IMPERATORE
Con l'incoronazione a Roma nel Natale dell'800 da parte di papa Leone III, Carlo Magno assunse per primo, nell'Occidente medievale, il titolo di imperatore. Dopo la fine della dinastia carolingia, in Italia alcuni signori locali portarono temporaneamente il titolo di i., come per es., dall'891, Guido di Spoleto, senza tuttavia che per essi vi sia alcuna testimonianza circa una cerimonia di incoronazione a Roma da parte del papa, come avvenne per i Carolingi. Si dovette trattare semplicemente dell'assunzione di un titolo, come avveniva in effetti abitualmente in Inghilterra e in Spagna. Solo nel 962, con l'incoronazione a i. di Ottone I, l'imperium da lui rinnovato ebbe una vera e propria continuità, sussistendo fino al 1806. I suoi sovrani si posero, come i Carolingi, nel solco della tradizione degli i. romani e assunsero dunque il titolo di imperator o di imperator Romanorum augustus. Sulla tavola eburnea con la raffigurazione di Ottone II e della consorte Teofano, conservata a Parigi (Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny), quest'ultimo titolo si legge per la prima volta completo.La pretesa dei re tedeschi di essere incoronati i. a Roma dal papa si basava non da ultimo sulla natura stessa del loro regno, per definizione di carattere sovranazionale. La miniatura nell'Evangeliario di Ottone III (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4453) con l'omaggio delle personificazioni di Roma, Gallia, Germania e Sclavinia al sovrano va considerata, a questo proposito, come un'affermazione esplicita. In un privilegio promulgato l'8 gennaio 1166 - falsamente indicato come emesso da Carlo Magno - Federico Barbarossa disponeva che chi veniva incoronato re nel duomo di Aquisgrana aveva diritto, senza che alcuno potesse obiettare, a ricevere la dignità imperiale a Roma. L'incoronazione romana per mano del papa era e restò decisiva per l'investitura imperiale. Nel 1508, solo dopo che gli fu impedito il transito verso Roma dai Veneziani, alleati dei Francesi, Massimiliano I ricevette il titolo di Erwählter Römischer Kaiser ('imperatore romano eletto') nel duomo di Trento, con l'approvazione papale. Questo titolo fu portato in seguito da tutti i sovrani del Sacro romano impero fino alla risoluzione di questo, nel 1806, con l'imperatore Francesco II. L'unica incoronazione imperiale di epoca moderna fu quella di Carlo V, che venne incoronato nel 1530 in S. Petronio a Bologna da papa Clemente VII.I sovrani carolingi, per quanto concerne le proprie raffigurazioni, si erano richiamati all'iconografia degli i. tardoromani, principalmente quelli della dinastia costantiniana, come mostrano le monete e le bolle di Carlo Magno con l'immagine di profilo del sovrano coronata da un serto o con il busto dell'imperatore visto frontalmente con elmo, lancia e scudo. Ludovico il Pio venne rappresentato come miles christianus nel De laudibus Sanctae Crucis di Rabano Mauro (Roma, BAV, Reg. lat. 124; Vienna, Öst. Nat. Bibl., 652) e verosimilmente anche sulla placca eburnea di Firenze (Mus. Naz. del Bargello), seguendo nel tipo iconografico e nell'abbigliamento il modello delle rappresentazioni imperiali di epoca costantiniana; inoltre, le immagini di Lotario I in trono (Evangeliario di Lotario, Parigi, BN, lat. 266; Salterio di Londra, BL, Add. Ms 27768) sono evidentemente basate su dittici di epoca tardoantica.Nel Medioevo maturo si fece ricorso ai modelli costantiniani solo una volta, quando Federico Barbarossa venne raffigurato nella testa-ritratto della chiesa del castello di Cappenberg (Vestfalia) come novus Constantinus e pertanto con il serto al posto della ben più usuale corona; lo stesso accade anche nella moneta coniata a Spira dello stesso Federico, che si rifà a un solido costantiniano.Con Carlo il Calvo venne introdotta l'immagine del sovrano in trono sotto un ciborio, attorniato dalle guardie del corpo, dai grandi del regno e da