IMPIEGO (impiegare "adoperare", dal lat. implicare)
Impiego pubblico. - È impiegato colui che permanentemente si pone a disposizione dello stato o d'altro ente pubblico per la prestazione professionale della sua attività. L'impiegato si distingue, perciò, da quanti prestano un servizio obbligatorio, come il servizio militare, e da coloro che prestano la propria attività solo temporaneamente e senza remunerazione, cioè dai funzionarî onorarî, nonché da quei. funzionarî che, pur essendo remunerati, non hanno un ufficio continuativo, quali i ministri e i sottosegretarî di stato: la professionalità implica, infatti, la continuità del servizio e il fine di fare di questo la principale occupazione della vita e la principale fonte di lucro. Il concetto d'impiegato prescinde, invece, dalla natura dell'attività che la persona deve svolgere: non è escluso che questa consista nell'esercizio d'una pubblica funzione nel qual caso l'impiegato partecipa della qualifica di pubblico funzionario, con le conseguenze che a tale qualità si riconnettono (v. funzionario); ma più comunemente trattasi di attività meramente esecutiva o tecnica o di semplice cooperazione materiale.
Il rapporto, che si stabilisce fra l'impiegato e lo stato, è un rapporto pubblicistico di servizio: l'opinione, molto diffusa in passato, che l'impiego di stato si possa ricondurre a un rapporto di diritto privato, è oggi completamente superata. Si tratta, inoltre, d'un rapporto personale e perciò intrasmissibile: il diritto moderno ha abolito gli ultimi avanzi dell'ereditarietà e venalità degli uffici. È infine, un rapporto bilaterale, nel senso che esso importa diritti e obblighi reciproci per ambo le parti. L'affermazione della bilateralità del rapporto non pregiudica la questione, tuttora discussa, del carattere unilaterale o bilaterale dell'atto di nomina, che a tale rapporto dà origine. Un tempo si tentava di ricondurre questa a un comune contratto privatistico (di locazione d'opera o d'opere, di mandato, di preposizione istitoria): però, essendo oggi del tutto escluso che il rapporto appartenga al diritto privato, la questione resta limitata al punto se si tratti d'un contratto di diritto pubblico o d'un atto amministrativo unilaterale, della figura delle concessioni o meglio delle ammissioni. La soluzione di tale questione dipende in parte dall'ammissibilità del contratto di diritto pubblico in generale; però, anche alcuni autori, fra coloro che ammettono questa categoria giuridica, negano che essa trovi applicazione rispetto alla nomina degl'impiegati, perché riconoscono che il diritto positivo non costruisce questa come un contratto, ma come un decreto, o in genere un provvedimento dell'amministrazione, rispetto al quale l'accettazione del privato ha il valore d'una condizione. Vi sono dei casi, però, in cui leggi recenti hanno regolato l'atto d'assunzione come un vero contratto, e particolarmente un contratto a termine, tacitamente rinnovabile e denunziabile dalle parti (es.: decr. legge 30 dicembre 1923, n. 3245, art.1,6,7;26 giugno 1928, n. 1838, art.1, 2): tali casi, evidentemente contrarî ai principî contenuti nelle leggi generali, costituiscono eccezioni che, mentre da un lato confermano l'esattezza di tali principî, dall'altro inducono ad ammettere, in questo come in altri campi, la possibilità del contratto di diritto pubblico.
La disciplina del rapporto d'impiego rientra nella funzione organizzativa del potere esecutivo, di cui all'art. 6 dello statuto del Regno: tuttavia, parecchi atti legislativi furono emanati, specie nei primi anni di questo secolo, per garantire la posizione e la carriera degl'impiegati o di particolari categorie d'impiegati. La prerogativa del governo del re è stata ripristinata con l'art.1, n. 3 della legge costituzionale 31 gennaio 1926, che autorizza l'uso del decreto anche per sostituire le antiche leggi e gli antichi decreti legislativi sulla materia. L'uso della legge è necessario, secondo lo stesso articolo, per regolare lo stato giuridico dei magistrati e degli altri funzionarî inamovibili: nonché, possiamo aggiungere, tutte le volte che si tratta di provvedimenti che importano nuovi oneri alle finanze dello stato.
I testi fondamentali vigenti sono oggi: il r. decr. 11 novembre 1923, n. 2395, sull'ordinamento gerarchico delle amministrazioni dello stato, che si riferisce al trattamento economico e alla carriera; e il r. decr. 30 dicembre 1923, n. 2960, sullo stato giuridico degli impiegati civili dello stato.
