IMMUNITA'
. Medicina (XVIII, p. 893; App. II, 11, p. 8; III, 1, p. 844). - Durante gli ultimi vent'anni, l'immunologia ha molto beneficiato dell'esplosivo sviluppo della biologia molecolare, incorporandone i concetti fondamentali in quasi tutte le sue branche e diventando un campo di ricerca di elevato valore euristico nelle scienze biologiche e mediche. L'immunologia sta contribuendo molto significativamente allo studio dei meccanismi di numerose malattie, alimentando anche la speranza che il controllo immunologico dei tumori possa avere lo stesso successo già dimostrato dal controllo immunologico delle malattie infettive. Nei capitoli seguenti saranno riassunte le conoscenze attuali su alcuni dei principali fattori dell'i., che sono state particolarmente approfondite nell'ultimo decennio.
Antigeni.
Le sostanze che, somministrate all'individuo, inducono una risposta immunitaria sono denominate antigeni. Questa proprietà definisce la capacità immunogena dell'antigene. Un'altra proprietà degli antigeni è la capacità di combinarsi con anticorpi specifici.
Alcune sostanze molto semplici, denominate apteni, hanno la proprietà di combinarsi specificamente con l'anticorpo, ma non sono immunogene a meno che non siano coniugate a un supporto (carrier) più complesso. La combinazione dell'aptene con l'anticorpo non dà luogo a una reazione visibile. Tuttavia, la reazione può essere manifesta se l'aptene è stato precedentemente coniugato a una proteina che serva da supporto precipitabile o a particelle agglutinabili.
I fattori che determinano l'immunogenicità sono molteplici. Innanzitutto, l'antigene dev'essere estraneo al sistema immunitario (not-self), cioè deve possedere raggruppamenti atomici assenti nelle cellule del sistema immunitario. Il peso molecolare dev'essere sufficientemente grande perché l'antigene possa essere immunogenico. Molecole naturali, come l'insulina e l'emoglobina, che hanno funzioni simili in specie animali diverse, hanno scarso potere immunogeno. Si noti, inoltre, che il termine "immunogeno" è relativo, in quanto la risposta immunitaria a un dato antigene dipende dalla specie animale, dalla via d'immunizzazione, e dallo stato chimico-fisico in cui l'antigene viene somministrato. Per es., i polisaccaridi dello pneumococco inducono una buona risposta anticorpale se iniettati in forma solubile nell'uomo e nel topo mentre sono inefficaci nel coniglio; antigeni proteici in forma solubile sono poco immunogenici ma dimostrano maggior potere immunizzante se precipitati o emulsionati. Gli antigeni possono essere costituiti da numerosi determinanti antigenici o epitopi. Il numero di epitopi per molecola definisce la "valenza" dell'antigene e corrisponde al numero massimo di molecole di anticorpi che si possono legare a una molecola di antigene. La dimensione degli epitopi dell'antigene destrano (un polimero del glucosio) è risultata dello stesso ordine di un polimero costituito da 5-6 molecole di glucosio.
Gli antigeni possono essere classificati in naturali, artificiali e sintetici.
Antigeni naturali. - Sono molecole prodotte da cellule o microrganismi. Si tratta di proteine, polisaccaridi, lipidi e acidi nucleici. Le proteine sono provviste di diversi gradi d'immunogenicità, generalmente più elevata per pesi molecolari maggiori, dalle albumine (p.m. 40.000-70.000) al virus del mosaico del tabacco (p.m. 40.000.000). L'antigenicità delle proteine è specifica di specie. La crossreazione fra sieroproteine di specie diverse ha consentito di misurare le distanze antigeniche fra specie e di trarne conclusioni di ordine tassonomico e filogenetico. Usando proteine purificate, si può dimostrare crossreazione fra gammaglobuline umane (HGG) e bovine (BGG) mediante antisiero di coniglio contro HGG o BGG. Tuttavia non esiste alcuna crossreazione fra BGG e sieroalbumina bovina (BSA), benché si tratti di proteine della stessa specie animale. Sembra, quindi, che durante la filogenesi si siano sviluppate gradualmente molecole con funzioni analoghe anche se con caratteristiche tipiche della specie, mentre durante l'ontogenesi si sviluppino molecole con funzioni e caratteristiche antigeniche completamente diverse.
I polisaccaridi sono prodotti immunologicamente importanti di una grande varietà di cellule e batteri. Microrganismi come i pneumococchi e i bacilli dell'influenza, nella loro forma virulenta a colonie liscie, sono provvisti di capsula costituita da polisaccaridi di elevato peso molecolare. Si tratta di sostanze specifiche, dal punto di vista chimico e antigenico, che permettono di classificare questi batteri in numerosi tipi. Del Diplococcus pneumoniae si conoscono più di 75 tipi serologici, ma solo di pochi si conosce la struttura del polisaccaride capsulare: il tipo III è caratterizzato da un polisaccaride di p. m. minimo 62.000, costituito da circa 180 residui di acido cellobiuronico, un disaccaride formato da glucosio e acido glucuronico. Molti batteri Gram-negativi, per es. del genere Escherichia, Shigella, Salmonella, possiedono nelle membrane cellulari antigeni complessi costituiti da carboidrati, lipidi e proteine: il carboidrato è responsabile della specificità dell'antigene somatico 0, il lipide della tossicità e la proteina del potere immunogeno del complesso. Questo complesso glicoproteico ha le proprietà delle endotossine, cioè a dosi subletali può produrre la febbre, stimolare la fagocitosi e la produzione di anticorpi anche contro altri antigeni iniettati contemporaneamente all'endotossina. Il polisaccaride dell'antigene 0 è costituito da una struttura glicidica centrale da cui partono numerose catene laterali, ciascuna formata dalla successione di trisaccaridi (galattosio-mannosio-ramnosio) ai quali possono legarsi monosaccaridi come abequosio, tivelosio, paratosio, colitosio. Secondo il tipo di legame nel trisaccaride e il tipo di monosaccaride associato, nella Salmonella, si distinguono 60 tipi di antigene 0.
I lipidi non sono immunogenici, probabilmente perché sono molto simili in molte specie animali. Tuttavia, i lipidi possono indurre anticorpi specifici se iniettati mescolati a proteine con le quali possono formare complessi immunogenici.
Il siero di pazienti affetti da lupus eritematosus contiene anticorpi che reagiscono con DNA (acido desossiribonucleico) purificato di specie animali diverse, come DNA di timo di vitello o di sperma di salmone. Questa reazione è inibita da RNA (acido ribonucleico), acido poliadenilico, derivati purinici. Acidi nucleici purificati, in generale, non sono immunogenici. L'immunogenicità trovata per il DNA dei batteriofagi T2, T4. T6, sembra dovuta alla presenza di residui di 5-idrossimetilcitosina, assenti nel DNA animale e vegetale, ad alcuni dei quali sono legate una o due molecole di glucosio. Acidi nucleici purificati diventano immunogenici se coniugati a proteine e polipeptidi sintetici. Analogamente, mononucleosidi, oligonucleotidi, e polinucleotidi possono acquisire immunogenicità. Anticorpi indotti dall'iniezione di DNA o RNA coniugato a BSA metilata reagiscono con acidi nucleici prevalentemente a una sola elica, proveniente sia dalla specie donatrice dell'immunogeno sia da altre specie. Tuttavia, non si osservano fenomeni patologici dopo immunizzazione con acidi nucleici.
Antigeni artificiali. - Sono ottenuti modificando la struttura di antigeni naturali, per es. coniugando molecole aromatiche a proteine. Con questi antigeni K. Landsteiner dimostrò la squisita specificità della reazione antigene-anticorpo. Per es. anticorpi di coniglio possono distinguere l'antigenicità di due proteine che differiscono soltanto per essere coniugate l'una ad acido d-tartarico l'altra ad acido l-tartarico.
