REDDITO, Imposta sul
Principi generali. - È noto che le esigenze più sentite, tra le molte che hanno condotto alla riforma dell'imposizione sul r. (attuata dai d.P.R. 29 sett. 1973 nn. 597, 598, 599, 600, 601 e 602 e successive modificazioni, in esecuzione della delega legislativa di cui la l. 9 ott. 1971, n. 825), sono state quelle della semplificazione e razionalizzazione del sistema e di una più puntuale attuazione dell'art. 53,1° e 2° comma della Costituzione (cioè dei principi del concorso di tutti alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva e della progressività del sistema tributario).
La prima di queste esigenze è stata soddisfatta mediante la sostituzione del numeroso stuolo dei tributi sul r. (reali e personali, erariali e locali) con un'unica imposta erariale personale sul r. complessivo (costituita, a seconda della natura del soggetto passivo, dall'imposta sul r. delle persone fisiche ovvero delle persone giuridiche), integrata in sede locale da un'imposta reale che colpisce tutti i r. a eccezione di quelli di lavoro subordinato, e inoltre, mediante la tendenziale unificazione dell'imponibile e del procedimento di accertamento. La rilevanza delle modifiche può essere valutata considerando, in primo luogo, che i due attuali tributi hanno sostituito una vasta serie di balzelli come, per es., l'imposta sul r. dominicale, agrario, dei fabbricati, di ricchezza mobile (a sua volta suddivisa in 4 categorie) e le relative sovraimposte erariali e locali; l'imposta complementare progressiva sul r. complessivo e quella sulle società; le imposte locali di famiglia, di patente, sul valore locativo, il contributo di manutenzione delle fognature, ecc.; le addizionali erariali e locali, ecc. Ma il sistema, in secondo luogo, è stato razionalizzato anche nel senso che, da una parte, in linea di principio la determinazione del r. effettuata ai fini dell'imposta erariale (IRPEF o IRPEG) rileva pure ai fini dell'imposta locale (ILOR) e che, dall'altra, la dichiarazione e il relativo procedimento di accertamento (che, per le persone fisiche, consente la partecipazione del Comune) sono veramente unici, cioè esplicano effetti ai fini di entrambi i tributi cui il contribuente è assoggettato. Tale unificazione se ha semplificato il sistema impositivo ha però sostanzialmente spogliato gli enti locali di un'autonoma potestà d'imposizione.
La seconda esigenza è stata soddisfatta mediante la discriminazione quantitativa e qualitativa dei redditi. Quantitativamente, infatti, i r. più elevati subiscono una falcidia più che proporzionale, in virtù delle aliquote progressive per scaglioni dell'imposta sul r. delle persone fisiche, qualitativamente, poi, vengono trattati con favore i r. di lavoro subordinato rispetto a tutti gli altri in quanto beneficiano di particolari detrazioni da imposta e sono esclusi dall'ILOR e, nell'ambito di questo ultimo tributo, inoltre, vengono favoriti i r. alla cui produzione concorre il lavoro (cioè quelli agrari, d'impresa, e di lavoro autonomo e non pure i r. di capitale, dei fabbricati, dominicali) in quanto nei loro confronti la legge contempla una particolare e rilevante detrazione dall'imponibile.
Inoltre, al fine di avvicinare il più possibile il momento del prelievo tributario a quello della produzione del r., con la riforma, da una parte è stato ampliato il campo di applicazione dello strumento tecnico della ritenuta alla fonte, e dall'altra è stato esteso l'ambito della cosiddetta autoimposizione (che ora riguarda l'IRPEF, l'IRPEG e l'ILOR) consistente nell'obbligo per il contribuente di calcolare da sé il tributo, in relazione alla dichiarazione dei r. da presentare, e di versarlo all'ente impositore, eliminando, quindi, la fase dell'iscrizione a ruolo ad opera dell'ufficio delle imposte: iscrizione a ruolo che, peraltro, viene effettuata con l'aggiunta di sanzioni e interessi, oltre che nel caso di mancata autoimposizione, anche nel caso di definitiva o anche provvisoria determinazione di un imponibile (e, quindi, di un tributo) maggiore di quello dichiarato (e, quindi, pagato in relazione alla dichiarazione).