figure allegoriche, e nella gran parte dei casi anche con la mano di Dio che lo benedice o che lo incorona. In questa iconografia dovettero agire prototipi bizantini, riconoscibili anche nella raffigurazione di Carlo il Calvo sulla c.d. cattedra di S. Pietro (Roma, S. Pietro), dove due geni gli offrono corone (un confronto può istituirsi con il 'panno di Günther' a Bamberga, Diözesanmus.); tale tipologia di immagine venne ripresa da Ottone III.Nel corso del Medioevo maturo va rilevato, tuttavia, che generalmente non si riscontrano distinzioni o differenze tra le raffigurazioni degli i. e quelle dei re, sia per quanto riguarda l'abbigliamento sia per ciò che concerne gli attributi o le tipologie. Evidentemente la concezione secondo la quale l'incoronazione a re della Germania era di per se stessa premessa all'incoronazione imperiale a Roma dovette giocare in questo senso un ruolo determinante. Ciò appare anche più chiaramente nelle miniature in cui i. e re sono rappresentati vicini, come nell'Evangeliario di Enrico IV (Cracovia, Bibl. Kapitulna, 208, c. 2v), dove l'i. è raffigurato fra i suoi figli, Enrico V e Corrado, definiti come reges: tutti e tre portano le stesse vesti e le stesse insegne.Nel mosaico del triclinio Lateranense, Carlo Magno, indicato come re, porta lo stesso abbigliamento che è dato riscontrare per i suoi successori su miniature e intagli eburnei: una corta veste stretta da una cintura con sopra la clamide, chiusa sulla spalla destra da una fibula, calze fino al ginocchio e scarpe (forse purpuree). Queste ultime si trovano, in seguito, sostituite da stivali e la veste può presentarsi lunga fino a terra, come per es. nell'Evangeliario di Lotario I (Parigi, BN, lat. 266, c. 1v), nella Bibbia di Viviano (Parigi, BN, lat. 1, c. 423r) o nel Salterio di Carlo il Calvo (Parigi, BN, lat. 1152, c. 3v). Le eccezioni sono rare: le raffigurazioni di Ottone II sulla placca eburnea, già ricordata, di Parigi (Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny) e di Enrico II nell'Evangeliario di Montecassino (Roma, BAV, Ottob. lat. 74, c. 193v) seguono, in parte travisandoli, modelli bizantini.Anche le corone, conservate o note da raffigurazioni, in nessun caso sono definibili come imperiali o regali; verosimilmente esse vennero impiegate nell'una e nell'altra funzione. La corona detta dell'impero (Vienna, Schatzkammer) venne realizzata con ogni probabilità per l'imperatore Ottone I, al più presto in occasione dell'incoronazione di suo figlio Ottone II a coimperatore nel 967. Sicuramente venne indossata da Corrado II per la sua incoronazione imperiale a Roma, nel 1027. In funzione, ancora, di insegna imperiale se ne rintraccia un ulteriore utilizzo in occasione dell'incoronazione a imperatore di Federico III, nel 1452: Federico aveva, infatti, insistito per l'uso delle insegne dell'impero, allora conservate a Norimberga, dando a esse la preferenza rispetto ai suoi paramenti privati.Nel corso dei secc. 12° e 13° furono composti diversi trattati in cui si stabiliva una diversificazione delle corone a seconda delle distinte dignità di sovrano: Pietro Diacono monaco di Montecassino, per es., intorno alla metà del sec. 12°, attribuiva all'imperatore dieci corone, ovvero incoronazioni (Graphia aureae urbis Romae, III, 4; Schramm, 1969, p. 341ss.); mentre Jacopo da Varazze, nella sua 'tesi delle tre corone', composta a Genova nel 1300 ca., sosteneva che ad Aquisgrana l'i. dovesse ricevere una corona d'argento in qualità di sovrano tedesco, a Monza una di ferro come re d'Italia e infine a Roma dal papa quella d'oro come imperatore. Si trattava, tuttavia, di una produzione letteraria concepita in rapporto al simbolismo delle corone o dell'impero, che non ebbe di fatto nessun influsso sulla realtà oggettuale degli attributi (v. Corona; Regalia). E ciò vale anche per quello che afferma Pietro Diacono circa i paramenti e il seguito stesso