Abstract
Il buon andamento è riferibile all’attività legislativa, giurisdizionale, amministrativa, secondo le peculiarità di ciascuna ed, in ogni caso, consiste nella efficacia e, cioè, corrispondenza dei risultati diretti (output) e indiretti (outcome) allo scopo e nella efficienza (data dalla minimalità dell’input richiesto). Le qualità del servizio sono, peraltro, varie e discrezionalmente valutabili e così pure l’entità assoluta dei costi da sopportare, pur in un rapporto ottimale con i ricavi. Dato che costantemente si misura con scelte politiche prese “a monte”, il buon andamento amministrativo richiede una valutazione propria, nella sede del controllo di e sulla gestione, non surrogabile, se non nei casi di discrezionalità minima, con decisioni giurisdizionali e non suscettibile di essere estesa ad altre funzioni. Le risultanze di questo controllo dovrebbero anche orientare la carriera dei dirigenti. Queste peculiarità distinguono anche un controllo di gestione amministrativa rispetto a quello di attività svolte sul mercato ed in concorrenza. L’imparzialità è anche riferibile variamente all’attività legislativa e giurisdizionale; ma assume, per ragioni analoghe, caratteri specifici con riguardo all’attività amministrativa. Implica che la p. a. sia mossa dalla considerazione di tutti e soli gli interessi giuridicamente avvalorati, secondo criteri riconducibili ad un indirizzo politico coerente. Esige, dunque, la predeterminazione degli scopi e dei criteri dell’atto o dell’attività, l’obbligo di astensione del funzionario personalmente interessato, l’obbligo di parità di trattamento a condizioni pari.
Il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione sono principi tendenzialmente solidali, nel senso che la migliore garanzia dell’uno, in genere, giova anche alle tutela dell’altro. Non mancano, peraltro, ipotesi di mancata coincidenza, regolate secondo valutazioni discrezionali del legislatore.
L’art. 97 Cost. esige che la pubblica amministrazione agisca secondo il principio del buon andamento e dell’imparzialità; l’art. 41 della Carta di Nizza riconosce il diritto ad una buona amministrazione.
Le attività che si svolgono sul mercato ed in concorrenza traggono giustificazione “a posteriori” dal fatto di soddisfare una domanda idonea a coprire i costi produttivi. Anche in questo caso può essere utile un “controllo di gestione”, per prevenire crisi future, analizzare crisi in atto, migliorare il rapporto costi/ricavi; ma questo controllo serve ad analizzare non a sostituire il suddetto dato primitivo. Il buon andamentosi afferma, invece, come criterio assorbente per quelle attività che si svolgono fuori da un mercato concorrenziale.
Il buon andamento si concreta in una serie di criteri (“indicatori”) riconducibili, tutti insieme, ai concetti di efficacia ed efficienza. Efficacia è la qualità del servizio reso; efficienza è il minimo costo ad una data qualità. La medesima efficacia può essere valutata per i risultati immediati, gli output, o per quelli mediati, gli outcome (cfr. Martini, A.-Trivellato, U., Soldi ben spesi? La valutazione al di là dei controlli interni, Venezia 2011, 211 ss.; Sigismondi, I., Il principio di buon andamento tra politica e amministrazione, Napoli, 2011, 249 ss., 252 ss., anche per ulteriori riferimenti). Le qualità di un servizio, inoltre, possono essere varie (Trimarchi Banfi, F., Il diritto ad una buona amministrazione, in Tratt. Chiti-Greco, I, Milano, 2007; Serio, A., Il principio di buon andamento nella giurisprudenza comunitaria, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2008, spec. 293 ss.; Perfetti, L.R., Diritto ad una buona amministrazione, determinazione dell’interesse pubblico ed equità, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2010) e, sovente, fra loro in collisione (Pinelli, C., Il «buon andamento» e l'«imparzialità» dell’amministrazione, in AA.VV., La Pubblica Amministrazione, Commentario Cost. Branca, Bologna, 1994, 121 ss.); come lo sono, del resto, con i costi. Tra le varie qualità da conseguire rientrano anche quelle “giuridiche”, quali la legalità e l’imparzialità, l’obbligo di motivazione, di ascolto, la sollecitudine, l’accesso, lo scrupolo, ecc. (cfr., anche per riferimenti di giurisprudenza UE, Trimarchi Banfi, F., op. cit.; Serio, A., op. cit.; Perfetti L.R., op. cit.; Sigismondi, I., op. cit., 93, 96).
La recente normativa (l. 7.8.1990, n. 241 e succ. modif.), pressata dalla congiuntura non favorevole, sviluppa le varie anime del buon andamento: e, dunque, non solo il leale procedimento, la sua durata, l’autotutela, l’obbligo di motivazione, l’accesso ma anche l’autorizzazione generale, il silenzio assenso, la d.i.a., la s.c.i.a., l’irrilevanza dei vizi dell’atto in ipotesi di esito ineludibile, la misurata discrezionalità nel valutare le conseguenze di un’aggiudicazione illegittima (art. 121 ss., c.p.a.), fino a penetrare nell’esercizio medesimo della giurisdizione (cfr., ad es., C. cost., 18.6.2012, n. 158, e C. cost., 17.7.2012, n. 203; e, per dettagliati riferimenti, Sigismondi, I., op. cit., 101 ss., 161 ss., 182 ss.).
