IMPIANTO PILOTA
Premessa. − Le attività di sperimentazione su scala di laboratorio e su scala d'i. p. e l'elaborazione dei risultati conseguiti ai fini del trasferimento di scala (scale-up) sono sempre state centrali e fondamentali, anche in senso economico, nelle tappe dello sviluppo di un processo industriale: negli ultimi quindici anni, peraltro, l'evoluzione divergente dei costi dell'unità d'informazione ottenuta per via sperimentale o per via di calcolo è stata tale da modificare profondamente i metodi e le ricerche della programmazione della sperimentazione e da cambiare anche, in parte, la qualità dei problemi coinvolti. Inoltre nuovi problemi sono sorti con l'uso, quantitativamente più ampio e generalizzato che nel passato, dei modelli intesi come prodotto dell'elaborazione dei risultati della sperimentazione stessa e anche come mezzo per procedere, sia nello sviluppo e sia, genericamente, nella ''conoscenza''
La modellistica e la sperimentazione nelle tappe del trasferimento di scala. − Lo sviluppo di un processo chimico passa attraverso tappe, o stadi, di ricerca o acquisizione di informazioni da un lato e di elaborazione delle informazioni acquisite dall'altro. Il diagramma di flusso di questo processo logico che poggia sulle due azioni citate non è peraltro elementare o lineare né può essere definito una volta per tutte. Al contrario, storicamente ha subito modifiche sostanziali, e ne subisce tuttora, in relazione alle variazioni, sia tecniche che economiche, dei fattori che presiedono alle azioni di acquisizione delle informazioni e alla loro elaborazione
Per maggiore chiarezza, lo sviluppo di un processo chimico in cui il reattore e/o le reazioni costituiscono il problema centrale potrebbe essere idealmente condotto in accordo con lo schema di fig. 1. In questo caso l'acquisizione di informazioni è concentrata alla scala di laboratorio; le fasi successive, in serie o parallelo, sono tutte di elaborazione per analizzare i dati ottenuti come premessa alla sintesi del processo per via di calcolo. Si può comprendere facilmente, tuttavia, che, salvo situazioni molto particolari, questo modo ideale di procedere nella realtà è molto pericoloso e del tutto inaffidabile. È sufficiente che uno qualunque degli stadi dello sviluppo sia stato carente (scarsa precisione delle prove di laboratorio, analisi sbagliata o inaccurata, modello chimico o fisico inadeguato, o anche, algoritmo di risoluzione non adatto) per condizionare la validità delle previsioni sull'impianto
Per ovviare alla scarsa affidabilità di un siffatto schema di sviluppo, si è fatto ricorso, specie in passato, a uno scale-up molto più cauto e poggiato pesantemente sulla conferma sperimentale ai diversi livelli dell'informazione acquisita; le fasi di elaborazione, peraltro ridotte al minimo, sono verificate e confermate sperimentalmente alle varie scale intermedie. Così facendo il rischio connesso al passaggio di scala è estremamente piccolo; è invece certo il dispendio, e spesso lo spreco, di risorse economiche, umane e di tempo
Le due situazioni descritte rappresentano, in un certo senso, limiti estremi e opposti di procedimenti di scale-up; la saggezza e l'esperienza consigliano, usualmente, schemi più articolati e, in parte, tagliati sul problema specifico d'interesse. La fig. 2 ne illustra uno abbastanza generalizzabile a diverse situazioni; gli elementi nuovi che lo contraddistinguono sono essenzialmente riconducibili all'uso della retroazione (feedback) fra modello ed esperienze alle diverse scale, con possibili correzioni e aggiustamenti dedotti dal confronto fra previsioni e risultati ottenuti, sicché lo schema di progettazione di un nuovo impianto non segue un cammino definibile completamente a priori ma risulta e si struttura da un processo informativo in retroazione
D'altro canto le fasi di elaborazione spostano l'accento dal progetto di unità alle scale superiori (semiscala, pilota) a quello dell'analisi delle unità già progettate e di cui sono disponibili (o possono diventarlo) i risultati delle prove. Da ciò nasce anche una più ampia flessibilità dello schema che consente di ridurre o di eliminare alcuni passaggi: quanto maggiore infatti è la comprensione e la capacità di descrizione (analisi) dei fenomeni a ogni scala, tante meno saranno le scale da analizzare e da realizzare
Negli ultimi due decenni si è assistito a un incremento eccezionale delle capacità di elaborazione dovuto alla disponibilità di strumenti di calcolo sempre più potenti e meno costosi, incremento che non poteva non alterare i rapporti di peso delle fasi di acquisizione d'informazione sperimentale e di elaborazione dell'informazione stessa
