imparare
Il verbo, che poi ebbe nell'italiano notevole diffusione, è stato usato da D. una sola volta in modo certo. Con costrutto assoluto, in Pg VI 3 repetendo le volte, e tristo impara, per la similitudine del giocatore della zara, che, avendo perduto, ripete le giocate, per trarne qualche ammaestramento: " si tamen discere potest aliquid in ea arte, in qua magni magistri sunt semper mendici " (Benvenuto).
Assai discusso, in Pd XIII 104 regal prudenza è quel vedere impari / in che lo stral di mia intenzion percuote, il valore di impari, che fin dagli antichi commentatori (si veda, ad esempio, la chiosa del Buti) e dalle più autorevoli stampe è stato spesso considerato verbo e non aggettivo. Intendendo infatti ‛ e ' come congiunzione e impari come forma verbale, si è dato al verbo il valore di " apprendi "; oppure di " pareggi ", " identifichi " (Porena), considerando regal prudenza e quel vedere come oggetto. Il lombardi, che ha proposto d'intendere impari come aggettivo, è stato seguito dalla maggior parte dei commentatori moderni (cfr. Petrocchi, ad l.; si veda IMPARI).
Per la variante lo 'nparo, di Pg XIII 93, rifiutata dal Petrocchi che legge l'apparo (cfr. ad l.), vedi APPARARE.