ottomano, impero
Stato turco musulmano durato dal 1300 ca. al 1922. «Ottomano» deriva dal turco osmanlï «appartenente a Osman», dal nome di Osman I Ghazi, fondatore della dinastia ottomana e dello Stato. Nel suo momento di massima estensione comprese la Penisola Balcanica, Costantinopoli e due terzi del territorio dell’islam (restarono indipendenti dagli ottomani la Persia, l’Afghanistan, l’India settentrionale, il Turkestan e il Marocco). L’impero o. sottrasse per lungo tempo parte dell’Europa orientale e dell’Africa settentrionale all’influenza della civiltà europea.
Origine. L’impero o. è considerato come lo Stato successore e continuatore di quello turco-musulmano dei Selgiuchidi, che dominò in gran parte dell’Anatolia nei secc. 11°-13°. Illanguidita la potenza dei Selgiuchidi, acquistarono crescente autonomia gli staterelli turchi formatisi nelle diverse regioni dell’Asia Minore. Tra di essi vi era il principato che fu detto degli Osmanli, nella regione tra Angora e Bursa (Bitinia e Galazia), e che allargò i suoi confini a scapito degli altri Stati con esso confinanti. Nel 1299 il sultano selgiuchide ‛Ala ud-Din III avrebbe conferito a Osman il governo delle terre conquistate, inviandogli messi con una spada, un tamburo e una bandiera. La critica storica mette in dubbio queste tradizioni posteriori e persino il nome del fondatore della dinastia, ma è certo che alla fine del sec. 13° ai confini dell’impero bizantino in Bitinia s’era stabilito un forte nerbo di turchi musulmani in lotta con le milizie di frontiera greche (gli akrítai). L’espandersi delle conquiste di Osman e dei suoi successori si spiega con la debolezza della difesa bizantina e il malcontento della popolazione che non oppose molta resistenza agli invasori e facilmente ne accettò anche la religione. D’altra parte sarebbe errato credere che i turchi di Osman fossero rozzi soldati nomadi; essi avevano già ordinamenti sociali e civili.
Osman I estese i suoi domini giungendo a conquistare Bursa nel 1326, anno in cui morì. Suo figlio Orkhan, insieme con il fratello ‛Ala ud-Din, proseguì le conquiste, sconfisse a Philokrene un esercito bizantino comandato dall’imperatore Andronico III, prese Nicea (in turco Iznik) nel 1330 e Nicomedia (in turco Izmit). Con l’occupazione di questa città e della costa (dintorni di Qara Mursal, così chiamata dal nome di un guerriero turco), Orkhan aveva esteso il suo regno al Mar di Marmara; dalla capitale Bursa egli governava già un territorio abbastanza ampio, che più ancora si accrebbe con la conquista dell’emirato di Qarasi, sulla costa del Mar di Marmara. Verso il 1354 i soldati turchi di guarnigione in Tracia (Zympe) e nuove schiere affluite dall’Anatolia sotto il comando di Solimano, figlio di Orkhan, occuparono Gallipoli (Gelibolu) e tutta la penisola omonima. Questa prima stabile occupazione turca in terra europea segnò l’inizio di una conquista che fu eccezionalmente rapida e vasta. Il nuovo sultano, Murad I (1359-1389), dopo aver preso Pirgo (Lüleburgaz), Zurulo (Çorlu), Dimotica sulla via tra Costantinopoli e Adrianopoli, Rodosto (Tekirdağ) sul Mar di Marmara, occupò nel 1361 Adrianopoli (Edirne), poi Filippopoli (Filibe). Mentre si effettuavano queste conquiste nei Balcani, venivano occupate in Grecia occidentale Makri e Komotine sulla via di Salonicco. L’avanzata turca nella Penisola Balcanica non poteva essere fermata dai sovrani di Bisanzio, già chiusi nell’assedio che si concluse un secolo dopo. In successive conquiste i turchi ottomani presero, a detrimento dei bizantini, dei bulgari e dei serbi, la costa tracia del Mar Nero (1372-73), la Tracia occidentale (Drama e Sérrai occupate tra il 1373 e il 1374 da Evrenos Bey), Istib, Monastir, Prilep (occupate da Timurash Pascià), Kjustendil, Sofia (1382), Nicopoli, Silistria (conquistate da Yakhshi Bey e da ‛Ali Pascià nel 1388), così arrivando a nord al Danubio e a ovest alla Morava e al Vardar. Restavano in mano ai bizantini solo Costantinopoli, con uno stretto territorio, e Salonicco (temporaneamente occupata dai turchi nel 1387); Ainos (Enos) alla foce della Maritza era ancora presidiata dai Gattilusio di Lesbo. La conquista turca di quella vasta zona della Balcania si concluse con la battaglia di Kosovo (Kosovo Polje «il campo dei merli») il 15 giugno 1389. I turchi comandati da Murad I in persona ottennero la vittoria sui serbi guidati da Lazar Grebljanović; Murad cadde nella battaglia, Lazar fu preso e decapitato. Il nuovo sultano Bayazid I consolidò le conquiste in Macedonia, in Bulgaria e fino in Valacchia; affermò la sua influenza a ovest sui confinanti principati serbi, croati e albanesi. Venezia, che aveva già contatti con i turchi dell’Asia Minore, si trovò ad averli vicini al suo stesso territorio e al suo mare. Per difendere l’Adriatico si indusse a presidiare Durazzo e Alessio sulla costa e Croia nell’interno con il consenso dei principi locali; anche Valona era sotto la sua protezione. Nella Morea, Venezia si premunì contro l’estendersi delle conquiste turche presidiando, oltre Corone e Modone, che già possedeva, le fortezze di Argo e di Nauplia (Napoli di Romania). Costantinopoli dal 1391 era bloccata dai turchi, che erano intervenuti più volte anche nelle competizioni interne dei Paleologhi. Per liberare Costantinopoli e frenare l’espansione turca si formò una lega cristiana costituita specialmente di ungheresi sotto il re Sigismondo, valacchi comandati dal principe Mircea, nobili di Francia e di Germania, Cavalieri teutonici e giovanniti (di Rodi), che assediarono Nicopoli. Il sultano Bayazid si portò subito ad affrontarli in quella località con forti truppe e vassalli serbi e vinse la battaglia (28 settembre 1396) alla quale sarebbe forse seguita la conquista di Costantinopoli, se una diversione non fosse stata causata dall’attacco dei mongoli di Tamerlano. Dopo aver preso la Persia e la Siria, Tamerlano occupò infatti Sivas nel 1401, fece uccidere Ertoghrul, figlio di Bayazid, che la difendeva, vinse ad Angora nel 1402 lo stesso Bayazid e lo fece prigioniero, conquistò Smirne, devastò l’Anatolia e fece ritorno nell’Asia centrale.