Nomina. - Sono presupposti dell'atto di nomina il possesso degli speciali requisiti in chi aspira a essere nominato e la scelta della persona più meritevole fra più aspiranti. I requisiti sono, secondo il decreto sullo stato giuridico:1. la cittadinanza italiana: sono però equiparati ai cittadini dello stato gl'italiani non regnicoli e coloro per i quali tale equiparazione, in occasione di singoli concorsi, sia disposta con decreto reale; 2. la capacità fisica, la quale comprende l'età, che di regola non deve essere inferiore ai 18 anni, né superiore a quella variamente stabilita per le singole amministrazioni, e la sana e robusta costituzione fisica, da provarsi per mezzo di certificato sanitario. Rientra nella capacità fisica la condizione del sesso maschile: tuttavia, in seguito alla legge 17 luglio 1919, n. 1176, la donna è stata ammessa a tutti gl'impieghi pubblici, salvo tassative eccezioni, di cui è parola sotto Capacità giuridica (diritto pubblico); 3. la capacità morale, la quale è dimostrata dalla buona condotta civile, morale e politica, da valutarsi a giudizio insindacabile dell'amministrazione: la buona condotta civile e morale si prova, tuttavia, col certificato penale, rilasciato dall'autorità giudiziaria, e col certificato di buona condotta, rilasciato dal podestà del comune di residenza; 4. la capacità intellettuale, da provarsi col possesso d'un titolo di studio, determinato secondo i casi dalle leggi riguardanti le varie amministrazioni. In base al titolo richiesto per l'ammissione, le carriere amministrative sono distinte in tre gruppi, distinti con le lettere A, B e C, i quali hanno sostituito l'antica partizione del personale nelle tre carriere amministrativa di ragioneria e d'ordine. Il gruppo A comprende gl'impiegati per la cui nomina è richiesto il diploma di laurea o un titolo equipollente; il gruppo B quelli per cui è richiesto il diploma di maturità classica o scientifica o la licenza d'un istituto medio di secondo grado; il gruppo C quelli per cui è richiesta la licenza d'un istituto medio di primo grado.
La scelta fra più aspiranti, tutti egualmente forniti dei requisiti, avviene per regola generalissima attraverso un concorso. Questa regola non si applica: a) per i funzionarî di grado superiore al 5° (presidenti e consiglieri delle supreme magistrature, direttori generali, prefetti, ecc.), la cui nomina viene deliberata, in base alla fiducia diretta del governo, dal Consiglio dei ministri (artr 19 st. giur.); b) in casi eccezionali, anche per impiegati di altri gradi, ove si tratti di persone che abbiano singolare capacità e rinomanza nella propria arte, scienza o disciplina: la nomina è fatta in tal caso previo parere del Consiglio di stato e del Consiglio d'amministrazione (r. decr. 30 dicembre 1923, n. 3084, art. 11). Il concorso, che è il sistema normale di scelta, può essere per titoli, che sono prove di capacità precostituite (certificati di studi compiuti, di servizî prestati, pubblicazioni, opere d'arte), o per esami, ossia per mezzo di prove da eseguirsi all'occasione del concorso; alcuni concorsi sono infine per titoli e per esami insieme. Circa i particolari, v. concorso, XI, p. 91. La nomina non può cadere che sui vincitori, cioè sui primi in graduatoria entro i limiti dei posti messi a concorso: gl'idonei ulteriormente graduati non hanno alcun diritto, ma l'amministrazione può assegnare loro i posti che si rendono vacanti entro sei mesi dall'approvazione della graduatoria, nel limite massimo di un decimo dei posti messi a concorso. Coloro che per due volte non abbiano conseguito l'idoneità, non sono ammessi a ulteriori concorsi per il medesimo impiego.
Si deve distinguere la nomina in prova da quella definitiva: la prima ha lo scopo di sottoporre l'impiegato a un periodo d'esperimento, che non può essere inferiore a sei mesi. In tale periodo l'impiegato non riceve stipendio, ma solo un'indennità. Allo scadere del termine l'amministrazione può decretare la nomina definitiva, oppure il licenziamento, a meno che non creda opportuno prorogare l'esperimento (ord. ger., art. 17). All'atto di assumere l'ufficio, l'impiegato deve prestare giuramento di fedeltà secondo la formula dettata dall'art. 6 del decreto sullo stato giuridico, alla presenza del capo ufficio e di due testimonî; la nomina in prova è preceduta solo dalla promessa solenne di cui all'art. 5. Il ritardo nell'assumere il servizio e nel prestare giuramento è considerato rinunzia all'impiego; se giustificato, importa solo la procrastinazione della decorrenza dello stipendio (art. 2,46).