Nella stessa prospettiva deve collocarsi la normativa, successiva ai decreti del 1973, che ha previsto l'anticipato versamento del 75% dell'imposta, pagata in base all'ultima dichiarazione presentata, quale acconto dell'imposta da pagarsi in relazione alla dichiarazione dell'anno successivo.
I - L'imposta sul reddito delle persone fisiche. - L'imposta che riveste di gran lunga il maggiore interesse è quella sul r. delle persone fisiche (IRPEF, d.P.R. n. 597), sia perché rappresenta il tributo qualificante della riforma per la sua spiccata personalità e progressività, sia perché - nonostante la sua alternatività con l'imposta sul r. delle persone giuridiche - essa colpisce anche l'utile delle persone giuridiche nell'ipotesi che esso venga distribuito, in capo ai percettori, sia perché buona parte delle sue disposizioni, e in particolare quelle relative alla determinazione dei singoli r. componenti il r. complessivo, sono applicabili anche all'imposta sul r. delle persone giuridiche ed esplicano poi un automatico rilievo ai fini dell'ILOR.
La personalità dell'imposta sul r. delle persone fisiche è manifestata, in primo luogo, dal fatto che la sua base imponibile è costituita da un r. complessivo netto formato dal concorso di tutti i tipi di r. (di capitale, d'impresa, di lavoro dipendente e autonomo, dei fabbricati, dei terreni, diversi, ecc.) in denaro o in natura, continuativi od occasionali, prodotti in Italia o all'estero, posseduti dal soggetto passivo, compresi i r. altrui di cui egli abbia la libera disponibilità o l'amministrazione senza obbligo della resa dei conti. L'originaria stesura dell'IRPEF (in linea con le imposte, precedenti alla riforma, di famiglia e complementare progressiva sul r. complessivo) spingeva a tal punto la personalizzazione del tributo da prevedere il cumulo dei r. dei coniugi, non legalmente ed effettivamente separati, dei figli minori, ecc.
A seguito di una sentenza della Corte Costituzionale (1976, n. 179), che ha dichiarato l'illegittimità del cumulo (lasciando molti dubbi di natura giuridica ma consentendo l'adeguamento della legislazione italiana a più moderne forme d'imposizione), la disciplina in materia è stata definitivamente sostituita da quella attualmente vigente che contempla la separata tassazione dei r. dei coniugi con l'imputazione a ciascuno della metà delle detrazioni per figli minori, ecc. (l. 13 apr. 1977, n. 114).
La personalità dell'IRPEF è manifestata, in secondo luogo, anche dal sistema di detrazioni da imposta (contemplate per la prima volta dalla riforma), visto che alcune di esse - dette appunto soggettive - sono specificamente poste al fine di adeguare il tributo alla composizione del nucleo familiare (art. 15) e alla natura dei r. (detrazioni a favore dei lavoratori dipendenti, pensionati, piccoli imprenditori, ecc. art. 16).
L'altra caratteristica dell'imposta sul r. delle persone fisiche, che costituisce una puntuale applicazione dell'articolo 53, 2° comma, della Costituzione e un'accentuazione della personalità, è la sua progressività. Molto opportunamente, però, il legislatore ha abbandonato il solco della cosiddetta "progressività continua", adottato per l'imposta complementare sul r. complessivo (che avrebbe comportato l'applicazione della più elevata aliquota all'intero imponibile), a favore della "progressività per scaglioni" che comporta l'applicazione di aliquote crescenti ma nell'ambito di ciascuna fascia d'imponibile, non determinando così l'inconveniente - possibile nell'altro sistema - di un incremento di prelievo tributario maggiore dello stesso incremento di r. imponibile.