Antigeni sintetici. - Sono prodotti interamente in laboratorio e usati per definire i fattori che determinano l'antigenicità. Molto studiati sono i poliaminoacidi sintetici. Gli omopolimeri, cioè catene di aminoacidi identici, non sono immunogenici anche se di peso molecolare elevato. Sono immunogenici i copolimeri costituiti da almeno due residui aminoacidemici diversi. Di particolare interesse si sono rivelati i copolimeri a catene multiple, i quali sono variamente immunogenici in individui diversi della stessa specie a seconda degli aminoacidi di cui sono costituiti. Inoltre, gli stessi aminoacidi conferiscono proprietà antigenica al polimero solo se situati in posizione particolare. Polimeri di d-aminoacidi sono molto meno immunogenici dei polimeri di l-aminoacidi.
Anticorpi.
Gli anticorpi sono glicoproteine aventi proprietà chimico-fisiche e biologiche comuni ad alcune globuline del siero denominate immunoglobuline o Ig. Tuttavia, gli anticorpi hanno anche proprietà distintive legate alla specificità per l'antigene, alla loro struttura molecolare, e alla costituzione genetica della specie e dell'individuo. L'insieme di queste caratteristiche costituisce la eterogeneità delle Ig, che può essere classificata secondo tre livelli: isotipia, allotipia, idiotipia.
Isotipia. - Essa comprende la distinzione delle Ig in classi, sottoclassi, e tipi. Ogni isotipo, cioè ogni classe, sottoclasse, o tipo di Ig è una specie molecolare presente in tutti gl'individui della stessa specie animale. Specie animali diverse hanno diversi isotipi.
Classi e sottoclassi di Ig. - Esiste una struttura fondamentale, comune a tutte le classi di Ig, rappresentata da 4 catene polipeptidiche uguali a due a due. Due catene sono denominate leggere o L (light), le altre due pesanti o H (heavy). Le catene H sono diverse in Ig di classi diverse mentre le L sono uguali in tutte le classi. Ciascuna classe è costituita da una o più unità fondamentali con catene H tipiche della classe stessa (fig. 1). In base a queste caratteristiche strutturali, si possono distinguere: a) classe IgG, in cui le Ig sono costituite da 2 catene H denominate γ e 2 catene L, unite da ponti S-S, come indicato nello schema di Porter (fig. 2). La molecola può essere dissociata in catene polipeptidiche mediante riduzione dei legami S-S con mercaptoetanolo. Le catene γ hanno p. m. 50.000, le L 20-22.000; l'intera molecola IgG, 150.000 di cui 3% spetta ai carboidrati. Il trattamento di IgG con papaina in presenza di cisteina genera due tipi di frammenti: Fab, costituito da una catena L e dalla parte Fd di una catena H; Fc formato da un dimero di parti delle due catene H (fig. 2). L'attività anticorpale risiede nel frammento Fab che possiede un sito combinatorio. Il frammento Fc possiede i carboidrati e i determinanti isotipici della molecola. Fc è la regione che fissa il complemento, si lega alle membrane cellulari, ed è responsabile del passaggio placentare delle IgG. Il trattamento di IgG con pepsina produce un frammento F (ab′)2 e piccoli peptidi. Questo frammento è bivalente perché possiede i due siti combinatori della IgG nativa. La bivalenza di anticorpi di questa classe appare evidente da studi di microscopia elettronica e da misure di dialisi ad equilibrio. L'analisi strutturale di IgG mielomatose ha rivelato l'esistenza nell'uomo di 4 sottoclassi (IgG1, IgG2, IgG3, IgG4) con proprietà strutturali e funzionali diverse: b) classe IgM. Anticorpi di questa classe sono costituiti da 5 monomeri, ciascuno di p. m. 170.000, uniti da ponti S-S. Ogni monomero è formato da 2H, denominate μ, ciascuna di p. m. 70.000, e da 2L. L'anticorpo nativo risulta raramente decavalente; spesso si manifesta pentavalente per l'interazione dei monomeri che rende accessibile all'antigene soltanto 5 Fab monovalenti. Le IgM hanno p. m. 900.000, contengono il 12% di carboidrati e una catena polipeptidica diversa dalle catene L e assimilabile al pezzo J dalle IgA. Anticorpi IgM fissano il complemento, non attraversano la placenta; c) classe IgA. Anticorpi IgA si trovano nel siero e, in concentrazione molto maggiore delle IgG, nelle secrezioni (saliva, succo gastrico e intestinale, lacrime, muco nasale, colostro). La molecola può presentarsi in forma di monomero, cioè 2H denominate α e 2L, o di polimero. Nel siero prevalgono i monomeri 7S accanto a piccole quantità di dimeri 10S. Nella secrezioni prevalgono forme dimeriche 13S e quelle polimeriche. Nelle IgA delle secrezioni sono presenti il pezzo J e T, il primo sintetizzato dalle stesse cellule che producono le H e le L, il secondo dalle cellule epiteliali degli organi secretori. Il p. m. delle IgA varia da 150.000 a 600.000; i carboidrati ne rappresentano il 7%. Nell'uomo si conoscono due sottoclassi: IgAi e IgA2. Le due sottoclassi hanno funzioni anticorpali, non fissano il complemento, non attraversano la placenta. d) classe IgD. Le molecole di questa classe sono costituite da 2 catene H denominate δ e 2 catene L. Le IgD hanno p. m. 180.000 e contengono il 13% di carboidrati. Non è stata ancora dimostrata attività anticorpale associata alle IgD. e) classe IgE. Sono molecole formate da 2H denominate ε e 2L. Appartengono a questa classe gli anticorpi responsabili dell'anafilassi, denominati reagine. Le IgE hanno p. m. 190.000, contengono l'11% di carboidrati, non fissano il complemento, non attraversano la placenta. Hanno la proprietà di legarsi con la regione Fc alle membrane di cellule che contengono istamina.
Tipi di Ig. Le Ig di ciascuna classe e sottoclasse si presentano in 2 tipi principali, distinguibili per proprietà antigeniche e strutturali: κ e λ. Queste proprietà risiedono nelle catene L, le quali sono quindi denominate di tipo κ e λ. Tutte le catene L di una singola Ig sono di tipo κ o λ: non esistono Ig native di tipo ibrido. Ogni classe e sottoclasse di Ig normali comprendono molecole di tipo κ e λ in proporzione variabile. Le Ig mielomatose sono sempre di un solo tipo, lo stesso tipo dei dimeri di catene L o proteine di Bence Jones che spesso si trovano abbondanti nell'urina dei pazienti mielomatosi. Nell'uomo, le Ig di tipo λ manifestano tre varianti strutturali presenti in tutti gl'individui della specie: λ1 (Oz+ Kern-), λ 2 (Oz- Kern-), λ 3 (Oz- Kern+).
Le caratteristiche strutturali delle Ig sono state approfondite a livello di sequenza di aminoacidi. Lo studio della struttura primaria delle catene κ, λ e γ ha rivelato le basi molecolari dei vari livelli di eterogeneità.
Le catene κ sono costituite da 214 aminoacidi, di cui i primi 107 a partire da NH2 terminale rappresentano la parte variabile (V), gli altri fino al COOH terminale la parte costante (C). La sequenza di aminoacidi di V è diversa in catene κ appartenenti allo stesso individuo o a individui diversi, mentre la sequenza di C è sempre la stessa anche in individui diversi della stessa specie, fatta eccezione della sostituzione valina-leucina in posizione 191 (vedasi allotipia). Nella parte V si distinguono regioni invarianti (gli stessi aminoacidi in tutte le catene κ), regioni variabili, e regioni ipervariabili. Le parti V sono distribuite nei sottogruppi KI, KII, KIII: due parti Vk appartengono a uno stesso sottogruppo se le loro sequenze differiscono per meno di 10 aminoacidi, a sottogruppi diversi se differiscono per più di 40 aminoacidi. Si conoscono tre regioni ipervariabili caratterizzate da un elevato numero di sostituzioni, alle quali viene attribuita la specificità del sito combinatorio.