Doveri. - Lo stato giuridico dell'impiegato consta d'una somma di doveri e di diritti. I primi si possono raggruppare nel modo seguente: 1. Dovere di dedicare all'ufficio tutta la propria capacità lavorativa: esso comprende due particolari divieti: il divieto del cumulo di due uffici pubblici e l'incompatibilita del pubblico ufficio con qualunque impiego privato, con l'esercizio di qualunque professione di commercio, industria,e con la qualità di amministratore o sindaco di società costituite a fine di lucro. Tali divieti comportano, per altro, non poche eccezioni (art. 96 segg.). 2. Dovere della diligenza: il quale importa, oltre alla diligenza nell'adempimento delle mansioni d'ufficio, l'obbligo della residenza ove l'ufficio ha sede, quello dell'osservanza dell'orario di servizio e quello della prestazione di servizî straordinarî, ove la necessità lo richieda. 3. Dovere dell'obbedienza agli ordini dei superiori gerarchici: circa il contenuto e i limiti di questo, v. gerarchia. 4. Dovere della fedeltà, cioè quello, molto comprensivo, di non tradire in modo alcuno gli interessi dell'amministrazione e di curare questi lealmente. Costituiscono infrazione di questo dovere: la violazione del segreto d'ufficio, che può avere maggiore o minore gravità, secondo che da essa sia derivato o meno un danno all'amministrazione; l'uso o l'abuso delle funzioni per un fine privato e personale (corruzione passiva, concussione, abuso d'autorità, ecc.); l'abbandono arbitrario dell'ufficio, lo sciopero e l'ostruzionismo nel pubblico servizio; le offese al decoro e al prestigio dell'amministrazione e ai supremi organi dello stato. 5. Doveri, infine, relativi alla vita privata dell'impiegato. Questi hanno fondamento nella necessità di prevenire irregolarità nella condotta d'ufficio e in quella di difendere l'amministrazione da tutto ciò che può menomarne il prestigio. Per conseguenza, l'impiegato che sia incorso in alcune sanzioni penali (e non solo in quella dell'interdizione dai pubblici uffici) decade di diritto dall'impiego o può essere revocato o destituito con provvedimento disciplinare; in pene disciplinari di varia gravità incorre colui che dimostri riprovevole condotta, difetto di rettitudine e di senso morale o commetta mancanze contro l'onore; infine, qualunque manifestazione politica, che ponga l'impiegato in condizione d'incompatibilità con le generali direttive del governo autorizza la dispensa dal servizio ai sensi del decr. legge 6 genn. 1927, n. 57.
La sanzione tipica generale per l'inosservanza di qualunque dovere dell' impiegato è la pena disciplinare, che appartiene al genere delle sanzioni amministrative: v. discipina. Le pene disciplinari sono: la censura, la riduzione temporanea dello stipendio, la sospensione dal grado con privazione dello stipendio, la revoca dall'ufficio e la destituzione; al personale subalterno può, inoltre, essere inflitta la multa. I fatti per cui ciascuna pena può essere applicata, la competenza e la procedura per l'applicazione, sono specificati nel decreto sullo stato giuridico (articoli 58-80, 115). Alla responsabilità disciplinare si può aggiungere quella penale, nei casi in cui la trasgressione risulta contemplata come delitto da uno degli articoli 314-335 del codice penale: le due responsabilità agiscono in modo del tutto indipendente e i rapporti fra i rispettivi procedimenti sono regolati da principî speciali (stato giur., art. 63,58). Ove poi la mancanza abbia prodotto danno all'amministrazione o ai terzi, trova applicazione la comune responsabilità civile: per lo stato essa è fatta valere attraverso la speciale giurisdizione della Corte dei conti; per i terzi per mezzo della comune azione giudiziaria (art. 82 segg. del r. decr. 18 novembre 1923, n. 2440). Gl'impiegati, infine, che hanno maneggio di pubblico denaro o in questo comunque s'ingeriscono, possono incorrere nella speciale responsabilità contabile, per qualsiasi irregolarità incorsa nelle operazioni finanziarie compiute: la procedura di accertamento e di condanna si svolge innanzi alla Corte dei conti secondo il procedimento di cui al r. decr. 4 ottobre 1862, n. 884. A garanzia della responsabilità civile e di quella contabile è stabilito l'istituto della cauzione, che alcuni impiegati sono tenuti a prestare all'atto della nomina.
Diritti. - I più importanti, in quanto costituiscono il diretto corrispettivo della prestazione del servizio, sono quelli di contenuto patrimoniale: su questi e sulla loro consistenza giuridica, si vedano pensione; stipendio; altri secondarî sono d'ordine morale e ideale, come il diritto al titolo ufficiale, al posto di precedenza dovuto nelle pubbliche cerimonie; altri infine sono di contenuto comprensivo e generico, come il diritto all'ufficio, al grado gerarchico e alla carriera. Rispetto a questi ultimi, è da notare che tutti gl'impiegati sono distribuiti in 13 gradi: il grado iniziale per quelli del gruppo A è l'11°, per quelli del gruppo B il 12°, per quelli del gruppo C il 13°: però alcune carriere s'iniziano da gradi più elevati. Le classi, in cui è divisa ciascuna carriera, corrispondono ad altrettanti gradi: le carriere del gruppo A, che sono quelle destinate a raggiungere i più alti gradi, terminano di regola al grado 4°, in quanto i gradi superiori sono riservati a un ristretto numero di altissimi funzionarî. Il passaggio dai gradi inferiori ai superiori ha luogo esclusivamente per promozione, la quale può essere o per scrutinio (cioè un giudizio basato sulle note annuali di qualifica e relativo all'attitudini dimostrate dall'impiegato) o per esami, i quali sono regolati in modo analogo agli esami di concorso. Entro lo stesso grado si possono avere aumenti periodici di stipendio, da conseguirsi in base alla sola anzianità nel grado. Da tale anzianità è determinato l'ordine di precedenza fra gli appartenenti al medesimo grado; ciascun ministero pubblica ogni anno il ruolo di anzianità dei proprî dipendenti. Ogni diritto relativo all'ufficio e alla carriera ha la consistenza d'un semplice interesse legittimo: solo per gl'impiegati inamovibili si può parlare d'un diritto non condizionato.