Il presupposto e la territorialità dell'imposta. - La definizione legislativa del presupposto dell'imposta sul r. delle persone fisiche è perfettamente corrispondente a quella del presupposto dell'imposta sul r. delle persone giuridiche e ciò conferma che l'assoggettamento all'uno o all'altro dei due tributi non è determinato dalla natura dei r. colpiti dal tributo, come avveniva nel sistema abrogato, ma soltanto dalla natura del soggetto passivo. Di qui la stretta connessione esistente tra la situazione di fatto che rende dovuto il tributo e l'identificazione dei soggetti passivi.
Presupposto dell'imposta, è infatti, "il possesso (da parte di soggetti passivi persone fisiche) di redditi in danaro o in natura, continuativi od occasionali, provenienti da qualsiasi fonte".
Il legislatore fa riferimento al possesso (anziché alla produzione o alla percezione) di r. per indicare una generica relazione giuridica o di fatto del soggetto passivo con un r. complessivo (così, infatti, già gli artt. 130 e 145 del Testo Unico delle imposte dirette) e perché in tale r. complessivo sono compresi anche i r. altrui di cui il contribuente abbia la libera disponibilità, che non sono ovviamente prodotti da lui.
I soggetti passivi (cioè i soggetti cui dev'essere riferibile il presupposto) del tributo sono per definizione soltanto le persone fisiche, residenti e non residenti (con la citata sentenza n. 179 del 1976 della Corte Costituzionale e con la l. 114 del 1977 è stata attribuita la soggettività tributaria, in senso sostanziale e procedurale, anche alla moglie non legalmente ed effettivamente separata, i cui r. in precedenza venivano dichiarati e imputati al marito).
Non possono, invece, essere propriamente considerati soggetti passivi le società di persone (società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice) e i soggetti ad esse assimilati (società di armamento, società di fatto e associazioni tra professionisti e artisti) in quanto essi, soltanto ai fini dell'accertamento del r. complessivo assumono un'autonoma rilevanza soggettiva che, peraltro, viene meno nel momento dell'imputazione di quel r., pro quota, in capo ai veri e propri soggetti passivi che sono i singoli soci o associati (cioè il r. viene accertato unitariamente in capo alla società di persone ma viene imputato e tassato in capo ai soci).
In proposito si deve rilevare che le società di fatto sono dalla legge (art. 5) equiparate alle società in nome collettivo o alle società semplici, a seconda che abbiano o meno per oggetto l'esercizio di attività commerciali ai sensi dell'art. 51. Invece le associazioni tra artisti e professionisti per l'esercizio in forma associata dell'arte e professione, purché prive di personalità giuridica e diverse dalle società in nome collettivo e in accomandita semplice, sono equiparate alle società semplici. La rilevanza di queste distinzioni ed equiparazioni consiste principalmente nel fatto che i r. delle società in nome collettivo e in accomandita semplice (non pure delle società semplici) sono considerati r. d'impresa e come tali determinati (art. 6).
Il principio di territorialità dell'imposta (sia di quella per i r. delle persone fisiche che di quella per i r. delle persone giuridiche) è condizionato dalle caratteristiche di personalità e progressività. Infatti, in linea con tali caratteristiche, e a differenza di quanto avveniva nel sistema del Testo Unico delle imposte dirette, concorrono a formare il r. complessivo dei soggetti residenti nello stato i r. ovunque prodotti (cioè sia in Italia che all'estero) mentre il r. complessivo dei soggetti non residenti nello stato è composto dai soli r. quivi prodotti.
Di qui l'ovvia rilevanza delle disposizioni che determinano "la residenza" dei soggetti passivi. Il 2° comma dell'art. 2 precisa che si considerano residenti, oltre alle persone iscritte nelle anagrafi della popolazione residente, coloro che hanno nel territorio dello stato la sede principale dei loro affari e interessi (sembra evidente l'intento del legislatore di riferirsi anche al concetto di domicilio) o vi dimorano per più di sei mesi all'anno, nonché i cittadini residenti all'estero per ragioni di servizio nell'interesse dello stato.