Bayazid morì in prigionia all’inizio del 1403. I suoi figli non furono molestati dai mongoli, la cui dominazione cessò con la partenza di Tamerlano, ma si combatterono tra loro per un ventennio. Rimasto unico sovrano del ricostituito sultanato, Maometto I, che gli scrittori ottomani designano come secondo fondatore dell’impero, riprese Smirne dall’usurpatore Giuneid, estese le conquiste a sud e occupò Samsun e il territorio circostante sul Mar Nero. Nel contempo Venezia e gli Stati cristiani dell’Egeo avevano stretto una lega contro i turchi e il capitano veneto Pietro Loredano il 29 maggio 1416 distrusse a Gallipoli nei Dardanelli una flotta ottomana. Ciò non impedì a Maometto I e a Venezia di concludere lo stesso anno un accordo amichevole, il primo importante atto diplomatico tra Venezia e i turchi ottomani, mirante soprattutto a salvaguardare il traffico veneziano in Levante. Maometto I morì nel 1421 ad Adrianopoli; il figlio Murad II, appena ventenne confermò la dominazione turca in Anatolia, tornò in Europa e conquistò Salonicco (Tessalonica), difesa da veneziani e da greci (29 marzo 1430), e poi vinse a Varna nel 1444 le forze cristiane unite in lega per opera del pontefice Eugenio IV e composte di ungheresi, polacchi, valacchi e cavalieri di diverse nazioni, sotto il comando del re d’Ungheria e di Polonia, Ladislao, che restò ucciso nella battaglia. Un secondo esercito di ungheresi e alleati valacchi, tedeschi e boemi guidato dal principe János Hunyádi fu sconfitto nel 1448 nel Kosovo in Serbia.
Alla morte di Murad II (2 febbr. 1451) l’impero o. era completamente ricostituito e rafforzato con la presa di Salonicco, di parte dell’Albania e della Morea. Il successore Maometto II nell’aprile del 1453 pose l’assedio alla capitale bizantina difesa da greci, veneziani e genovesi, e la conquistò il 29 maggio. Poi conquistò anche Galata, colonia genovese. Altri possedimenti o Stati autonomi cristiani conservarono la loro autonomia pagando tributo: la Morea governata da due principi della famiglia dei Paleologhi, la Serbia, Chio, il ducato di Nasso nell’Egeo, l’impero greco di Trebisonda, la repubblica di Ragusa sull’Adriatico. La Serbia fu nuovamente invasa nel 1454 e occupata fino al Danubio. Belgrado, assediata nel 1456, fu liberata da János Hunyádi e da aiuti accorsi da ogni parte d’Europa. Nel 1453 la Bosnia e l’Erzegovina (Hersek dei turchi) furono unite all’impero ottomano. Anche la Grecia passò tutta in potere dei turchi con la conquista (1458-60) dei despotati tenuti da Demetrio e Tommaso, fratelli dell’ultimo imperatore di Bisanzio, e di Atene, il cui ultimo duca, Franco Acciaiuoli, fu strangolato per ordine del sultano (1456). Solo poche piazze forti della Morea meridionale (Corone, Modone, Monembasía) e Lepanto erano ancora in potere dei veneziani. L’isola di Lesbo (Mitilene) fu presa nel 1462; l’Eubea (Negroponte) fu strappata ai veneziani nel 1470; Rodi fu invano assediata per tre mesi (maggio-agosto 1480). Il sovrano greco di Trebisonda, Davide Comneno, capitolò nel 1461 e morì martirizzato coi figli in prigionia a Costantinopoli. La conquista turca del Mar Nero fu completata nel 1474-75 con la presa delle colonie genovesi della Crimea (Caffa, Matrega, Teodosia). Il khan tataro della Crimea diventò vassallo del sultano o. e fu suo valido sostegno nella politica verso l’Europa centrale e orientale. D’altra parte in Asia Maometto II liquidò le velleità d’indipendenza dei Qaraman di Qanya e di Uzun Hasan sovrano dei turcomanni Qara Qoyunlu, che minacciava le ultime conquiste turche nell’Anatolia di nord-est, Trebisonda soprattutto, e teneva relazioni con gli Stati cristiani d’Europa. In Europa il dominio turco andava dall’Egeo al Danubio e dal Mar Nero all’Adriatico. Si conservava indipendente l’Ungheria; la Transilvania, attaccata dai turchi, era vittoriosamente difesa da István Báthory; tuttavia la Valacchia e la Moldavia mantenevano ancora la loro autonomia solo pagando tributo ai turchi. L’Albania resistette per molti anni con l’aiuto di Venezia e per il valore di Skanderbeg, ma, morto questi nel 1468, diventò quasi per intero possedimento ottomano. I turchi erano padroni della Bosnia e si spingevano con audaci scorrerie fino al Friuli e nella pianura dell’Isonzo (1476-78). Padroni di Valona, dalle coste albanesi si gettarono sulla Puglia e tennero per un anno Otranto (ag. 1480-sett. 1481). Morto Maometto II, i successori Bayazid II, Selim I e Solimano I furono impegnati nel contrasto con i Mamelucchi d’Egitto a sud e con i persiani sciiti a est. A sud la potenza ottomana ottenne un nuovo ingrandimento in Siria, Arabia, Egitto e Africa settentrionale; a est conseguì vantaggi notevoli, ma non riuscì mai a spezzare la resistenza iranica e a trovare infine la via di un’espansione, che avrebbe significato l’assoggettamento di tutto il mondo musulmano orientale fino all’India. La resistenza persiana a est e il cerchio polacco-tedesco-veneziano a nord e a ovest, dopo la perdita dell’Ungheria, crearono l’equilibrio che durò fino al sec. 18° e fu poi rotto dalla pressione austro-russa e dalle sollevazioni interne. Le conquiste di Bayazid II (1481-1512) non furono molto estese; va segnalata però, per l’importanza strategica delle località, la presa di Lepanto (Naupatto, in turco Ainebakhti), Corone e Modone nel 1499 durante una guerra con Venezia, che si chiuse con la pace del 1503. Selim I (1512-21) conseguì una decisiva vittoria nel 1514 a Chaldiran (Anatolia orientale) su Isma‛il, scià di Persia, fondatore della dinastia sciita dei Safavidi, e compì la conquista della Siria e dell’Egitto (1516-17) e la distruzione della dinastia dei Mamelucchi. Con questo successo i turchi si sentirono sicuri a sud; anche l’Arabia era entrata nel raggio della loro influenza e Mecca e Medina riconoscevano l’autorità del loro sultano. Il figlio di Selim I, Solimano I (1520-66), libero di agire nelle altre direzioni, compì una serie di importanti conquiste: nel 1521 Belgrado, nel 1522 Rodi, nel 1526 Ofen (Buda, Budin dei turchi), dopo la vittoria di Mohács con la quasi totale occupazione dell’Ungheria, nel 1534 Tebriz in Persia, nel 1536 Baghdad e tutta la Mesopotamia, nel 1538-40 le isole veneziane dell’Egeo (eccetto Cipro) e le fortezze di Venezia nella Morea, Castelnuovo e Risano in Dalmazia, nel 1566 Chio. A queste conquiste vanno aggiunti gli importanti successi nell’Africa settentrionale, dove i corsari turchi e barbareschi loro alleati s’impadronirono dell’Algeria, di parte della Tunisia (Tunisi presa nel 1533 fu ripresa dagli spagnoli nel 1535) e di Tripoli (1551). Solo in due imprese le truppe di Solimano I dovettero capitolare: nella spedizione contro Vienna, guidata dallo stesso sultano nel 1529, e nell’assedio di Malta. Anche lo Yemen e tutto il Mar Rosso fino ad Aden passarono sotto la sovranità di Solimano. Nei rapporti con gli Stati cristiani il regno di Solimano realizzò l’«empia alleanza» con il re di Francia (dal 1525) e accentuò i contrasti con Venezia, la Spagna e l’impero asburgico. La forza marittima dei turchi, padroni del Mediterraneo orientale e delle coste settentrionali dell’Africa, crebbe allora, specialmente per merito di Khair al-Din Barbarossa fino a bilanciare le flotte riunite cristiane, che furono fronteggiate senza scontro decisivo a Prevesa nel 1538 e vinte a Gerba nel 1560. Nel 1543 e nel 1552-55 le navi turche comandate dal Barbarossa e poi da Sinan Pascià e Dorghut Pascià, con il consiglio e il concorso degli alleati francesi, devastarono le coste italiane del Tirreno da Reggio a Nizza, l’isola d’Elba e la Corsica.