Le catene λ hanno una struttura simile alle κ, in quanto sono costituite da due parti, V e C, ciascuna formata da circa 110 aminoacidi. Anche per le λ, la parte V possiede regioni invarianti, variabili e ipervariabili. Le parti Vλ appartengono ai sottogruppi λ I, II, III, IV, V. La parte C non ha varianti allotipiche, ma presenta sostituzioni in posizione 153 (Kern) e 190 (Oz) così che si sono identificate le sequenze λ1, λ2, λ3, tutte presenti in ogni individuo. Ambedue le catene κ e λ hanno nella stessa posizione un ponte S-S intracatena sia nella parte V che C, il quale determina un ripiegamento di ciascuna parte. Dal paragone delle sequenze di parti C di catene κ e λ di diverse specie animali è risultata una maggiore omologia fra κ di specie diverse che fra κ e λ della stessa specie.
Lo studio della sequenza di una catena γ di 446 aminoacidi e le sequenze parziali di altre catene H della stessa classe e di altre classi nell'uomo e in altre specie ha rivelato l'esistenza di una parte V di circa 110 aminoacidi e di una parte C tre volte più lunga di V. La parte V contiene regioni invarianti, variabili, ipervariabili e un ponte S-S intracatena. La parte V presenta 4 sottogruppi (I, II, III, IV) ciascuno comune alle catene μ, γ, α. La parte C è diversa in classi diverse, ma presenta omologie anche fra H di specie animali diverse. Inoltre, la parte C è scomponibile in tre regioni, con sequenze omologhe, CH1, CH2, CH3, ciascuna delle quali è costituita da circa 110 aminoacidi e contiene un ponte S-S intracatena.
Il paragone delle sequenze di catene L e H rivela scarsa omologia fra V e C. Maggiore omologia esiste fra VL e VH e fra CL, CH1, CH2, CH3. Questa analisi comparata di segmenti di circa 110 aminoacidi suggerisce che le Ig possono essere derivate dall'evoluzione di un gene ancestrale per una sequenza di 110 aminoacidi. Data la scarsa omologia fra V e C, è probabile che il gene ancestrale si sia diversificato in epoca molto primitiva nei precursori dei geni V e C. I geni CL si sono differenziati dapprima in Ck e Cλ e successivamente in geni specifici di specie. La diversificazione dei geni CH sembra essersi iniziata con μ (i primi anticorpi sono stati trovati nei ciclostomi e sono costituiti da catene μ) seguita dalla comparsa di γ negli anfibi e α negli uccelli.
Si pensa che ogni regione costituita da 110 aminoacidi e contenente un ponte S-S intracatena abbia una struttura terziaria ben definita, la quale sarebbe molto simile per sequenze omologhe. Così, ogni regione potrebbe contribuire alla formazione di un sito attivo responsabile di una funzione della molecola Ig. Si è visto, infatti, che il sito combinatorio degli anticorpi è costituito da VL e VH ed è determinato dalla loro struttura primaria; CH2 contiene i siti di fissazione del complemento; CH3 ha la proprietà di legarsi alla membrana di alcune cellule.
Allotipia. - Ogni isotipo può avere forme molecolari diverse (allotipi) in individui diversi della stessa specie animale (polimorfismo genetico).
In molte specie animali le Ig presentano varianti alleliche (allotipi) le cui caratteristiche distintive sono localizzate nelle parti CL e CH e, nel coniglio, anche nella parte VH.
Nell'uomo, il locus InV controlla con tre alleli le specificità antigeniche delle Ig di tipo κ. Tali specificità sono associate alla sostituzione valina-leucina in posizione 191 delle catene κ. Individui eterozigoti al locus InV possiedono due specificità antigeniche, ciascuna su molecole Ig diverse. Si tratta quindi di geni codominanti di cui solo uno viene trascritto a livello cellulare, così che una popolazione di cellule sintetizza un allotipo un'altra popolazione l'altro allotipo (esclusione allelica).
Un altro complesso di più di 20 specificità antigeniche è costituito dal sistema Gm nell'uomo. Queste specificità sono localizzate sulla parte CH delle 4 sottoclassi delle IgG. Si tratta di prodotti allelici di 4 geni strutturali strettamente associati nel seguente ordine: γ1, γ3, γ2, γ4. Anche per il sistema Gm, individui eterozigoti hanno alleli codominanti e presentano il fenomeno dell'esclusione allelica. Quanto alle altre classi di Ig dell'uomo, l'unica forma allotipica recentemente scoperta riguarda le IgA. Limitatamente alla sottoclasse IgA2, si conoscono due varianti allotipiche Am2(+) e Am2(−), di cui la seconda è molto rara nella razza caucasica.
Nel coniglio, oltre a numerose specificità antigeniche associate alle parti CH e CL, si trovano specificità localizzate nella parte VH. Queste varianti allotipiche sono di particolare interesse perchè permettono di dimostrare l'esistenza di geni V mediante l'analisi genetica formale della segregazione e ricombinazione allelica. Inoltre, si è visto che le antigenicità delle varianti allotipiche VH sono le stesse in classi diverse e, nell'ambito delle IgG, sono associate a quelle CH nel senso che le specificità di genitori eterozigoti per VH e CH sono trasmesse alla progenie senza ricombinazione. Questi fatti suggeriscono che un gene per la parte V può traslocare presso geni C di classi diverse, e che ogni coppia di geni V-C viene ereditata associata.
Idiotipia. - Ogni forma allotipica di un anticorpo possiede varianti molecolari (idiotipi), ciascuna tipica sia dell'individuo che l'ha prodotta sia della specificità del sito combinatorio. L'idiotipia denota caratteristiche antigeniche individuali della molecola anticorpale.
Specificità idiotipiche possono essere messe in evidenza immunizzando un animale A con anticorpi prodotti da un animale B, allotipicamente identico ad A, contro un antigene X. A produce anticorpi anti-(B anti-X). La specificità di questi anticorpi A anti-idiotipo è suffragata dalla loro mancata reazione sia con anticorpi prodotti in un altro animale C, pure allotipicamente identico ad A, contro lo stesso antigene X, sia con anticorpi prodotti nello stesso animale B contro un altro antigene Y. Si tratta quindi di antigenicità legata alla specificità dell'anticorpo e all'individuo che l'ha prodotto. Analogamente, proteine mielomatose hanno specificità antigeniche individuali riconoscibili con antisieri che non reagiscono con Ig normali.
Le specificità idiotipiche sono localizzate su Fab e sulle parti VL e VH. L'associazione dell'allotipia col sito combinatorio è quindi evidente. Infatti, un aptene può bloccare competitivamente la reazione di anticorpi anti-idiotipo contro l'anticorpo specifico per l'aptene. L'idiotipo è associato agli aminoacidi ipervariabili responsabili della specificità del sito combinatorio. Questa unicità dell'anticorpo dipende infatti dalla struttura primaria di VL e VH, poiché Fab ridotto e denaturato con guanidina 6 M riprende la specificità nativa, in assenza dell'antigene, dopo allontanamento degli agenti riducenti e denaturanti.
È stato visto - sia in pazienti portatori di due mielomi IgG e IgM, o IgG e IgA, sia in conigli immunizzati contro Salmonella - che gli stessi determinanti idiotipici sono presenti sulle due classi mielomatose dello stesso individuo oppure su anticorpi IgG e IgM dello stesso coniglio immunizzato contro Salmonella. Queste osservazioni indicano che Ig di classe diversa possono avere lo stesso sito combinatorio.
Biosintesi delle immunoglobuline. - Le Ig sono sintetizzate nelle plasmacellule e nei linfociti presenti soprattutto nella milza e nei linfonodi. Le catene H sono sintetizzate da polisomi 300 S in 60 secondi, le catene L da polisomi 180 S in 30 secondi. Ambedue le catene sono sintetizzate dall'NH2 fino al COOH terminale, senza discontinuità.
Le catene H non si trovano mai libere nel citoplasma. Le catene L sono libere o combinate alle H. Si pensa che il compartimento di catene L libere condizioni il rilascio delle H dai ribosomi. Il rilascio avviene in forma di dimeri HL, che si associano poi a due a due nel citoplasma, o in forma di tetrameri H2L2. I tetrameri si riversano nelle cisterne dove si combinano coi carboidrati che si attaccano alla regione CH2. Le Ig complete sono quindi secrete all'esterno della cellula, con un tempo di transito fra sintesi e secrezione di circa 20-30 minuti.