Vista l'assoggettabilità alle imposte erariali (cioè IRPEF e IRPEG, ma non pure all'ILOR) dei r. prodotti all'estero da soggetti residenti in Italia (principio del cosiddetto r. mondiale o world wide system), la legge, al fine di evitare una doppia imposizione di tali r. (normalmente assoggettati a imposta anche all'estero, in quanto quivi prodotti), contempla l'attribuzione al soggetto passivo di un credito d'imposta in relazione ai tributi pagati all'estero sui r. ivi prodotti.
La legge, infatti, stabilisce che tutte le imposte all'estero pagate in via definitiva sui r. ivi prodotti possono essere portate in detrazione dall'imposta sul r. delle persone fisiche (analoga norma esiste anche per l'IRPEG) alle condizioni e nei limiti, in cui lo stato estero che ha proceduto alla tassazione accorda il credito d'imposta per i r. della stessa natura provenienti dall'Italia; tuttavia la legge precisa che tale credito d'imposta non può essere di ammontare superiore ai due terzi né inferiore al 25%, della quota dell'imposta italiana.
Qualora poi lo stato straniero non preveda il credito d'imposta per i r. della stessa natura provenienti dall'Italia, la detrazione (a titolo di credito d'imposta) è ammessa dalla legge in ogni caso in misura non superiore al 25% della quota come sopra determinata (art. 18 d.P.R. n. 597 e così pure art.9 del d.P.R. n. 598 per l'imposta sul r. delle persone giuridiche).
Con l'adozione del credito d'imposta il legislatore ha mostrato di volersi adeguare ai più moderni sistemi fiscali (che adottano il world wide system). Tuttavia la disciplina normativa, molto restrittiva, di fatto sfavorisce le imprese italiane che per lo più assumono lavori in appalto all'estero e, quindi, dev'essere oggetto di revisione.
La determinazione della base imponibile. - Oneri detraibili. - La base imponibile dell'imposta sul r. delle persone fisiche, come già si è accennato, è costituita dal r. complessivo netto formato dal concorso di tutti i tipi di r., in denaro o in natura, del soggetto passivo, compresi i r. altrui a lui imputati e quelli derivanti dalla partecipazione in società di persone o assimilate (cioè società di fatto, associazioni di professionisti, società di armamento).
Non concorrono, tuttavia, a formare il r. complessivo particolari r. che, come vedremo, vengono separatamente assoggettati al tributo (artt. 12,13 e 14) e inoltre i r. esenti e quelli che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta (come, per es., certi r. di capitale percepiti da persone fisiche o società di persone: cfr. l'art.26, comma 40, del d.P.R. n. 600).
Al soggetto passivo vengono imputati, oltre ai r. esclusivamente propri: a) i r. altrui di cui egli ha libera disponibilità senza obbligo di rendiconto; b) la metà dei r. netti dei beni che formano oggetto della comunione legale di cui agli artt. 177 e segg. del cod. civ.; c) la metà dei r. netti dei beni che formano oggetto del fondo patrimoniale di cui agli artt. 167 e segg. del cod. civ.; d) la metà dei r. netti dei beni dei figli minori soggetti all'usufrutto legale dei genitori.
Ovviamente, nel caso in cui vi sia solo un genitore o un coniuge superstite, ovvero se l'usufrutto legale o l'amministrazione del fondo spetti soltanto a un genitore o coniuge, nelle ipotesi sub d) e c) il r. verrà imputato interamente al soggetto passivo titolare del diritto.