Il buon andamento di una funzione amministrativa non è identico a quello di una funzione giurisdizionale o legislativa, perché diversa è la discrezionalità di ciascuna e diversa la garanzia dell’imparzialità.
Nei riguardi della funzione legislativa, per sé considerata, il buon andamento opera essenzialmente quale criterio di valutazione dell’impatto delle leggi (cfr., su AIR e VIR, Sigismondi, I., op. cit., 55-56, 185-86, 240 ss., 281-82).
Il diverso dimensionamento delle componenti attive e neutrali giustifica, inoltre, la giurisprudenza della Corte che ritiene riferibile l’art. 97 Cost. alla giurisdizione per i soli profili organizzativi (cfr., ad es., C. cost., 7.5.1982, n. 86; C. cost., 12.2.1998, n. 16; C. cost., 7.7.2008, n. 272; C. cost., 25.2.2009, n. 64; C. cost, 5.10.2011, n. 304); ma ciò non esclude che, in un diverso equilibrio (nell’equilibrio, ad es., del giusto processo reso in tempi ragionevoli), questi principi valgano anche per i profili funzionali.
L’art. 97 Cost. si applica essenzialmente alla funzione amministrativa. È possibile, a seconda dei casi, un controllo di costituzionalità, sotto il profilo del buon andamento, delle leggi che disciplinano la p.a., un’azione volta ad annullare atti amministrativi adottati senza il rispetto delle regole inerenti, un’azione della procura della Corte dei conti, un’azione “ricostruttiva” ad opera di entità collettive private (cfr. d.lgs. 20.12. 2009, n. 198), un controllo di e sulla gestione del servizio reso. Il trapasso da una valutazione negativa sulla gestione ad un’azione di annullamento o di danno è segnato dalla inosservanza di norme di diritto oggettivo (cfr. TAR Lazio, Roma, 20.1.2011, n. 552), sovraordinate agli stessi programmi ed indirizzi del vertice politico, oltre che, per il risarcimento, dai tradizionali requisiti del dolo e della colpa (rivalutati, del resto, nella più recente giurisprudenza comunitaria ed interna: cfr. Trimarchi Banfi, F., L’elemento soggettivo nell’illecito provvedimentale, in Dir. amm., 2008; Carpentieri, P., Risarcimento del danno e interessi legittimi, in Dir. proc. amm., 2010; Ricci, S., La "buona amministrazione": ordinamento comunitario e ordinamento nazionale, Torino, 2005, 95 ss.). Riemerge, appunto, l’idea di una “riserva di amministrazione” (Cass., S.U., 28.1.2006, n. 1378; Cass., S.U., 9.11.2011, n. 23302), non sindacabile in sede giurisdizionale. Certo, le vie dell’ottemperanza superano questi limiti ma troppo si sovrappongono all’ordinario controllo di e sulla gestione (che dovrebbe essere maggiormente aperto alle osservazioni dei privati).
Ciò ridimensiona, fra l’altro, l’idea di una valutazione diretta della qualità del servizio ad opera del giudice, adito dall’utente a tutela del suo diritto ad una buona amministrazione (cfr. d.lgs. n. 198/2009; Ferrara, R., L’interesse pubblico al buon andamento della pubblica amministrazione tra forma e sostanza, in Studi in onore di Alberto Romano, I, Napoli 2011, 335). Sembra, invero, che alcuni criteri di buon andamento possano discendere dalla ragionevolezza/razionalità, quale, ad es., un necessario compito per ogni ufficio (C. cost., 7.3.1962, n. 14; C. cost., 4.12.1968, n. 123; C. cost., 22.11.2011, n. 325), la necessità di piante organiche fissate con criteri di aderenza alle attività da svolgere e connesse qualifiche funzionali (C. cost., 19.6.1991, n. 313 e 314; C. cost., 15.12.1995, n. 527 e 528; C. cost., 17.10.1996, n. 362; C. cost., 5.1.2011, n. 7, ecc.), il divieto di assunzione in soprannumero (C. cost., 7.5.1982, n. 86; C. cost., 24.5.1993, n. 250; C. cost., 8.3.2000, n. 75). Alcune qualità del servizio possono essere, inoltre, preminenti rispetto ad altre alla stregua del sistema giuridico complessivo e della coscienza sociale (l’ottima cura del malato, nel servizio sanitario, ad es.). Altri fattori di buon andamento trovano, ancora, precisa tutela in norme giuridiche. In questi casi, la valutazione diretta del giudice può essere giustificata. Già la comparazione, peraltro, delle qualità con i costi richiede scelte (salva la garanzia del nucleo essenziale) riservate al legislatore (ad. es., C. cost., 28.1.1991, n. 51; C. cost., 5.6.2007, n. 193; C. cost., 20.7.2011, n. 248); e discrezionale è anche la comparazione di diverse qualità quando nessuna sia indiscutibilmente prioritaria. Gli strumenti del controllo giudiziale sono settoriali, episodici, vincolati ad uno stile di ragionamento rigido, non adatti a valutazioni globali (cfr., per queste ed altre obbiezioni, Easterbrook, F.H., Foreword: The Court and the Economic System, in The Supreme Court 1983 Term, 4 ss.).