In sostanza il costo dell'unità d'informazione ottenibile per via di calcolo è andato sempre più riducendosi, e così anche il tempo necessario per ottenerla, in confronto al costo dell'unità d'informazione prodotta per via sperimentale, a qualunque scala, e pertanto si sono progressivamente giustificate, sul piano economico e dell'efficienza, elaborazioni sempre più complesse dei risultati delle prove sperimentali, per estrarne il massimo di informazioni possibili a fronte della riduzione del numero delle prove sperimentali. Anzi, quando la consapevolezza del cambiamento dei rapporti d'impiego delle tecniche sperimentali e di calcolo è diventata matura, le stesse metodologie sperimentali, per quanto attiene alla sperimentazione sistematica (non a quella preliminare), sono andate evolvendo nel senso di progettare programmi di prove sapendo fin dall'inizio che i risultati sarebbero stati elaborati in certi modi e con certe tecniche
Gli impianti pilota e i criteri d'impiego. − Si è detto che in un processo di scale-up affidabile vi sono fasi di sperimentazione su scala intermedia fra il laboratorio e l'impianto industriale; la più tipica è quella detta ''pilota'' per la quale vale la pena di chiarire, in qualche dettaglio, la collocazione nello sviluppo di un processo e gli obiettivi che usualmente si perseguono con la sua realizzazione
Per i. p. s'intende generalmente un insieme di apparecchiature che realizzano lo schema di un processo, di dimensioni intermedie tra quelle che possono essere convenientemente utilizzate in laboratorio e quelle che sono imposte dalle esigenze di una produzione industriale. Non esiste ovviamente campo di dimensioni o di potenzialità accuratamente definito per gli i. p.: è piuttosto la destinazione delle informazioni e dei prodotti da essi ottenuti che caratterizzano un impianto come ''pilota''. Tradizionalmente, perché un impianto continuo di piccole dimensioni potesse essere definito i. p., in esso si dovevano manipolare parecchie decine di kg/h di sostanze reagenti e realizzare almeno 50÷100 kg/giorno del prodotto desiderato
Attualmente la disponibilità di sistemi per le misure, i controlli, l'analisi su piccoli o piccolissimi flussi e campioni, e l'estensione delle tecniche di centralizzazione della raccolta e sintesi dei dati e di automazione sono arrivati a un punto di sviluppo tale che possono essere realizzati anche soddisfacenti i. p. (micro-pilota) per potenzialità alquanto ridotte (salvo che altre ragioni non impongano diversamente).
Anche per gli i. p., con il ricorso a queste tecniche si può stimare una sensibile riduzione dei costi di gestione, sia per il miglioramento delle informazioni ottenute (con conseguente minore durata delle sperimentazioni) sia per l'eventuale minore numero di tecnici richiesti per il loro funzionamento. Poiché comunque gli impianti industriali di grosse dimensioni tendono attualmente a lavorare con controlli centralizzati ed elevata dose di automazione, un aspetto d'importanza tutt'altro che secondaria sembra essere quello di migliorare in scala pilota le conoscenze anche sotto questo punto di vista. Nel caso dei micro-pilota, oltre agli ovvi ulteriori vantaggi di facilità di collocazione e installazione e di minori quantità di materie prime e di servizi ausiliari richiesti, si ha anche quello della rapidità di avviamento e di risposta alle variazioni di condizioni operative: l'importanza di quest'ultimo vantaggio appare evidente se si pensa che l'i. p. è destinato alla sperimentazione ed è pertanto soggetto a frequenti avviamenti e modificazioni delle condizioni di lavoro.
In qualche caso possono funzionare come i. p. gli stessi impianti destinati alla produzione industriale. Ciò accade particolarmente quando si vuole saggiare l'effetto dell'introduzione di miglioramenti, a esito pressoché sicuro, su processi noti; oppure quando la necessità di attuare il processo su larga scala al più presto giustifica l'accettazione di una rilevante dose di rischio.
La ricerca e lo sviluppo dei processi chimici. − La realizzazione e la gestione di un i. p. s'inseriscono nelle più vaste attività di ricerca e di sviluppo svolte dall'organizzazione industriale. Come le attività di ricerca e di sviluppo sono elementi intermedi costitutivi dell'attività industriale, così, anche se a un livello diverso, lo stadio pilota di un processo rappresenta un elemento costitutivo delle attività di ricerca e di sviluppo. In modo approssimativo, nell'industria chimica moderna possono essere individuate le seguenti attività, connesse con lo sviluppo dei processi.
