imperfetto
L’imperfetto è un tempo passato del verbo (➔ coniugazione verbale; ➔ modi del verbo), che indica principalmente simultaneità rispetto a un momento passato (Bertinetto 1986; Vanelli 1991). Dal punto di vista formale, è una forma semplice della coniugazione e appare nei modi finiti sia dell’indicativo sia del congiuntivo.
La forma all’indicativo ha la seguente struttura morfologica: radice del verbo (per es., gioc-, legg-, part-) + vocale tematica (-a-, -e-, -i-) + marca del passato (nel caso specifico, -v-) + marca della persona e del numero (per es., -o, -ano): gioc-a-v-ano, legg-e-v-ano, part-i-v-ano.
In questa voce si considera soprattutto l’imperfetto indicativo; per l’imperfetto congiuntivo, ➔ concordanza dei tempi.
L’imperfetto indicativo indica la simultaneità nel passato rispetto a un momento nel passato (per questo nella tradizione grammaticale è considerato tempo relativo per eccellenza). Ciò significa che un enunciato con l’imperfetto raramente può star da solo senza riferirsi a un ancoraggio temporale, implicito o no. Si confrontino:
(1) ? due mesi fa Alessandro giocava con gli amici
(2) due mesi fa Alessandro ha giocato [o giocò] con gli amici
L’imperfetto in (1) richiede un contesto che indichi una simultaneità con un altro evento passato. In (2) la stessa frase contiene un passato prossimo (o remoto) che esprime un evento finito, perfettamente accettabile senza ulteriori riferimenti temporali. La frase in (1) è dubbia in quanto contiene un imperfetto isolato, ma non è inaccettabile: diventa accettabile se inserita in un contesto adeguato, ad es., completandola con una frase temporale (➔ temporali, frasi) che delimita un momento in cui viene collocato lo svolgersi dell’imperfetto (3) o con un avverbiale temporale che indica una ripetizione dell’avvenimento stesso nell’intervallo temporale globale indicato (4):
(3) due mesi fa Alessandro giocava con gli amici quando all’improvviso gli si è avvicinata una persona sconosciuta
(4) due mesi fa Alessandro giocava con gli amici dalla mattina alla sera; ora non lo può più fare
L’imperfetto ha caratteri sia temporali che aspettuali (➔ aspetto).
Dal punto di vista dell’aspetto è una forma prevalentemente imperfettiva, dato che focalizza un evento che dura e ne sottolinea l’indeterminatezza: non dà informazioni né circa l’inizio, né circa la fine dell’evento stesso, bensì sul suo perdurare e la possibilità implicita che l’azione prosegua fuori dall’intervallo di tempo considerato.
L’imperfetto imperfettivo, essendo compatibile con espressioni di indeterminatezza, occorre spesso con verbi durativi (indicanti azione che si prolunga nel tempo: camminare, dormire) e avverbiali durativi. Tra i verbi durativi va inclusa la sottoclasse dei continuativi (che esprimono un processo che continua nel tempo e che può essere interrotto e ripreso: giocare, lavorare) e quella degli stativi (che indicano qualità del soggetto e non permettono una interruzione del processo: parere, possedere). Anche i verbi risultativi rientrano nella classe dei durativi (vedi § 2.3).
Quando il processo espresso dall’imperfetto è in corso senza che sia possibile determinare né quando sia iniziato né quando si concluda, e un altro evento (implicito o esplicito) si sovrappone a questo processo in un singolo istante, si ha il cosiddetto imperfetto progressivo. Tale funzione è verificabile con un test di sostituzione con la perifrasi progressiva stare + gerundio, come in (5), ove fumava può essere trasformato in stava fumando:
(5) Un giorno, in camera sua, mentre lui, distratto, fumava a qualche passo da me, io, frugando in mezzo a certi libri nell’armadio, mi trovai fra le mani una fotografia (Elsa Morante, L’isola di Arturo, p. 48).
L’imperfetto continuo si ha quando il processo si svolge in modo indeterminato, sia dal punto di vista dell’ancoraggio temporale sia dal punto di vista della durata. Rispetto all’imperfetto progressivo non si percepisce un istante preciso in cui si metta a fuoco l’evento espresso dall’imperfetto:
(6) Mangiava adagio adagio, colla persona curva e il capo chino. Aveva una massa di capelli morbidi e fini (Giovanni Verga, Mastro don Gesualdo, p. 68).