Le risposte del pubblico ai questionari, pur utili a fini orientativi, risultano sovente viziate da “asimmetrie informative” e, comunque, parcellizzate, avulse da una valutazione complessiva dei fini e dei mezzi. Esse, inoltre, esprimono opinioni troppo “gratuite” e, dunque, in vario modo condizionabili (cfr., con riguardo al comportamento elettorale, Brennan, J.–Lomansky, L., Democracy and Decision, Cambridge, 1993, conclusivamente, 199 ss.).
In non pochi casi, allora, resta criterio necessario di buon andamento l’aderenza ad un ordine di valutazioni positivo (costituzione, legge, carte dei servizi aventi valore regolamentare, direttive e programmi del vertice politico).
L’insieme di questi fattori, nel loro ordine, rifluisce, ovviamente, nel controllo di e sulla gestione.
Riemerge, in questo contesto, il tema classico dei rapporti fra politica e amministrazione (Sandulli, A.M., Governo e amministrazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1996, 737; Carlassare, L., Amministrazione e potere politico, Padova, 1974; Patroni Griffi, A., Dimensione costituzionale e modelli legislativi della dirigenza pubblica, Napoli, 2002; Id., Il governo delle Regioni tra politica e amministrazione, Torino, 2007). Sono noti gli sviluppi normativi intesi, nell’ambito di un nuovo “spirito maggioritario” (Pinelli, C., Il buon andamento dei pubblici uffici e la sua supposta tensione con l’imparzialità. Un’indagine sulla recente giurisprudenza costituzionale, in Studi in onore di Alberto Romano, I, Napoli, 2011, 726 ss.), a controbilanciare l’esercizio diretto delle funzioni amministrative da parte dei dirigenti con un consistente controllo sulle loro nomine e sulla permanenza in carica (art. 107, d.lgs. n. 267/2000; art. 19, co. 8, d.lgs. n. 165/2001; cfr. Gardini, G., L’imparzialità amministrativa tra indirizzo e gestione, Milano, 2003); ed è nota la giurisprudenza della Corte volta a temperare questo indirizzo con una più attenta considerazione del ruolo che una amministrazione indipendente assolve ai fini del buon andamento e dell’imparzialità. Non è esclusa una nomina politica dei vertici dell’amministrazione, ma questa deve avvenire sulla base di un vaglio adeguato di competenza (C. cost., 20.4.2006, n. 181, pur nel settore estremamente tecnico della sanità). E, poi, la revoca non può essere decisione puramente politica, ma deve giustificarsi in base alle risultanze della gestione effettuata (C. cost., 19.3.2007, n. 103 e 104; C. cost., 22.10.08, n. 351: C. cost., 19.11.2008, n. 390; C. cost., 27.1.2010, n. 34; C. cost., 24.2.2010, n. 81; C. cost., 21.6.2010,n. 224; C. cost., 4.4.2011, n. 124; C. cost., 19.7.2011, n. 228; C. cost., 20.7.2011, n. 246; cfr. già Pinelli, C, op. cit., 2006); ciò conduce ad una tendenziale separazione fra un esercizio della discrezionalità attraverso direttive e programmi e concreto provvedere (d.lgs. n. 3.2.1993, n. 29; cfr., poi, d.lgs. 31.3.1998, n. 80; d.lgs. 30.7.1999, n. 300; cfr. C. cost., sent. 4.4.2011, n. 122) e, dunque, anche ad una relativa indipendenza delle funzioni amministrative (cfr. art. 298 TUE; e già Sandulli, A.M., op. cit.), restando distinta, peraltro, l’amministrazione tradizionale rispetto a quella propria delle c. d. Autorità amministrative indipendenti, perché soggetta anche ad indirizzi o programmi ministeriali e non solo ad atti normativi.
Un rapporto puramente fiduciario sembra configurabile solo per il personale non preposto ad uffici che esercitano funzioni amministrative (C. cost. n. 34/2010; n. 81/2011, n. 122/2011, n. 124/2011). La distinzione si sovrappone largamente a quella fra uffici di staff e di line, senza forse coincidere del tutto (restando, ad es., da definire il ruolo del segretario generale, ove previsto).
Tutto ciò, invero, presuppone un “controllo di e sulla gestione” che sia adeguato a valutare il dirigente anche ai fini della sua carriera (cfr., ad. es., Corte dei conti, Sez. Reg., 14.11.2007, n. 33), eventualmente con rimedi contenziosi ad esso interni (Sigismondi, I., op. cit., 272). In un sistema siffatto gli incentivi al personale addetto dovrebbero essere filtrati dalla dirigenza, primariamente responsabile del risultato (cfr., invece, gli automatismi del d.lgs. 27.10.2009, n. 150, art. 18 ss.).
L’attuale controllo (artt. 12-15, d.lgs. n. 150/2009) muove, peraltro, da unità di base la cui indipendenza non sembra davvero garantita e, dunque, tende ad assumere carattere “difensivo” (cfr. D’Auria,G., Dirigenti pubblici: garanzie nel conferimento degli incarichi e tutela reale contro licenziamenti illegittimi, in Foro it., 2009, I, 3079; Mattarella, B.G., La nuova disciplina degli incentivi e sanzioni nel pubblico impiego, in Riv. trim. dir. pubbl., 2009, 939; Cogliandro, G., Verso la terza riforma del controllo interno?, in Cerri, A.-Galeotti, G., a cura di, Efficacia ed efficienza dell'azione pubblica, Roma, 2012, 53 ss., spec. 100). Più rigorosamente impostato è il controllo sulle amministrazioni locali che, peraltro, attiene essenzialmente alla correttezza finanziaria (su cui cfr., del resto, C. cost., 17.7.2012, n. 198).