Le catene H e L che costituiscono una singola specie molecolare di Ig sono sintetizzate dalla stessa cellula, mentre L di tipo diverso o H di classe diversa sono sintetizzate da cellule diverse. In individui eterozigoti per marcatori allotipici delle L o H, ogni cellula che sintetizza Ig esprime solo uno dei due alleli (esclusione allelica). Inoltre, è assodato che ogni cellula produce anticorpi con una singola specificità.
Non mancano eccezioni alla restrizione del fenotipo cellulare a una singola classe. Infatti è stata dimostrata la possibilità che una singola cellula contenga contemporaneamente IgM e IgG. L'esistenza di cellule di transizione nella sintesi di classi diverse indica che una singola cellula a tempi diversi può sintetizzare Ig di classe diversa attivando ogni volta un gene strutturale diverso per la parte C. Poiché la sintesi delle catene H e L avviene in modo continuo per le parti V e C, è necessario che per ogni classe e tipo di catena, i geni v e C, o i loro mRNA, si uniscano adeguatamente. Secondo G. Edelman il gene V è un episoma, diffonde e trasloca a breve distanza sullo stesso cromosoma dove, per mezzo di un enzima, si inserisce adiacente a uno dei geni C fra loro associati. Ogni catena polipeptidica sarebbe codificata da due geni, V e C, appartenenti a un gruppo di geni situati in un cromosoma e capaci di traslocare da una regione all'altra dello stesso cromosoma. Edelman ha ipotizzato l'esistenza di tre gruppi genici, o unità di traslocazione, per codificare la struttura di catene κ, λ, o H (fig. 3).
L'origine dell'eterogeneità strutturale della parte V delle Ig non è nota. Secondo la teoria germinale, le cellule germinali conterrebbero tanti geni V quante sono le sequenze appartenenti a ciascun sottogruppo di Vk, Vλ, e VH. Secondo la teoria somatica, i precursori delle cellule che producono Ig, così come le cellule germinali, conterebbero pochi geni V, cioè tanti quanti sono i sottogruppi di Vk, Vλ, e VH. L'eterogeneità entro sottogruppo sarebbe poi generata da riarrangiamenti intra-cromosomici che darebbero origine ai numerosi geni V di ciascun sottogruppo. Esistono dati a favore dell'una e dell'altra teoria, e non è ancora possibile fare una scelta definitiva.
Catabolismo delle immunoglobuline. - Le Ig sintetizzate nei linfonodi e nella milza, entrano nel sangue direttamente o attraverso le vie linfatiche efferenti, fatta eccezione per le Ig che si riversano direttamente nei liquidi di secrezione.
La quantità totale di Ig extracellulari rappresenta il "compartimento totale", di cui una parte è intravascolare (nella circolazione sanguigna) e un'altra parte è extravascolare (nei tessuti e circolazione linfatica). Ogni classe di Ig è in equilibrio fra i due compartimenti. La quantità extravascolare, come percentuale di quella totale, è diversa da una classe all'altra: IgM, 30%; IgG, 55%; IgA, 60%.
L'eliminazione delle Ig avviene per pinocitosi nei fagociti che le degradano con enzimi proteolitici.
La velocità di eliminazione varia con la classe di Ig. I tempi di dimezzamento delle concentrazioni nel compartimento intravascolare sono diversi per classi diverse. La velocità del catabolismo delle IgG, contrariamente alle IgA, IgM, e altre proteine plasmatiche, aumenta con la concentrazione nel sangue delle IgG.
In pazienti mielomatosi, in cui il livello ematico delle IgG può essere aumentato di dieci volte, il catabolismo delle IgG mielomatose e di anticorpi della stessa classe è così elevato che la sintesi di anticorpi contro antigeni batterici non riesce a compensare l'eliminazione di questi anticorpi, con conseguente diminuzione della resistenza alle infezioni.
La tab. 1 riassume alcune caratteristiche delle Ig.
Complemento. - La reazione di anticorpi con antigeni situati sulla superficie cellulare è spesso seguita da lisi della cellula e da manifestazioni infiammatorie nei tessuti, come vasodilatazione, aumento della permeabilità capillare, accumulo e aumentata fagocitosi dei leucociti. Questi fenomeni sono dovuti al complemento (C), un complesso di 11 proteine (C1q, C1r, C1s, C2, C3, C4, C5, C6, C7, C8, C9) che normalmente esistono nel siero in forma inattiva. Queste proteine, che rappresentano il 10% delle globuline, non sono Ig e la loro concentrazione non aumenta a seguito dell'immunizzazione.
L'attivazione di C secondo il meccanismo classico (esiste anche un meccanismo alternativo) comincia dalla combinazione di C1q col complesso antigene-anticorpo. A questo segue una serie di reazioni nelle quali una frazione attivata scinde un'altra frazione in frammenti, il maggiore dei quali agisce come enzima proteolitico scindendo un'altra frazione della serie in altri frammenti. La durata della forma attiva è molto breve (qualche minuto) così da limitare la possibilità che la diffusione dei frammenti attivi danneggi le cellule nelle vicinanze del complesso immune che ha iniziato la serie di attivazioni. Le proteine di C si possono raggruppare in tre unità di azione: unità di riconoscimento, costituita da 6 molecole di C1q, 2 molecole di C1r, 4 molecole di C1s, il tutto mantenuto in forma aggregata da Ca++; unità di attivazione, formata da C2, C3, C4; unità di attacco, comprendente C5, C6, C7, C8, C9. La regione CH2 di due anticorpi IgG vicini o di un anticorpo IgM, combinati agli antigeni della membrana cellulare, fissano la frazione C1q e le altre frazioni ad essa aggregate dell'unità di riconoscimento. Questa fissazione attiva la funzione enzimatica di C1s che diventa C−1−s (forma attiva). Questo enzima attiva numerose molecole di C4 scindendolo in C4a e C4b. Vari frammenti C4b si fissano sulla membrana in regioni vicine al complesso antigene-anticorpo. Il destino di C4a non è noto. In presenza di Mg++, C2 si fissa a C4b ed è scisso dal vicino C−1−s in due frammenti C2a e C2b. Il complesso
è un enzima attivo, denominato C3-convertasi, che scinde numerose molecole di C3 in C3a e C3b. Il frammento C3a rimane in soluzione ed è un mediatore dell'infiammazione. Molti frammenti C3b si fissano sulla membrana e hanno la funzione di promuovere la fagocitosi. Il frammento C3b adiacente a
forma l'enzima
denominato C5-convertasi, che scinde C5, in C5a e C5b. Mentre C5a è un mediatore dell'infiammazione, C5b si unisce all'enzima
e fissa C6 e C7. Il complesso
si separa da
e si fissa su altri siti della membrana. Qui si aggiunge C8 che provoca un piccolo foro nella membrana con penetrazione di acqua e ioni. La successiva aggiunta di sei molecole di C9 allarga il foro con maggiore penetrazione di acqua e ioni, seguita da lisi cellulare. Lesioni morfologiche visibili al microscopio elettronico ma non ancora funzionali sono provocate da C5b; le altre frazioni che si aggiungono successivamente vengono a costituire una specie di imbuto rigido che, infisso nella membrana allo stato fluido, consente la penetrazione di liquidi nella cellula.
Nell'uomo, gli anticorpi capaci di fissare C1q sono della classe IgG1, IgG2, IgG3, IgM. La fissazione di C1q avviene sia su anticorpi combinati con l'antigene sia su anticorpi aggregati da agenti denaturanti. Anticorpi aggregati della classe IgA1, IgA2, IgE, IgG4 sono incapaci di fissare C1q ma possono attivare il C con un meccanismo alternativo a quello classico sopradescritto.
Il meccanismo alternativo di attivazione di C consiste nell'attivazione di C3 senza attivare C1, C4, e C2. Questo processo può essere iniziato da endotossine, zimosan, IgA, IgE, IgG4 aggregate. L'agente iniziatore agisce sui fattori del sistema della properdina, cioè sul fattore D o convertasi che scinde e attiva il fattore B o proattivatore del C3. L'attivatore che ne deriva scinde C3 in C3a e C3b. Il frammento C3b a sua volta interagisce coi fattori D e B catalizzando questo meccanismo di attivazione del C3.