L’imperfetto abituale è usato per esprimere il ripetersi del processo espresso dal verbo in un contesto durativo e anche la sua ricorrenza regolare. Sovente la costruzione è accompagnata da avverbiali indicanti la possibilità del ripetersi dell’azione (ad es., ogni giorno, l’estate scorsa; ➔ iterazione, espressione della).
La costruzione è frequente con verbi telici (esprimenti il raggiungimento di una meta), suddivisibili in trasformativi (verbi non-durativi, esprimenti una condizione che, al termine del processo espresso dal verbo, è diversa da quella che vigeva prima dell’azione stessa: arrivare, andare, morire) e risultativi (verbi durativi esprimenti la realizzazione di un certo scopo, spesso determinati da un complemento oggetto: leggere un libro, cantare una canzone).
A differenza dell’imperfetto continuo, ogni evento apparentemente singolo è in realtà concepito come il continuo susseguirsi di sottoeventi impliciti che iniziano e si concludono a ripetizione.
L’imperfetto abituale si trova spesso in frasi che fanno parte del blocco iniziale di un testo, in cui si danno informazioni di sfondo circa i partecipanti, il tempo, la collocazione degli eventi raccontati (Centineo 1991: 63):
(7) In quell’estate andavo in Po, un’ora o due, al mattino. Mi piaceva sudare al remo e poi cacciarmi nell’acqua fredda, ancora buia, che entra negli occhi e li lava. Andavo quasi sempre solo, perché Pieretto a quell’ora se ne dormiva (Cesare Pavese, Il diavolo sulle colline, p. 123).
Benché l’imperfetto sia vago circa la possibilità di precisare la conclusione del processo, la presenza di altri indicatori permette di interpretare la forma come perfettiva. È il caso dell’imperfetto narrativo, adoperato in particolare nei racconti (➔ imperfetto storico), in contesti in cui gli eventi codificati dall’imperfetto sono rappresentati come successivi. Spesso appare con verbi perfettivizzanti, non-durativi, soprattutto trasformativi o comunque telici:
(8) La madre, due ore più tardi, ci accoglieva sorridendo, pronta a chiacchierare di tutto. Della figlia diceva che era stramba (Dacia Maraini, L’età del malessere, p. 55)
(9) Ora la pigliava su di un altro tono, col risolino furbo e le mani che gli pizzicavano. Le stringeva con due dita il ganascino. Le sollevava a forza il capo (Verga, Mastro don Gesualdo, p. 75)
In alcuni casi il senso narrativo rimane ambiguo, soprattutto in concomitanza di verbi durativi, meno adatti all’uso narrativo: pur trovandosi in un contesto di sequenzialità, e ancor più se i verbi non sono accompagnati da avverbiali delimitati nel tempo, non rendono un chiaro senso di sequenzialità, ma danno piuttosto la sensazione di abitualità o di continuità:
(10) Intanto nel cortile, alcuni lasciarono le case, le cucine con il ragù sul fuoco, le tavole già pronte: si avvicinavano a mano a mano, facevano ressa sotto la scala, borbottavano sotto voce, taluni dai balconi chiedevano a quelli di sotto cosa succedesse, talaltri urlavano di buttare giù la porta (Angelo Cannavacciuolo, Guardiani delle nuvole, p. 77)
Nell’italiano contemporaneo, come in quello dei secoli passati, si incontra con una certa frequenza l’imperfetto dei ➔ verba dicendi, in particolare dire. In questi casi il senso narrativo non è sempre chiaro, e la costruzione è connotata piuttosto di abitualità o di iteratività.
Tale senso si nota in (11) in cui la forma appare in alternanza con il passato remoto:
(11) Li occhi a la terra e le ciglia avea rase
d’ogne baldanza, e dicea ne’ sospiri:
«Chi m’ha negate le dolenti case!»