Solimano morì nel 1566 durante la spedizione che valse ai turchi la conquista di Szigetvár in Ungheria. Sotto di lui l’impero o. aveva raggiunto il maggior grado di forza militare e di organizzazione amministrativa e finanziaria. L’esercito era formato di armati turchi, di prigionieri di guerra e mercenari, tanto a cavallo (musellem) quanto a piedi (yaya); la milizia appiedata era stata riorganizzata nella seconda metà del sec. 14° con il corpo dei yenicheri «giannizzeri». Si distinguevano tre categorie di armati: 1) truppe permanenti stipendiate, residenti a Costantinopoli in caserme, quando non fossero impegnate in campagne di guerra, o stanziate in fortezze all’interno e sui confini dell’impero; erano dette qapiqulu «schiavi della Porta», cioè «servi» del sultano. In questa categoria predominavano i giannizzeri; 2) truppe territoriali a cavallo dette sipahi, fornite dalle provincie mediante un ordinamento speciale: le terre dei non musulmani conquistate in Anatolia e in Europa erano considerate terre dello Stato e le imposte gravanti su di esse venivano per lo più assegnate a soldati, funzionari, gente della corte. Queste assegnazioni erano dette, con parola d’origine persiana, timar. I beneficiari dei timar erano obbligati, in caso di guerra e proporzionalmente alle rendite, a intervenire di persona con cavallo e armi e a fornire un certo numero di uomini armati a cavallo, i quali si riunivano affluendo là dove la Porta li chiamava; 3) truppe degli Stati vassalli, specialmente tatari della Crimea, cristiani della Transilvania e dei principati danubiani. Le entrate dello Stato erano costituite dai seguenti cespiti: prede di guerre (ghana’im); la jizyah, che era un’imposta personale pagata dai sudditi non musulmani; l’imposta fondiaria proporzionale detta ‛ushur («decima») sui prodotti delle terre; l’imposta fondiaria fissa (cift resmi); imposte sul bestiame, sui molini ecc.; diritti doganali, appalti, tasse di consumo, tributi di Stati vassalli e tributari ecc. Il modo di divisione e di percezione delle imposte variò con i tempi e i luoghi e fu regolato successivamente con qanun dei sultani. Occorre tenere presente che fino agli inizi del sec. 19° le imposte gravanti sulle terre demaniali in gran parte dell’impero, specie nella Turchia europea, non erano versate direttamente allo Stato ma erano riservate, come beneficio, ai possessori dei timar, come s’è detto sopra. La jizyah (kharaj) dei non musulmani fu abolita nel 1855 e ristabilita sotto forma di imposta per l’esonero dal servizio militare e poi nuovamente soppressa nel 1909. Una considerevole fonte di entrate era quella delle fondazioni musulmane, waqf, il cui reddito serviva agli edifici del culto, a opere di utilità pubblica e alle scuole religiose (medrese). I primi segni di crisi dell’impero o. cominciarono a comparire al tempo dei successori di Solimano il Magnifico (Selim II, Murad II, Maometto III) e si possono individuare nel progressivo allontanamento dei sultani dalla vita politica e militare, negli sprechi e nel disordine finanziario, nell’indisciplina delle truppe e nella progressiva inadeguatezza dell’organizzazione dell’esercito, sempre meno manovriero e difficile da spostare. I sultani si affidarono sempre più ai vizir (ministri) e soprattutto ai Gran visir (primi ministri), i quali all’inizio dimostrarono buone capacità realizzative, ma col tempo si dimostrarono sempre meno capaci di fronteggiare lo scollamento dell’apparato istituzionale e amministrativo dell’impero. Furono tuttavia fattori di crisi che operarono abbastanza lentamente nel tempo, con arresti e inversioni di tendenza anche molto importanti; come d’altro canto fu lenta e discontinua la crisi economica derivante dallo spostamento del baricentro dell’economia europea dal Mediterraneo verso l’Atlantico. Nel 1571 quindi i turchi subirono la sconfitta navale di Lepanto, ma conquistarono nello stesso anno Cipro, presero Tunisi nel 1574 e consolidarono il possesso dello Yemen (conquista di San‛a’ e di Aden nel 1569). Soqollu Mehmed Pascià giunse a progettare lo scavo di un canale tra il Don e il Volga in modo da facilitare il trasporto di truppe dal Mar Nero al Caspio, dominare la regione turco-tatara del Volga e avere aperta verso l’Asia centrale la via bloccata dai persiani sull’altipiano iranico. Dopo questo Gran visir, pugnalato nel 1579 da un fanatico, i sultani ebbero ancora buoni ministri, come l’albanese Ferhad Pascià, che si distinse nella guerra in Persia, e Sinan Pascià (m. 1595), anch’esso albanese, già capitan pascià della flotta e conquistatore di Tunisi nel 1574. Ma mentre le relazioni dei turchi con Venezia, dopo la caduta di Cipro, si mantennero abbastanza pacifiche per lungo tempo, continue furono le ragioni di contrasto con l’imperatore d’Austria per l’instabilità dei confini tra l’Ungheria occupata dai turchi e il territorio tedesco-magiaro dell’imperatore e gli intrighi in Transilvania (Erdel in turco). L’Ungheria era stata occupata al tempo di Solimano il Magnifico e il governo di essa era stato conferito a János Zápolya, principe magiaro della Transilvania, vassallo del sultano. Morto Zápolya, ottomani e imperiali si disputarono la sovranità sull’Ungheria in continue guerre tra il 1543 e il 1545, il 1552 e il 1564, il 1565 e il 1568. Massimiliano II d’Austria