dell'imperatore.Solo con Carlo IV, che nel 1350 venne incoronato i. a Roma, si registra un tipo di corona specificamente imperiale, vale a dire la corona a cerchio con l'alta staffa semplice combinata con la mitra vescovile, conforme all'ordo dell'incoronazione D (MGH. Const., IV, 1909-1911, p. 796ss.). Carlo IV è più volte raffigurato con questa corona (Karlštejn, cappella della Vergine; Praga, Národní Gal., tavola votiva dell'arcivescovo Očko di Vlašim); sul reliquiario con la particola della croce (Praga, tesoro della cattedrale) Carlo IV e suo figlio Venceslao figurano inginocchiati in adorazione della reliquia: Carlo, come imperatore, porta la corona-mitra, mentre suo figlio, in qualità di re, ha una corona gigliata. Anche gli imperatori Federico III e Massimiliano I possedevano corone-mitra analoghe, di grande preziosità: esse vennero fuse per ordine del re Filippo II di Spagna, ma descrizioni e raffigurazioni ne permettono una precisa ricostruzione. A partire da Carlo IV sono anche tramandate le rappresentazioni dell'i. in vesti liturgiche, ossia con alba, tunicella, stola e piviale, calze pontificali e scarpe (Karlštejn, cappella della Vergine; lastra sepolcrale di Federico III, Vienna, St. Stephan). Del resto, l'uso di tali vesti liturgiche già nel corso del Medioevo maturo non è documentato solo attraverso gli ordines dell'incoronazione, bensì direttamente testimoniato da paramenti, o parte di questi, che si sono conservati (Bamberga, Diözesanmus.; Brunswick, Herzog Anton Ulrich-Mus.; Spira, duomo; Vienna, Schatzkammer).Rappresentazioni a carattere narrativo o vere e proprie scene in cui compaia l'i. sono assolutamente rare, se si prescinde da quelle dedicatorie, le quali tuttavia, pervenute anche per altri eminenti personaggi, non mostrano tratti distintivi dei sovrani. Le raffigurazioni di Enrico II (pontificale di Seeon, Bamberga, Staatsbibl., Lit. 53, c. 2v) e di Enrico III (libro delle Pericopi di Echternach, Brema, Staats- und Universitätsbibl., B.21) sono probabilmente da interpretare come l'ingresso e l'uscita dalla chiesa del re nel contesto di cerimonie solenni, forse di incoronazioni; entrambe però hanno solo un riferimento indiretto alla dignità imperiale. L'unica immagine medievale nota di un'incoronazione imperiale a Roma era costituita dalla pittura parietale con l'incoronazione di Lotario II nel 1133, realizzata per volontà di Innocenzo II in un vano vicino alla cappella di S. Nicola dell'antico palazzo Lateranense; tale rappresentazione è ben conosciuta grazie, prima di tutto, alla riproduzione contenuta in un codice del sec. 16° (Roma, BAV, Barb. lat. 2738, cc. 104v-105r; Ladner, 1941-1984, II, p. 17ss.), ma anche attraverso resoconti scritti, di cui va intesa in primo luogo la valenza politica nel contesto della lotta per la supremazia tra papato e impero.
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In area bizantina, dove l'impero costituiva la prosecuzione di quello romano d'Oriente, vigeva il concetto teologico-politico e anche ortodosso che poneva l'i. (basiléus), come sovrano investito da Dio, al di sopra di ogni essere umano e al di sopra di ogni istituzione.Nella cultura artistica la rappresentazione dell'i. costituiva un'icona rituale e ufficiale, con valore giuridico di 'doppio'; il posto d'onore riservato alle immagini dei sovrani viventi all'interno degli edifici ecclesiali, documentato già nel sec. 5° (per es. i personaggi della famiglia teodosiana nei perduti mosaici absidali del S. Giovanni Evangelista a Ravenna) e di ancor più ampia diffusione in epoca posticonoclasta, esplicitava visivamente, in sintonia con l'ideologia eusebiana, la basiléia terrena conferita loro dal Demiurgo celeste. Tale esaltazione era estesa parallelamente alle figurazioni dinastiche (synghenéia), glorificanti la famiglia regnante anche nei suoi predecessori, come testimoniano molteplici esempi, da Costantino a Eraclio (610-641), da