Regni, imperi e principati barbarici
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Se nell’area mediterranea si attuano processi di avvicinamento, assimilazione e integrazione sia sociale che culturale, che interessano innanzitutto Germani e Slavi, andando a determinare anche la nascita di nuovi popoli, lontano da queste aree, in regioni lontane, altre civiltà danno luogo a entità statali e autonome: i Celti d’Irlanda, i Germani del Nord in Scandinavia, i Mauri in Africa. Nonstante la loro posizione marginale l’influenza di questi popoli si fa sentire fino in regioni molto lontane geograficamente e per cultura.
Tra V e IX secolo lo spazio mediterraneo viene attraversato da flussi di popolazioni di cultura diversa. Dopo una fase migratoria estesa anche per alcuni anni, questi gruppi tendono a fermarsi su un territorio. L’insediamento dei Germani in Occidente e degli Slavi nei Balcani offre impulso a complesse dinamiche di assimilazione con le popolazioni locali romanizzate. L’Europa di quei secoli appare come un enorme laboratorio di esperienze multiculturali e di processi di etnogenesi.
Il cristianesimo e la tradizione ellenistico-romana agiscono come formidabili strumenti di incontro tra culture. Dai Franchi ai Longobardi, ai Bulgari: l’esito storico di questo straordinario processo di integrazione sono le “nazioni” romano-barbariche, strutture che si trovano alle origini dell’identità europea. Mentre questi grandiosi eventi si realizzano all’interno del mondo mediterraneo, altre civiltà esterne a questo spazio si organizzano in entità politiche e culturali dotate di un loro autonomo assetto, come nel caso dell’Irlanda, della Scandinavia e delle coste dell’Africa settentrionale. Questi popoli, pur marginali, riescono comunque a esercitare la loro influenza culturale sulle grandi compagini del Mediterraneo: i regni romano-barbarici, l’impero romano d’Oriente, l’islam.
L’Irlanda e le regioni settentrionali della Gran Bretagna rimasero fuori dallo spazio romano. Sulle orme di Cesare, gli imperatori si limitarono alla conquista dell’Inghilterra centro-meridionale e di parti del Galles. Naturalmente sono testimoniati frequenti contatti tra le popolazioni locali e le province dell’Impero romano, sotto forma di un passaggio costante di uomini, merci, idee sotto il controllo vigile dell’esercito imperiale; tuttavia, il carattere celtico di queste popolazioni ai margini della frontiera si conserva integro, sviluppandosi in maniera originale.
Regni e principati celtici indipendenti sono attestati nel nord dell’Inghilterra e in Scozia per tutto l’alto Medioevo. Particolarmente importante, nonostante la scarsità di fonti, appare il regno dei Pitti, esteso a nord del fiume Forth fino al IX secolo. Anche in Irlanda la frammentazione politica caratterizza la vita delle popolazioni celtiche fino al Medioevo. Esiste, infatti, un tessuto di clan autonomi organizzati in due grandi federazioni politiche, quella degli Uí Néill, che governa sul regno di Tara, a nord dell’isola, e quella degli Eoganacht nel sud. L’identità celtica delle genti del Nord e d’Irlanda rappresenta uno dei fattori culturali più significativi nella storia dell’isole britanniche dopo la fine della Britannia romana. Nel 406, infatti, i Romani decidono di abbandonare le province britanniche. Inghilterra e Galles diventano territorio di conquista tanto per le popolazioni settentrionali come Scoti (Irlandesi) e Pitti, quanto per gruppi di Germani (Angli e Sassoni) che arrivano via mare per insediarsi nell’isola.
Tra le sfortunate vittime delle incursioni di pirati irlandesi v’è pure un giovane britanno, Patrizio, un cristiano. Condotto in Irlanda come schiavo, Patrizio inizia un’opera missionaria che porta velocemente alla cristianizzazione dell’isola. Nel VI secolo l’Irlanda diviene centro di un potente e prospero monachesimo che presto avvia un’attiva opera di missione al di fuori dell’isola.