E a me disse: «Tu perch’io m’adiri,
non sbigottir, ch’io vincerò la prova,
qual ch’a la difension dentro s’aggiri»
(Dante, Inf. VIII, 118-123)
(12) essa gli diceva: – Mi avete tolto mia figlia … anche adesso che sono in questo stato!... (Verga, Mastro don Gesualdo, p. 297)
L’imperfetto narrativo è una risorsa tipica della narrativa letteraria e del linguaggio giornalistico (per questo è chiamato anche cronistico). Siccome esprime anche un significato di distacco, lo si trova usato nei resoconti militari, nelle iscrizioni e nei verbali di polizia:
(13) Cronaca della partita
Discreti e poco appariscenti si presentavano in campo con ritardo gli atleti del San Chirico Raparo (La Smorfia). […] La squadra acquistava dinamismo e agilità, concretizzando il proprio lavoro con il primo gol che liberava l’assediata porta del gigante Iannielli “detto Biancaneve” (blog dedicato al torneo di calcio a 5 del personale del Comando Provinciale di Potenza, 26 novembre 2009).
Data la sua natura fondamentalmente imperfettiva, l’imperfetto indicativo lascia aperte molte interpretazioni, dato che ha anche valori temporali, aspettuali e modali particolari.
In diversi casi l’imperfetto indicativo prende il posto di altre forme temporali nell’ambito di processi di ➔ semplificazione (➔ colloquiale, lingua; ➔ lingue romanze e italiano). Questo fenomeno, che si espande nell’italiano parlato, o comunque in contesti non formali, si ha nel caso dell’imperfetto che prende il posto del trapassato prossimo. La funzione appare innanzitutto con i verbi trasformativi ed esprime il risultato di un processo nel passato i cui effetti permangono ancora:
(14) Immacolata Capone venne uccisa nel marzo 2004 a Sant’Antimo, il paese del suo compagno. Era senza scorta. Non credeva forse di correre un pericolo (Roberto Saviano, Gomorra, p. 162)
L’imperfetto può anche riferirsi a un futuro più o meno imminente rispetto a un tempo al passato. È l’imperfetto cosiddetto prospettico, di carattere perfettivo, ad es., nel discorso indiretto:
(15) ha detto che veniva [o sarebbe venuto] il giorno dopo
L’imperfetto prospettico è usato al posto del condizionale composto e si trova in particolare con i verbi trasformativi e modali come volere e potere:
(16) a. due giorni fa Andrea ha detto che veniva
b. due giorni fa Andrea ha detto che voleva venire
Anche in questi casi ha un senso di futuro. L’uso dell’imperfetto prospettico codifica anche una certa idea di ipotesi, dovuta a fattori pragmatici. Nel discorso indiretto a volte l’imperfetto prende il posto del presente nel discorso diretto: in tali casi l’imperfetto ha significato di passato recente (ha detto che partiva proprio in quel momento) e futuro imminente (ha detto che veniva subito). In entrambi i casi l’imperfetto è di carattere perfettivo. Nel discorso indiretto l’imperfetto può sostituire tempi composti, come il condizionale composto e l’imperfetto congiuntivo:
(17) ha detto che veniva [cioè sarebbe venuto] subito.
A volte l’imperfetto copre valori di tempo e modo influenzati dalla sintassi della frase. È il caso dell’imperfetto indicativo e congiuntivo nelle subordinate, in particolare quando la principale è al passato e la subordinata può indicare un rapporto di simultaneità rispetto al tempo della principale:
(18) Silva gli domandò se voleva un bicchiere di vino bianco (Antonio Tabucchi, Sostiene Pereira, p. 63)
o di anteriorità rispetto alla principale se si riferisce ad una interpretazione abituale:
(19) ho conosciuto un ragazzo che due anni fa giocava a tennis
A seconda del modo richiesto dal verbo reggente, si applica l’indicativo o il congiuntivo. In (20) l’indicativo pensava potrebbe essere sostituito con il congiuntivo pensasse, secondo la natura della completiva (➔ completive, frasi):
(20) Pereira chiese a Silva cosa ne pensava di tutto questo (Tabucchi, Sostiene Pereira, p. 63)
Nelle frasi completive l’imperfetto può apparire anche quando l’effetto dell’evento espresso dalla subordinata è ancora durevole (➔ oggettive, frasi). Si tratta dell’imperfetto di attrazione, spesso alternante col presente:
(21) Carla ha detto che eri [o sei] malato
(22) volevo sapere se eri ancora arrabbiato con me
Il verbo all’imperfetto non esprime un evento passato ma una situazione che perdura ancora al presente. Il tempo passato della frase reggente attrae un altro tempo al passato, in questo caso l’imperfetto, ma questo non va interpretato come esprimente una simultaneità nel passato.