La comparazione fra diverse unità amministrative che svolgono servizi simili (cfr. Sigismondi, I., op. cit., 252 ss., anche per ulteriore documentazione fra cui segnalo Gosetti Di Sturmeck, G., Il nuovo welfare locale: dal Compulsory Competitive Tendering al Best Value Regime, in Reg., 2007, 209) sembrerebbe avvicinarsi al riscontro di un mercato concorrenziale e, dunque, collocare il dirigente in un ruolo “quasi imprenditoriale” (cfr. Cerbo, P., Potere organizzativo e modello imprenditoriale nella pubblica amministrazione, Padova, 2007). Ciò, peraltro, non è ancora avvenuto e, comunque, queste risultanze influenzano solo in parte la scelta del vertice politico. Resto, dunque, perplesso (cfr. anche Pinelli, C., op. cit., 2011, 725; Id., op. cit., 1994, 323 ss.) di fronte a quella dottrina che nutre dubbi sull’effettiva congruenza con il buon andamento dei concorsi anche per le promozioni (Rusciano, M., Carriera per concorso del dipendente pubblico: ‘imparzialità’ o ‘buon andamento’?, in Lav. pubbl. amm., 1999, 215), pur avvalorati da giurisprudenza della Corte che ammette deroghe solo limitate e controllate (cfr., ad. es., C. cost., , 9.5.2002, n. 194; C. cost., 22.5.2002, n. 218; C. cost., 10.7.2002, n. 373; C. cost., 2.12.2002, n. 533; C. cost., 22.2.2006, n. 81; C. cost., 5.7.2006, n. 297; C. cost., 9.6.2008, n. 215; C. cost., 5.1.2011, n. 7; C. cost., 8.6.2011, n. 189, ecc.), e di fronte a quella giurisprudenza che ha ritenuto di escludere un controllo comparativo fra i titoli di diversi aspiranti ad un incarico (cfr., ad es., Cass., sez. lav., 20.3.2004, n. 5659; 22.2.2006, n. 3880; 23.2.2007, n. 4275; cfr., invece, nel senso auspicato, Cass., sez. lav., 14.4.2008, n. 9814; cfr. anche C. Giust. CE, sez. VI, 28.10.1999, causa C-81/98, Alcatel, spec. punti 47-50).
Il controllo di gestione e sulla gestione dovrebbe, inoltre, contemperare e superare le spinte devianti che derivano dall’influenza del potere politico, fuori dei canali in cui deve esprimersi (ricordo Minghetti, M., I partiti politici e l’influenza loro sulla giustizia e sull’amministrazione, Bologna, 1881), ma anche originate all’interno del corpo burocratico (infra, 3.; cfr., sotto diverso profilo, La Palombara, J., Clientela e parentela. Studi sui gruppi di pressione in Italia, trad. it., Milano, 1967); in un contesto nel quale difetta il vero e rigoroso riscontro di un mercato concorrenziale.
L’imparzialità esprime una sorta di equidistanza fra diversi fattori (interessi, idee, ecc.); equidistanza che, ragionando in astratto, può essere originata da pari attenzione o da pari indifferenza (cfr. C. cost., 5.2.1996, n. 28). In questo secondo caso il termine imparzialità viene intercambiato con quello di neutralità, riservato sovente alla figura del funzionario amministrativo (cfr. anche Pinelli, C., op. cit., 1994, 224 ss.; Galdi, M., Buon andamento, imparzialità e discrezionalità amministrativa, Napoli, 1996, 96 ss.; Gardini, G., op. cit., 103 ss.).
È, dunque, parziale chi considera solo una parte dei valori del sistema (Allegretti, U., L’imparzialità amministrativa, Padova, 1965) o chi considera, senza ragione, con diversa intensità interessi concreti pur avvalorati dalla medesima norma ed, allora, chi considera interessi non avvalorati affatto (Cerri, A., Imparzialità ed indirizzo politico nella pubblica amministrazione, Padova, 1973, 120; Cerri, A., Principi di legalità, imparzialità, efficienza, in Lanfranchi, L., a cura di, Garanzie costituzionali e diritti fondamentali, Roma, 1998, 182 ss.: Sala, G., Il principio del giusto procedimento nell’ordinamento regionale, Milano, 1985, 102). L’equidistanza, cioè, si riferisce, insieme, agli interessi delle persone ed alle norme, alle due “componenti prime” del diritto (cfr., anche per ulteriori riferimenti, Cerri, A., Istituzioni di diritto pubblico, Milano, 2009, 6). E, del resto, la deformazione e lo stravolgimento del sistema normativo sono una conseguenza proprio degli interessi concreti che premono sul “piccolo uomo” che si trova ad esercitare funzioni pubbliche.