Modificazioni del rapporto. - Le più importanti attengono alla carriera dell'impiegato, della quale è stato fatto cenno. Altre concernono la sospensione di alcuni elementi, siano essi il solo servizio (congedo) o il servizio e lo stipendio (sospensione disciplinare, aspettativa, disponibilità). L'aspettativa può essere determinata o da provata infermità o da gravi motivi di famiglia o dal servizio militare o dalla nomina alla carica di . podestà, vice-podesta, preside o vicepreside (st. giur., art. 81 segg.; nonché legge 24 marzo 1930, n. 257); secondo la sua causa, produce effetti diversi sullo stipendio, sulla carriera e sul diritto a pensione. La disponibilità è sempre determinata da motivi dipendenti dall'amministrazione: la soppressione del posto o la riduzione dell'organico non può avere durata superiore a due anni, dopo di che l'impiegato, se non può essere riassunto, è dispensato dal servizio.
Cessazione. - Il rapporto si estingue per una quantità di cause, parte delle quali riguardano l'impiegato (morte, dimissioni, domanda di collocamento a riposo), parte consistono in deliberazioni dell'amministrazione (dimissioni dichiarate d' ufficio, collocamento a riposo disposto d' autorità, dispensa dal servizio, revoca, destituzione). Le dimissioni si distinguono dalla domanda di collocamento a riposo, perché non sono motivate da una delle cause che danno diritto al trattamento di quiescenza: ambedue tali atti non hanno effetto se non in seguito all'accettazione. Le dimissioni possono essere dichiarate d'ufficio nel caso di perdita della cittadinanza italiana, di accettazione d'un ufficio da un governo straniero, di ritardo ingiustificato nell'assumere l'ufficio e di arbitrario abbandono di esso. La dispensa può essere motivata o da sopravvenuta incapacità fisica o intellettuale dell'impiegato o da scarso rendimento o da dimostrata incompatibilità con le generali direttive del governo (decreto legge 6 gennaio 1927, n. 27). Circa i diritti dopo la cessazione del rapporto, la loro natura e la loro varia estensione, v. pensione.
Principî in parte speciali regolano il rapporto d'impiego dei dipendenti da enti pubblici diversi dallo stato, quali i comuni, le provincie, i consorzî, le associazioni sindacali, le istituzioni di beneficienza. Per essi rinviamo alle voci che si riferiscono a questi singoli enti.
Riguardo alle controversie che possono sorgere fra lo stato e i suoi impiegati, vige la competenza esclusiva del Consiglio di stato in sede giurisdizionale, la cui cognizione è di sola legittimità ed esclude quella dell'autorità giudiziaria ordinaria. Per gl'impiegati degli enti locali, la stessa competenza, estesa però di regola anche al merito, appartiene in primo grado alla Giunta provinciale amministrativa e in seconda istanza al Consiglio di stato. Per i particolari di questa giurisdizîone, v. giustizia. Per i ricorsi relativi al diritto a pensione e all'ammontare di questa, la competenza appartiene, esclusivamente, alla Corte dei conti.
Situazione numerica e di spesa del personale civile in servizio nelle amministrazioni dello stato. - La situazione numerica di tutti gl'impiegati dipendenti dalle amministrazioni dello stato con la spesa relativa gravante sul bilancio è riassunta nelle tabelle a p. 923.
Bibl.: H. Rehm, Die rechtliche Natur des Staatsdienstes, in Annalen des deut. Reichs, 1884-85; M. Giriodi, I pubblici uffici e la gerarchia amministrativa, in V. E. Orlando, Trattato di dir. amm., I, Milano 1897, pp. 325-437; G. Pacinotti, L'impiego nelle pubbliche amministrazioni, Torino 1907; C. Alcindor, Le statut des fonctionnaires, Parigi 1909; M. Carboni, Lo stato giuridico degli impiegati al servizio delle amministrazioni dirette dello stato, Roma 1911; S. Romano, Principî di dir. amm., Milano 1912, pp. 87-120; F. Wolfstieg, Die Beamtengesetzgebung des deut. Reichs, Berlino 1926; A. Brand, Das Beamtenrecht, Berlino 1928; IL Consiglio di stato nel biennio 1929-30, Roma 1931, pp. 262-613; F. D'Alessio,Istituzioni di dir. amm. it., I, Torino 1932, pp. 417-502; Situazione numerica dei personali civili e militari e spesa relativa al 1° gennaio 1932 (Supplemento alla Gazzetta Ufficiale, n. 87, 14 aprile 1932).
Impiego privato.
Il decreto luogotenenziale 1° maggio 1916, n. 490, dispose, ove concorressero determinate circostanze di fatto, il persistere del rapporto contrattuale fra il proprietario dell'azienda privata e l'impiegato che dovesse lasciare l'ufficio per prestare servizio militare, e inoltre impose, al proprietario, l'obbligo di corrispondere un'indennità all'impiegato. Con altro decreto luogoten. 2 settembre 1917, n. 1448, si fece obbligo ai proprietarî di aziende private di pagare ai loro impiegati a motivo dell'aumentato costo della vita, un'indennità commisurata allo stipendio, se questo non superasse una certa misura; per di più si regolarono i modi di risoluzione del rapporto fra proprietario dell'azienda e impiegato. Infine col decreto 24 novembre 1918, n. 1773, si prolungò il termine di preavviso per il licenziamento di chi avesse sostituito l'impiegato richiamato alle armi; si attribuì a questo il diritto a un' indennità nel caso di liquidazione volontaria dell'azienda; fu aumentata la misura dell'indennità caro-viveri e si dettarono alcune norme dirette ad assicurare l'osservanza delle principali disposizioni sancite a beneficio degl'impiegati.