I monaci irlandesi indirizzano dapprima la loro opera verso Pitti e Scoti, volgendo le loro imbarcazioni verso le inospitali terre del nord della Scozia. Nell’isola di Iona, al largo della Scozia occidentale, san Columba, ad esempio, fonda nel 563 un monastero destinato a diventare motore di cristianizzazione e centro di cultura per tutto il Nord Europa. Iona è parte di una ampia rete di fondazioni monastiche che legano i potenti monasteri d’Irlanda al resto d’Europa. E le direttrici di espansione si sviluppano rapidamente al passaggio tra VI e VII secolo. La costruzione di nuovi monasteri indica le tappe di questa formidabile penetrazione del monachesimo irlandese nell’Europa romano-barbarica: da Melrose e Lindisfarne (635) nel regno anglico di Northumbria; a Luxeuil nel regno franco e Bobbio (614) nel regno longobardo, fondati da san Colombano; a San Gallo in Svizzera.
Con i loro viaggi i monaci d’Irlanda diffondono per l’Europa un patrimonio culturale di straordinaria importanza. A partire dal V secolo, infatti, il cristianesimo si era propagato in Irlanda come strumento della cultura e del sapere del mondo romano. Attraverso l’evangelizzazione entrano, quindi, nell’isola la filosofia greca, il diritto romano, la letteratura e le conoscenze tecniche dell’impero.
Questi saperi interagiscono velocemente con l’identità celtica delle nuove popolazioni convertite. Ne deriva un’interpretazione originale e fertilissima del messaggio cristiano, che unisce il sapere mediterraneo (latino ed ellenistico) all’antichissima tradizione celtica. Quando i monaci iniziano i loro viaggi in Inghilterra e in Europa si ha uno straordinario sviluppo di questo processo, un fenomeno a metà tra l’epopea e il “miracolo” culturale: l’Irlanda, una terra mai romanizzata, diviene motore di diffusione di un’originale forma di cristianesimo e strumento di propagazione e conservazione della cultura latina all’interno della rete di monasteri (tuttora esistenti) fondati sul territorio europeo. Sulla strada per Roma, chierici irlandesi e anglosassoni predicano e insegnano, facendo sfoggio della loro cultura e della loro sapienza. Ma non solo: nel VII secolo gli Irlandesi iniziano l’opera di conversione di popolazioni germaniche ancora pagane che abitano oltre i confini della Germania romana. Questi monaci e i loro emuli anglossassoni (come Willibrord e Bonifacio) diventano gli eredi di Roma, diffondendo una religione che era frutto e, a partire da Teodosio simbolo, dell’impero romano. Il “miracolo” irlandese, infine, è alla base della rinascita culturale europea nell’età di Carlo Magno.
Nei secoli V-VIII la Scandinavia non subisce invasioni o grandi sconvolgimenti socio-culturali, ma l’isolamento non produce né povertà, né un basso livello culturale. A motivo della loro marginalità rispetto all’Impero romano prima e all’Europa romano-barbarica poi, queste popolazioni conservano per lunghi secoli un’identità culturale germanica, appartenendo a una sorta di koiné germanico-settentrionale ben evidente negli usi, nei costumi, nei culti religiosi.
E, d’altra parte, le fonti archeologiche a nostra disposizione indicano che tra il 400 e il 700 un significativo flusso di oro e altre ricchezze arriva dallo spazio mediterraneo in queste regioni, soprattutto nella Svezia meridionale e in Danimarca. Si può verificare una condizione di generale prosperità e crescita nella regione, dovuta a una ricca produzione agricola e a un buon sfruttamento delle risorse (come ad esempio il ferro). Un ruolo importante è affidato al commercio: i ritrovamenti del porto-emporio di Helgö indicano che v’erano estesi rapporti anche con regioni molto lontane dalla Scandinavia, e che le merci arrivavano via terra e via mare.