nel 1568 riconobbe la sovranità turca sull’Ungheria, la Transilvania, la Valacchia e la Moldavia, ma nel 1591 la guerra riprese con successi e sconfitte da ambo le parti. Minacciati poi dai persiani a est, conclusero con gli imperiali la Pace di Zsitvatorok (novembre 1606). In base a questo trattato, importante perché rialzò il prestigio degli Stati cristiani, i turchi per la prima volta riconobbero all’imperatore d’Austria il titolo di Cesare Romano (invece di «re di Vienna»). Insorsero poi contrasti con la Polonia dopo che gli ottomani ebbero sottomesso la Moldavia e il khanato di Crimea; l’intervento polacco negli affari della Moldavia (Boghdan in turco) causò nel 1612 l’apertura di ostilità, che si chiusero nel 1621 con la Pace di Hotin. In Asia la situazione dei territori ottomani non era tranquilla; bande di briganti devastavano l’Anatolia; Baghdad era occupata dai persiani (1623). Il sultano Murad IV (1623-40) con fermezza e ferocia restaurò la disciplina nelle truppe, condusse di persona spedizioni contro la Persia, occupò Tabriz (1635) e Baghdad (1639) e fece strage degli sciiti. In Siria e in Palestina l’emiro druso Fakhr al-Din e i suoi figli furono sconfitti e giustiziati. In Occidente la situazione fu consolidata a favore dei turchi che divennero padroni delle coste dall’Albania al Levante e ad Algeri e di tutte le isole all’infuori di Creta. Una spedizione o. assalì nel 1645 l’isola di Creta, ma la piazzaforte di Candia s’arrese soltanto nel 1669. La durata straordinaria di questa guerra turco-veneta dipese dall’indebolimento dell’organismo militare e politico dell’impero o. e dalla resistenza opposta da Venezia, in particolare dal predominio che essa ebbe in mare per alcuni anni, bloccando i Dardanelli in operazioni navali come quella del 26 giugno 1656.
Il maggiore avversario dei turchi nella seconda metà del sec. 17° fu l’impero d’Austria che entrò in guerra con essi nel 1663 sia per sostenere Venezia impegnata nella guerra di Candia sia per estendere la propria influenza nei territori ungheresi. Il Gran visir Ahmed Köprülü riportò un notevole successo conquistando Ujvár, nell’Ungheria settentrionale, il 24 settembre 1663; ma l’anno seguente fu sconfitto a San Gottardo (1° agosto 1664), sul fiume Raab, ai confini tra la Stiria e l’Ungheria, nella più grande battaglia combattutasi in campo aperto fra turchi e cristiani dopo quelle svoltesi nella Penisola Balcanica nel sec. 14°; comandava le forze imperiali l’italiano Montecuccoli. Subito dopo (10 agosto 1664) i turchi accettarono la Pace di Vasvár, che non costò gravi perdite e confermò loro il possesso di Ujvár, ma segnò il punto di non ritorno della decadenza ottomana. La protezione accordata dai turchi ai cosacchi dell’Ucraina portò a nuove guerre turco-polacche. Con l’accordo detto di Z̊órawna (1676) la Polonia si rassegnò a cedere ai turchi la Podolia e a riconoscere il loro protettorato sull’Ucraina, ma incominciò allora l’ingerenza di Mosca negli affari turchi con l’estensione della sua influenza nel territorio dei cosacchi. Il Gran visir Qara Mustafà condusse una spedizione nell’Ucraina, occupò Čihirin (1678) e concluse con i russi la Pace di Radzin. Una nuova lunga guerra con l’Austria fu suscitata dagli attacchi dell’ungherese Emerico Tököly sostenuto dall’impero o., proclamato «re d’Ungheria» e animato dalla volontà di conquista dei territori ungheresi soggetti all’Austria. Influì sugli avvenimenti anche l’azione diplomatica della Francia, che aveva interesse a impegnare gli austriaci contro i turchi. La guerra cominciò nel 1682-83. Il Gran visir Qara Mustafà portò i suoi soldati e gli ausiliari ungheresi e tartari contro Vienna, che assediò dal 13 luglio al 12 settembre del 1683 e che dovette abbandonare, in fuga dalle truppe imperiali e polacche riunite sotto gli ordini del granduca Carlo di Lorena e di Giovanni Sobieski. Il Gran visir pagò con la vita l’onta della sconfitta. Anche i veneziani entrarono nella lotta assistiti in mare dalle squadre di Malta e del papa e presero Santa Maura, Prevesa, Lepanto, Patrasso, tutto il Peloponneso e Atene (1687). Gli imperiali rioccuparono Ujvár nel 1685, Buda nel 1686, Eger nel 1687 e invasero la Transilvania, mentre Tököly fuggiva a Costantinopoli. Un nuovo Gran visir, Fazil Mustafà Pascià, figlio di Mehmed Köprülü, cercò di riorganizzare le forze turche e di contrastare l’avanzata degli austriaci e dei polacchi, che entravano nell’Ungheria centrale, nel Banato, nella Transilvania, nella Valacchia e nella Podolia; cadde egli stesso combattendo a Szlánkemen in Ungheria (1691). Il comandante generale delle forze austriache, il principe Eugenio di Savoia, batté decisamente gli ottomani a Zenta l’11 settembre 1697; i veneziani condotti da Francesco Morosini proseguirono la campagna per terra e per mare (il Morosini, detto il Peloponnesiaco, moriva a Nauplia nel 1694), occuparono nel 1694 Chio con l’aiuto dei Cavalieri di Malta e di Santo Stefano e la tennero fino al 1695. La lunga guerra si chiuse con la Pace di Carlowitz con la quale l’imperatore d’Austria ottenne tutta l’Ungheria e la Transilvania, tranne Temesvár (Timişoara); Venezia ebbe la Morea, Santa Maura e alcune località della Dalmazia, la Polonia riebbe la Podolia, e la Russia, entrata ultima nel conflitto, conquistò Azov sul Mar Nero.
