importazione
Attività realizzata attraverso l’acquisto da parte di un sistema economico di beni e servizi prodotti all’interno di economie estere. Per lungo tempo le i. hanno riguardato esclusivamente (o quasi) l’acquisto di merci non disponibili all’interno del Paese importatore, mentre in tempi più recenti hanno compreso anche l’acquisto di tipi di beni prodotti all’interno dello Stato importatore, ma differenti da questi per caratteristiche quali prezzo e/o qualità. Il WTO (➔) stima che il peso delle i. di merci e servizi sul reddito mondiale sia pari al 30%, di cui quasi 3/4 dovuti allo scambio di prodotti. Con il trascorrere del tempo e l’incedere della globalizzazione (➔), il peso delle i. sul PIL di ciascun Paese è andato aumentando, a conferma di un crescente grado di apertura commerciale, favorito dall’adozione di politiche di liberalizzazione volte a ridurre le barriere (tariffarie e non) che ostacolano gli scambi. In modo assolutamente simmetrico con quanto avvenuto per le esportazioni (➔ esportazione), anche la struttura delle i. si è sensibilmente modificata nel tempo, sia in senso merceologico sia geografico. La maggior parte delle i. mondiali di merci riguarda lo scambio di beni manufatti (oltre 66%), mentre agli inizi del 20° sec. l’attività commerciale internazionale consisteva quasi interamente di scambi di materie prime. I principali importatori – sia di beni sia di servizi – sono gli Stati Uniti. Il legame esistente nel lungo periodo tra i. e crescita di un sistema economico è stato spesso condizionato dall’adozione di particolari strategie commerciali e industriali. Per molti decenni, diverse economie in via di sviluppo ed emergenti hanno cercato di favorire il proprio processo di industrializzazione mediante l’erogazione di sussidi a beneficio di aziende che producevano beni normalmente importati dal resto del mondo e l’imposizione di tariffe sui beni importabili. Tale processo di industrializzazione, fondato sulla sostituzione delle i. (➔ ISI, Import Substitution Industrialization), è stato spesso giustificato dal tentativo di promuovere lo sviluppo locale di industrie nascenti (infant industry argument). Secondo i sostenitori dell’ISI, un’industria di questo tipo, in assenza di adeguati sussidi e/o incentivi che garantiscano un certo tasso di protezione, non potrebbe reggere il peso della concorrenza estera, soprattutto qualora l’attività produttiva fosse caratterizzata da economie di scala (➔ scala, economie di) dinamiche particolarmente intense, dovute all’esistenza di fenomeni di apprendimento (learning by doing) capaci di generare notevoli incrementi di produttività. Tale strategia è stata successivamente posta in discussione, soprattutto per via delle notevoli distorsioni indotte dall’adozione di politiche protezioniste.