Alcune frazioni del C, oltre che partecipare nella serie di fenomeni che terminano con la lisi cellulare, hanno altre funzioni. I frammenti C3a e C5a, denominati anafilatossine, aumentano la permeabilità dei capillari e rilasciano istamina dai mastociti. Il frammento C5a, inoltre, e il complesso
hanno azione leucotattica sui granulociti. I frammenti C3b e C5b hanno azione opsonizzante in quanto favoriscono l'aderenza e la fagocitosi dei leucociti e dei macrofagi verso complessi immuni che abbiano fissato questi frammenti.
La conoscenza della partecipazione determinante del C nei processi immunolitici ha da tempo attribuito al C un ruolo fondamentale nei meccanismi difensivi contro le infezioni. Tuttavia, l'esistenza di una specifica patologia attribuibile a deficienze del C è di difficile dimostrazione.
In topi carenti di C5 si può osservare una diminuita resistenza al pneumococco e, se gli animali sono pretrattati con siero antilinfocitario, un difetto della capacità di rigettare trapianti allogenici. Le reazioni di ipersensibilità di tipo ritardato sono, invece, molto chiaramente debilitate nel coniglio carente di C6, anomalia associata ad aumento del tempo di coagulazione e di retrazione del coagulo. Anche in cavie deficienti di C4 si possono dimostrare difetti della fagocitosi. Si noti, tuttavia, che in questi animali in cui si possono rivelare sperimentalmente difetti immunitari, la carenza di C non è mai associata ad aumento delle infezioni spontanee.
Nell'uomo si conoscono rare deficienze di C2, C3, C5, C6, e C7. Fatta eccezione per la deficienza di C6 che non è associata a fenomeni patologici evidenti, negli altri casi sono state recentemente osservate manifestazioni morbose di varia natura, dalle infezioni al lupus eritematoso. Si tratta di sindromi complesse in cui la concomitante alterazione di numerosi tessuti rende molto difficile stabilire quanto dipenda specificamente dalla carenza di una particolare frazione del C. Più semplice è il caso dell'edema angioneurotico nell'uomo, affezione dovuta a una riduzione al 10% del normale inibitore della C−1−s esterasi.
Risposta immunitaria.
Nell'individuo immunizzato, l'interazione fra antigene e cellule del sistema immunitario provoca la comparsa di anticorpi specifici che, prodotti in linfociti e plasmacellule, si riversano nei liquidi dei tessuti e nel sangue. L'iniezione di antigene può anche provocare risposte indipendenti dalla produzione di anticorpi e associate alla generazione di linfociti specificamente reattivi o sensibilizzati, responsabili di una condizione di cosiddetta ipersensibilità di tipo ritardato (v. oltre).
Risposta anticorpale. - A) Aspetti serologici. - Alla prima iniezione di antigene segue un periodo di latenza in cui l'antigene raggiunge il sistema immunitario e v'induce quei fenomeni che conducono alla formazione di cellule secernenti gli anticorpi, poi rivelabili nel siero. Qui la concentrazione anticorpale aumenta dapprima lentamente e poi rapidamente con andamento esponenziale. Raggiunto il valore massimo, la concentrazione di anticorpi si stabilizza per qualche tempo e quindi declina verso i valori iniziali.
Per la maggior parte degli antigeni i primi anticorpi che appaiono nel siero dell'animale adulto sono della classe IgM, seguiti pochi giorni dopo da anticorpi IgG la cui concentrazione continua ad aumentare mentre diminuisce quella degli anticorpi IgM. La sintesi esclusiva di IgM nel neonato umano e la produzione di anticorpi di una sola classe simile alla IgM nei vertebrati primitivi suggeriscono che la comparsa iniziale di IgM rappresenti una forma primitiva di risposta conservata dal sistema immunitario più evoluto dei mammiferi adulti.
Col passare del tempo dalla immunizzazione, l'antisiero forma con l'antigene omologo in vitro complessi immuni sempre più stabili e dimostra maggiore capacità di dare reazioni crociate con antigeni eterologhi. Questo fenomeno sembra indipendente dal cambiamento di classe da IgM a IgG, e può essere attribuito all'aumento di affinità dei siti anticorpali.
La risposta anticorpale a una seconda iniezione dello stesso antigene può essere indotta da una dose minore ed è caratterizzata da un periodo di latenza più breve, da una fase esponenziale a volte più rapida, e da valori massimi del titolo anticorpale più elevati e persistenti che nella risposta primaria.
Questa cinetica può essere attribuita a una popolazione di cellule anticorpopoietiche maggiore che nella risposta primaria, compatibilmente con l'ipotesi che la velocità di sintesi degli anticorpi per cellula sia la stessa nelle due risposte. Non è tuttavia esclusa la possibilità che il secondo antigene stimoli una popolazione cellulare selezionatasi durante la risposta primaria e quindi qualitativamente diversa da quella su cui ha agito il primo antigene.
Nella risposta secondaria prevalgono anticorpi della classe IgG, benché non manchi la partecipazione di anticorpi IgM. L'affinità di anticorpi a un dato tempo dalla seconda iniezione di antigene è molto maggiore di quella di anticorpi allo stesso tempo dalla prima iniezione di antigene. Se la risposta secondaria è provocata da un antigene crossreagente gli anticorpi indotti hanno maggiore affinità per l'antigene primario. Infatti, individui affetti da virus influenzale di un ceppo possono produrre anticorpi che reagiscono preferenzialmente con altri ceppi di virus coi quali l'individuo è venuto in contatto in passato. Si può così identificare a distanza di molti anni virus responsabili di epidemie influenzali a eziologia rimasta ignota per lungo tempo.
Esistono ampie differenze nella quantità di anticorpi formati da individui diversi della stessa specie animale verso un dato antigene. Benché anche individui identici, come i membri di un ceppo inbred, dimostrino differenze nella risposta anticorpale, una parte della variabilità fra individui diversi è ereditabile. L'esistenza di un controllo genetico della risposta anticorpale è emerso chiaramente da studi su topi e cavie, nei quali sono stati stabiliti i seguenti fatti. La differenza fra individui capaci e individui incapaci di rispondere a un determinante antigenico dipende da uno o più geni autosomici dominanti. La capacità di ibridi Fi derivati dall'incrocio di ceppi capace e incapace di rispondere a un certo determinante esclude la possibilità che l'incapacità a rispondere sia dovuta a tolleranza naturale verso lo stesso determinante presente nei tessuti del ceppo incapace e trasmesso, come tutti gli altri antigeni dei due ceppi, agl'ibridi F1. Animali capaci di rispondere a numerosi apteni, ciascuno coniugato a una grande varietà di carriers, sono tuttavia incapaci di produrre anticorpi verso gli stessi apteni quando questi sono coniugati a un particolare carrier, per es. poli-L-lisina. Questa capacità di riconoscere il carrier è controllata da un gene autosomico dominante.
Nella maggior parte dei mammiferi la sintesi di anticorpi s'inizia in epoca perinatale. Alla nascita, le Ig presenti sono di origine materna e acquisite per via placentare o attraverso il colostro, con prevalenza dell'uno o dell'altro meccanismo a seconda delle specie animali. Nell'uomo, prevale il passaggio placentare delle IgG. In questa specie, le IgM e IgA sono sintetizzate immediatamente dopo la nascita, mentre le IgG1 3 mesi più tardi e raggiungono il livello adulto a 2 anni di età. La capacità immunitaria è già presente nel feto.
Nell'uomo infetto da Treponema o Toxoplasma per via placentare, il feto presenta numerose plasmacellule e il neonato anticorpi specifici della classe IgM. Nella pecora, specie in cui la gravidanza dura 150 giorni, è possibile stimolare il feto di 35 giorni a produrre anticorpi contro un batteriofago. In questa specie, la competenza immunologica per altri antigeni sembra comparire a tappe diverse: 65 giorni di gestazione per la ferritina, 125 giorni per l'ovalbumina, alcuni giorni dopo la nascita per il tossoide difterico. La capacità immunitaria declina con l'età; nell'uomo dai 60 anni.