Nel ➔ periodo ipotetico dell’italiano standard l’imperfetto congiuntivo si ritrova nella frase dipendente (protasi) mentre il condizionale (semplice o composto) si ritrova nella reggente (apodosi):
(23) La prego. Non voglio insistere, ma per me sarebbe il massimo se mi aiutasse, mi farebbe talmente felice (Niccolò Ammaniti, Ti prendo e ti porto via, p. 234)
Accanto alla forma standard esistono però, sin dall’antichità, soprattutto nel parlato substandard, costruzioni con il doppio imperfetto indicativo al posto del congiuntivo e del condizionale, del tipo se ero alto giocavo a pallacanestro, se venivi prima andavamo al cinema, ecc.
I costrutti vanno dal controfattuale (indicante irrealtà nel passato) al possibile (Mazzoleni 1992: 177 segg.):
(24) Se sapevo che finiva così
Io non crescevo, io non crescevo
Rimanevo bambino col naso all’insù
A guardare dal finestrino (Adriano Celentano, Se sapevo non crescevo)
(25) *LIV: se ci si pensava / gli si poteva fare un altro / di un altro film (in Cresti 2000: II, 58)
L’imperfetto indicativo in periodo ipotetico si trova sin dall’antichità anche in costruzioni miste (proprie sia dello scritto che dell’orale; Mazzoleni 1992: 175-179), in cui le normali forme del congiuntivo imperfetto o del condizionale, rispettivamente nella protasi e nell’apodosi, sono sostituite dall’imperfetto indicativo:
(26) se Lucia non faceva quel segno, la risposta sarebbe probabilmente stata diversa (Alessandro Manzoni, Promessi sposi, cap. III)
(27) che s’io fossi giù stato, io ti mostrava
di mio amor più altre che le fronde
(Dante, Par. VIII, 56-57).
Con l’imperfetto si trovano anche funzioni di tipo modale (➔ modalità). Gli usi sono numerosi e oscillano dalla realtà all’irrealtà, dalla possibilità al controfattuale. L’imperfetto modale si ritrova spesso in registri non formali, a volte a scapito del condizionale o altre forme verbali (Bazzanella 1990; Bertinetto 1991; Mazzoleni 1992).
Si citano qui i casi più noti. L’imperfetto usato per codificare un desiderio o una richiesta ha valore attenuativo o di cortesia; sostituisce il condizionale semplice, appare spesso con verbi modali + infinito ed è di livello colloquiale:
(28) *CL8: volevo un’informazione // è mia questa e d’una signora // volevo sapere / quanto dovevamo pagare // (in Cresti 2000: II, 97)
L’imperfetto retrospettivo (sostituibile col condizionale composto) si trova spesso con verbi modali ed esprime una posizione soggettiva su fatti già accaduti:
(29) «Aveva ragione mio padre, dovevo starlo a sentire» si ripeteva, andando su e giù con la schiena (Cannavacciuolo, Guardiani delle nuvole, p. 171)
L’imperfetto detto di conato codifica un’azione che si stava per realizzare o che s’intendeva realizzare, ma che poi non ha avuto luogo. Questa funzione, derivante dall’imperfetto conativo latino (Rohlfs 1969: § 671), si trova innanzitutto con verbi telici e risultativi:
(30) ieri Luigi faceva l’esame di linguistica
Di natura simile è l’imperfetto detto imminenziale, applicabile innanzitutto ai verbi trasformativi: implica un distacco dalla realtà che nasce dalla combinazione tra l’imperfetto e il verbo trasformativo e la successiva interpretazione di non compimento dell’evento:
(31) quasi quasi mi rompevo una gamba
(32) gli atleti partivano per i giochi quando è arrivato il contrordine
Nel parlato è diffuso l’imperfetto di pianificazione che si riferisce all’intenzione di compiere qualcosa nel futuro, intenzione ancora negoziabile (Bazzanella 1990: 446 segg.; Mazzoleni 1992):
(33) non possiamo andarci stasera? Stasera andavo [o andrei] in palestra
Si ha il cosiddetto imperfetto epistemico quando il parlante vuole esprimere una supposizione. La funzione è collegata per lo più con verbi modali, come dovere, volere, potere, ecc. La costruzione con l’imperfetto può essere sostituita dal condizionale composto:
(34) Allora si mise a pensare alla fama che qualche vendicativo […] doveva averle fatta perché gli uomini che non la conoscevano fossero tanto audaci con lei (Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo moderno, cap. 3, IV)
L’imperfetto esprimente la modalità controfattuale menzionato in § 3.3 (periodo ipotetico) si trova anche in altre costruzioni:
(35) Tommaso mi ha detto che veniva, ma poi ha telefonato dicendo che aveva altri impegni
L’imperfetto assume valore irreale quando il lettore o il parlante esprime eventi filtrati dalla fantasia, dai sogni e dall’immaginazione:
(36) Così non la vide, la locanda Almayer, staccarsi da terra e disfarsi leggera in mille pezzi, che sembravano vele e salivano nell’aria, scendevano e salivano, volavano, e tutto portavano con sé (Alessandro Baricco, Oceano mare, p. 227)
L’imperfetto ludico è frequente nell’interazione tra bambini, nelle messe in scene e nell’assegnazione di ruoli dei partecipanti a un gioco:
(37) [Al. e Fau. fingono di stirare con un ferro da stiro giocattolo]
Al. Annamo a gioca’ al dottore?