Dopo queste sfortune, sotto i sultani Mustafà II e Ahmed III, i Gran visir Husain Köprülü Pascià (1699-1702), Mustafà Daltaban e altri cercarono di sviluppare piani politici per ricuperare le province perdute. Nel 1709 il sovrano di Svezia, Carlo XII, in guerra con i russi, battuto a Poltava, riparò in territorio ottomano, a Bender sul Dnestr, con pochi suoi cavalieri; questa situazione portò a un conflitto russo-turco che si protrasse fino al 1714. Carlo XII ritornò in patria attraverso l’Ungheria. Lo spirito di rivincita degli ottomani ebbe una qualche soddisfazione con la riconquista del Peloponneso (1714-15) voluta e diretta dal Gran visir ‛Ali Pascià sotto il sultano Ahmed III. Venezia, rimasta sola, non poté impedirne l’avanzata, che toccò anche Santa Maura e Cerigo; ma poi le forze imperiali, comandate ancora da Eugenio di Savoia, sconfissero i turchi a Petrovaradino (1716) e occuparono Belgrado (1717). Con la Pace di Passarowitz (Požarevac, 1718) l’Austria ottenne un tratto della Serbia settentrionale e facilitazioni commerciali; Venezia dovette rassegnarsi alla perdita del Peloponneso. La Persia, che da un secolo non costituiva più un pericolo per l’impero o., diventò minacciosa quando vi si costituì il potente, ma effimero, regno di Nadir Scià che invase le province orientali dell’Anatolia e la Mesopotamia. I rapporti con la Persia furono definiti nel 1736 e nel 1746 con il ritorno allo status quo. Una nuova guerra contro gli austriaci ebbe il suo epilogo nella Pace di Belgrado (1739), che doveva durare 27 anni. La Russia, contemporaneamente all’Austria, aveva attaccato l’impero o. nel 1736, ma non aveva conseguito risultati apprezzabili; s’era anzi obbligata, con la tregua del 1746, a smantellare la fortezza di Azov, il cui armamento preoccupava la Sublime Porta e minacciava la sua sovranità fino allora incontrastata sul Mar Nero. Nel 1768 tuttavia, sotto Caterina II, riprese le ostilità con forze e mezzi maggiori, battendo i turchi in Moldavia, in Crimea e nello stesso Mediterraneo, con navi che avevano compiuto il lungo giro dal Baltico per Gibilterra. Nel 1774 a Küčük Qainarge, piccolo villaggio presso Silistria, i turchi dovettero sottostare a condizioni assai gravi: riconoscimento dell’indipendenza della Crimea, diritto dei russi di fortificare Azov e Kerč′, protezione russa sulla popolazione greco-ortodossa dell’impero, libertà di commercio nel Mar Nero. Furono queste clausole, più che i sacrifici territoriali, a infirmare il prestigio turco. Esse ebbero notevoli conseguenze immediate con il risveglio nazionale delle popolazioni romene e greche. Per la prima volta marinai greci avevano combattuto contro i turchi su navi russe; Mosca diventava l’ispiratrice del movimento di rivolta dei cristiani sottomessi al sultano.
Il riconoscimento turco dell’indipendenza della Crimea era fittizio, poiché il sultano s’era riservata, nella sua pretesa qualità di califfo, l’autorità «spirituale» su quelle popolazioni musulmane; cosa inammissibile, se si considera che non esiste nell’islam un’autorità spirituale del califfo e che il riconoscimento suddetto significava in realtà il mantenimento della Crimea sotto il vassallaggio ottomano, tanto più che la nomina dei giudici musulmani e dei mufti era lasciata al sultano-califfo. La pericolosa clausola fu confermata nel successivo Trattato di Aynali-Qawaq (Costantinopoli) nel 1779, ma cessò di aver valore nel 1783, quando Caterina II proclamò l’annessione della Crimea che fu contestata ancora dai turchi e causò una nuova guerra, ma venne riconosciuta con il Trattato di Iaşi del 1792. Gli avvenimenti francesi distrassero poi altrove gli sguardi dell’Austria e della Russia, che già parevano intendersi per una divisione delle spoglie ottomane. Anche la Turchia sentì le ripercussioni delle guerre napoleoniche e fu anzi colpita direttamente con l’occupazione dell’Egitto (1798-99), che la indusse a cercare l’alleanza degli inglesi, degli Imperiali e dei russi. Da questo momento data anche l’intervento europeo per la conservazione dell’integrità dell’impero o. contro le aspirazioni di conquista di terzi; così gli inglesi si assunsero nel 1799-1801, d’accordo con i turchi, il compito di mandare via i francesi dall’Egitto. Era allora sultano di Turchia Selim III, uomo di considerevole capacità politica, impegnato a rimettere ordine nello Stato, soprattutto nelle milizie, che aveva istituito a questo scopo il nizam-i jedid «nuovo ordinamento (militare)» inteso a riformare l’esercito con metodi nuovi. Il suo tentativo non riuscì; i giannizzeri toccati nei loro privilegi si sollevarono e lo deposero (29 maggio 1807). Eppure mai come allora l’impero o. avrebbe avuto bisogno di un sovrano illuminato e riformatore che, stabilendo l’ordine al centro dello Stato, lo salvasse dal dissolvimento già in atto. Specialmente alla periferia si erano manifestati movimenti rivoluzionari e autonomistici. Nell’Africa settentrionale, Tunisi dal 1705 e Tripoli dal 1711 avevano bey e pascià ereditari, sudditi molto lontani della Porta; in Egitto Muhammad ‛Ali, originario di Kavala in Macedonia, andatovi con truppe turche a combattere gli invasori francesi, si preparava a istituire un proprio governo; l’Arabia era solo in minima parte realmente soggetta al sultano; in Palestina ‛Omar Dahir s’era impadronito della Galilea e di Acri tenendole dal 1749 al 1775 contro i pascià turchi di Tripoli e di Damasco; nell’interno dell’Anatolia, come nella Macedonia, briganti e facinorosi opprimevano le popolazioni; in Albania Mahmud Bushatli di Scutari e ‛Ali Tepedelenli fondavano signorie indipendenti e ribelli; sul Danubio Paswan-Oghlu di Vidin governava e spadroneggiava a suo talento. Selim III fu ucciso nel palazzo durante una controrivoluzione che mirava a liberarlo; il nuovo sultano Mahmud II seguì il suo programma di riforme e ne attuò coraggiosamente alcune in mezzo a nuovi pericoli e a nuove difficoltà. La Russia nel 1805 invase nuovamente i principati danubiani (Valacchia e Moldavia), finché la guerra con Napoleone non la indusse a firmare la Pace di Bucarest (maggio 1812, cessione della Bessarabia alla Russia). Ma più grave era il pericolo di rivolte fra le popolazioni che desideravano sottrarsi al giogo ottomano. I serbi cominciarono a sollevarsi nel 1803; un Karadjordjević guidò gli insorti nel suo Paese durante l’ultima guerra turco-russa; Miloš Obrenović nel 1815 riprese la guerriglia, resistendo agli eserciti inviati dalla Porta. Gli interventi europei, particolarmente la propaganda russa in nome dell’ortodossia e il diffondersi delle idee nuove di libertà che accompagnò la Rivoluzione francese, risvegliarono i sentimenti nazionali nella Penisola Balcanica. Il movimento dei serbi fu coronato da successo grazie all’appoggio russo (Convenzione di Aq Kerman, in Bessarabia, nel 1826, e Trattato di Adrianopoli, 14 settembre 1829). La Porta riconobbe nel 1830 l’autonomia del principato di Serbia sotto il governo di Miloš Obrenović. Nel contempo i greci, sollevatisi nel 1821, cacciavano i turchi dalla Morea, dalla Grecia continentale e dalle isole. Ridotti a mal partito dalle truppe turche ed egiziane, furono salvati dall’intervento delle squadre navali della Russia, dell’Inghilterra e della Francia, che sconfissero la flotta egiziana a Navarino (1827), e dalle truppe russe che avanzarono fino in Tracia. Nelle convenzioni di Londra del 1829-30 ottenevano il riconoscimento dell’indipendenza del loro Stato, che diventò regno nel 1832 con Ottone di Baviera. Anche l’isola di Samo otteneva l’autonomia, pur restando vassalla e tributaria della Porta.