B) Fenomeni cellulari. - La penetrazione dell'antigene nella circolazione sanguigna o linfatica e successiva localizzazione nei tessuti linfoidi del sistema immunitario induce una serie di modificazioni cellulari. Le cellule che trattengono l'antigene sono, nei linfonodi, i macrofagi della midollare e le cellule reticolari dei follicoli; nella milza, le cellule reticolari della zona marginale e dei follicoli. Queste cellule, denominate ausiliarie, catturano l'antigene ma non producono anticorpi. In molte risposte anticorpali indotte da piccole dosi di antigene, le cellule anticorpopoietiche esplicano la loro funzione senza contenere alcuna traccia dell'antigene iniettato. A seguito dell'interazione fra antigene e cellule ausiliarie, alcuni piccoli linfociti si trasformano in immunoblasti che si dividono rapidamente. Dagli immunoblasti derivano grandi linfociti e plasmacellule immature, le quali a maturazione avvenuta, producono anticorpi. I grandi linfociti si trasformano a loro volta in medi e piccoli linfociti, i quali producono anticorpi oppure conservano la memoria immunologica.
Successive stimolazioni antigeniche trasformano i piccoli linfociti della memoria in immunoblasti che, attraverso la fase di plasmacellule immature, diventano plasmacellule mature. Il ruolo delle cellule ausiliarie nell'attivazione dei linfociti non è stato ancora chiarito. La funzione delle cellule reticolari sembra consistere nella ritenzione di antigene, mediata da anticorpi citofili, sulla superficie dei prolungamenti dendritici del loro citoplasma, assicurando così un deposito di antigene nei follicoli linfatici per la stimolazione locale dei piccoli linfociti. La funzione dei macrofagi, dotati di attività fagocitaria ed enzimatica, è quella di degradare l'antigene. Questa degradazione con alterazione della struttura e dimensione dell'antigene potrebbe risultare nel rilascio dal macrofago di frammenti di antigeni più immunogenici per i piccoli linfociti. Alternativamente, il macrofago, distruggendo l'antigene fagocitato, proteggerebbe i piccoli linfociti da dosi eccessive e paralizzanti di antigene. Alcuni esperimenti hanno dimostrato che i macrofagi che hanno fagocitato l'antigene possono elaborare un mRNA che attiva i piccoli linfociti trascrivendovi l'informazione per sintetizzare anticorpi specifici.
Le cellule sensibili all'antigene sono i piccoli linfociti. Se ne conoscono due tipi, T e B, diversi per origine e per altre proprietà. Le cellule T derivano dal timo, le B sono timo-indipendenti e derivano dalla borsa di Fabrizio negli uccelli e da un organo equivalente non identificato nei mammiferi, le une e le altre per differenziazione di cellule staminali midollari.
I linfociti T e B hanno sulla loro superficie ricettori specifici per l'antigene: per i linfociti B si tratta di abbondanti Ig che in una data cellula sono ristrette a un isotipo, un allotipo, un idiotipo; per i linfociti T la natura dei ricettori è incerta, trattandosi di poche molecole Ig per cellula (1000 volte meno che per i B), secondo alcuni della classe IgM, secondo altri di una classe IgT non ancora identificata. Nel topo, le cellule T e B differiscono anche per la presenza sulle prime e assenza sulle seconde di alloantigeni ereditabili, come θ, TL, Ly. Ambedue i tipi di linfociti sono circolanti nel sangue e nella linfa, ma la loro distribuzione anatomica è diversa nei vari tessuti linfatici (tab. 2).
I linfociti B stimolati dall'antigene e le plasmacellule da essi derivati producono anticorpi. I linfociti T stimolati dall'antigene non producono anticorpi.
Per alcuni immunogeni, detti T-dipendenti, la produzione di anticorpi nei linfociti B dipende dalla partecipazione o cooperazione di linfociti T e di cellule ausiliarie; per altri immunogeni (di elevato peso molecolare e con determinanti antigenici ripetuti, come i polisaccaridi del pneumococco e la flagellina polimerizzata), detti T-indipendenti, la produzione di anticorpi nei linfociti B non richiede la cooperazione dei linfocitï T e di cellule ausiliarie.
Il meccanismo della cooperazione cellulare nella risposta anticorpale è stato molto studiato. Poiché non è necessario il contatto fisico fra cellule T e B, si pensa che la cellula T combinatasi con l'antigene, rilasci i propri ricettori legati all'antigene e che questi complessi si fissino con la regione Fc sulla membrana della cellula ausiliaria. Questi complessi in elevata concentrazione sarebbero lo stimolo anticorpopoietico per cellule B specifiche che si trovino nelle vicinanze della cellula ausiliaria. È stato inoltre dimostrato che la cellula T cooperante può secernere, oltre ai propri ricettori specifici, anche fattori non specifici per l'antigene che avrebbero funzione mitogena sulle cellule B.
L'esposizione di una popolazione di linfociti di milza o linfonodo a un antigene risulta nella sua combinazione con una limitata porzione di cellule B, le quali produrranno l'anticorpo specifico. Questa selezione determinata dall'antigene è dovuta alla specificità dei ricettori della superficie cellulare. L'energia di legame o affinità dei ricettori di una cellula B specifica per un determinante antigenico sembra essere uguale alla affinità degli anticorpi che saranno prodotti dalla stessa cellula dopo stimolazione antigenica. Pertanto, se la dose di antigene è piccola saranno preferenzialmente stimolate cellule con ricettori ad alta affinità con conseguente produzione di anticorpi di elevata affinità; dosi maggiori di antigene indurranno anticorpi di affinità minore. Questa relazione fra dose di immunogeno e affinità degli anticorpi è stata dimostrata in molti casi, e spiega l'aumento dell'affinità degli anticorpi col passare del tempo dall'immunizzazione: man mano che diminuisce la concentrazione di antigene nell'organismo, vengono preferenzialmente stimolate cellule con ricettori di alta affinità con conseguente aumento dell'affinità media degli anticorpi nel siero. Questo processo selettivo è favorito dalla presenza di anticorpi, i quali competono coi ricettori cellulari per l'antigene. La maggiore affinità degli anticorpi durante la risposta secondaria può essere attribuita alla stimolazione di cellule con ricettori di elevata affinità, le quali sono state selezionate durante la risposta primaria da concentrazioni di antigene progressivamente decrescenti col passare del tempo dallo stimolo primario. Questo meccanismo è compatibile con l'ipotesi secondo la quale la risposta secondaria risulta dalla stimolazione di cellule qualitativamente diverse da quelle della risposta primaria.
Numerose osservazioni suggeriscono che la memoria immunologica è una proprietà dei linfociti, sia T che B.
La stimolazione antigenica dei linfociti T genera, oltre che cellule T cooperanti nella produzione di anticorpi, anche cellule T effettrici nelle reazioni di ipersensibilità di tipo ritardato. In queste reazioni le cellule T specificamente attivate possono rigettare trapianti di tessuti incompatibili, distruggere cellule tumorali, promuovere la differenziazione di macrofagi quiescenti in fagociti altamente battericidi capaci di distruggere microorganismi patogeni.
Risposte allergiche.- L'iniezione di antigene può indurre uno stato di alterata sensibilità (ipersensibilità o allergia) tale che una successiva iniezione dello stesso antigene può scatenare una risposta patologica immediata (pochi minuti) o ritardata (alcune ore o giorni). Tuttavia, i due tipi di risposta allergica sono distinti per il diverso meccanismo piuttosto che per il tempo d'insorgenza. Le risposte di tipo ritardato non dipendono da anticorpi ma da linfociti T sensibilizzati.
Ipersensibilità di tipo immediato. - Le principali risposte di tipo immediato sono l'anafilassi e le sindromi da complessi immuni, localizzate (reazione di Arthus) o generalizzate (malattia da siero). Queste reazioni allergiche sono caratterizzate dal fatto che il complesso immune stimola certe cellule a rilasciare sostanze dannose.
A) Anafilassi. L'antigene sensibilizzante induce, più spesso in individui geneticamente predisposti, la produzione di anticorpi (reagine) della classe IgE. Questi anticorpi sono citotropici per alcune cellule (mastociti, granulociti basofili, piastrine, cellule enterocromaffini), alle quali si legano con la regione Fc sensibilizzando così l'individuo. Una successiva iniezione dello stesso antigene o di antigene crossreagente scatena la reazione anafilattica.