I r. delle società di persone o assimilate (società di fatto, di armamento, associazioni di professionisti), aventi nel territorio dello stato la sede legale o amministrativa o una stabile organizzazione o l'oggetto principale dell'impresa, vengono imputati in capo a ciascun socio in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili indipendentemente dall'effettiva percezione: ciò che ha fatto dubitare della legittimità costituzionale di tale norma in relazione al principio della capacità contributiva (art. 53, 1° comma, Cost.). Naturalmente con lo stesso criterio vengono imputate le perdite delle società in nome collettivo o in accomandita semplice e delle associazioni tra artisti e professionisti (derivanti dall'esercizio di arti e professioni): esse vengono detratte dal r. imponibile di ciascun socio o associato nella misura della sua partecipazione.
I principi che reggono la determinazione del r. complessivo fondamentalmente sono: in primo luogo, quello del concorso alla sua formazione di tutti i r. netti relativi a ciascuna delle categorie e della detraibilità delle eventuali perdite relative soltanto all'esercizio d'imprese commerciali o di lavoro autonomo; in secondo luogo, quello dell'applicazione del cosiddetto metodo di cassa per l'imputazione dei r. e delle perdite. La legge, infatti, da una parte prevede che per la determinazione dei r. e delle perdite, se non è diversamente disposto, non si tiene conto dei crediti esigibili non ancora riscossi e dei debiti scaduti non ancora pagati (art. 9), dall'altra che il r. complessivo è costituito dalla somma dei r. delle varie categorie sottraendo le eventuali perdite derivanti dall'esercizio d'impresa e di arti e professioni (art. 8).
Per quanto concerne specificamente il criterio d'imputazione dei r. si deve rilevare che il metodo cosiddetto di cassa trova importanti deroghe per quanto concerne i r. fondiari (cfr. gli artt. 23, 29,32) e il r. d'impresa (cfr. art. 53 e 74).
Il r. complessivo risultante dal concorso dei r. netti di ciascuna categoria non costituisce ancora il r. imponibile, in quanto la legge prevede la detrazione dal r. complessivo di certi oneri sostenuti dal contribuente purché detti oneri non siano già deducibili ai fini della determinazione dei singoli r. che concorrono a formarlo.
Gli oneri e spese deducibili sono: a) l'imposta locale sui r. che concorrono a formare il r. complessivo, iscritta nei ruoli la cui riscossione ha inizio (ovvero pagata, nel caso dell'autoimposizione) nel periodo d'imposta; naturalmente nel caso di società di persone, l'imposta iscritta a ruolo nei confronti della società (ovvero da essa autoliquidata) si deduce dal r. complessivo di ciascun socio o associato nella proporzione della sua partecipazione; b) canoni, livelli, censi e altri oneri gravanti sui r. degl'immobili, compresi i contributi ai consorzi obbligatori; c) gl'interessi passivi pagati a soggetti residenti nel territorio dello stato o a stabili organizzazioni nel territorio dello stato di soggetti non residenti in dipendenza di prestiti o mutui agrari di ogni specie, nonché quelli pagati ai medesimi soggetti in dipendenza di mutui garantiti da ipoteca su immobili per i quali la deduzione è ammessa per non più di L. 3.000.000, salvo il disposto dell'art. 58 (cioè la detraibilità degl'interessi passivi relativi a beni d'impresa): in origine la detraibilità di tali interessi era senza limiti quantitativi o di altra specie; l'attuale limitazione a un massimo di L. 3.000.000 può far sorgere dubbi di costituzionalità, visto che i relativi r. immobiliari concorrono invece integralmente a formare la base imponibile; d) le spese mediche e chirurgiche, nonché quelle di assistenza specifica necessarie nei casi di grave e permanente invalidità o menomazione, per la parte del loro ammontare complessivo che eccede il 10 o il 5% del r. complessivo dichiarato a seconda che questo sia o non sia superiore a 15 milioni di lire. La deduzione è ammessa a condizione che il contribuente, nella dichiarazione annuale, indichi il domicilio o la