La perfetta imparzialità, intesa in un senso sia positivo sia negativo, condurrebbe, peraltro, alla stasi: chi fosse solo imparziale, resterebbe immobile e, come l’asino di Buridano, morirebbe di inedia fra due o più biade equidistanti e parimenti appetitose. In effetti, sono proprio i valori dell’ordinamento ed anche le scelte politiche che contribuiscono ad implementarli, il cui contenuto non è equidistante fra gli interessi in campo, che consentono di graduare questi ed anche di rifiutarne alcuni. L’imparzialità è, allora, una equidistanza fra interessi di persone effettive da valutare e selezionare alla stregua dei soli criteri consentiti, quelli che l’ordinamento offre; è considerazione di “tutti e soli” gli interessi umani avvalorati dal diritto, nell’ordine e nell’armonia in cui il sistema o un legittimo e coerente indirizzo politico li avvalora; ed, allora, è anche pari trattamento di fattispecie parimenti avvalorate e diverso trattamenti di fattispecie diverse (cfr. Cerri, A., op. cit., 1973, 120 ss.; Id., op. cit., 1998, 185).
Come una risalente e resistente linea di pensiero insegna, l’imparzialità, quale atteggiamento primo del volere, è condizione e non corollario del principio di eguaglianza (Locke, J., The Second Treatise on Government, 1960, § 89, 124 s.; Stuart Mill, J., Utilitarianism, Liberty and Representative Government, London-New York, 1946, 233; cfr. anche Benn, I., Egalitarianism and equal consideration of interests, in Pennock, J.R-Chapman, J.W., Equality, in Nomos, IX, New York, 1967, 61 ss.; Rawls, J., A Theory of Justice, Oxford, 1971; Dworkin, R., Taking Rights Seriously, Cambridge, 1977, 227; Barry, B. Justice as Impartiality, Oxford-New York, 1971, 103 ss.; Id., 1995; Sen, A.K., La diseguaglianza, Bologna, 1994, 34 ss.; Nagel, T., I paradossi dell’eguaglianza, trad. it., Milano, 1993, 49 ss.; Trujillo, I., Imparzialità, Torino, 2003). Ove possibile e fin quando possibile, cioè, questa pari attenzione agli interessi dei diversi componenti della società dovrà esprimersi in leggi eguali, in precetti attualmente o virtualmente universali; che, dunque, li vincolino nei medesimi casi alle stesse condotte, perseguendo l’utile comune nell’eguale rispetto di tutti. Ricordo il pensiero di Rousseau ed i suoi complessi svolgimenti; che la realtà contemporanea renderebbe ancor più complessi (cfr. Cerri, A., Uguaglianza (principio costituzionale di), in Enc. giur., XIV agg., Roma, 2006, parr. 1.3.-1.4. ed ivi ulteriori indicazioni).
Ma ciò non è sempre possibile: accanto a norme eguali, nel senso (pur problematico) accennato, esistono e sono necessarie decisioni concrete, le quali non in tutto possono essere determinate da tali norme. La discrezionalità amministrativa ed anche la discrezionalità interpretativa sfuggono in parte al principio di legalità e, dunque, anche alla misura di un’eguaglianza tutta dispiegata nel contenuto del precetto. Ecco, allora, che l’imparzialità riemerge come equidistanza fra diversi interessi umani concreti. Nel momento, tuttavia, in cui cessa di essere un semplice valore ma diviene principio (cfr., per la distinzione, Amirante, C., Principles, Values, Rights, Duties, Social Needs in The Interpretation of the Constitution, in Nergelius, J.-Policastro, P.-Urata, K., ed. by, Challenges of Multilevel Constitutionalism, IVR 21st World Congress, Lund, Sweden, 12-18 August 2003, Cracow, 2004, 171), norma giuridica fondamentale, assume anche caratteri più specifici e, se si vuole, più limitati. Non si tratta più di stabilire “in quale senso” occorra muoversi ma “come” fare ciò; perché la pressione degli interessi concreti può alterare lo stesso procedere verso l’imparzialità e questo processo deve essere, allora, secondo modi trasparenti e controllabili. In questi modi si risolve l’imparzialità come istituto giuridico, che, accanto all’eguaglianza della norma, deriva dall’imparzialità come valore.
L’imparzialità, intesa come insieme di garanzie positive, viene, in genere riferita all’attività interpretativa solo in via indiretta, come indipendenza delle persone che sono incardinate nella funzione, come disciplina dei procedimenti attraverso cui questa si svolge. Vero è, invece, che, con riguardo al momento interpretativo in sé considerato, si ritiene prevalente ed assorbente il principio di legalità. In relazione a ciò si esclude, ad es., la possibilità di riferire il principio di imparzialità all’attività vincolata dell’amministrazione (cfr., problematicamente, Coen, L., Disparità di trattamento e giustizia amministrativa, Torino, 1998, 100 ss.) e, più in radice, si esclude che un’applicazione illegittima della legge possa integrare un precedente valutabile ai fini dell’imparziale svolgimento della funzione (cfr. Cons. St., sez. VI, 15.4.1996, n. 561; Coen, L., op. cit., 118 ss.).