Queste le principali tappe del cammino, che condusse il legislatore italiano alla disciplina del rapporto d'impiego privato, che s'intese dettare in modo meno incompleto mediante il decreto luogoten. 9 febbraio 1919, n. 112 e poi col decreto legge 13 novembre 1924, n. 1825, convertito poi nella legge 18 marzo 1926, n. 562.
Anche in altri stati furono approvate leggi allo scopo di regolare la speciale locazione d'opere degl'impiegati privati, o soltanto alcuni punti di questo rapporto, giudicati di maggiore momento. Valga d'esempio l'Austria (legge n. 292 del 1921); ai redattori di giornali e scrittori si applica la legge relativa ai giornalisti (n. 88 del 1920), in quanto le disposizioni di questa legge siano più favorevoli; alle persone impiegate nei teatri si applica la legge relativa agli spettacoli (n. 441 del 1922). Così pure l'Ungheria (decreto 1° marzo 1920), il Belgio (legge 7 agosto 1922), il Lussemburgo (legge 31 ottobre 1919), la Grecia (legge 2112, 11 marzo 1920), la Norvegia (legge 5 agosto 1921), la Finlandia (leggi 24 ottobre 1919 e 29 maggio 1922), la Spagna (legge 4 luglio 1918). Il codice di commercio tedesco ha norme sul rapporto di servizio degli ausiliarî di commercio e degli apprendisti (§ 59-83).
Il rapporto regolato dalla legge del 1924 è quello costituito mediante contratto fra il proprietario, individuo o società, di un'azienda privata (agricola, industriale, commerciale o professionale in generale, domestica), e la persona che si obbliga a collaborare con la propria opera, prevalentemente intellettuale e non prevalentemente manuale o fabbrile, nell'azienda stessa contro pagamento, da parte del proprietario, della convenuta retribuzione.
La legge italiana non s'applica agl'impiegati dello stato, delle provincie e dei comuni; invece siapplica agl'impiegati di persone giuridiche private, di enti parastatali, di enti pubblici, quando il rapporto non sia regolato già mediante altra legge o anche col mezzo di regolamento emanato per l'ordinamento dell'ente o istituto pubblico (legge 31 gennaio 1926, n. 100, art. 1).
Spesso i rapporti degl'impiegati privati, non diversamente da quelli degli operai, vengono costituiti senza fissarne la durata, e la maggior parte delle norme della legge sono dettate in considerazione di tale carattere normale o naturale del rapporto. Alle parti non è vietato prefiggere un termine alla durata del rapporto costituito; ma ciò deve risultare per iscritto. Inoltre, malgrado il patto, si dovranno applicare ugualmente le norme dettate per un rapporto formato a tempo indeterminato, quando l'apposizione del termine non sia giustificata dalla natura speciale del rapporto concreto, ma risulti rivolta a eludere le norme della legge.
La disciplina giuridica del rapporto d'impiego privato, non diversamente da quella del rapporto di lavoro in generale, ha le sue fonti, anzitutto, nelle norme di legge di carattere imperativo e quindi non derogabili mediante patti delle parti, nel contratto collettivo concluso fra le associazioni professionali, al quale il rapporto individuale sia soggetto, ovvero nelle norme equiparate dettate dalla corporazione competente o dal magistrato del lavoro (legge 3 aprile 1926, n. 563 e r. decr. 1 luglio dello stesso anno, n. 1130; dichiarazioni XI, XII, principalmente, della Carta del lavoro, approvata il 21 aprile 1927; legge 20 marzo 1930, n. 206, sul consiglio nazionale delle corporazioni); nel contratto, nel regolamento dell'azienda accettato dall'impiegato, nelle norme di legge di carattere suppletivo, nell'uso o consuetudine, nell'equità. Qualora nell'azienda siano occupati normalmente più di venti impiegati, è fatto obbligo al proprietario di redigere un regolamento, il quale determini gli obblighi degl'impiegati, e di affiggerlo nella sede dell'azienda stessa. La legge del 1924 attribuisce espressamente alle proprie norme un carattere imperativo e inderogabile, a meno che il contratto o l'uso abbiano patti o regole, rispettivamente, più favorevoli all'impiegato nel confronto con le norme della legge medesima, perché in tale ipotesi il contratto o l'uso prevale su quella. Ove un contratto collettivo desse regole diverse dalle norme della legge e meno favorevoli all'impiegato, la legge dovrebbe prevalere.
A motivo del carattere personale della prestazione, oggetto della obbligazione principale assunta dall'impiegato, il genitore, che esercita la patria potestà o, in difetto, il tutore, non potrà obbligare il minore di età a costituirsi in rapporto d'impiego senza che concorra il consenso del minorenne medesimo. La donna maritata ha capacità per assumere impiego; ma il marito potrebbe chiederne la cessazione, ove a motivo dell'ufficio assunto la moglie trascurasse i proprî doveri coniugali (articolo 130 cod. civ.).