Il sultano Mahmud, sotto il quale si susseguirono questi avvenimenti, aveva dato una prova di singolare energia distruggendo nel 1826 i giannizzeri e dando inizio alla riforma dell’esercito, l’istruzione del quale affidò a ufficiali europei. Ma l’impero o. non poté più riavere la libertà d’azione di un tempo. L’intervento europeo non fu limitato agli affari della Grecia; esso si ripeté in occasione del conflitto tra la Porta e Mohammed ‛Ali Pascià d’Egitto. Quando Ibrahim Pascià, figlio di Mohammed ‛Ali, invase la Palestina e la Siria e penetrò nell’Asia Minore (1831-33), la Russia offrì il suo aiuto alla Porta e concluse con essa un trattato di alleanza (Hünkar Iskelesi, 1833); tra l’altro la Porta s’impegnò, a favore della Russia, a chiudere i Dardanelli alle navi da guerra straniere. Riaccesasi la guerra turco-egiziana e battuti i turchi a Nizib, presso Aleppo, nel 1839, le potenze europee intervennero per salvare l’impero o. e fecero valere la loro autorità per la definizione del dissidio, che terminò con il riconoscimento dell’autonomia dell’Egitto, vassallo della Porta, sotto il governo di Muhammad ‛Ali e dei suoi discendenti (Convenzione di Londra del 1840 e firmani del sultano in data 13 febbraio e 10 giugno 1841). Le sorti dell’impero o. da quel momento furono legate agli interessi e alle rivalità degli Sati d’Europa. La cd. questione d’Oriente, le cui origini possono essere fatte risalire molto lontano nei secoli, diventa dal 1840 in poi la questione del destino dell’impero ottomano.
L’ultima fase della storia dell’impero o. fu caratterizzata dal tentativo di modernizzare lo stato e dall’intervento delle potenze per l’applicazione delle riforme. I sudditi non musulmani erano considerati come dhimmi, liberi di regolarsi in materia di statuto personale e negli affari religiosi secondo i canoni e le consuetudini delle loro comunità, ma posti in condizione giuridica inferiore rispetto ai musulmani, obbligati a pagare una speciale imposta, a vestire in determinate fogge e con determinati colori; erano poi esclusi dalla maggioranza delle cariche e dal servizio militare. Gli stranieri europei viventi nel territorio ottomano godevano dei diritti contemplati nelle capitolazioni (➔ capitolazioni, regime di), cioè trattati di pace o piuttosto di tregua con gli Stati cristiani, contenenti garanzie atte a rendere possibile il soggiorno di infedeli in territorio musulmano ponendoli sotto la giurisdizione dei rispettivi consoli e sottraendoli quindi alla giustizia ottomana. Questo ordinamento giuridico restò immutato sino ai primi decenni del sec. 19°, cioè fino a che lo Stato ottomano fu tanto forte da imporsi al mondo esterno e ai suoi sudditi, o, comunque, poté vivere una propria vita autonoma; ma dovette necessariamente modificarsi quando le relazioni con l’Europa cristiana furono tenute da una posizione di inferiorità. Da ciò ebbe origine il movimento delle riforme. Il 3 novembre 1839 fu promulgato il khatt-i sherif o rescritto sultaniale, che annunziava importanti innovazioni per garantire a tutti i sudditi la sicurezza della vita e dei beni senza distinzione di religione (implicito riconoscimento dell’eguaglianza fra musulmani e non musulmani), assicurare la giusta distribuzione e abolire il sistema d’appalto (iltizam) delle imposte, regolare la coscrizione e ridurre il servizio militare. Questo programma, la cui enunciazione era però accompagnata dalla prudenziale riserva che le leggi da emanare erano dirette solo a elevare «la religione (musulmana) e lo Stato», ebbe un principio di esecuzione tra il 1839 e il 1856. Fu abolito il sistema di appalto delle imposte, si introdussero riforme nella procedura civile e penale su modello francese, si istituirono tribunali di commercio e tribunali misti (dal 1847) per giudicare cause tra stranieri e sudditi ottomani, fu soppresso il mercato degli schiavi neri a Costantinopoli; nel 1854 per la prima volta fu ammessa (ma solo in cause penali) la testimonianza di un non musulmano. La difficoltà enorme dell’applicazione delle riforme consisteva nel contrasto fra le istituzioni musulmane, che erano alla base della società e dello Stato, e il riconosciuto bisogno di equiparare giuridicamente i cristiani e gli ebrei ai musulmani e di stabilire su nuove basi le relazioni con il mondo esterno non musulmano (fino a pochi decenni prima considerato dar ul-harb, «territorio di nemici da combattere»). I trattati di commercio, che cominciarono a essere conclusi dal 1838 con la Francia e l’Inghilterra, furono uno sviluppo delle capitolazioni; lo ius gentium di ispirazione sciaraitica cominciò da allora a non aver più ragione d’essere e diventò caduco nel 1856 con l’entrata della Turchia nel concerto delle nazioni europee (guerra di Crimea e Congresso di Parigi). Nel 1849 la Porta cominciò a tenere propri rappresentanti diplomatici fissi presso gli Stati europei; fino ad allora usava mandare messi e ambasciatori in caso di bisogno per trattative, annunzi di vittoria, ricambi di doni. I principi delle riforme furono ribaditi e meglio enunciati nel rescritto imperiale (khatt-i humayun) del 18 febbraio 1856, che fu il presupposto dell’ammissione della Turchia al Congresso europeo di Parigi; con quel rescritto si garantiva ancora la sicurezza della vita e dei beni di tutti i sudditi «di qualunque religione o rito», si promettevano riforme giudiziarie e fiscali, s’insisteva nell’assicurare il libero esercizio di tutti i culti, nel vietare per l’avvenire qualsiasi espressione ufficiale che suonasse offesa ai sudditi non musulmani, si disponeva che «nessuno potesse essere costretto a cambiare di religione o di rito» e che tutti i sudditi indistintamente fossero ammessi negli impieghi pubblici e nelle scuole. I rappresentanti delle potenze radunati a Parigi nel 1856 presero atto (art. 9 del Trattato di Parigi) di queste disposizioni, aggiungendo che esse non davano loro il diritto d’intervenire negli affari interni dello Stato ottomano. In realtà, come i turchi temevano, da allora in poi le potenze d’Europa s’immischiarono nella questione dei rapporti dell’impero o. con i suoi sudditi; tale intervento dominò le vicende dell’impero fino al suo completo disfacimento. Nel secondo periodo delle riforme, che va dal 1856 al 1876, furono compiuti notevoli progressi con la legge sui vilayet e l’organizzazione di tribunali civili e penali (dal 1864 in poi) detti nizamiyyeh (cioè regolati da ordinamenti laici, nizam), aventi carattere collegiale (cosa nuova nell’islamismo) e distinti dai tribunali sciaraitici, che continuarono a giudicare in materia civile per lo statuto personale dei musulmani e in materia penale per domande di taglione e simili. La magistratura sciaraitica considerava la giustizia nizamiyyeh come innovazione eretica da subire e possibilmente da ostacolare.In realtà la legge religiosa musulmana subì una restrizione giurisdizionale solo in materia penale e nei metodi procedurali; il codice penale fu via via modificato su modelli europei; il diritto di famiglia, di successione, di beni waqf (fondazioni musulmane il cui reddito serviva agli edifici del culto, a opere di utilità pubblica e alle scuole religiose) rimase conforme alle norme della shari‛ah; la mejelleh, impropriamente chiamata codice civile ottomano, pubblicata tra il 1870 e il 1876, si riduceva a un’esposizione, ordinata per articoli, del diritto musulmano hanafita per quello che concerneva le obbligazioni, parte dei diritti reali e la procedura.
