imperativo
L’imperativo è un modo verbale, adoperato solo in frasi principali, che – come dice lo stesso nome, dal lat. imperatīvus (modus) – serve per esprimere un ordine, un comando o una preghiera.
In italiano l’imperativo ha solo il tempo presente e solo la II persona singolare e la II persona plurale. Queste due peculiarità devono però essere integrate con alcune precisazioni. Riguardo ai tempi dell’imperativo, infatti, alcune grammatiche (per es., Dardano & Trifone 1997: 324) riportano, oltre a quello presente, anche un imperativo futuro: domani ti presenterai all’appuntamento. In questo caso, è più opportuno parlare di indicativo futuro con valore iussivo, valore che è possibile attribuire anche all’indicativo presente (ora ti siedi e mi racconti tutto).
Per quel che concerne le persone, l’unica forma specifica del modo imperativo, a rigore, è la II persona sing. dei verbi di I coniugazione, perché nelle altre due coniugazioni la II persona sing. dell’imperativo coincide con la II persona sing. del presente indicativo (ama, ma tu ami; temi, senti = tu temi, tu senti). La II persona plur. dell’imperativo, in tutte e tre le coniugazioni, coincide sempre con la II persona plur. del presente indicativo (amate, temete, sentite = voi amate, voi temete, voi sentite). Mancano la I persona sing., la III persona sing., la I persona plur., la III persona plur., espresse mediante il congiuntivo presente (congiuntivo esortativo): che io la veda, amiamo, tema, sentano.
Ci sono poi verbi irregolari che, anche per l’espressione della II persona plur., richiedono l’uso del congiuntivo: avere → abbiate; essere → siate; sapere → sappiate; volere → vogliate. Il segnale che indica quest’uso particolare del congiuntivo presente come imperativo è rappresentato dalla posposizione di un eventuale clitico, quando il verbo è alla I e II persona plur.: chiamiamolo, abbiateli, siatela, sappiatelo, andiamoci. I verbi stativi (come dovere, parere, potere, ecc.), dal momento che esprimono una condizione non mutabile, non hanno l’imperativo. Quei verbi che possono avere sia un’interpretazione stativa sia una non stativa, come sapere (valore stativo «conoscere», valore non stativo «prendere conoscenza»), all’imperativo esprimono sempre il significato non stativo: sappi vale «prendi conoscenza». Ciò vale anche per altri verbi stativi, come sembrare: non sei una signora, lo so, ma almeno sembralo (‘cambia in modo di sembrarlo’) (Renzi, Salvi & Cardinaletti 1995: 155).
Negli specchietti che seguono sono riportate rispettivamente le desinenze dell’imperativo nell’italiano standard e il modello di coniugazione:
TABELLA
coniug. I II III
sing. -a -i -i
plur. -ate -ete -ite
TABELLA
coniug. I II III
sing . am-a tem-i sent-i
plur . am-ate tem-ete sent-ite
Alcuni verbi non seguono il modello indicato: dire ha un imperativo monosillabico di’. Anche i verbi fare, stare, dare, andare, presentano una forma monosillabica di imperativo: fa’, sta’, da’, va’. Inoltre, questi stessi verbi hanno all’imperativo anche le forme fai, stai, dai, vai, derivanti da un’estensione della II persona sing. del presente indicativo, avvenuta a Firenze in epoca moderna e diffusa nell’italiano contemporaneo (il che può far interpretare le forme monosillabiche come troncamenti di queste).
Nel latino classico l’imperativo aveva due tempi, il presente e il futuro, quest’ultimo non continuato dall’italiano. Si indica di seguito il modello di coniugazione dell’imperativo presente latino:
TABELLA
coniug. I II III IV
sing. am-ā tim-ē leg-ĕ sent-ī
plur. am-āte tim-ēte leg-ĭte sent-īte
Dal confronto tra il latino e l’italiano emergono alcuni fatti rilevanti:
(a) per quanto riguarda la I coniugazione, le uscite dell’imperativo in italiano continuano regolarmente quelle del latino: amā > ama; amāte > amate;
(b) le desinenze nella II persona sing. delle coniugazioni II, III e IV convergono tutte nell’uscita /-i/: timē > temi; legĕ > leggi; sentī > senti;
(c) la desinenza della II persona plur. della III coniugazione viene sostituita da quella della II coniugazione -ēte: legĭte > *legēte > leggete;
(d) la IV coniugazione conserva regolarmente la vocale tematica anche nella II persona plur.: sentīte > sentite; audīte > udite.
Riguardo alla II persona sing. dell’imperativo, dobbiamo anche considerare l’evoluzione dei cosiddetti quattro imperativi aberranti del latino: dic (dico), duc (duco), fac (facio), fer (fero). Va detto che, come in italiano non è continuato il verbo fero, così non si continua neppure il suo imperativo. L’imperativo duc subisce invece, come risulta dalle forme composte, un processo di regolarizzazione: duc > *duce > -duci (it. conduci). In dic e fac si ha, nel passaggio all’italiano, la caduta della consonante finale: dic > di’; fac > fa’.
