21° sec. gli interventi legislativi relativi messi in atto per affrontare i problema dell’i. si sono orientati verso una revisione in senso sempre più restrittivo del Testo unico sull’immigrazione (legge 40) del 1998. La l. n. 189 del 2002 (legge Bossi-Fini dal nome dei due firmatari) prevedeva tra l’altro: la rigida subordinazione dell’ingresso e della permanenza degli immigrati all’esercizio di una attività lavorativa tramite il contratto di soggiorno e il rilascio di un permesso di soggiorno; restrizioni nella durata del permesso di soggiorno dei disoccupati a un massimo di 6 mesi; il rilevamento e registrazione delle impronte digitali al momento del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno. La l. n. 94 del 2009 inaspriva ulteriormente i vincoli e le condizioni per il soggiorno e istituiva il reato di immigrazione clandestina, esponendo il nostro Paese ai richiami della UE per violazione delle norme comunitarie. Nel 2011 veniva emanata una nuova disciplina delle espulsioni (legge 129) che ne facilitava ulteriormente l’esecuzione e prevedeva la possibilità di respingimenti per via amministrativa e senza possibilità di contestazione dei provvedimenti mentre prolungava il tempo di permanenza nei Centri di identificazione ed espulsione. Sul tema dei respingimenti in mare l’Italia veniva condannata nel febbraio 2011 dalla Corte europea per i diritti umani di Strasburgo perché la norma violava la Convenzione di Ginevra sui richiedenti asilo. Non si può però non notare che alla severità delle norme, pubblicamente gridata da alcune forze politiche, fa riscontro una modesta capacità di controllo effettivo del fenomeno migratorio. Del resto come nota il sociologo Asher Colombo: «la storia delle politiche migratorie europee mostra che il controllo delle migrazioni internazionali è stato ottenuto molto più per via inclusiva – regolarizzando ampie masse di stranieri irregolari – che per via repressiva, punendoli con l’allontanamento o con il carcere».