L'antigene scatenante si combina con le reagine sessili e, se è multivalente, le aggrega sulla superficie cellulare, per es. dei mastociti, provocando la fuoriuscita di istamina e serotonina o la sintesi e secrezione di chinine e di SRS-A (slow reactive substance of anaphylaxis). Queste sostanze o mediatori chimici fanno contrarre le fibre muscolari liscie e aumentano la permeabilità dei capillari, con conseguenze spesso mortali dipendentemente dall'importanza dell'organo bersaglio in cui si scatena la reazione. Così, nell'uomo e nella cavia, si può osservare uno shock caratterizzato da grave dispnea dovuta alla contrazione dei bronchioli e a edema laringeo; nel coniglio la contrazione dell'arteria polmonare provoca insufficienza cardiaca del ventricolo destro; nel cane la contrazione delle vene sovraepatiche provoca stasi ed emorragie epato-intestinali.
B) Sindromi da complessi immuni. La forma localizzata è espressa dalla reazione di Arthus (v. allergia, App. I, p. 87), che si ottiene sperimentalmente iniettando ripetute volte, sottocute, un antigene proteico che induca anticorpi precipitanti. Si formano complessi immuni nel sito d'iniezione, i quali fissano il complemento le cui frazioni leucotattiche richiamano i granulociti neutrofili. Gli enzimi lisosomiali liberati da queste cellule causano lesioni della parete dei piccoli vasi con conseguente trombosi e, a volte, necrosi del tessuto.
Nella malattia da siero (v. allergia, App. I, p. 87), che si può indurre iniettando un antigene proteico una sola volta in grande quantità o ripetutamente, si osservano le stesse lesioni della reazione di Arthus in forma generalizzata con frequente interessamento dei glomeruli renali. Anche il meccanismo patogenetico è lo stesso, differendo solo per una maggior partecipazione di reagine IgE, le quali liberano dai granulociti basofili un fattore agglutinante le piastrine da cui vengono rilasciate istamina e serotonina. Questi mediatori aumentano la permeabilità dell'endotelio, agevolando la penetrazione dei complessi immuni circolanti nella parete vascolare.
Ipersensibilità di tipo ritardato. - Questo stato allergico è indotto da trapianti allogenici, tumori, e da virus, miceti, protozoi, molti batteri, in genere da agenti patogeni che possono sopravvivere e proliferare entro cellule dell'organismo. L'ipersensibilità di tipo ritardato può essere provocata anche da proteine e apteni, tanto più facilmente quanto minore è la dose d'immunogeno emulsionato in adiuvante completo di Freund.
Lo stato di ipersensibilità può essere rivelato dalla reazione all'iniezione, per es. cutanea, dell'antigene scatenante. La reazione allergica dipende dalla presenza in circolo di linfociti T sensibilizzati e dalla possibilità che essi raggiungano l'antigene scatenante. Quando linfociti sensibilizzati si combinano con l'antigene specifico essi liberano alcuni fattori che reclutano altre cellule e ne influenzano lo stato fisiologico. Così i m0nociti migrano al sito d'introduzione dell'antigene e vengono trasformati in macrofagi. L'azione distruttiva dei macrofagi si esplica anche contro antigeni non specifici. Infatti, splenociti di topi tubercolotici trasferiti a topi infettati con Micobacterium tubercolosis e Listeria monocytogenes proteggono contro le due forme d'infezione. La produzione di fattori linfocitari è altamente specifica, poiché l'antigene scatenante deve avere determinanti identici a quelli dell'antigene sensibilizzante.
I principali fattori linfocitari identificati sono i seguenti: a) Fattore chemiotattico; richiama i monociti i quali rappresentano 80-90% delle cellule che partecipano alla reazione di tipo ritardato. b) MIF (migrationinhibition factor); arresta la migrazione dei monociti e li attiva in macrofagi, aumentandone l'adesività e la fagocitosi. c) TF (transfer factor); nell'uomo, contrariamente alle altre specie animali in cui l'ipersensibilità è trasferibile soltanto da cellule, un estratto dializzabile di leucociti può trasmettere, in vivo e in vitro, lo stato di ipersensibilità. In vivo, la sensibilizzazione si manifesta entro alcune ore dall'iniezione e persiste per 1-2 anni. L'antigene specifico provoca la liberazione di TF dai linfociti sensibilizzati, desensibilizzandoli. d) Linfotossina; fattore non dializzabile, rilasciato da linfociti sensibilizzati dopo interazione con l'antigene, ha azione citotossica in vitro. Potrebbe trattarsi di un meccanismo, diverso dal contatto cellulare, operante nei processi di attacco dei linfociti T contro cellule estranee (tumori, trapianti).
Contrariamente alle reazioni di tipo immediato, quelle di tipo ritardato non sono inibite da antiistaminici e sono sensibili a dosi moderate di cortisone. Alla ipersensibilità di tipo ritardato appartengono:
A) Allergia da microorganismi. Si instaura uno stato di ipersensibilità di tipo ritardato nel corso di tubercolosi, lebbra, brucellosi, psittacosi, istoplasmosi, leismaniosi, echinococcosi, ecc. L'ipersensibilità è rivelabile dalla reazione all'iniezione intradermica di antigene estratto dall'agente infettante (per es. tubercolina).
B) Allergia da contatto. L'ipersensibilità da contatto è indotta dall'assorbimento percutaneo di sostanze di basso peso molecolare applicate sulla cute. Dopo circa due settimane, un secondo contatto della stessa sostanza con la stessa o diversa zona di cute può provocare una dermatite localizzata. L'infiammazione è caratterizzata da invasione di cellule mononucleate nel derma (come nella reazione all'iniezione di tubercolina nei tubercolotici). Inoltre, nell'uomo, si formano vesciche intradermiche confluenti, ripiene di liquido sieroso, cellule mononucleate e granulociti. Le sostanze capaci di indurre sensibilizzazione sono l'acido picrico, il dinitroclorobenzene, derivati della penicillina e altre sostanze capaci di legarsi covalentemente con le proteine della cute. Questi apteni, coniugandosi a un carrier locale, diventano immunogeni capaci di sensibilizzare e scatenare una reazione allergica.
C) Allergia da trapianto incompatibile. Se si trapianta un tessuto fra individui geneticamente identici, esso viene nutrito dai vasi dell'ospite, persiste, e sopravvive indefinitamente. Se, invece, lo stesso tessuto è trapiantato a un individuo della stessa specie ma geneticamente diverso dal donatore (trapianto allogenico), si osserva rigetto del trapianto. Si ha rigetto ogniqualvolta il donatore possiede antigeni dell'istocompatibilità strutturalmente diversi da quelli del ricevente. In questo caso, gli antigeni del trapianto inducono nel ricevente una risposta immunitaria che provoca il rigetto. Si tratta di una risposta di tipo ritardato, caratterizzata da infiltrazione di cellule mononucleate nel trapianto.
Gli antigeni dell'istocompatibilità rilasciati dal trapianto stimolano i piccoli linfociti delle aree linfatiche timo-dipendenti i quali proliferano e generano una grande popolazione di linfociti circolanti. Questi linfociti T sensibilizzati raggiungono il trapianto dove esercitano un'azione citotossica diretta o mediata da linfotossine. Altri mediatori liberati dai linfociti sensibilizzati pervenuti nel trapianto vi richiamano e arrestano i monociti stimolando la loro capacità fagocitaria e distruttrice. Risultato di questi fenomeni è la morte del tessuto trapiantato. La presenza di anticorpi circolanti non solo non provoca quasi mai il rigetto, ma spesso favorisce l'attecchimento di un trapianto incompatibile. È possibile che anticorpi non citotossici combinandosi con gli antigeni cellulari del trapianto li mascherino e proteggano dall'attacco dei linfociti sensibilizzati.