Attività di ricerca: di base o fondamentale, che non ha un obiettivo economico immediato; esplorativa, destinata a individuare nuovi prodotti o nuovi processi economicamente interessanti (acquistando conoscenze essenzialmente qualitative); sistematica, destinata a organizzare ai fini dello sviluppo dei processi le conoscenze emerse dalla fase esplorativa, dando a esse una forma quantitativa adatta a un'utilizzazione ingegneristica; su i. p., destinata a verificare su una scala ridotta, ma con un approccio già di tipo ingegneristico, l'attuabilità tecnica ed economica di un processo da realizzare industrialmente; modellistica matematica, destinata a produrre modelli quantitativi dei risultati della ricerca, del comportamento delle apparecchiature chimiche, ecc. (quest'attività si estende a tutto lo sviluppo del processo chimico in quanto ne costituisce la razionalizzazione e copre le necessità di ottimizzazione).
Attività tecnico-produttive: ingegneria preliminare, destinata a individuare schemi di processo di massima realizzabili tecnicamente e a valutarli quindi economicamente (questa fase accompagna continuamente e con verifiche periodiche le fasi a valle della ricerca esplorativa); quantificazione completa del processo definitivo, strumentazione, scelta e dimensionamento delle apparecchiature, ecc. (progettazione in generale), che costituisce l'attività più tradizionalmente ingegneristica; approvvigionamento delle apparecchiature e accessori, installazione, avviamento e messa a punto dell'impianto; gestione dell'impianto, miglioramenti delle condizioni operative di funzionamento (eventualmente fino alla ottimizzazione), ecc.
Sempre connesse con lo sviluppo dei processi sono attività manageriali (decisionali), ricerche di mercato per nuovi prodotti o prodotti concorrenziali, attività brevettuali, di servizio, varie, ecc. Le varie attività e fasi di sviluppo indicate sono ovviamente non ben delineate tra di loro e vanno spesso sovrapposte al fine di ottenere la massima rapidità ed economicità dell'attuazione del processo chimico. Dal momento dell'individuazione di un nuovo processo durante la ricerca esplorativa (o delle possibili modifiche a un vecchio processo), fino alla produzione su scala industriale si ha nel tempo una sequenza di tipo conoscitivo-decisionale: si acquisiscono conoscenze a diversi livelli, si esaminano nel loro insieme in vista dell'obiettivo finale (realizzare un impianto industriale che dia una produzione economica) e si decide se occorrono altre conoscenze, e quali, per poter proseguire. In questo quadro possono essere individuate le funzioni principali attribuite alla ricerca sugli i. pilota.
Motivazione e funzioni degli impianti pilota. − In base alle considerazioni precedenti la necessità di un i. p. si pone logicamente quando, a un esame accurato, risulta che il massimo di informazioni ottenibili dalla ricerca sistematica di laboratorio, dalla modellistica matematica e dalle tecniche di simulazione, dalle valutazioni ingegneristiche, economiche e di mercato preliminari, ecc., è insufficiente per realizzare il processo e la conseguente produzione, su scala industriale, con un livello di rischio accettabile dall'azienda. Questa conclusione e la decisione che ne deriva provengono, generalmente, da un esame globale aggiornato del livello d'informazione progressivamente disponibile.
Dopo che si è deciso di costruire un i. p., dalla sua gestione si pretende di ottenere quelle ulteriori conoscenze. Pertanto, a seconda del tipo di conoscenze ancora incerte che si vogliono quantificare, all'i. p. possono essere devolute approssimativamente una o più delle seguenti funzioni, non solamente tecniche:
a) verificare, adattare ed estendere un modello di processo e di funzionamento, realizzato ''a tavolino'', contenente un'elevata incertezza sul comportamento di alcune apparecchiature sotto diversi aspetti: corrosione ed erosione di apparecchiature, instabilità di cicli operativi, efficienza di separazione di prodotti, invecchiamento e avvelenamento di catalizzatori durante lunghi periodi di funzionamento continuo, tossicità, pericoli di esplosione, ecc. (in definitiva quelle informazioni che dal laboratorio, da esperienza precedente e dai modelli matematici non si possono acquisire con un livello attendibile di sicurezza);
b) saggiare l'uso di apparecchiature (solitamente reattori) di tipo non convenzionale (particolarmente se si tratta di sistemi a letto fluidizzato o sospeso, oppure di reazioni con fluidodinamica molto complessa come i diversi tipi di fiamme);
c) saggiare opportuni metodi di analisi e di regolazione non convenzionali di per sé, o applicati a prodotti e processi poco noti;
d) produrre in modo sistematico, e il più vicino possibile al processo industriale per il quale si è optato, quantitativi di prodotto da saggiare sul mercato (dai diversi punti di vista, cioè come successiva utilizzazione, come reazione della concorrenza, ecc.); ciò è soprattutto imposto nel caso di prodotti nuovi per il mercato;
e) esaminare gli effetti di sottoprodotti e scorie e le modalità della loro eliminazione, particolarmente in processi con riciclo;
f) addestrare il personale su processi radicalmente nuovi e persuadere i livelli manageriali sulla possibilità di realizzare tali processi in modo efficiente ed economicamente vantaggioso.