Basilio I (867-886) - nel grande ciclo musivo, noto solo nella descrizione delle fonti, in una sala del palazzo del Kainurghion (Vita Basilii; PG, CIX, coll. 349-350; Mango, 1972, pp. 196-198) - a Manuele I Comneno (1143-1180), il cui ritratto, accompagnato da quelli 'retrospettivi' dei suoi predecessori, si poteva ammirare nel nartece di un monastero costantinopolitano dedicato alla Vergine (Grabar, 1936, pp. 29-30; Mango, 1972, pp. 237-238). Per l'epoca paleologa si ricorda invece un pannello musivo, che sino al 1782 esisteva nella chiesa della Periplebtos a Costantinopoli, nel quale era rappresentato Michele VIII con la moglie Teodora e il figlio Costantino secondo una formula di presentazione assai vicina a quella campita nell'Epitalamio (Roma, BAV, Vat. gr. 1851, c. 7r; Iacobini, in corso di stampa).Le immagini imperiali e tutte le tematiche a esse connesse erano regolate da rigidi canoni rappresentativi, che ben poco mutarono nei secoli, nell'ambito dei quali, inoltre, prescindendo da una caratterizzazione somatica, si ricercò piuttosto una tipicizzazione sovraindividuale dell'autocratore. Trasfigurato dalla sua stessa basiléia, l'i. appare, così come appariva nelle solenni liturgie ufficiali, assolutamente impassibile e frontale, senza che alcuna emozione affiori dal volto, con la figura fisica quasi completamente annullata dalle ricche vesti e dalle insegne del potere prescritte dal rigido cerimoniale (Costantino Porfirogenito, De cerimoniis; pseudo-Codino, De officiis; Fauro, 1994). Suggestive al riguardo sono le testimonianze offerte dai dittici eburnei con la figura di una imperatrice, Pulcheria o Ariadne, all'interno di un ciborio (Firenze, Mus. Naz. del Bargello; Vienna, Kunsthistorisches Mus.), dai celebri pannelli con l'offerta di Giustiniano e Teodora nel S. Vitale di Ravenna e soprattutto da quello nella tribuna settentrionale della Santa Sofia, con l'i. Alessandro (912-913) rappresentato nelle splendide vesti della solenne processione della domenica di Pasqua. In quest'ultima immagine il pesante lóros gemmato avvolge la figura assolutamente frontale, lasciando intravedere il saghíon e lo skaramánghion porporino ricamato; gemmate sono anche le calzature porpora e la corona (il kameláukion con i prependúlia); nella mano sinistra l'i. sorregge la sfera, mentre con la destra stringe l'akakía, il piccolo rotolo di seta purpurea contenente terra, allusivo alla caducità terrena del sovrano, il cui nome, assieme a un'invocazione al Signore, è iscritto nei clipei che lo affiancano.Insieme alla basiléia, gli i. bizantini ricevevano il 'dono' della vittoria grazie all'intervento divino; un 'segno' speciale, la Croce, rivelato al primo i. cristiano, ne era il principale strumento, divenendo attributo essenziale dei sovrani che regnavano e vincevano in esso. Tra i molti esempi, appare significativa una valva di dittico eburneo del sec. 10°, dove la croce gemmata accoglie un medaglione con il busto di un i. (Washington, Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll.; Weitzmann, 1972, nr. 24). Il trionfo costituì del resto sotto molteplici aspetti la tematica ricorrente nelle immagini imperiali, sia affidato alle magniloquenti statue ritratto, come quella equestre di Giustiniano (527-565) con la túpha piumata (l'elmo di parata), che, sino alla conquista turca, era collocata sopra la colonna dell'Augusteion (Sodini, 1994), sia, piuttosto, impaginato in grandi composizioni di tradizione romana, con le gesta e le vittorie riportate nelle campagne militari: dalle colonne coclidi istoriate di Teodosio I e di Arcadio a Costantinopoli ai mosaici con i trionfi di Giustiniano nella Chalké del palazzo imperiale descritti da Procopio (De aedificiis, I, 10, 12-24), dalle gesta di Costantino V Copronimo (741-775) rappresentate sui muri degli edifici pubblici costantinopolitani a quelle di Basilio I nel palazzo del Kainurghion e di Manuele Comneno (1143-1180) nel palazzo delle Blacherne (Mango, 1972, p. 226). Anche se si può forse cogliere un riflesso di questi e altri quadri storico-narrativi nel ricco apparato illustrativo di un codice madrileno della Cronaca di Giovanni Skilitze, datato tra i secc. 13°-14° (Madrid, Bibl. Nac., Vit. 26-2; Grabar, Manussacas, 1979), gli artisti bizantini privilegiarono piuttosto il 'momento finale', l'apoteosi dell'i., perenne trionfatore, avulso dallo scorrere degli eventi. Si tratta di vere e proprie teofanie della mistica dell'impero cristiano, registrate anche dalle effigi monetarie - che più di altri media tramandano senza soluzione di continuità le tematiche prescelte dalla propaganda imperiale (Morrison, Zacos, 1978) - e attestate da una serie di contesti figurativi, tra i quali, per es., la conquista di una città sulla cassetta eburnea di Troyes (Trésor de la Cathédrale) e soprattutto la scena ricamata sul prezioso 'panno di Günther' a Bamberga (Diözesanmus.) e quella campita in una suggestiva miniatura del Salterio di Basilio II (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, gr. Z. 17, c. 1r), che evocano, in termini visivi stringati ed essenziali, due momenti del trionfo di Basilio II sui Bulgari (1017). In queste ultime due scene l'azione si svolge contro uno sfondo neutro: nella prima domina l'i. a cavallo, bardato alla sasanide nelle sontuose vesti da parata, mentre riceve l'omaggio di due personificazioni, forse allusive al suo doppio trionfo celebrato ad Atene e a Costantinopoli; nella seconda, invece, il trionfo costantinopolitano di Basilio II è concepito come emblematica metafora visiva della basiléia celeste e terrena. Focus della composizione, inquadrata dalle icone dei santi guerrieri, è la magniloquente figura dell'i. in veste militare che viene incoronato da Dio, mentre un angelo guida la sua lancia sulla cervice dei Bulgari vinti in proskýnesis.Rientrano appunto nelle tematiche trionfali anche le scene di omaggio all'i., come documentano sia i rilievi teodosiani della base dell'obelisco eretto nel 390 sulla spina dell'ippodromo costantinopolitano sia i già citati mosaici giustinianei della Chalké, di cui si può forse cogliere un riflesso nel dittico Barberini (Parigi, Louvre). Anche nei perduti mosaici del Kainurghion era rappresentato l'omaggio delle città vinte a Basilio I, seduto in trono tra i suoi generali; un motivo che si ritrova ancora nel sec. 14° in una piccola pisside eburnea con i ritratti della famiglia dei Cantacuzeni (Washington, Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll.; Weitzmann, 1972).Create per esaltare, ma sotto diversa prospettiva, la forza vittoriosa dell'i., il suo vigore e il coraggio, sono poi le scene di caccia al leone o ad altre fiere, oppure di agone circense, come la corsa sulla quadriga, tramandate da alcuni frammenti di tessuto di epoca iconoclasta (Sens, Trésor de la Cathédrale; Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny; Saint-Calais, chiesa di Notre-Dame; Lione, Mus. Historique des Tissus; Byzance, 1992, nrr. 128-130, 132), momento in cui tali soggetti, che s'ispirano anche a modelli sasanidi, come la caccia di Bahrām-Gūr, ebbero grande successo e diffusione (de Francovich, 1964). Come testimonia Niceta Coniate (Mango, 1972, pp. 234-235), tematiche analoghe furono incluse pure nel ciclo della vita di Andronico I Comneno (1183-1185) dipinto nel suo palazzo. L'ideologia affidata a queste immagini è del resto chiaramente attestata dagli affreschi, datati al 1040 ca., nella chiesa di Santa Sofia a Kiev, dove furono evidentemente introdotte da Bisanzio per glorificare il granduca Jaroslav I il Saggio (1036-1054; Lazarev, 1967, pp. 156-157).Riveste ugualmente carattere trionfale, ma nel significato di una battaglia vittoriosa sulle eresie, la rappresentazione dell'i. che presiede un concilio, volta a sottolineare il suo ruolo nella gestione degli affari della Chiesa, quale