Fau. Sai una cosa? Tu stavi qua a stirà, no? Io ero il papà che stava a sega’ per finta. Eh?
(in Musatti & Orsolini 1993: 621).
L’imperfetto come tempo relativo per eccellenza va visto in un contesto di più frasi connesse in un testo. Da questo punto di vista le funzioni più frequenti sono di tipo continuo o progressivo o abituale (§§ 2.1-3), tipi che spesso rientrano nei testi narrativi indipendentemente dal livello diamesico (➔ variazione diamesica).
Tra i tipi caratteristici si ritrova il classico inizio delle fiabe, il c’era una volta che introduce tempo, luogo e partecipanti della narrazione:
(38) C’era una volta … – Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno (Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio, p. 3)
L’imperfetto appare in sequenze descrittive nei testi letterari e, nel parlato, in racconti e narrazioni di eventi al passato. In tali sequenze è spesso associato a strutture di secondo piano o di sfondo rispetto alla trama principale del racconto, mentre gli eventi di primo piano si associano a tempi perfettivi come il passato remoto o il passato prossimo (Weinrich 1964):
(39) Albeggiava. Due degli uomini si tolsero gli sci ed entrarono nell’isba; il terzo, quello che aveva parlato, rimase fuori con l’arma puntata. Era alto, molto giovane, e portava una corta barba nera; a tutti e tre, gli abiti imbottiti sotto la tuta mimetica conferivano l’apparenza dei loro movimenti. I due, con le pistole in pugno, ordinarono che nessuno si muovesse (Primo Levi, Se non ora, quando?, p. 69).
Dell’imperfetto indicativo, derivante dall’imperfectum latino (del tipo di cantabat), troviamo testimonianze nei primi testi volgari come l’Indovinello veronese, della fine dell’VIII secolo o inizio del IX (in Migliorini 1960: 61-64):
(40) Se pareba boves, alba pratalia araba, albo versorio teneba, negro semen seminaba «Spingeva avanti i buoi, arava prati bianchi, teneva un aratro bianco, seminava un seme nero»
Dal punto di vista morfologico, nei testi antichi l’imperfetto ha desinenza in -a per la I persona sing.: io avea, cantava, dicea. Dal Quattrocento tale forma regredisce a favore della forma in -o. Manzoni cambia in -o tutte le desinenze in -a per la I persona sing. nella seconda versione dei Promessi sposi (Migliorini 1960: 136; Rohlfs 1969: § 286; ➔ grammatica storica).
Dall’italiano antico in poi le funzioni dell’imperfetto sono le stesse descritte sopra. La simultaneità rimane la caratteristica principale della forma. In Dante l’imperfetto esprime simultaneità rispetto all’evento espresso dal passato remoto: quest’ultimo è usato per esprimere la posizione dell’osservatore, mentre l’imperfetto riporta il contenuto dell’osservazione (Brambilla Ageno 1978: 227-228).
Alberti, Leon Battista (1946), I primi tre libri della famiglia, a cura di F.C. Pellegrini & R. Spongano, Firenze, Sansoni.
Alighieri, Dante (1988), La Divina Commedia, a cura di U. Bosco & G. Reggio, Firenze, Le Monnier.