La giurisprudenza più recente tempera, in parte, questa radicale prevalenza del principio di legalità, che origina da una qualche implicita negazione di una discrezionalità interpretativa: la giustificata ignoranza della legge, anche in conseguenza di un mutamento giurisprudenziale, come motivo di esclusione della pena (C. cost., 23.3.1988, n. 364) o, in genere, della colpa, o il riconoscimento dell’errore scusabile ai fini della rimessione in termini (cfr. Cass., sez. lav., 25.2.2011, n. 4687 e Cass., sez. II, 7.2.2011, n. 3020; ma v. art. 184 bis c.p.c.; ricordo anche la giurisprudenza amministrativa), ad esempio, in qualche modo erodono il dogma dell’assoluta predeterminazione del momento interpretativo, come erano e sono con esso in rotta di collisione le sentenze interpretative di rigetto della Corte costituzionale (cfr. Ascarelli, T., Giurisprudenza costituzionale e teoria dell’interpretazione, in Riv. dir. proc., 1957). La medesima Cassazione ora espressamente riconduce il vincolo all’interpretazione costante ad una garanzia di imparzialità/eguaglianza (Cass., pen., 23.2.1994, in Giust. pen., 1995, II, 159). Certo, in teoria generale, ancora si fronteggiano le tesi che vogliono una sola interpretazione giusta (cfr., variamente, Dworkin, R., op. cit., 1977; Aarnio, A., The Rational as Reasonable, Dordrecht-Boston-Lancaster-Tokyo, 1987) e quelle che riconoscono un’opzione del giudice (cfr., variamente, Kelsen, H., La dottrina pura del diritto, trad. it., Torino, 1966, 264 ss.; Mac Cormick, N., Legal reasoning and legal theory, Oxford, 1978). Onde saggio appare il frequente ripiegamento giurisprudenziale su criteri, come quello del legittimo affidamento, affini ma diversi rispetto all’imparzialità.
Vero è, peraltro, che un problema di imparzialità risorge anche con riguardo ad attività vincolate: perché il vincolo attiene al contenuto della decisione non all’attività del decidere con maggiore o minore solerzia, zelo, ecc. (Zago, T., Attività amministrativa ed attività politica del potere esecutivo, Milano, 1963) che resterebbe discrezionale ove non fosse, a volte, disciplinata con criteri di imparzialità: l’estrazione a sorte dei soggetti ad indagini tributarie approfondite, talvolta previsto, ne è un esempio (Cerri, A., op. cit., 1998, 182, nt. 32).
Non si può non auspicare un ulteriore approfondimento del tema.
Nell’esprimere i suoi interessi e nell’esercizio delle inerenti libertà giuridiche, l’uomo non è imparziale ma solo limitato secondo norme eguali (a tutela delle libertà altrui o di interessi generali). L’imparzialità, del resto, presuppone interessi che sono altro rispetto ad essa (v. supra, § 2.1.). Quando, tuttavia, la condotta privata coinvolge in vario modo interessi di terze persone subentrano principi, come quello di affidamento, di correttezza e buona fede che temperano la sua esclusiva aderenza alle personali ispirazioni (Cerri, A., L’eguaglianza giuridica nei rapporti interprivati, in Foro it., 1992, I, 1526). E, di fronte poi al problema di coinvolgimenti più generalizzati e delle “asimmetrie informative” che vi si accompagnano, subentrano regole di trasparenza ed informazione che davvero si accostano a quelle dell’imparzialità (cfr. Sigismondi, I., op. cit., 214 ss.).
Il sistema democratico/rappresentativo legittima, nel suo ordine, l’esercizio di poteri che sono fuori di un mercato puramente economico, che, del resto, questi poteri non sarebbe in grado di surrogare. L’idea di E. Nozick di ricostruire l’intero sistema sociale come rete di contratti, urta contro non poche obbiezioni, fra cui anche quella della insostenibilità dei costi di transazione (cfr. Buchanan, J.-Tullock, G., The calcolus of consent, Ann Arbor, 1974), oltre a quella che riscontra un “fallimento del mercato” in ciò che finisce con l’essere necessariamente indivisibile (cfr. Chirichiello, G., Fondamenti economici dell’ordine giuridico del mercato, in Irti, N., a cura di, L’ordine giuridico del mercato, Roma, 2000).
L’attività legislativa sente il principio di imparzialità attraverso la disciplina del procedimento, che deve essere amministrata da un Presidente d’assemblea al di sopra delle parti, ed attraverso il vincolo a leggi eguali (v. supra, § 2.1.); ma, per molti versi, resta fuori dal dominio di questo principio anche perché volta ad implementare i criteri di soddisfazione degli interessi umani che, al pari di questi, ne sono il presupposto (v. supra, § 2.1.). Le garanzie costituzionali, a priori, ed il vincolo di responsabilità politica, a posteriori, ricostruiscono un equilibrio accettabile per tutti.
Si parla, talvolta, di “parte imparziale”, con riferimento, ad es., al pubblico funzionario amministrativo ed anche al p.m. In questo caso si tratta, invero, di funzione destinata all’imparziale cura degli interessi umani coinvolti, in un contesto, peraltro, nel quale non sono ancora pienamente dispiegate tutte le garanzie volte a neutralizzare la passionalità che, in vario modo, coinvolge la stessa persona a ciò deputata (cfr., in questo senso, Betti, E., Diritto processuale civile, Roma, 1936, 315-16; Calamandrei, P., La relatività del diritto di azione, in Studi in onore di S. Romano, IV, Padova, 1940, 85). Questo tardivo dispiegamento può essere giustificato in ragione dei suoi elevati costi, che sconsigliano di farne modo ordinario di esercizio delle funzioni, mentre consigliano di riservarlo ai casi di ricorso di chi vi è legittimato; ma anche in ragione di un sapiente utilizzo di questa passionalità per far valere profili degli interessi sociali che, altrimenti, resterebbero trascurati (ricordo Simon, H., Administrative Behaviour, New York, 1947; ed anche gli studi sul bureaucratic behaviour che sono seguiti: Niskanen, W.A., Bureaucracy and Representative Government, Chicago, 1971; Breton, A. – Wintrobe, R., The logic of Bureaucratic Conduct, New York, 1982; Rowley, C., Towards a Theory of Bureaucratic Behaviour, in Greenway, D.-Shaw, G.K., Public Choice, Public Finance and Public Policy, New York, 1985; si parla, appunto, in questo contesto, di departmental bias).