responsabile e garante delle decisioni prese e quindi dell'ortodossia (Walter, 1970). Distrutte nel 712 le rappresentazioni dei concili che decoravano gli archi del Milion costantinopolitano, tramandano questa tematica, codificata all'interno di una formula iconografica costante - un'esedra che accoglie l'i. seduto, affiancato dalle gerarchie ecclesiastiche -, numerose miniature, tra le quali quelle che raffigurano il concilio del 381 (Parigi, BN, gr. 510, c. 355r), il sinodo dell'815 (Salterio Chludov, Mosca, Gosudarstvennyj Istoritscheskij Muz., Add. gr. 129, c. 23r), il secondo concilio di Nicea del 787 (Menologio di Basilio II, Roma, BAV, Vat. gr. 1613, p. 108r) e il sinodo palamita del 1351, presieduto da Giovanni VI Cantacuzeno (Parigi, BN, gr. 1242, c. 5v). Le preoccupazioni teologiche dell'i. sono peraltro attestate da quelle immagini in cui sono rappresentati Alessio I Comneno (1081-1118; Roma, BAV, Vat. gr. 666, c. 2r) o Andronico II Paleologo (1282-1328; Crisobolla del 1301; Atene, Byzantine Mus.) nell'atto di offrire al Pantocratore un trattato dogmatico.Temi ricorrenti nell'iconografia imperiale bizantina sono, parallelamente, quelli in cui l'immagine dell'i., in atto di preghiera o di adorazione, è posta in rapporto a quella di Dio, di cui è appunto l'eikón terrestre, dapprima senza esplicita rappresentazione della divinità, quindi, in epoca posticonoclasta, con il sovrano introdotto a guisa di paredro dinnanzi alle figure di Cristo, della Vergine, dei santi o alla croce. Emblematica al riguardo la testimonianza offerta dal pannello musivo sopra la porta regia della Santa Sofia di Costantinopoli, che mostra un imperatore in proskýnesis dinanzi al Cristo in trono affiancato da due medaglioni contenenti i busti della Vergine e di un arcangelo, nel quale sarebbe suggestivo riconoscere Basilio I nella solenne liturgia della restituzione delle immagini (de' Maffei, 1988; Cormack, 1994). Nell'ambito di una Déesis posta in opera intorno al 1355 sull'arco orientale della stessa chiesa appariva, invece, come documentano i disegni ottocenteschi di Gaspare e Giuseppe Fossati (Cormack, 1994), Giovanni VI Cantacuzeno (1347-1354) nel magniloquente abbigliamento palatino.La splendida galleria di ritratti imperiali della Santa Sofia comprende altresì alcuni pannelli votivi con il tema dell'offerta imperiale, di cui i due posti nella tribuna meridionale mostrano l'i. con una borsa, l'apokómbion, piena d'oro, la sua rituale offerta pecuniaria alla Grande Chiesa (Costantino Porfirogenito, De cerimoniis, I, 2). Nel primo, ai lati di Cristo sono rappresentati, con ricche vesti riprodotte con lenticolare minuziosità e in rigida posa, Costantino IX Monomaco (1042-1055) e Zoe, i cui volti palesano una certa convenzionalità, specie quello bellissimo della basilissa, in realtà ormai sessantenne, ma anche quello dell'i., che estrinseca una convenzionale idea di forza e di austerità piuttosto che il carattere spensierato ampiamente descritto da Psello (Cronografia, VI, 33). Un'aura di festosa mondanità si coglie invece nella corona legata al nome di questo stesso i. (Budapest, Magyar Nemzeti Múz.), ma forse di un'augusta, in cui la ieratica presentazione dei sovrani è accompagnata da esotiche figure di danzatrici.Il modulo iconografico del pannello votivo macedone venne reiterato, ma con un linguaggio formale di gusto ancor più schematico, in quello con Giovanni II Comneno (1118-1143) e la moglie Irene, rigidamente e simmetricamente affiancati alla Vergine con il Bambino, con vesti e insegne tempestate di pietre dai colori particolarmente accesi (in sintonia con le tendenze stilistiche coeve), dai quali emergono i volti, resi con rarefatta e preziosa calligrafia. In un secondo tempo, nel 1122, fu aggiunto lateralmente il ritratto del figlio Alessio, coronato, quale coimperatore, dal kameláukion. Può invece essere con buone probabilità identificata con