Se un trapianto di tessuto allogenico contiene cellule immunologicamente competenti, queste possono reagire contro gli antigeni dell'ospite, contrastando la reazione opposta di rigetto del trapianto. Se l'ospite è immunologicamente deficiente, per es. dopo panirradiazione con raggi X, e gli sono state iniettate cellule di midollo osseo o di altri tessuti linfatici, prelevati da un donatore allogenico adulto, si può osservare la comparsa di una grave malattia, spesso mortale, dovuta alla reazione del trapianto contro l'ospite.
Numerose osservazioni cliniche e sperimentali indicano che cellule tumorali autoctone o trapiantate sono provviste di antigeni capaci di indurre uno stato di ipersensibilità di tipo ritardato. Pertanto, molti tumori possono essere considerati dei trapianti estranei al sistema immunitario dell'individuo. Il loro rigetto dovuto ai linfociti T dipende dalla prontezza della reazione che deve insorgere prima che il tumore raggiunga una massa eccessiva. Probabilmente, negli individui sani i linfociti T costituiscono un sistema di sorveglianza immunologica efficace nel rimuovere cellule neoplastiche appena originate da cellule normali.
La reazione d'ipersensibilità contro un trapianto incompatibile può essere impedita dalla somministrazione di cortisone, analoghi della purina, raggi X o siero antilinfocitario, cioè di agenti chimici, fisici o biologici capaci di distruggere i linfociti dell'ospite. Si tratta di immunosoppressivi aspecifici, i quali debilitano tutte le capacità immunitarie dell'organismo, sia quelle per il rigetto del trapianto, sia quelle per la difesa contro microorganismi e cellule tumorali. La soppressione specifica della risposta immunitaria contro un trapianto, senza alterare altre risposte contro altri antigeni, può essere ricercata sia nella paralisi selettiva del sistema immunitario, esponendolo agli stessi antigeni del trapianto a dosi e tempi opportuni (tolleranza immunitaria) sia nella protezione degli antigeni del trapianto dall'attacco dei linfociti sensibilizzati, somministrando anticorpi specifici a dosi e tempi opportuni (facilitazione immunologica).
Tolleranza immunitaria.
La tolleranza è una condizione indotta dall'antigene, nella quale la reattività di una popolazione di linfociti verso lo stesso antigene è stata ridotta o abolita. Questa definizione tiene conto di numerose osservazioni seguite alla scoperta della tolleranza naturale.
Nel 1945 R. D. Owen dimostrò che spesso vitelli gemelli dizigotici, a causa di uno scambio prenatale di cellule staminali, possiedono ciascuno una miscela di eritrociti, i propri e quelli del gemello. Lo scambio di cellule staminali attraverso la circolazione placentare consente l'instaurarsi di uno stato di chimerismo in cui vengono tollerati eritrociti che, se iniettati in età adulta a un gemello con cui non è avvenuto lo scambio di sangue placentare, sarebbero prontamente eliminati da una risposta immunitaria. La scoperta di Owen della tolleranza immunitaria associata al chimerismo naturale indusse F. M. Burnet e F. Fenner a teorizzare che l'esposizione del sistema immunitario di un animale durante lo sviluppo embrionario a un antigene, può diminuire o abolire la capacità di risposta immunitaria contro lo stesso antigene in età adulta. Così viene spiegata anche la tolleranza verso antigeni propri dell'organismo, cioè l'horror autotoxicus di Ehrlich.
Esperimenti di R. E. Billingham, L. Brent e P. B. Medawar (1953) dimostrano che la tolleranza verso antigeni della istocompatibilità può essere indotta dall'iniezione di cellule linfoidi vive in feti o neonati.
Così, topi di ceppo A iniettati alla nascita con splenociti di ceppo CBA accettano, in età adulta, un trapianto di cute CBA e rigettano la cute di un altro ceppo diverso da CBA. L'attecchimento della cute CBA dimostra che le cellule linfoidi inoculate alla nascita possiedono tutti gli antigeni della cute. La persistenza di antigeni CBA nei tessuti linfoidi di topi A tolleranti suggerisce che le cellule CBA iniettate alla nascita sopravvivono per tutto il periodo della tolleranza. L'induzione della tolleranza ai trapianti è più facile se donatore e ricevente differiscono poco per gli antigeni della istocompatibilità. Il topo A tollerante, se iniettato con cellule linfoidi A normali o preimmunizzate contro antigeni CBA, diventa capace di rigettare il trapianto CBA. Questo dimostra sia che l'animale tollerante può adottare una popolazione di cellule immunologicamente competenti consentendo l'effettuarsi di una reazione di rigetto sia che l'antigenicità del trapianto non è modificata dall'attecchimento prolungato in un ambiente allogenico.
È stato successivamente dimostrato che è possibile indurre la tolleranza verso trapianti incompatibili anche in animali adulti. Per questo, è necessario esporre il sistema immunitario a grandi quantità di antigene per lunghi periodi. Si può realizzare questa condizione sia praticando numerose iniezioni di cellule allogeniche sia unendo donatore e ricevente in parabiosi.
La tolleranza può essere indotta anche verso antigeni solubili. Così, conigli iniettati con BSA alla nascita diventano incapaci di produrre anticorpi contro questo antigene in età adulta. Questo tipo di tolleranza può essere indotta anche nell'adulto. Infatti, se si iniettano ripetutamente topi adulti con varie dosi di BSA in soluzione e quindi si esamina la risposta contro lo stesso antigene somministrato in adiuvante completo di Freund, si osserva tolleranza dopo dosi molto piccole di BSA (1-10 μg); sensibilizzazione dopo dosi intermedie (10 μg-1 mg); tolleranza dopo grandi dosi (1-10 mg). Quindi, esiste una bassa zona e un'alta zona tolerogena di antigene. Secondo N. A. Mitchison, quando i linfociti incontrano l'antigene possono diventare tolleranti o immuni. Il risultato dipende dalla natura e concentrazione dell'antigene e dalla partecipazione dei macrofagi. Infatti, antigeni in forma solubile sono più tolerogeni perché raggiungono direttamente i linfociti; se sono in forma aggregata vengono fagocitati dai macrofagi che li modificano rendendoli più immunogenici. Dosi subimmunogeniche di antigene paralizzano la maggior parte dei linfociti specifici mentre una piccola parte diventa immune. Questa sottopopolazione di linfociti immuni ha una soglia tolerogena molto alta e quindi non può essere paralizzata che da dosi di antigene molto maggiori. Per elevate concentrazioni di antigene, la maggior parte dei linfociti specifici diventa tollerante e solo alcuni diventano immunizzati. Se la dose di antigene aumenta ulteriormente anche la cellule immunizzate diventano tolleranti e la produzione di anticorpi cessa. Dosi immunizzanti di antigene, insufficienti per paralizzare le cellule immunizzate, inducono produzione di alti livelli di anticorpi.
I linfociti T sono sensibili a piccole dosi tolerogene di antigene, mentre grandi dosi di antigene paralizzano i linfociti sia T che B. La tolleranza delle cellule T si instaura rapidamente e si mantiene per lungo tempo; quella delle cellule B insorge più lentamente e decade più velocemente. La tolleranza può essere eliminata dall'iniezione di antigeni crossreagenti con l'antigene tolerogeno. Il meccanismo proposto potrebbe spiegare l'insorgenza di reazioni immunitarie contro antigeni propri dell'organismo verso i quali esista una tolleranza naturale delle cellule T.
Sperimentalmente, la tolleranza a BSA può essere perduta se si inietta BSA coniugato con apteni. Poiché la sintesi di anticorpi anti-BSA richiede la cooperazione di cellule T e B, è sufficiente che soltanto le cellule T siano tolleranti perché le cellule B non rispondano contro BSA. La coniugazione con apteni introduce nella molecola di BSA nuovi determinanti verso i quali esistono nell'animale tollerante cellule T reattive, cioè non paralizzate da BSA nativo. Quindi, l'iniezione del coniugato nell'animale tollerante a BSA stimola queste cellule T a cooperare con le cellule B reattive verso i determinanti di BSA nativo, così che la tolleranza viena perduta. La tolleranza a BSA indotta da alte dosi di antigene, che paralizzano i linfociti sia T che B, non viene abolita dalla iniezione di antigeni crossreagenti con BSA.
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