Il massimo dispiegamento delle garanzie di imparzialità si registra nella giurisdizione, che, si è accennato, resta, per i profili funzionali, fuori delle norme costituzionali relative alla p.a., anche se per soggiacere ai più specifici ed esigenti principi ad essa propri (v. supra, § 1.2.).
Il campo proprio di applicazione dell’imparzialità prevista dall’art. 97 Cost. è dato, appunto, dai provvedimenti e dai comportamenti amministrativi, anche quando si svolgono nell’ambito del “diritto comune” (secondo l’espressione di M.S. Giannini), fino al limite in cui la stessa “mano pubblica” non operi sul mercato ed in regime di concorrenza; perché, in tal caso, i comportamenti virtuosi ispirati dal regime concorrenziale possono trovare integrazione in ulteriori strumenti di trasparenza, come visto poco sopra, senza propriamente rientrare nel dominio dell’art. 97 Cost.
Ma quando la gestione di un servizio è monopolistica, si afferma una “concorrenza per il mercato” (cfr. Pinelli, C., op. cit., 1994, 323 ss., sul principio di “open competition”), attraverso procedimenti di “evidenza pubblica” (ricordo, ancora, M.S. Giannini), punto d’incontro fra i principi di buon andamento (v. supra, § 1.1.), imparzialità e, appunto, concorrenza.
Le regole proprie dell’imparzialità amministrativa consentono di sindacare leggi che non le garantiscano a sufficienza, di sindacare provvedimenti che non le rispettino in concreto e concorrono ad implementare i criteri del controllo di gestione sull’attività degli amministratori (v. supra, § 1.1., § 1.2.).
Sotto il profilo funzionale, il principio di imparzialità, in concorso con quello di legalità, esclude l’attribuzione di poteri assolutamente privi di criteri di esercizio (C. cost., 12.3.1962, n. 14; C. cost., 9.12.1968, n. 123; C. cost., 29.5.1995, n. 209; C. cost., 26.6.1996, n. 225; C. cost., 12.12.1996, n. 417; C. cost. n. 325/2011; Cerri, A., op. cit., 1973, 125); esclude poi la disparità di trattamento e, cioè, l’esercizio della discrezionalità in modo diverso in casi pur simili (Barile, P., Il dovere di imparzialità della pubblica amministrazione, in Scritti in memoria di P. Calamandrei, IV, Padova 1958; Coen, L., op. cit.), fuori dall’ipotesi di un visibile e stabile mutamento di indirizzo (Esposito, C., Eguaglianza e giustizia nell’art. 3, in AA.VV. La Costituzione italiana - Saggi, Padova, 1954, 42; Cerri, A., op. cit., 1973, 140, con riferimenti di giurisprudenza); comporta un divieto di esercizio del potere da parte di chi ha un interesse nella fattispecie (Cassese, S., Imparzialità amministrativa e sindacato giurisdizionale, Milano, 1973; cfr. anche, ad es., Cass., pen., 23.9.1998, n. 2662; Cons. St., sez. IV, 18.5.1998, n. 827; Cons. St., 28.1.2000, n. 442, ecc.). Ciò integra un “nucleo minimo”, tradizionale ed irrinunciabile di garanzia dell’imparzialità, cui si collegano anche istituti quali il concorso nell’assunzione dei pubblici dipendenti, la gara pubblica negli appalti, la composizione tecnica e la posizione indipendente delle commissioni che presiedono a questi concorsi ed a queste gare (C. cost., 26.9.1990, n. 453), ecc. Accanto a tali presidi minimi di imparzialità se ne affermano altri, come la motivazione degli atti, la trasparenza, il contraddittorio nel procedimento, ecc., che la coscienza giuridica interna e sovranazionale sempre più afferma (v. supra, § 1.1.).
In linea di massima, l’imparzialità interagisce in modo virtuoso con altri fattori che compongono il buon andamento. L’imparzialità, peraltro, è esigente e si afferma pur quando questa positiva interazione non sussiste; richiedendo fin anche procedure di sorteggio, che sono neutre rispetto alle altre qualità, ma intanto assicurano questo valore essenziale (Cerri, A., op. cit., 1998, 198-99). A volte, peraltro, l’imparzialità può ostacolare le ulteriori valenze del buon andamento. Si pensi alla “soglia comunitaria” per le gare pubbliche (C. cost., 25.2.1998, n. 40); al mancato recupero dei crediti di modico valore (cfr. C. cost., 25.3.1988, n. 447); all’inutilità del procedimenti quando esistano motivi assorbenti di rigetto apprezzabili prima facie (art. 21 octies, co. 2, l. n. 241/1990). In ipotesi di contrasto fra imparzialità ed altre valenze dell’efficacia sono queste ultime sovente a prevalere, tenuto conto della naturale destinazione del potere pubblico alla cura di effettivi interessi umani. E, tuttavia, l’imparzialità ed, ancor più, la legalità possono essere sacrificate solo quando la legge chiaramente lo preveda; non per pura scelta dell’amministrazione.