Con il Trattato di Balta-Liman (1° maggio 1849) i russi avevano fatto riconoscere dal sultano il diritto d’intervento nei principati della Moldavia e della Valacchia, che diventarono quasi un condominio turco-russo; la pretesa russa di assumere la protezione dei sudditi di rito greco-ortodosso nell’impero (questione dei Luoghi Santi) portò alla guerra di Crimea, in cui la Turchia fu sostenuta dall’Inghilterra, dalla Francia e dal Piemonte e, benché non attivamente, dall’Austria. Nel Congresso di Parigi (30 marzo 1856) la Turchia fu ammessa «a partecipare ai vantaggi del diritto pubblico e del concerto europeo», previa emanazione del khatt-i humayun del 1856 di cui si è detto in precedenza; il confine con la Bessarabia fu modificato a favore della Moldavia; l’autonomia dei principati della Moldavia e della Valacchia e l’indipendenza della Serbia furono poste sotto la garanzia delle potenze e sottratte all’esclusiva protezione della Russia. Con altro atto fu confermato il principio della neutralizzazione del Mar Nero e quello della chiusura degli Stretti alle navi da guerra di tutte le potenze, già fissato nella Convenzione di Londra del 1841. Inoltre, con atto del 15 aprile 1856, l’Austria, la Francia e l’Inghilterra s’accordarono per garantire l’integrità e l’indipendenza dell’impero ottomano.
Gli anni che seguirono alla guerra di Crimea furono contrassegnati dallo sforzo crescente di migliorare l’efficienza militare dell’impero; la flotta fu ricostruita con armamenti moderni, l’esercito fu istruito con sistemi europei. Cominciò allora anche un risveglio intellettuale e politico; un gruppo esiguo di patrioti si raccolse nell’associazione Yeni ‛Osmanlilar («i nuovi Ottomani») formulando un programma di riforma costituzionale che portasse il popolo a partecipare al governo della cosa pubblica. Nel 1876 il Partito liberale, deposto ‛Abd ul-‛Aziz e costretto ad abdicare anche il successore, il debole e incapace Murad V, ottenne dal sultano ‛Abd ul-Hamid II la concessione della Costituzione (23 dicembre 1876). Il 17 marzo 1877 si riunì il primo Parlamento ottomano. A questi avvenimenti interni non fu estraneo l’atteggiamento delle potenze e soprattutto della Russia, che, nel 1871, approfittando della guerra franco-turca e del turbato equilibrio europeo, aveva annullato per suo conto le clausole del Trattato di Parigi (1856) relative al divieto di tenere forze marittime nel Mar Nero, e proseguiva la propaganda a favore dell’ortodossia e dello slavismo nei territori danubiani e balcanici. Sollevatisi i romeni e i bulgari, l’esercito russo penetrò nel 1877 in territorio ottomano, giunse alle porte di Costantinopoli e impose l’armistizio detto di Santo Stefano. Radunatesi le potenze a Berlino nel 1878, fu convenuto di riconoscere l’indipendenza del Montenegro (Qaradagh dei turchi), della Serbia e della Romania e di costituire un principato di Bulgaria e una provincia autonoma della Rumelia orientale (Bulgaria meridionale) sotto la sovranità della Porta. Nel 1885 i bulgari della Rumelia si sollevarono e proclamarono l’unione con la Bulgaria settentrionale, formando il regno di Bulgaria. Alla Grecia fu garantita una rettifica di frontiera, che portò alla cessione della Tessaglia (1881). L’Austria-Ungheria ottenne di occupare la Bosnia-Erzegovina (annessa nel 1908); l’Inghilterra riuscì a occupare l’isola di Cipro. La questione degli Stretti fu liquidata con il mantenimento delle clausole relative alla loro chiusura alle navi da guerra, con facoltà del sultano di lasciare passare in tempo di pace navi di potenze amiche e alleate; la Russia fu libera di tenere navi e arsenali nel Mar Nero. L’impero o. s’impegnò inoltre ad accordare regolamenti speciali alle province europee abitate da cristiani. Pochi anni dopo la Tunisia dalla Francia (1881) e l’Egitto dall’Inghilterra (1882) furono poste sotto protettorato. L’impero o. mantenne in Africa il solo possesso di Tripolitania e Cirenaica (Tarabulus-i Gharb) dove la Porta aveva ristabilito la sua sovranità diretta nel 1835. Dopo il 1878 il punto critico divenne la questione della Macedonia e delle riforme promesse nel Congresso di Berlino. In seguito a tentativi rivoluzionari e all’intervento della Russia e dell’Austria il sultano nel dicembre 1902 stabilì per la Macedonia un piano di riforme, che fu successivamente modificato per imposizione delle due potenze, ma la Macedonia continuava a essere inquieta, devastata dagli irregolari turchi e dalle bande cristiane. Anche l’Albania si agitava. Il Libano aveva dal 1860 un regime speciale con un governatore cristiano. L’isola di Creta chiedeva l’annessione alla Grecia; l’appoggio dato da Atene ai cretesi provocò la guerra turco-greca del 1897 e la Grecia dovette consentire a una lieve rettifica di confine in Tessaglia e alla nomina del principe Giorgio di Grecia ad Alto commissario in Creta, che restò nominalmente dipendente dal sultano.