Un comando, un ordine, una preghiera possono essere dati sia in modo affermativo (imperativo positivo: esci) sia in modo negativo. L’imperativo negativo, in italiano, non ha una forma specifica, ma si serve dell’infinito presente preceduto dalla negazione non, per la II persona sing. e della II persona plur. del presente indicativo, sempre preceduta dalla negazione non, per la II persona plur.:
TABELLA
coniug. I II III
sing. non amare non temere non sentire
plur. non amate non temete non sentite
Il latino classico aveva quattro possibilità per esprimere l’imperativo negativo:
(a) la negazione ne + congiuntivo presente (ne ames, ne timeatis);
(b) la negazione ne + imperativo futuro (ne amato, ne amatone) – ma, essendo scomparso nel passaggio all’italiano l’imperativo futuro, viene meno anche tale possibilità;
(c) l’imperativo noli o nolite (imperativi di nolo «non volere») + infinito (noli amare, nolite amare);
(d) la negazione ne + congiuntivo perfetto (o futuro anteriore), per esprimere una proibizione categorica (ne amaveris).
Se il francese moderno, innovando, esprime l’imperativo negativo con la semplice negazione della forma positiva (chante → ne chante pas; prends → ne prends pas); se lo spagnolo e il portoghese continuano la prima possibilità del latino (spagn. no cantes, no canteis, no vendas, no vendais; port. não cantes, não canteis, não vendas, não vendais), l’italiano – come anche il romeno e il francese antico – nell’adoperare la costruzione non + infinito per la II persona sing., opera una sorta di fusione tra la terza e la quarta possibilità del latino.
Grazie all’evoluzione fonetica (perdita della sillaba /ve/, convergenza di -im, -is, -it in /e/), il congiuntivo perfetto dei verbi in -are e in -ire (coniugazioni più ricche e produttive nel latino volgare) viene a corrispondere, nel singolare, all’infinito: amaverim > amarim > amare, amaveris > amaris > amare(s), amaverit > amarit > amare; audiverim > audirim > udire, audiveris > audiris > udire, audiverit > audirit > udire. Questo processo fa sì che nella coscienza dei parlanti sia avvertita un’identità dell’imperativo negativo singolare all’infinito, identità che dal gruppo dei verbi regolari viene estesa anche agli altri verbi: ne scripseris > *non scrissere > non scrivere; ne feceris > *non fecere > non facere > non fare. Tale fenomeno risulta già in uno dei primi documenti volgari, l’iscrizione della catacomba di Commodilla: non dicere ille secreta a bboce (➔ origini, lingua delle). Per quanto riguarda il passaggio dalla negazione ne alla negazione non, può aver influito la terza possibilità del latino: noli passa a non, perdendo l’espressione del desiderio o del comando: noli = non (voler).
Nella storia dell’italiano non sono mancati altri modi per l’imperativo negativo; in testi antichi di area settentrionale incontriamo l’imperfetto congiuntivo:
(1) ai oltri nol disissi (Bonvesin de la Riva, De Quinquaginta curialitatibus ad Mensam, v. 166)
corrispondente al lat. aliis ne dixeris.
Infine (Mazzoni 1940) si ha la possibilità, come in francese, della negazione + imperativo, come risulta in Parini:
(2) Ma tu non pensa
Ch’altri ardisca di te rider giammai
(Il Mattino, vv. 731-732).
Con l’imperativo positivo i pronomi ➔ clitici sono sempre in posizione enclitica e si saldano graficamente al verbo: dammi la matita, scrivetele una lettera, leggilo.
La posizione del clitico, in caso di omografia delle forme dell’imperativo positivo singolare con quelle dell’indicativo, rappresenta, insieme all’intonazione, un tratto distintivo (dal momento che all’indicativo si ha la proclisi): sentimi ma mi senti.
Va detto, però, che nella lingua della tragedia e del melodramma (➔ melodramma, lingua del), all’imperativo positivo si trova anche la proclisi, come si vede da questi esempi tratti dalla Manon Lescaut di Puccini (Atto IV): «Su me ti posa; Son vinta Mi perdona» (cfr. Patota 1984).
Il congiuntivo esortativo presenta sempre i clitici in proclisi: me la legga subito.
Nell’imperativo negativo i clitici possono trovarsi sia in posizione enclitica sia in posizione proclitica (non mi guardare ~ non guardarmi; non mi guardate ~ non guardatemi), ma nei divieti rivolti ad un interlocutore generico il pronome si è sempre in posizione enclitica (non accostarsi in curva; non appoggiarsi; non sporgersi dal finestrino).
In italiano un comando, oltre che per mezzo dell’imperativo, può anche essere espresso senza il verbo (Renzi, Salvi & Cardinaletti 1995: 152-159). Nel caso di richieste di spostamento si possono avere sintagmi avverbiali o preposizionali (ad es., fuori, dentro, giù, a scuola) o, in richieste volte al raggiungimento di una condizione, sintagmi nominali (compl. ogg.) o sintagmi aggettivali (compl. predicativo): silenzio; attento.
Oltre all’uso dell’indicativo con valore iussivo (§ 1), si ricorda l’uso dell’imperfetto del congiuntivo di dovere nelle proibizioni (non dovessi partire domani!) e l’uso dell’infinito, diffuso nei cartelli (spingere, tirare) e nei manuali di istruzione (per accendere premere il pulsante).
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