La durata del rapporto d'impiego può essere subordinata al buon esito d'un periodo di prova, ma il patto relativo deve risultare da scritto. La legge stabilisce la durata massima del periodo di prova, cioè 6 mesi o 3, secondo la specie e l'importanza dell'ufficio. Durante il detto periodo ciascuna delle parti può sciogliere il rapporto senza obbligo di osservare il termine di preavviso o, in difetto, pagare la corrispondente indennità. Il servizio prestato durante il periodo di prova, seguito dalla conferma, anche tacita, nell'ufficio, deve essere computato agli effetti dell'anzianità.
L'obbligazione principale dell'impiegato è quella di prestare personalmente e con diligenza (art. 1224 cod. civ.) le opere promesse nel tempo, nel luogo e nel modo convenuti. Egli è tenuto a obbedire agli ordini che vengano impartiti dal principale o dai suoi preposti per la migliore funzione dell'azienda. Deve custodire i segreti dell'azienda stessa e non può volgere la loro conoscenza a vantaggio proprio o di terzi. Va da sé che non possa fare concorrenza al principale, trattando direttamente o mediante interposta persona affari per conto proprio o di terzi. Al principale sono riconosciuti un potere disciplinare e la facoltà di stabilire previamente, ad es., mediante regolamento, misure e provvedimenti contro le trasgressioni che l'impiegato commettesse agli obblighi assunti. Sciolto il rapporto, l'impiegato deve astenersi dal muovere concorrenza sleale a chi fu il suo principale, abusando di notizie attinte nell'azienda. In materia di rapporto di lavoro in generale può accadere che all'estinzione o risoluzione del rapporto sopravviva un' obbligazione del debitore del lavoro, se fu convenuto che questi non possa assumere presso altri lavoro uguale o analogo, nel quale potrebbe fare concorrenza all'imprenditore che ha lasciato. Si ritiene che tali clausole siano lecite e valide quando la loro efficacia abbia limiti di tempo e di luogo; cioè si dovrebbe dire nulla quella clausola, la quale, avuto riguardo all'oggetto, al tempo e al luogo, recasse una restrizione eccessiva e ingiustificata alla libertà e attività economica della persona obbligata. Ora in tema di impiego privato, per la legge italiana, è lecita e valida quella clausola, la quale sia diretta a vietare l'abuso da parte dell'impiegato delle notizie apprese nell'azienda di chi fu il suo principale, e l'abuso si avrebbe negli atti di concorrenza sleale. Sarebbe invalida quella clausola, la quale avesse per risultato d'impedire all'impiegato di fare onesto uso delle cognizioni apprese nell'azienda che ha lasciato.
Più spesso è obbligo del principale fornire all'impiegato gli strumenti e l'ambiente necessarî, affinché questi possa adempiere alle proprie incombenze. L'ambiente di lavoro deve soddisfare le esigenze della morale e dell'igiene. Vanno rispettate le pause diurne e settimanali (un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive per ciascuna settimana), e le ferie annuali stabilite da legge o da altra delle fonti di disciplina del rapporto. La legge del 1924 prescrive la durata minima delle ferie per ogni anno di effettivo servizio; essa varia da 10 giorni a 30 a seconda dell'anzianità di servizio. La scelta dell'epoca spetta al principale, il quale sopporta il rischio dell'impresa e di questa ha la direzione. Normalmente la durata del lavoro quotidiano ed effettivo nelle aziende industriali, commerciali, negli uffici, nelle aziende agricole, limitatamente per queste ultime agli avventizî, non può eccedere le 8 ore, e il lavoro settimanale non può superare le 48; ma alla regola sono fatte eccezioni per gli uffici direttivi, per i commessi viaggiatori, per il lavoro che si presta in modo discontinuo, per il lavoro di semplice attesa o di custodia. Se per accordo fra le parti, oltre al lavoro normale, venga prestato lavoro straordinario, nei limiti segnati dal r. decr. legge 15 marzo 1923, n. 692, e salve le eccezioni ivi fatte, l'opera straordinaria dovrà essere retribuita aumentando del 10% almeno il compenso convenuto per il lavoro ordinario. Il lavoro straordinario è spesso oggetto di norme anche da parte di regolamenti d'azienda o di contratti collettivi.
Il principale deve pagare la retribuzione all'impiegato nella specie (stipendio fisso in denaro, partecipazione agli utili dell'azienda, provvigione; retribuzione in natura, come alloggio, riscaldamento, luce) e nella misura, nel luogo, modo e tempo convenuti; nel difetto di patto, nel tempo d'uso nel luogo dove l'azienda ha la sua sede. Quando la retribuzione consista, in tutto o in parte, in una provvigione in relazione agli affari trattati o conclusi dall'impiegato, salvo diverso patto scritto, il principale deve corrispondere la provvigione per gli affari conclusi nella misura d'uso per la corrispondente specie di affari nel luogo dove è la sede principale dell'azienda.
