immunoterapia
Il termine indica tutti gli interventi (farmacologici, vaccinali, sierologici, di manipolazione cellulare) in grado di agire sul sistema immunitario per modularne le funzioni, agendo sui meccanismi cellulari e umorali che regolano la risposta fisiologica all’antigene. Nell’ambito dell’immunoterapia si possono distinguere l’immunopotenziamento e l’immunosoppressione. Il primo processo amplifica o modifica in vario modo le componenti che costituiscono la risposta immunitaria. Il prototipo della stimolazione attiva e specifica è quello ottenuto impiegando vaccini, con virus uccisi, inattivati, sintetici, eventualmente prodotti anche tramite ingegneria genetica di cellule in coltura. L’uso di immunostimolanti aspecifici rappresenta un capitolo ancora in evoluzione e le varie sostanze impiegate in terapia o in protocolli sperimentali hanno avuto una storia piuttosto articolata, generando talora confusione per dati contraddittori e non comparabili. Un modo semplice di classificare gli immunostimolanti si può basare sull’origine e sulle modalità di preparazione dei vari prodotti. Possono pertanto essere distinti prodotti di origine fisiologica (ormoni timici, interferoni, citochine), molecole sintetiche (levamisolo, metisoprinolo, componenti lipopeptidici, induttori della sintesi di interferoni) o di origine biologica e batterica (bacillo di Calmette-Guérin, Corynebacterium parvum, estratti batterici variamente selezionati, endotossine). L’interferenza dei prodotti immunostimolanti aspecifici sulle cellule della risposta immunitaria rappresenta uno dei problemi più complessi. Non si deve infatti dimenticare la forte interazione che si verifica nei vari momenti della risposta; pertanto gli aspetti funzionali e quantitativi conseguenti a una stimolazione primaria vanno accuratamente valutati. La stimolazione dei linfociti T, per es., può stimolare indirettamente anche altre popolazioni linfocitarie, macrofagi e cellule NK (Natural killer). Gli stessi prodotti di sintesi impiegati come modulatori della risposta immunitaria non seguono regole standard nell’ambito del rapporto dose-risposta. Al crescere della dose somministrata può non corrispondere un’azione farmacologicamente attiva e addirittura possono verificarsi effetti soppressivi. Alcune molecole sono state studiate nell’ambito delle ricerche sulle funzioni timiche e sui fattori similormonali. Il gruppo dei derivati timici è piuttosto numeroso e include varie molecole. L’impiego dei derivati timici ha indicazione precipua nel trattamento di deficit immunologici con ipoplasia timica e in alcune malattie congenite con alterazioni gravi della risposta cellulo-mediata. Nell’ambito dell’immunopotenziamento con molecole naturali ha assunto un ruolo importante l’uso delle immunoglobuline per via endovenosa (terapia sostitutiva e immunomodulante). Conservando il valore biologico dell’anticorpo nativo, è risultato possibile l’uso di questa terapia dapprima nei deficit congeniti della risposta umorale e quindi, grazie a osservazioni sperimentali e cliniche, nel trattamento di alcune malattie autoimmuni o disregolative. Tra queste alcune sindromi neurologiche, piastrinopenie e la malattia di Kawasaki. Per quanto riguarda l’immunosoppressione, lo sviluppo di farmaci è stato mirato al trattamento delle malattie autoimmuni e al controllo del rigetto dei trapianti d’organo. I farmaci immunosoppressivi sono fondamentali nel trattamento delle malattie autoimmuni del connettivo e svolgono la loro azione deprimendo la risposta del sistema immunitario sia per le reazioni mediate da anticorpi, sia per la fase più strettamente cellulo-mediata. In tal modo si osserva, in base a protocolli terapeutici via via aggiornati e sperimentati, una sostanziale riduzione dei processi infiammatori che rappresentano il substrato anatomopatologico delle lesioni proprie delle malattie del connettivo. Tra gli immunosoppressivi, molto importanti sono i corticosteroidi, che esercitano anche un’azione antinfiammatoria. In generale, l’effetto immunosoppressivo è legato all’impiego di dosi molto elevate o all’assunzione, da parte del paziente, di un dosaggio medio-alto per un lungo periodo di tempo. Essi esercitano la loro azione riducendo il numero dei linfociti T con funzione helper circolanti nel sangue, deprimendo la capacità della risposta agli antigeni T-dipendenti e inibendo la produzione di alcuni mediatori chimici (citochine), in grado di attivare momenti funzionalmente critici della risposta immunitaria. Un altro gruppo di farmaci di vasto impiego nell’immunosoppressione è rappresentato dai citostatici: essi agiscono in varie fasi della sintesi degli acidi nucleici, inducendo il processo finale della lisi su bersagli cellulari che si trovano in forte attività di proliferazione. Una molecola chiave nella storia recente dell’immunoterapia è la ciclosporina. Ricavata in origine da un fungo e oggi sintetizzabile in laboratorio, è un polipeptide impiegato inizialmente quale potente immunosoppressore per prevenire il rigetto in caso di trapianto ed è stata ben presto utilizzata anche nelle malattie a patogenesi autoimmune. Il livello di azione riguarda sia la risposta anticorpale sia l’azione linfocitaria T cellulo-mediata; sono anche coinvolte le risposte legate alle cellule NK. Dotata di effetto sia antinfiammatorio sia immunosoppressivo, la ciclosporina è un prodotto di grande efficacia terapeutica e può essere associata ai corticosteroidi, ma svolge la sua funzione se è costantemente presente nell’organismo. I farmaci impiegati per l’immunosoppressione sono sperimentati soprattutto per ridurre gli effetti collaterali, spesso gravi se il paziente non è adeguatamente controllato nel corso della terapia, e per raggiungere una valida selettività di bersaglio. Di particolare rilievo sono le ricerche su anticorpi monoclonali in grado di identificare, nel contesto delle cellule attivate responsabili della patologia autoimmune, il proprio bersaglio, così da ridurre al minimo gli effetti collaterali non desiderati. (*)
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