Per realizzare queste funzioni le varie unità operative dell'i. p. vengono progettate tenendo conto dei ''modelli'' elaborati in base ai risultati della ricerca sistematica di laboratorio, di tutta l'esperienza precedente (connessa con altri processi) e dei criteri generali di progetto noti dalla letteratura tecnica, tenendo continuamente in vista che l'i. p. deve esso stesso costituire un ''modello'' che simula l'impianto industriale che si vuole costruire. Affinché le unità di cui è costituito l'i. p. si possano considerare ''modelli'' delle analoghe unità ''prototipo'' dell'impianto industriale, occorre che esse soddisfino ad alcuni requisiti e, primo tra tutti, che da esse siano ottenibili le informazioni che permettono di prevedere con sufficiente sicurezza il comportamento conseguente alla variazione di dimensioni e potenzialità. È importante rilevare al proposito che a questi requisiti basilari è sufficiente che soddisfino solamente quelle operazioni fondamentali per le quali non è possibile prevedere direttamente con buona accuratezza il comportamento sulla grande scala: per tutte le altre parti non è necessario che l'i. p. sia un vero modello dell'impianto industriale.
Al riguardo, per poter eseguire direttamente il dimensionamento e stimare il comportamento di un'apparecchiatura industriale occorre disporre delle seguenti informazioni:
a) proprietà fisiche, chimico-fisiche e di trasporto: calori specifici, densità, coefficienti di fugacità e di attività, entalpie, costanti di equilibrio, tensioni superficiali, diffusività, viscosità, conducibilità termiche e così via;
b) espressioni, formule o diagrammi relativi alle velocità macroscopiche (generalizzate) di evoluzione dei vari fenomeni (coefficienti di scambio termico e di materia, perdite di carico, distribuzioni di velocità fluidodinamiche, velocità delle reazioni chimiche, ecc.);
c) dati di corrosione, di proprietà dei materiali da costruzione scelti;
d) tipo di apparecchiatura scelta, per l'operazione da svolgere, già nota e comunque realizzabile tecnologicamente;
e) metodi di calcolo o, più in generale, modelli matematici, che descrivono il comportamento e le prestazioni del sistema, in forma valutabile numericamente (per es. equazioni di progetto, ecc.);
f) altre informazioni di tipo più aleatorio (coefficienti di sporcamento, fattori d'invecchiamento e di avvelenamento per catalizzatori, criteri per manutenzioni ordinarie e straordinarie, modalità di avviamento, fattori di sicurezza del dimensionamento, stima delle probabilità di incidenti, ecc.).
Se tutte queste informazioni sono note, o da esperienza precedente o dalla letteratura tecnica e scientifica, o possono essere facilmente ottenute dopo un'analisi del problema, oppure si possono esaurientemente determinare in laboratorio, non è necessario che la corrispondente operazione fondamentale sia simulata nell'i. pilota. Da questo punto di vista il grande sviluppo di ricerche tecniche, scientifiche, di metodi di calcolo e di modelli e metodi matematici negli ultimi 20 anni ha reso meno aleatoria la progettazione diretta (senza unità pilota) per un buon numero di operazioni, e in qualche caso (quando l'i. p. non abbia le altre funzioni già segnalate) dell'intero impianto.