Se la prestazione delle opere venga interrotta per causa di malattia o infortunio subiti dall'impiegato, il rapporto non è per ciò troncato, ma solo ne è sospesa l'integrale esecuzione. Il principale è tenuto a conservare il posto all'impiegato per un certo tempo, cioè per tre mesi o sei a seconda dell'anzianità di servizio e nel primo caso dovrà pagare la retribuzione per intero durante il primo mese e per metà durante i due mesi successivi; nel secondo caso per intero nei primi due mesi, per la metà durante i successivi, salvo dedurre quanto l'impiegato abbia diritto a percepire grazie ad atti di previdenza compiuti dal principale. Se motivo d'interruzione nella prestazione è la gravidanza o il puerperio, l'impiegata conserva l'impiego nonostante l'assenza fino a tre mesi e percepisce la retribuzione intera per il primo mese e la metà per i due successivi.
L'impiegato richiamato alle armi conserva il posto, e il principale deve corrispondergli per tre mesi un'indennità mensile uguale alla retribuzione. Il tempo trascorso alle armi è calcolato agli effetti dell'anzianità.
Qualora l'impiegato non potesse prestare le opere per fatto del principale, questi deve corrispondere ugualmente la retribuzione. Il rifiuto del principale equivarrebbe a risoluzione del rapporto per sua volontà e perciò l'impiegato avrebbe diritto all'indennità stabilita per il caso di licenziamento.
Fino a che non sia dettata per legge l'eccezione al diritto comune vigente (art. 583 seg. cod. proc. civ.), si deve ritenere oggetto possibile di pignoramento il credito dell'impiegato alla retribuzione, come alla indennità di licenziamento. Finora non possono essere pignorati, né sequestrati, di regola, gli stipendi degl'impiegati di compagnie assuntrici di pubblici servizî ferroviarî, tramviarî e marittimi.
Il principale deve tutelare l'integrità fisica e morale dell'impiegato; deve adottare le misure di sicurezza e d'igiene che valgano a proteggerlo contro il pericolo di malattia e d'infortunio, cui possa dare causa la prestazione delle opere, ed è tenuto a risarcire il danno sofferto dall'impiegato per colpa di esso principale o dei suoi commessi.
L'impiegato, che abbia compiuto l'età di 15 anni e non superata quella di 65, deve essere assicurato a cura del principale e col suo contributo contro la disoccupazione involontaria, l'invalidità e la vecchiaia, e contro la tubercolosi. Chi è impiegato nella navigazione civile, marittima e aerea, eccettuate le persone addette a servizî amministrativi, deve essere assicurato anche contro le malattie.
Un'altra obbligazione del principale è quella che si riallaccia all'estinzione o risoluzione del contratto, cioè l'obbligo di rilasciare all'impiegato, il quale abbandona l'azienda, qualunque ne sia la causa, un certificato del servizio prestato con l'indicazione della natura e della durata delle incombenze esercitate. L'impiegato non può pretendere che sia espresso anche un giudizio sull'opera prestata.
Il rapporto d'impiego privato costituito a tempo indeterminato può essere risolto mediante dichiarazione di volontà di una delle parti all'altra osservato il termine di preavviso stabilito dalla legge, ovvero quello più ampio fissato dal contratto o dall'uso. Nell'ipotesi che il contratto e l'uso fissassero termini diversi, si dovrebbe dare la precedenza al contratto, anche se il termine d'uso fosse maggiore. Nel difetto del dovuto termine di preavviso, la parte che risolve il rapporto deve pagare all'altra una indennità uguale alla retribuzione corrispondente al termine di preavviso non osservato. Questo termine, che decorre dalla metà o dalla fine del mese, è fissato in misura diversa secondo la specie dell'ufficio e l'anzianità di servizio. Ad assicurare l'osservanza da parte dell'impiegato dell'obbligo del preavviso o della corrispondente indennità, è consentito al principale di ritenere ciò che l'impiegato gli deve a titolo d'indennità su quanto all'impiegato stesso sia dovuto.
Oltre a osservare il termine di preavviso o in difetto a pagare la corrispondente indennità, il principale deve corrispondere all'impiegato assunto a tempo indeterminato e licenziato senza sua colpa un'ulteriore indennità (indennità di anzianità) uguale almeno alla metà dell'importo di tante retribuzioni mensili quanti sono gli anni di servizio prestati. Si ha riguardo alla retribuzione, cui l'impiegato aveva diritto allorché il rapporto ha avuto fine. Per calcolare l'indennità sono equiparate allo stipendio le indennità di carattere continuo e determinate, le provvigioni, i premî di produzione e la partecipazione agli utili; devono essere computate anche le retribuzioni in natura, come l'alloggio. Si deve tener conto d'ogni corrispettivo dell'opera prestata, escludendosi quanto fosse rimborso di una spesa. È facoltà del principale dedurre dall'indennità di licenziamento quanto l'impiegato abbia diritto a percepire grazie ad atti di previdenza compiuti dal principale stesso, a meno che fosse stata convenuta espressamente l'esclusione di tale deduzione. Le indennità spettanti all'impiegato devono essergli pagate quando ha fine il suo servizio.
Se il rapporto d'impiego fu costituito per un tempo determinato, il decorso del tempo convenuto è causa della fine o risoluzione del rapporto stesso e non è necessaria disdetta o preavviso di una parte all'altra.