Ciò posto, resta da chiedersi se il principio di imparzialità con i suoi corollari comporti una “riserva di amministrazione” nei confronti del potere legislativo e di quello giurisdizionale; non solo di fronte all’esercizio della funzione giurisdizionale (v. supra, § 1.2.), ma anche alla legge che implementi questo esercizio di nuove valenze.
Come è noto, la Corte ha risolto, in origine, in senso negativo il primo problema, osservando che la difesa contro leggi-provvedimento illegittime è data dalla questione di costituzionalità (C. cost., 29.6.1956, n. 20; C. cost., 13.5.1957, n. 59 e n. 60; C. cost., 8.3.1989, n. 143; C. cost., 8.2.1993, n. 62; C. cost., 3.12.2008, n. 405, ecc.; cfr. C. cost., 7.7.2008, n. 271; C. cost., 25.1.2012, n. 20, che, peraltro, considerano il diverso regime del contraddittorio nei vari giudizi). Il principio di eguaglianza, d’altra parte, esige un controllo di massima stringenza quando la legge è particolare e concreta (C. cost., 9.1.1997, n. 2; C. cost., 21.5.1997, n. 153; C. cost., 4.7.2007, n. 267; C. cost., 23.6.2008, n. 241; C. cost., 9.7.2008, n. 288; C. cost., 4.5.2009, n. 137; C. cost., 7.7.2010, n. 279), fino a richiedere il requisito di “necessità” del mezzo per perseguire uno scopo legittimo (Cerri, A., op. cit., 2006, 2.5.; Spuntarelli, S., L’amministrazione per legge, Milano, 2007). Più recente giurisprudenza talvolta esige una fase “amministrativa” nei rapporti fra Stato e Regioni, per consentire specifici strumenti di interlocuzione previsti da leggi statali (C. cost., sent., 25.6.2008, n. 250; C. cost., 7.7.2008, n. 271; C. cost. n. 20/2012; C. cost., 7.3.2012, n. 62; C. cost., 16.4.2012, n. 105; C. cost., 20.6.2012, n. 160; cfr. Cintioli, F., La riserva di amministrazione e le materie trasversali: "dove non può la Costituzione può la legge statale?", in Giur. cost., 2008, 3072); all’inverso, potrebbe sostenersi una riserva di amministrazione a tutela delle competenze degli enti locali e della regione (Camerlengo, Q., Leggi provvedimento e sussidiarietà, ecc., in Le Reg., 2004, 51 ss.). Ai presenti fini, occorre ricordare la tesi di C. Mortati (cfr. anche Trib. I gr., 11.12.1996, T-521/93, punto 70), che esige, nelle leggi provvedimento, un leale ascolto delle ragioni delle parti, pari a quello di un procedimento amministrativo; praticabile, invero, nell’ipotesi di atto avente valore di legge dell’esecutivo (cfr., in senso inverso, Crisafulli, V., Principio di legalità e “giusto procedimento”, in Giur. cost., 1962, p. 132 ss.); e quella di G.U. Rescigno che ravvisa una dispersione di garanzie nel passaggio dalla legalità amministrativa al sindacato di ragionevolezza di una legge di attuazione di altra legge. Più recente giurisprudenza sembra sensibile a queste sollecitazioni, censurando leggi provvedimento sotto tali profili (cfr. C. Cost., 25.7.2011, n. 243; C. Cost, 21.3.2012, n. 61, C. cost., 31.5.2012, n. 133; cfr. anche Arconzo, G., Conferme e nuove prospettive in tema di leggi provvedimento (in margine alla sent. n. 267, cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico), in Giur. cost., 2007, 2629; Manfrelloto, R., Qualche ombra sull'effettività della tutela giurisdizionale avverso le leggi provedimento, in Giur. cost., 2010, 3741). In effetti, sembrerebbe che, fuori dall’ipotesi di decreto legislativo davvero vincolato al rispetto della legge di delega, la legge provvedimento debba essere relegata a casi limite, nei quali non altrimenti si potrebbe decidere, esercitando quello stretto scrutinio che in precedenza era rimasto solo un’ipotesi (Pinelli, C., Cronaca di uno scrutinio stretto annunciato, in Giur. cost., 2010, 3739).
Si è già accennato (v. supra, § 1.1.; § 1.2.) a valutazioni amministrative che ormai sono devolute per legge al giudice. Le controindicazioni, in questo caso, non risiedono solo nei carenti contrappesi di responsabilità politica delle scelte in tal modo effettuate, ma anche nel rischio di stravolgere la funzione giurisdizionale (sul rischio di overjurisdictionalisation, cfr. Cassese, S., La partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche, in Riv. trim. dir. pubbl., 2007, spec. 29; cfr. anche Allena, M., La rilevanza dell’art. 6, par. 1, CEDU per il procedimento e il processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2012). Tutto ciò può ammettersi a condizione si tratti di valutazioni equitative, da esercitare caso per caso, non trasponibili in programmi o indirizzi, oltre i criteri di legge.
Artt. 95, 97 Cost.; art. 41 Carta di Nizza; art. 298 TUE; d.lgs. 30.3.2001, n. 165; d.lgs. 27.10.2009, n. 150; d.lgs. 20.12.2009, n. 198.
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