IMPIEGO
. Impiego Pubblico (XVIII, p. 921; App. III, 1, p. 848). - La normazione sul pubblico i. continua a essere caratterizzata dalla frammentarietà ed episodicità di leggine approvate a seguito di spinte settoriali. Anche le leggi che sembrano avere più ampio orizzonte rispondono piuttosto alla necessità di far fronte a disfunzioni e di correggere alcuni ristretti aspetti della situazione vigente che non al proposito d'introdurre un ordinamento rinnovato e razionale. Ne deriva la sensazione di una inorganicità che sfugge a qualsivoglia sistematica: le norme rampollano in misura più o meno torrenziale; proposte di leggi nate con qualche aspirazione di organicità vengono emendate e trasformate durante l'iter di approvazione o, divenute leggi, rapidissimamente modificate. La percentuale delle proposte di legge in materia di pubblico i. presentate in ogni legislatura è altissima (nella V, dal 1968 al 1972, ben 868 su circa 5000, cioè un sesto del totale), e anche se la maggior parte non viene neppure presa in esame i soli progetti che arrivano all'approvazione bastano ad aumentare il caos organizzativo e a rendere sempre più difficile e dispendiosa la gestione del personale.
Lo statuto degl'impiegati dello stato (T.U. 10 gennaio 1957, n. 3) ha subìto numerose modificazioni che lo hanno profondamente trasformato. Esso costituisce tuttavia ancora il testo normativo di base cui occorre richiamarsi descrivendo l'ordinamento vigente ancor oggi fondato sulla distinzione del personale in carriere (direttiva, di concetto, esecutiva, ausiliaria). La qualificazione dei gradi in cui si dividono le carriere, intesa ad attribuire a ogni qualifica determinate mansioni e responsabilità, rimasta inattuata col T.U. n. 3 è stata solo in piccola parte realizzata con la normazione successiva. Del pari pressoché inattuato è rimasto nel 1957 il disegno di pervenire a un contenimento delle qualifiche, realizzato poi parzialmente col d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1077. Si è dato un timido avvio alla realizzazione del principio della carriera economica in quanto sono stati previsti scatti periodici biennali illimitati nella stessa qualifica. La determinazione del trattamento economico è stata resa corrispondente a coefficienti connessi alle qualifiche.
Se il difetto di fondo della riforma del 1957 era quello di aver conservato immutati i principi basilari del sistema del 1923 e di aver lasciato un numero eccessivo di qualifiche non corrispondenti a effettive funzioni, la situazione si è aggravata con le leggi 19 ottobre 1959, n. 828 (cosiddetta Pitzalis) e 22 ottobre 1961, n. 1143, che hanno consentito promozioni in soprannumero alle qualifiche d'ispettore generale e lo sviluppo a ruolo aperto nelle altre carriere. Le deleghe conferite al governo con le leggi 18 marzo 1969, n. 249, e 24 ottobre 1970, n. 775, hanno permesso l'emanazione di ulteriori decreti delegati intesi a riordinare ancora una volta le carriere degl'impiegati civili (d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1077) e degli operai dello stato (d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1078); a ridisciplinare il trattamento economico (d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079) e la liquidazione delle pensioni (d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1081). Col giugno 1972 sono state emanate le disposizioni sulla cosiddetta "dirigenza" (d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748) e sulle ex carriere speciali (d.P.R. 10 giugno 1972, n. 319) e da ultimo è sopravvenuta la l. 15 novembre 1973, n. 734, concernente l'assegno perequativo ai dipendenti che non avevano beneficiato delle disposizioni di favore dettate per gli alti dirigenti.
Particolare menzione occorre fare del decreto n. 748 del 1972 anche per le sue vicissitudini (il decreto legislativo è stato registrato dalla Corte dei conti solo con riserva e su di esso si sono avuti accesi dibattiti in Parlamento). La necessità di una modifica di fondo della struttura e dell'ordinamento dei dirigenti statali era stata già riconosciuta con la legge di delega 18 marzo 1968, n. 249. Ma essa aveva previsto solo l'emanazione di decreti delegati intesi ad adeguare il trattamento economico di coloro che erano effettivamenti preposti a direzioni generali, attraverso la concessione di un'indennità di carica, corrispondente alla rilevanza e responsabilità della funzione, in modo da equiparare il trattamento complessivo a quello del consigliere di Cassazione.
Nel periodo in cui si poneva mano agli studi intesi ad attuare la delega si pensò di riordinare e ristrutturare ex novo la cosiddetta "alta dirigenza", in modo da creare una vera e propria categoria selezionata e formata con criteri manageriali, nonché dotata di ampi poteri e responsabilità e idonea a dare all'amministrazione pubblica un'impronta moderna ed efficientistica. Furono presentate, da parte di alcuni studiosi, delle proposte intese a creare, presso la Presidenza del Consiglio, un unico quadro dei dirigenti dello stato, articolato in più sezioni (una amministrativa e altre tecniche) con una ristretta dotazione organica. Accanto a questo quadro unico, che avrebbe assicurato anche la necessaria mobilità, evitando la formazione di compartimenti stagni, si proponeva la ristrutturazione dei ruoli del personale direttivo formando dei ruoli di funzionari coadiutori, vivaio dal quale, attraverso un concorso e un corso selettivo, selezionare coloro che avrebbero poi ricoperto i posti del quadro unico dei dirigenti.
La nuova delega contenuta nella legge n. 775 del 1970 ha introdotto dei criteri differenti prevedendo funzioni e qualifica dirigenziale per i funzionari a partire dalla qualifica di direttore di divisione e disponendo che l'accesso alla carriera dirigenziale avvenga dall'interno, mediante un corso dirigenziale, con esami finali, e non attraverso concorsi con ingresso laterale.