Ammaniti, Niccolò (2008), Ti prendo e ti porto via, Milano, Mondadori (1a ed. 1999).
Baricco, Alessandro (1998), Oceano mare, Milano, Rizzoli (1a ed. 1991).
Cannavacciuolo, Angelo (2002), Guardiani delle nuvole, Milano, Baldini & Castoldi (1a ed. 1999).
Cassola, Carlo (1979), I vecchi compagni. Un matrimonio del dopoguerra, introduzione di G. Gramigna, Milano, Rizzoli (1a ed. Torino, Einaudi, 1953).
Celentano, Adriano, Le robe che ha detto Celentano, “Se sapevo non crescevo”, 1969: http://www.angolotesti.it/A/testi_canzoni_adriano_celentano_8/.
Collodi, Carlo (1965), Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, Firenze, Bemporad Marzocco (1a ed. Firenze, Paggi, 1883).
Cresti, Emanuela (a cura di) (2000), Corpus di italiano parlato, Firenze, Accademia della Crusca, 2 voll., vol. 2º (Campioni).
Fogazzaro, Antonio (1901), Piccolo mondo moderno, Milano, Hoepli.
Levi, Primo (1992), Se non ora, quando?, Torino, Einaudi (1a ed. 1982).
Maraini, Dacia (1996), L’età del malessere, Torino, Einaudi (1a ed. 1963).
Morante, Elsa (1995), L’isola di Arturo, Torino, Einaudi (1a ed. 1957).
Pavese, Cesare (2003), Il diavolo sulle colline, in Id., La bella estate. Tre romanzi, Milano, Mondadori (1a ed. Torino, Einaudi, 1949).
Saviano, Roberto (2006), Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra, Milano, Mondadori.
Tabucchi, Antonio (1997), Sostiene Pereira. Una testimonianza, Milano, Feltrinelli (1a ed. 1994).
Verga, Giovanni (2001), Mastro don Gesualdo, Milano, Mondadori (1a ed. 1890).
Bazzanella, Carla (1990), ‘Modal’ uses of the Italian ‘indicativo imperfetto’ in a pragmatic perspective, «Journal of pragmatics» 14, 3, pp. 439-457.
Bertinetto, Pier Marco (1986), Tempo, aspetto e azione nel verbo italiano. Il sistema dell’indicativo, Firenze, Accademia della Crusca.
Bertinetto, Pier Marco (1991), Il verbo, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi, G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 2º (I sintagmi verbale, aggettivale, avverbiale. La subordinazione), pp. 13-161.
Brambilla Ageno, Franca (1978), Verbo: indicativo. Sintassi, in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970-1978, 6 voll., vol. 6° (Appendice. Biografia, lingua e stile, opere), pp. 222-233.
Centineo, Giulia (1991), Tense switching in Italian: the alternation between ‘passato prossimo’ and ‘passato remoto’ in oral narratives, in Discourse-pragmatics and the verb. The evidence from romance, edited by S. Fleischman & L.R. Waugh, London - New York, Rout-ledge, pp. 55-69.
Mazzoleni, Marco (1992), ‘Se lo sapevo non ci venivo’: l’imperfetto indicativo ipotetico nell’italiano contemporaneo, in Linee di tendenza dell’italiano contemporaneo. Atti del XXV congresso internazionale di studi della Società di Linguistica Italiana (Lugano, 19-21 settembre 1991), a cura di B. Moretti, D. Petrini & S. Bianconi, Roma, Bulzoni, pp. 171-189.
Migliorini, Bruno (1960), Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni (1a ed. 1937).
Musatti, Tullia & Orsolini, Margherita (1993), Uses of past forms in the social pretend play of Italian children, «Journal of child language» 20, pp. 619-639.
Rohlfs, Gerhard (1969), Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 3º (Sintassi e formazione delle parole) (1a ed. Historische Grammatik der italienischen Sprache und ihrer Mundarten, Bern, A. Francke, 1949-1954, 3 voll., vol. 3º, Syntax und Wortbildung).
Vanelli, Laura (1991), La concordanza dei tempi, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi, G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 2° (I sintagmi verbali, aggettivali, avverbiali. La subordinazione), pp. 611-632.
Weinrich, Harald (1964), Tempus. Besprochene und erzählte Welt, Stuttgart, Kohlhammer.