Il rapporto formato a tempo indeterminato può essere risolto per dichiarazione di volontà d'una delle parti e senza preavviso e il rapporto formato a tempo determinato può essere risolto prima che sia decorso il tempo convenuto quando una parte dia giusta causa alla risoluzione immediata. Giusti motivi di risoluzione in tronco non sono soltanto inadempienze, ma anche altri fatti varî, verificandosi i quali sarebbe ingiusto pretendere la continuazione del rapporto finché non sia spirato il periodo di preavviso, ovvero il pagamento della corrispondente indennità. È giusta causa una mancanza così grave da non consentire la prosecuzione, sia pure temporanea, del rapporto, come, ad es., gli atti di insubordinazione, il contegno offensivo dell'impiegato verso il principale o le persone da questo preposte; gli atti d'infedeltà, l'abuso di fiducia, la violazione dei segreti d'ufficio, il fare concorrenza al proprio principale, peggio se con atti illeciti; il volgere la fiducia, di cui l'impiegato gode, a danno del principale, le assenze dall'ufficio senza giustificazione, nonostante i richiami. Dal lato del principale l'inadempienza all'obbligo di pagare la retribuzione, le ingiurie, le violenze, le offese all'onore o alla dignità dell'impiegato.
La chiamata dell'impiegato alle armi per l'adempimento dell'obbligo di leva è causa di risoluzione del rapporto, salvo patto diverso, e all'impiegato spetta un'indennità uguale a uno stipendio mensile.
La riduzione dell'azienda, la sua cessazione o liquidazione non esonerano il principale dall'obbligo d'osservare il termine di preavviso o pagare la corrispondente indennità, nonché l'altra di anzianità, a meno che i suddetti fatti abbiano origine esclusiva in un caso di forza maggiore, cioè non vi concorra insieme la volontà del principale, come, ad es., il divieto legislativo dell'importazione o dell'esportazione della merce che è l'oggetto dell'attività sociale, la chiusuta dell'azienda per ordine dell'autorità, la distruzione dello stabilimento per fatto di guerra.
Se il proprietario cede, cioè aliena l'azienda ad altri, il cessionario o acquirente, che non assuma l'impiegato con gli obblighi correlativi ai diritti spettanti all'impiegato stesso per effetto del servizio prestato, è tenuto come l'alienante agli obblighi che incombono a questo a motivo del licenziamento dell'impiegato. L'alienante non rimane liberato per ciò che l'acquirente assume le stesse obbligazioni (accollo cumulativo presunto iuris et de iure). La stessa regola vale qualora l'azienda subisse modificazioni, ad es., per cambiamento della ragione sociale, trasformazione dell'azienda da individuale a sociale o viceversa, fusione di società.
La dichiarazione di fallimento del principale non è causa di risoluzione ipso iure del rapporto d'impiego, perché il curatore ha la facoltà di fare proprio del fallimento il rapporto, in corso d'esecuzione, nell'interesse della massa dei creditori (art. 806 cod. di comm. in tema di compravendita). Se il curatore si vale della detta facoltà, l'impiegato deve prestare le opere come era tenuto verso il fallito e ha diritto alla retribuzione nella misura e alle scadenze contrattuali. Il principio soffrirebbe eccezioni solo quando le opere avessero un carattere prettamente personale al principale, in guisa da non lasciarsi volgere a beneficio della massa dei creditori. Qualora a motivo del rifiuto del curatore di fare proprio del fallimento il rapporto costituito col fallito, ovvero per il carattere prettamente personale delle opere, il rapporto rimanesse troncato, la legge italiana attribuisce all'impiegato diritto d'esigere le indennità spettanti per il caso di licenziamento.
Il credito per l'indennità di licenziamento, come per la retribuzione, ha privilegio sulle cose mobili del fallimento, nello stesso grado del privilegio concesso al credito per le retribuzioni relative ai 6 mesi anteriori alla dichiarazione del fallimento. Tale privilegio è escluso nei dissesti minori, a sensi della legge 24 maggio 1903, n. 197.
La morte dell'impiegato è causa di risoluzione del rapporto a motivo del carattere personale della prestazione, laddove a motivo della morte del principale si scioglierà il rapporto, ove nel formarlo si abbia avuto particolare considerazione alla di lui persona. Al coniuge e ai congiunti (parenti o affini) non oltre il quarto grado dell'impiegato, i quali vivevano a suo carico, anche solo in parte, spetta, in caso di morte dell impiegato stesso, qualunque sia la causa della morte, un'indennità uguale a quella stabilita per il caso di licenziamento, dedotto quanto essi abbiano diritto a esigere da casse pensioni o società d'assicurazioni, grazie ad atti di previdenza compiuti dal principale. Al coniuge e ai congiunti stessi spetta anche l'indennità di anzianità, che sarebbe spettata all'impiegato ove il rapporto fosse cessato per effetto del licenziamento.
Bibl.: R. Montessori, Il contratto d'impiego privato nel progetto di legge presentato alla Camera dei deputati, Venezia 1916; id., Il contratto d'impiego privato nella legislazione luogotenenziale, Modena 1918; P. Falletti, Il contratto d'impiego privato, Milano 1923; D. R. Peretti Griva, Il contratto d'impiego privato, Milano 1925; U. Guidi, Il contratto d'impiego privato, Milano 1925; F. Pergolesi, Il contratto d'impiego privato, S.Casciano Val di Pesa 1928.