Un nuovo spirito di libertà, insieme con il desiderio di salvare l’unità dell’impero, era maturato intanto nella classe più evoluta, particolarmente negli ufficiali. Salonicco era il centro di una cospirazione, che aveva guadagnato gran parte dell’esercito, animata dall’associazione Unione e progresso (Ittihad ve Taraqqi), la quale aveva stretti legami con la massoneria europea, soprattutto francese. Il sultano ‛Abd ul-Hamid II aveva lasciato decadere tacitamente la Costituzione del 1876 e governava coi metodi del più rigido assolutismo. Egli era sostenuto dall’elemento conservatore e cercava di dare una base di sicurezza al vacillante impero con la politica del panislamismo, che avrebbe dovuto raccogliere attorno al sultano-califfo le forze di tutti i musulmani suoi sudditi e l’appoggio materiale e morale dei musulmani di tutto il mondo. Ma nel luglio del 1908 fu costretto da un pronunciamento delle truppe della Turchia europea a promulgare ancora la Costituzione e il 27 aprile 1909 fu deposto in seguito a un tentativo reazionario fomentato dal suo seguito. Il nuovo governo, impropriamente detto in Europa dei Giovani turchi, non valse a evitare lo sfacelo dell’impero, anzi forse lo accentuò con la sua impostazione rigidamente laica e con una violenta politica di affermazione dei caratteri nazionali turchi. Gli elementi non turchi, ossia arabi, curdi, armeni, greci, serbi, bulgari, albanesi non aderirono all’appello di collaborazione dell’Unione e progresso, sebbene il programma fosse loro presentato come una comune azione sotto la bandiera dell’ottomanesimo. A tutti i motivi di disgregazione dell’impero s’era aggiunto negli ultimi anni il movimento per l’indipendenza degli arabi (dal 1905 ca.) con centri di propaganda a Damasco, alla Mecca e al Cairo e nelle capitali europee. Gli armeni pure si organizzarono in comitati rivoluzionari; massacrati dai turchi e dai curdi delle province orientali e meridionali dell’Anatolia e di Costantinopoli nel 1894 e nel 1896, persistevano nella loro agitazione, che destava vive simpatie in Europa. Anche gli albanesi si organizzavano per l’indipendenza. Nel 1911-12 l’Italia occupò la Tripolitania, la Cirenaica e le isole dell’Egeo; mentre ancora durava la guerra italo-turca, gli Stati balcanici si allearono nel 1912 e mossero guerra alla Turchia (➔ balcaniche, guerre). L’impero perdette allora la Macedonia, divisa tra serbi e greci, la Tracia occidentale toccata alla Bulgaria (1913) e le isole greche occupate dalla Grecia (tranne Imbro e Tenedo); la definizione delle sorti dell’Albania fu affidata alle grandi potenze.
Nell’estate del 1914, quando ebbe inizio la guerra mondiale, la Turchia non era legata da impegni internazionali; il timore della Russia e della sua discesa verso i mari caldi, nonché la fiducia nella capacità di contrasto delle forze tedesche (dal 1913 il generale Liman von Sanders si trovava in Turchia a capo di una missione militare tedesca) la indussero il 2 agosto 1914 a firmare con la Germania un patto segreto d’alleanza che sarebbe entrato in vigore nell’eventualità di un attacco russo. Dal gennaio 1913 era al potere un ministero composto da esponenti del Comitato Unione e progresso; vi predominavano Enver Bey, Gemal Bey e Tal‛at Bey. Uno scontro nel Mar Nero tra le navi russe e quelle turche, rafforzate da due navi da guerra tedesche, trascinò la Turchia nel conflitto (29 ottobre 1914). La posizione della Turchia nella guerra era importantissima; un rapido successo degli Alleati avrebbe potuto stabilire la comunicazione con la Russia e affrettare a loro favore l’esito finale. Le vicende della guerra costrinsero invece l’impero o. ad accettare il 30 ottobre 1918 l’armistizio detto di Mudros (località dell’isola di Lemno). Le trattative di pace si protrassero a lungo, mentre la Grecia occupava Smirne (16 luglio 1919) e s’ingolfava nella guerra anatolica e gli Alleati presidiavano Costantinopoli (16 marzo 1920). A Sèvres (10 agosto 1920) i delegati ottomani firmarono un trattato di pace, che importava: 1) cessione della Tracia ai greci fino quasi ai sobborghi di Costantinopoli; 2) controllo interalleato su una vasta zona degli Stretti (compresa Costantinopoli); 3) regime speciale per Smirne e il suo territorio affidato all’amministrazione greca; 4) rinunzia ai Paesi arabi dell’impero e alle isole dell’Egeo; 5) riconoscimento dell’indipendenza dell’Armenia entro confini da determinare; 6) autonomia locale del Kurdistan; 7) ripristino delle capitolazioni (abolite dalla Porta con dichiarazione unilaterale il 9 settembre 1914) sotto forma di un regime giudiziario misto. Inoltre Francia, Italia e Inghilterra con accordo in pari data si concertavano per dividersi le sfere d’influenza economica in Anatolia. Il Trattato di Sèvres non fu accettato dai nazionalisti di Angora, i quali dal 1919, sotto la guida di Mustafà Kemal, avevano iniziato la lotta per l’indipendenza (istiqlal mujadelesi). Il racconto degli avvenimenti del 1919-22 appartiene anche alla storia della formazione della Repubblica di Turchia (➔ Turchia). Basti dire qui che, sconfitti i greci in Anatolia in agosto-settembre 1922, fu concluso l’Armistizio di Mudania (15 ottobre) e si giunse a sistemare la questione turca con il Trattato di Losanna (24 luglio 1923). La Turchia rinunziò ai territori arabi e ai possedimenti africani, ma riebbe la Tracia orientale; non si parlò più di cessione di Smirne né di Armenia indipendente, Kurdistan autonomo, privilegi e concessioni economiche e politiche. La questione degli Stretti fu definita con il principio della libertà di passaggio in pace e in guerra con alcune riserve, la smilitarizzazione della zona costiera e l’istituzione di una commissione internazionale di controllo. Il Trattato di Losanna fu firmato per la Turchia dai delegati del governo della Grande assemblea nazionale. Il sultanato era stato soppresso dalla stessa assemblea il 1° novembre 1922 e da quella data l’impero o. aveva cessato di esistere. Il 29 ottobre 1923 fu proclamata la Repubblica di Turchia e il 3 marzo 1924 fu abolito il califfato.