Come esempio di operazioni unitarie per le quali la previsione degli effetti di scala è sufficientemente sicura (salvo casi eccezionali) senza unità pilota si possono citare:
a) scambio termico (salvo che non sia eseguito su fluidi a reologia complessa in apparecchiature con geometria non convenzionale);
b) distillazione (salvo che non si decida di lavorare in colonne con riempimenti o piatti non convenzionali o in condizioni di bassa efficienza dei piatti);
c) reattori per reazioni omogenee a cinetica ben nota che si svolgono in condizioni fluidodinamiche semplici (cioè con miscelazione completa o con flusso a pistone quasi perfetto); reattori per reazioni eterogenee catalitiche gassolido per le quali le prove di laboratorio siano state condotte in un singolo tubo di dimensioni accettabili industrialmente (diametro 15÷25 millimetri, lunghezza di almeno qualche centinaio di millimetri) e si ritenga di poter realizzare la produzione industriale semplicemente ricorrendo a un reattore multitubolare con tubi tutti eguali a quello di laboratorio e operando in condizioni identiche; oppure, ancora nello stesso caso, quando siano note dal laboratorio le espressioni cinetiche di tutte le reazioni importanti e sia disponibile un adeguato modello matematico che valuti l'intervento dei fenomeni fisici di trasporto di calore e di materia, rendendosi superflua la necessità d'identità tra gli elementi costituenti il reattore industriale e il reattore di laboratorio;
d) assorbimento nel caso di colonne con riempimenti di tipo convenzionale (anelli Raschig, selle Berl, ecc.) oppure con piatti: le espressioni, formule e diagrammi, anche i più recenti, usati per i calcoli, contengono tuttavia un'incertezza non trascurabile;
e) trasporto in tubazioni e macchine per il movimento dei fluidi, purché non si tratti di fluidi a reologia complessa, o di sistemi polifasici con possibilità di stratificazioni, incrostazioni, presenza di schiume, ecc.;
f) altre situazioni nelle quali il livello informativo sia adeguato come nelle precedenti esemplificazioni.
Esempi di tipiche operazioni per le quali in generale è indispensabile un modello pilota sono le operazioni svolte in apparecchiature a fluidodinamica complessa, o sistemi polifasici oppure con reologia complessa: così estrattori liquido-liquido, reattori gas-liquido, quasi tutte le apparecchiature di miscelazione, bruciatori e camere di combustione, quasi tutti i cristallizzatori, quasi tutti i filtri, gli essiccatori, quasi tutte le operazioni su solidi, reattori a letto fluidizzato, dispersori e atomizzatori, ecc.; e le reazioni chimiche molto complesse, a cinetica mal definita, per le quali il reattore industriale non possa essere realizzato per semplice moltiplicazione del reattore di laboratorio.
Pertanto, quando viene realizzato per i già esposti motivi un i. p., esso è in generale costituito da apparecchiature che sono modelli il più possibile simili alle unità industriali, e da altre per le quali questa corrispondenza non è necessaria. Si giustifica così, tra l'altro, l'uso di parti d'i. p. messe in derivazione sugli impianti industriali (che svolgono la stessa produzione) sfruttandone, in simbiosi, le parti non realizzate sul pilota. Questi tipi d'i. p. sono destinati ovviamente a studi di miglioramento delle sole parti di processo simulate (modifica delle condizioni operative o del tipo di alimentazione, sostituzione di catalizzatori, ecc.). Inoltre, nel caso in cui gli impianti industriali già in esercizio sono costituiti, in alcune parti, da unità funzionanti in parallelo, talvolta una di queste unità viene utilizzata come pilota per lo studio di miglioramenti di processo, quando i disturbi introdotti nella produzione normale sono tollerabili.
Per la realizzazione razionale delle apparecchiature pilota ci si rifà usualmente alla teoria dei modelli.
Significato operativo dei modelli matematici. - Si è detto che ai fini di progettare, sviluppare e controllare i complessi processi della tecnologia moderna è necessaria una conoscenza esauriente di tutti i fattori che ne influenzano, significativamente, il comportamento.
Un modo per ottenere ciò è offerto dal ''costruire'' un duplicato del processo, o parte di esso, in scala ridotta; o in altri termini un i. p. come è stato illustrato dianzi. Un altro mezzo, in molti casi più conveniente ed economico e, comunque, integrativo di questo, è quello di utilizzare, fin dove è possibile, una ''rappresentazione concettuale'' del processo o, come si dice, di formulare un modello matematico. Assegnato il processo e il problema, si cerca di costruire un insieme di relazioni matematiche che sia isomorfo con le relazioni fra le variabili del processo. A causa della complessità di un processo reale e dei limiti delle capacità matematiche, qualunque modello è inevitabilmente fortemente idealizzato e può fornire una rappresentazione fedele solamente di alcune proprietà del processo.