residenza del percipiente nel territorio dello stato e dichiari che le spese sono rimaste effettivamente a proprio carico; e) le spese funebri sostenute in dipendenza della morte di persone indicate nell'articolo 433 del cod. civ., nonché degli affiliati, per un importo complessivamente non superiore a L. 1 milione; f) le spese per frequenza di corsi d'istruzione secondaria e universitaria, in misura non superiore a quella stabilita per le tasse e i contributi degl'istituti statali; g) gli assegni periodici corrisposti al coniuge, a esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria; h) gli assegni periodici corrisposti in forza di testamento o di donazione modale e, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria, gli assegni alimentari corrisposti a persone indicate nell'articolo 433 del cod. civ.; i) i contributi previdenziali e assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge; l) i premi per assicurazioni sulla vita del contribuente, i premi per le assicurazioni contro gl'infortuni e i contributi previdenziali non obbligatori per la legge, per un importo complessivamente non superiore a 2 milioni di lire. La deduzione dei premi per l'assicurazione sulla vita è ammessa a condizione che dai documenti allegati alla dichiarazione risulti che il contratto di assicurazione abbia durata non inferiore a cinque anni a decorrere dalla data della sua stipulazione e che per il periodo di durata minima esso non consenta la concessione di prestiti. In caso di riscatto dell'assicurazione nel corso del quinquennio l'impresa assicuratrice deve operare, sulla somma corrisposta al contribuente, una ritenuta d'acconto del 10% commisurata all'ammontare dei premi che sono stati dedotti dal r. complessivo del contribuente soggetto a tassazione a norma dell'art. 13.
Sono inoltre deducibili nel limite del 75% del loro ammontare, le spese relative a immobili d'interesse artistico, storico o archeologico sostenute ai sensi dell'art. 16 della l. 10 giugno 1939, n. 1089.
Gli oneri indicati alle lettere d), f) ed l) sono deducibili, fermo restando il limite complessivo rispettivamente stabilito, anche se sono stati sostenuti nell'interesse dei soggetti indicati nell'art. 15 che si trovino nelle condizioni ivi previste (cioè coniuge, figli minori, genitori, ecc.).
Le varie categorie di redditi. - Come si è detto il nuovo sistema tributario contempla varie categorie di r. di diversa natura: tale distinzione, tuttavia, rileva esclusivamente ai fini della determinazione dei singoli "r. netti" i quali, però, non vengono autonomamente assoggettati a una specifica imposizione (come avveniva nel sistema del Testo Unico delle imposte dirette), ma concorrono tutti a formare il r. complessivo (personalità e progressività dell'imposizione).
Cat. A. - Redditi fondiari. - Nell'ambito della categoria dei r. fondiari sono compresi quei r. (dominicali dei terreni, agrari e dei fabbricati) tra loro avvicinabili per l'omogeneità del cespite da cui promanano e soprattutto per il sistema di determinazione del quantum, basato sulle tariffe di estimo catastale.
L'adozione di tale sistema di accertamento (imperniato sul r. medio e ordinario, quindi in definitiva presunto) fu molto criticata in sede di legge delega, in quanto non risulta essere in chiave con il principio programmatico della riforma tributaria dell'assunzione all'imposizione del r. effettivo. La legge prevede dei temperamenti alla rigidità del sistema catastale (cfr. artt.25,30 e 35) che tuttavia rilevano soprattutto, e in via transitoria, per quanto concerne il reddito dei fabbricati. In linea di principio, infatti, la determinazione del r. dei fabbricati (come per gli altri redditi fondiari) viene effettuata sulla base delle risultanze catastali con riferimento al r. medio ordinario, al netto delle spese di riparazione e manutenzione e da ogni altra eventuale spesa o perdita, ritraibile da ciascuna unità immobiliare urbana (tenuto presente che le tariffe di estimo saranno soggette a revisione qualora se ne manifesti l'esigenza e comunque ogni 10 anni).