Dalle nuove disposizioni deriva la scissione della carriera direttiva in due parti, la direttiva e la dirigenziale suddistinta a sua volta in dirigenziale inferiore (ex capi divisione e ispettori generali) e superiore (direttori generali e qualifiche equiparate e superiori).
La nuova disciplina consente d'identificare le funzioni di dirigente attraverso le caratteristiche della qualifica (determinazione oggettiva della prestazione dovuta nel rapporto di servizio, costruita secondo il criterio delle mansioni e contemporaneamente diritto dell'impiegato all'esercizio delle funzioni inerenti alla qualifica stessa) e delle funzioni (connesse alla posizione nell'organizzazione e caratterizzate dalle mansioni effettivamente attribuite con l'atto di preposizione ed effettivamente svolte). In sostanza la qualifica finisce per significare solo che chi la possiede non può essere addetto a mansioni proprie di altre carriere, che ha diritto al trattamento economico corrispondente, che ricopre un posto della dotazione organica e che esiste una sua potenziale possibilità di vedersi affidare compiti di dirigente sia nella forma della preposizione a organi esterni, sia con l'assegnazione di uffici senza rilevanza esterna, sia con l'affidamento di incarichi equiparati.
Le attuali carriere direttive acquistano il ruolo e la finalità di formare, attraverso la conoscenza dell'amministrazione-servizio, coloro che dovranno essere l'amministrazione-agente, cioè i funzionari elevati, portatori e realizzatori della volontà dell'amministrazione. Il concetto tradizionale del funzionario che, entrato in carriera, raggiungerà, in mancanza di particolari demeriti, i più alti livelli, in parte viene meno, mentre diviene più facile concepire l'intero iter della carriera direttiva (inferiore) come un sistema selettivo e di preparazione permanente. Il limite corporativo del mantenimento dell'unità della carriera direttiva si congiunge a quello della rigidità della carriera all'interno di ciascuna amministrazione (cioè della non mobilità orizzontale dei quadri).
La nuova normazione prevede un corso di 14 mesi a carattere e indirizzo spiccatamente professionale, vertente soprattutto sulle tecniche dirette ad assicurare la più razionale organizzazione dell'amministrazione e l'economicità, oltre che l'efficienza, della sua azione, senza rinunciare contemporaneamente a curare l'approfondimento della cultura giuridico-amministrativa o tecnico-scientifica, indispensabile per svolgere le funzioni di alto dirigente. L'attuazione del nuovo sistema selettivo ancora non ha avuto inizio e non mancano tentativi, da parte delle categorie interessate, di un continuo rinvio.
Nel campo della normazione sul pubblico i. vanno segnalate altre novità e indirizzi: precisamente quelli connessi a leggi regionali. Fino ad ora gli enti pubblici hanno avuto la tendenza ad adeguarsi alle norme generali dello stato, riconoscendo alla normazione da esso emanata in materia la caratteristica di normazione pilota (contenente i principi generali della materia e con la caratteristica di fonte integrativa). Invece ora, già dagli statuti regionali emergono alcune differenze di fondo. È previsto un solo ruolo per tutto il personale (fa eccezione lo statuto della Lombardia che ne prevede due, ma in quanto ne riserva uno ai dipendenti dell'organo legislativo). Alcuni statuti prevedono espressamente che alle varie qualifiche funzionali si acceda mediante pubblico concorso, cioè attraverso il sistema dell'ingresso laterale. Tutte le regioni hanno previsto nelle proprie leggi una figura organizzativa che opera all'interno delle singole unità operative (il coordinatore di dipartimento, di ufficio o di settore). Gli uffici regionali vengono strutturati in modo da non essere, come quelli pubblici tradizionali, la somma di alcune articolazioni interne, ma da avere un'unità interna nella quale il lavoro si svolge attraverso dei gruppi le cui competenze sono stabilite di volta in volta in relazione agli obiettivi da raggiungere. Quando si devono svolgere attività di routine si creano dei servizi: la novità è che detti servizi non hanno una propria dotazione organica, sono essenzialmente componibili e scomponibili con atti amministrativi della Giunta. Viene meno la rigidità organizzativa che finora ha costituito la regola dei pubblici uffici.
Deve segnalarsi che la legislazione regionale ha compiuto un notevole sforzo per la determinazione delle mansioni obiettive dei dipendenti e per favorire la mobilità di tutto il personale in modo da poter far fronte rapidamente alle necessità organizzative a mano a mano che si verificano.
Va segnalata infine la l. 20 marzo 1975, n. 70 (cosiddetta l. sul parastato) contenente disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente, che ha inteso appunto dettare principi generali sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale degli enti pubblici, ispirati ai criteri della qualificazione professionale e funzionale e della responsabilizzazione, nel rispetto dell'autonomia degli enti (che potranno continuare a provvedere con regolamenti ma nell'ambito dei principi così stabiliti). La nuova legge ha introdotto (e ciò si sta di fatto verificando anche per i dipendenti statali) il principio della contrattazione sindacale come base per ogni variazione e per l'ulteriore disciplina del trattamento economico. La nuova legge accoglie di riflesso alcune innovazioni già introdotte dalla normazione regionale: il rapporto d'impiego conserva le sue caratteristiche pubblicistiche, ma si avvia verso forme organizzative nuove, più agili, cercando di abbandonare la tradizionale organizzazione burocratica (v. burocrazia, in questa App.) per aderire ai principi della funzione e della qualificazione.
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