Le popolazioni di stirpe germanica che vivono in Danimarca, Svezia, Norvegia e nelle isole baltiche sono organizzate in principati a struttura tribale. La tribù più importante è quella degli Svear, stanziati nell’Uppland (Svezia orientale); a sud della Penisola scandinava abitano invece i Gotar. Un simile assetto caratterizza anche la Norvegia occidentale. I gruppi tribali appaiono dominati da aristocrazie guerriere, da principi e re che vivono in fortezze di pietra (come ad esempio Gråborg nell’isola di Öland). Le ricche sepolture del VII-VIII secolo della Svezia meridionale (Vendel e Valsgärde) attestano una grande fioritura dell’aristocrazia locale.
Si tratta di corredi funebri che documentano la formazione dei primi regni scandinavi, destinati a un sorprendente sviluppo interno e caratterizzati da grande apertura per i contatti con le terre al di là del Baltico, ma anche con i regni dell’Inghilterra anglosassone e con i Franchi. Queste nuove entità centralizzate, dotate di forte capacità militare e grande spirito d’iniziativa commerciale e guerriera, si sostituiscono alla frammentazione tribale del IV-V secolo. E dai regni scandinavi avrà inizio, a partire dalla fine dell’VIII secolo, la grande ondata espansionistica dei Normanni o Vichinghi (letteralmente: “coloro che vanno di baia in baia”, o più semplicente “pirati”), destinata a sconvolgere le coste dell’Europa e le regioni interne della Russia fino all’XI secolo.
Nell’Africa settentrionale i Romani riducono il regno di Mauretania in provincia intorno al 42, dividendo in due parti la regione: la Mauretania Cesariense (corrispondente a parte dell’attuale Algeria) e la Mauretania Tingitana (il Marocco). E tuttavia, soprattutto in Tingitana, il territorio desertico o montagnoso e la mancanza di un significativo tessuto urbano rendono il controllo romano dell’area molto precario e dipendente dalla capacità di trovare un compromesso con le popolazioni locali, i Mauri.
Dopo aver avuto ragione dei gruppi sedentari delle pianure, i Romani sono costretti ad alternare guerra a diplomazia nella convivenza con i Mauri stanziati sulle montagne.Queste genti erano divise in gruppi a struttura tribale, formati da abili cavalieri, e dediti per lo più alla pastorizia. Nella regione si ripropone, poi, una situazione politico-culturale comune a molte aree dello spazio mediterraneo: la contrapposizione tra abitanti delle fasce costiere e popolazioni dell’entroterra montagnoso. In Mauretania, come in altre regioni del Mediterraneo, le coste appaiono spesso caratterizzate dalla presenza di prosperi insediamenti urbani circondati da fertili campagne. Ma la pace di questi territori, che vivono di agricoltura e di commerci marittimi, è sovente messa in pericolo dall’aggressività delle popolazioni montane: genti seminomadi, dedite alla pastorizia e legate alla transumanza stagionale delle greggi. Questi popoli più selvaggi e privi di strutture urbane scendono spesso a valle per scambiare le proprie merci e, talora, per aggredire le campagne e le città.
Si tratta di dinamiche di convivenza sovente segnate da episodi di violenza e rapina.
Tutti i grandi stati mediterranei sono stati costretti a confrontarsi con la conflittualità tra costa e montagna. Dall’Impero romano all’islam, i Mauri rappresentano una minaccia per le popolazioni che si alternano nel controllo delle regioni costiere africane. In età tardoantica (fine III - V sec.) appare evidente che le autorità romane cedono ai capi mauri il controllo del territorio più interno. Questi leader locali, ai quali Roma affida il potere in cambio di pace e stabilità, diventano sovrani di regni romano-africani che si sviluppano tra VI e VII secolo nelle regioni a ridosso della costa mediterranea. Vi convivono Mauri e indigeni romanizzati, che si professano in parte cristiani e continuano a utilizzare un latino volgare. L’archeologia ha attestato anche la continuità di taluni centri urbani di età romana. Con tenacia questi principi mauri si oppongono ai Vandali e, dal 534, ai Bizantini della costa. Solo al volgere del VII secolo, con l’avvento degli Arabi nella regione, gli ultimi regni romano-africani cadono e i Mauri sono costretti a sottomettersi all’Islam.