impairment test
Verifica, disciplinata dallo IAS 36, che ha la finalità di accertare se un’attività abbia subito o meno una riduzione di valore. Tale esame avviene mediante il confronto del valore contabile con il valore recuperabile calcolato come il maggiore tra il fair value (➔) e il value in use. È una delle importanti novità introdotte dai principi contabili internazionali IAS/IFRS (➔ IAS), che impongono l’obbligo di sottoporre annualmente a i. t. le immobilizzazioni immateriali a vita indefinita (➔ immobilizzazione) e l’avviamento. Ogniqualvolta se ne ravvisa la necessità, inoltre, anche i beni materiali e immateriali a vita utile definita e gli strumenti finanziari devono essere sottoposti a i. test. La logica sottesa è che il valore al quale un’attività è iscritta in bilancio rappresenta l’ammontare minimo di benefici economici futuri generati dall’attività medesima; tali benefici possono derivare dall’utilizzo del bene o dalla sua vendita, assumendo che un’azienda abbia sempre e in qualunque circostanza la possibilità di scegliere se vendere o utilizzare un bene. Non si riscontra dunque una perdita di valore se il valore contabile è inferiore al valore recuperabile.
Occorre precisare che le rettifiche per perdite di valore non costituiscono una novità. L’art. 2426 c.c. e i principi contabili nazionali impongono una diminuzione del valore delle attività immateriali e materiali nel caso di perdita durevole di valore. Tuttavia, essi non contengono indicazioni specifiche relative alle modalità di calcolo e alle circostanze in presenza delle quali la verifica deve essere effettuata. I principi contabili IAS/IFRS, invece, forniscono una serie di disposizioni dettagliate e puntuali che possono essere sintetizzate nel modo seguente: con il verificarsi di specifiche condizioni (per es., il valore contabile netto delle attività superiore alla capitalizzazione di borsa) che indicano una possibile perdita di valore, è necessario verificare la capacità di un bene di generare flussi finanziari mediante la vendita o l’utilizzo.
Le differenti configurazioni di valore rilevanti ai fini dell’i. t. sono definite nel seguente modo dallo IAS 36: il valore contabile è l’ammontare determinato come differenza tra il costo storico e gli ammortamenti e le perdite precedentemente accumulate; il valore recuperabile di un’attività è definito come il maggiore tra il fair value e il value in use dell’attività medesima; il fair value è il valore ottenibile dalla vendita, dedotti i costi necessari per effettuare la stessa; il value in use è dato dal valore attuale dei flussi di cassa (➔ cash flow) futuri che si prevede che l’attività genererà negli anni a seguire. La stima del valore recuperabile mediante la vendita deve avvenire con riferimento a un mercato attivo o a transazioni similari, mentre la determinazione del value in use è basata sulla stima dei flussi di cassa futuri generati dal bene oggetto di valutazione, attualizzati con un adeguato tasso di sconto.
Occorre, tuttavia, precisare che, ai fini del calcolo del valore realizzabile mediante l’utilizzo, è necessario distinguere tra beni che danno origine ad autonomi flussi di cassa e beni i cui flussi di cassa sono generati solo congiuntamente ad altre attività. Nel primo caso si procede direttamente alla determinazione dei flussi netti di cassa, mentre nel secondo è necessario, preliminarmente, identificare le Cash Generating Units (CGU). Queste consistono nel più piccolo gruppo di attività che produce autonomamente flussi di cassa. In tale caso, l’i. t. si articola nelle seguenti fasi: individuazione delle CGU; allocazione del bene oggetto di valutazione a una o più CGU; stima dei flussi finanziari netti; attualizzazione con un adeguato tasso di sconto.
Antonio Parbonetti