Irene Ducas, moglie di Alessio I, la basilissa degli smalti della Pala d'oro rappresentata in piedi su un piccolo tappeto circolare (suppédion), che in queste formule iconografiche ufficiali sottolinea sempre la maestà (Grabar, 1936, p. 21).Ugualmente alla Vergine seduta in trono con il Bambino viene rivolta l'offerta di Costantino e di Giustiniano, rispettivamente il plastico della città di Costantinopoli e quello della chiesa di Santa Sofia, nel mosaico, datato al sec. 10°, posto sopra la porta meridionale della Santa Sofia. La stessa tematica, esaltante il ruolo di ktétor imperiale, era recuperata intenzionalmente nel perduto gruppo bronzeo, posto su una colonna in prossimità dell'Apostoleion (Mango, 1993, pp. 10-12; Talbot, 1993, pp. 258-260), con Michele VIII Paleologo (1259-1282), quale novello Costantino, che offriva, appunto, all'arcangelo Michele il plastico della città di Costantinopoli, da lui riconquistata nel 1261 dopo la dominazione latina.Restano infine da considerare le immagini relative all'investitura mistica dell'i. bizantino, sia nell'accezione costantiniana di isoapostolo, rivendicata dalla corona votiva di Leone VI (Venezia, Tesoro di S. Marco), sia nelle scene di benedizione o di protezione, esemplificate, tra le altre, dal problematico scettro eburneo di Berlino (Mus. für spätantike und byzantinische Kunst), dalle miniature con Basilio I tra il profeta Elia e l'arcangelo Gabriele (Parigi, BN, gr. 510, cc. Bv, Cv) e anche da una miniatura che mostra Manuele II Paleologo (1391-1425), la moglie Elena e i tre figli posti sotto la Vergine Blacherniótissa (Parigi, Louvre, Dép. des Objets d'Art, MR 416, c. 2), sia soprattutto nell'ambito di quelle immagini in cui è rappresentato il Cristo nell'atto di benedire o di posare sul capo dell'autocrate l'insegna imperiale della corona. Questa dimostrazione simbolica è senz'altro assai più pregnante rispetto a quelle scene di carattere narrativo e cerimoniale con la proclamazione da parte dell'armata o con l'elevazione sullo scudo, oppure con l'incoronazione da parte del patriarca dopo la sua investitura, illustrate per es. nelle miniature del citato codice madrileno della Cronaca di Giovanni Skilitze (cc. 10v, 12v, 15v).Il concetto della basiléia bizantina trova infatti la sua compiutezza semantica proprio nelle immagini in cui è esplicitato in termini visivi l'intervento divino nell'investitura, estesa anche alla basilissa, secondo un'iconografia diffusa soprattutto a partire dal sec. 9°, come attestano tanto le emissioni monetarie, per es. di Alessandro I nel 913, quanto alcuni manufatti suntuari: l'avorio con Costantino VII Porfirogenito (913-959; Mosca, Gosudarstvennyj Istoritscheskij Muz.); quello di Romano e della moglie Eudocia (Parigi, BN, Cab. Méd.); uno smalto con Michele VII Ducas (1071-1078) e la moglie Maria nel trittico di Chachuli (Tbilisi, Gosudarstvennyj muz. iskusstvo), la già citata miniatura di Basilio II, quelle con Niceforo Botaniate e la moglie (Parigi, BN, Coislin 79, cc. 2r, 2v, 2bis) e ancora quella con Alessio I e suo figlio Giovanni II (Roma, BAV, Urb. gr. 2, c. 5r). Proprio al nome di Michele VII Ducas è legata una delle più icastiche testimonianze della basiléia bizantina: la corona inviata al re Géza I d'Ungheria (1074-1077; Budapest, Magyar Nemzeti Múz.), in cui la gerarchia dei poteri è chiaramente espressa dalle immagini. Sono raffigurati insieme sullo stesso oggetto il Panbasiléus Cristo e il basiléus, ma a quest'ultimo, che occupa la parte tergale, con scettro, spada e lóros, sono subordinati sia il re d'Ungheria sia il figlio Costantino; la gerarchia è sottolineata anche dalle iscrizioni, che sono porpora per Michele VII aureolato, definito "en Christo basileus", verdi per gli altri due. Questo straordinario testo figurato rivendica a Bisanzio l'esclusivo diritto della basiléia nell'ecumene cristiana.
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