In questa sede non si vuole entrare nella problematica di carattere speculativo sulle relazioni fra modello e realtà fisica: interessa mettere in evidenza che operativamente i modelli e la modellistica si sono dimostrati strumenti preziosi per l'indagine in sede di ricerca, e ausili potenti in sede di progetto. Di fatto, ciò che è di estrema importanza pratica è riuscire a descrivere, mediante un opportuno modello matematico, un particolare fenomeno che si desidera studiare.
I vantaggi che si possono conseguire, una volta ricavato un modello matematico che descriva la realtà fisica in modo soddisfacente, sono molteplici e dipendono dal problema considerato e dall'uso che si vuol fare del modello stesso; ma possono essere in generale considerati come vantaggi economici e/o vantaggi pratici.
I vantaggi economici si hanno quando l'uso del modello fa risparmiare tempo e/o denaro: un buon modello cinetico, per es., costruito su dati di laboratorio, permette sovente di eliminare qualche fase intermedia della sperimentazione, riducendo le onerose spese di costruzione delle relative apparecchiature e di esecuzione delle prove.
I vantaggi pratici, anch'essi numerosi, sono rappresentati da rapidità di risposta, concentrazione di informazioni disperse, possibilità d'inserire il modello in modelli più completi, ecc.
Un vantaggio che è stato sopravvalutato in passato e che, pur essendo indubbiamente in qualche caso importante, va considerato con le dovute cautele, è il seguente: supponendo di avere un fenomeno fisico che possa essere descritto mediante diverse teorie, si costruiscono dei modelli basati sulle varie teorie e si sceglie il migliore. A questo punto la teoria che sta alla base di quel modello viene ritenuta la più soddisfacente e si ottengono informazioni su di essa analizzando il modello ricavato. Un esempio tipico si ha nel caso della cinetica di una reazione chimica: una volta che si è scelto il modello cinetico migliore, si fanno considerazioni sullo stadio cineticamente più lento, sulla endotermicità o esotermicità di adsorbimento di alcuni prodotti. Questo procedimento è molto pericoloso perché la scelta del modello migliore può dipendere da molti fattori, quali il tipo di sperimentazione fatta, il criterio di determinazione dei parametri, il programma di calcolo utilizzato. Inoltre dagli stessi fattori dipendono anche i valori numerici dei parametri per ogni modello e quindi le conclusioni a cui si arriva possono essere completamente arbitrarie. Va inoltre ricordato che a stretto rigore logico la bontà di un modello non consente di affermare che la teoria da cui esso è derivato è corretta. Il modello matematico va perciò riguardato soprattutto come uno strumento adatto a simulare un fenomeno fisico. Quanto più la risposta prevista dal modello e quella ricavata sperimentalmente saranno simili, tanto più adeguato potrà ritenersi il modello stesso.
Va rilevato tuttavia che, nella maggior parte dei problemi pratici, le risposte sperimentali sono affette da errore casuale e, pertanto, ci sarà sempre una discrepanza fra i valori previsti dal modello e quelli sperimentali. Se le risposte del modello coincidono con quelle ''attese'', in senso statistico, del fenomeno, tali discrepanze sono dovute solo all'errore sperimentale, e in questo caso si dirà che quel modello è corretto, almeno all'interno del campo sperimentale indagato. Si torna a sottolineare che ciò non implica assolutamente che il modello traduca la realtà fisica del fenomeno in tutta la sua complessità.
La natura fisica e la struttura matematica dei modelli possono essere estremamente diverse da problema a problema. In questa sede non si è particolarmente interessati ai criteri con cui vengono generati i modelli matematici di un fenomeno: è sufficiente operare una distinzione fra i modelli basati su qualche teoria e quelli invece completamente empirici. Questa distinzione non si riflette su una diversa trattazione dei due casi, ma semplicemente serve a richiamare l'attenzione sulla necessità, nel caso di modelli empirici, di analizzare varie classi di funzioni e conoscerne quindi le diverse caratteristiche.
Bibl.: R.E. Johnstone, M.W. Thring, Pilot plants, models and scale up methods in chemical engineering, New York 1957; D.G. Jordan, Chemical process development, ivi 1968; A. Bisio, R.L. Kabel, Scale-up of chemical processes, ivi 1985; Dimensional analysis, in Ullmann's encyclopedia of industrial chemistry, vol. B1, 3, Weinheim 1990.