Tuttavia la legge stabilisce, con norma di carattere transitorio, che per i periodi d'imposta anteriori alla prima revisione i r. dei fabbricati continueranno a essere aggiornati in base ai coefficienti annualmente stabiliti dal ministero delle Finanze e, inoltre, che fino allo stesso termine continuerà ad applicarsi l'art. 2 della l. 23 febbr. 1960, n. 131. che prevede l'imposizione in base al r. effettivo, anziché in base a quello catastale, quando il primo sia superiore al secondo di oltre il 20% (art. 88). A tal fine, e anche per consentire la revisione da parte dell'ufficio tecnico erariale, il contribuente è tenuto a indicare nella dichiarazione oltre al r. catastale anche quello effettivo (cfr. gli artt. 2, ult. comma, e 4, ult. comma, d.P.R. n. 600).
Nel caso che l'unità immobiliare urbana, non adibita a uso del possessore o dei suoi familiari, rimanga non locata per l'intero periodo d'imposta, la legge (art. 38), recependo una disciplina introdotta nel precedente sistema in virtù di circolari amministrative, prevede che il r. catastale dell'immobile concorre a formare il r. complessivo nella misura del 20%.
Il d.P.R. n. 597 accoglie il principio, già stabilito all'art.72 del Testo Unico, per cui i r. degl'immobili che costituiscono beni strumentali per l'esercizio di imprese commerciali non sono considerati r. fondiari, ma concorrono a formare il r. complessivo come componenti del r. d'impresa. A dire il vero la normativa vigente (artt. 40 e 52) è più ampia di quella del Testo Unico in quanto riguarda tutti gl'immobili e non solo i fabbricati (anche se il ministero in via amministrativa considera che solo questi ultimi possono essere strumentali per l'esercizio dell'impresa).
Per quanto concerne il r. agrario, il legislatore ha ampliato la fattispecie normativa (rispetto a quella che definiva il presupposto della specifica imposta nel sistema del Testo Unico) prevedendo che è agrario il r. derivante dal capitale d'esercizio e dal lavoro di organizzazione della produzione impiegati nei limiti della potenzialità del terreno, nell'esercizio di attività agricole su terreni, atti alla produzione agricola, non solo se posseduti a titolo di proprietà o altro diritto reale, ma pure se condotti in affitto. Nel sistema del Testo Unico la concessione in affitto da parte dell'esercente l'impresa agricola, comportava lo sgravio nei suoi confronti dell'imposta sul r. agrario e l'assoggettabilità dell'affittuario all'imposta di ricchezza mobile in relazione ai r. derivanti dall'esercizio dell'impresa agricola sui fondi presi in affitto.
Sono considerate attività agricole: a) le attività dirette alla coltivazione del terreno e alla silvicoltura; b) l'allevamento di animali con mangimi ottenuti per almeno un quarto dal terreno; c) le attività dirette alla manipolazione, trasformazione e alienazione di prodotti agricoli e zootecnici, ancorché non svolte sul terreno, che rientrino nell'esercizio normale dell'agricoltura secondo la tecnica che lo governa e che abbiano prevalentemente per oggetto prodotti ottenuti dal terreno e dagli animali allevati su di esso.
Il riferimento alla prevalenza dei prodotti ottenuti dal terreno e dagli animali allevati su di esso (lett. c) o alla percentuale dell'alimentazione prodotta in proprio somministrata agli animali in allevamento (lett. b) costituisce l'elemento che consente d'individuare se dette attività sono da considerarsi produttrici di r. agrario ovvero d'impresa (nel caso che non vi sia tale prevalenza o percentuale minima cfr. gli artt. 28 e 51, 4° comma).
Il r. dominicale dei terreni è quello che deriva dal possesso, a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale, di terreni atti alla produzione agricola, che non costituiscano pertinenze di fabbricati urbani e non siano destinati esclusivamente a pubblici servizi gratuiti o all'esercizio di specifiche attività commerciali.
È irrilevante l'effettiva produzione di un r., visto che per la legge (art. 24) è sufficiente la generica idoneità del terreno alla produzione di un r. medio ordinario ritraibile dal terreno attraverso l'esercizio di attività agricole. La legge prevede la riduzione del r. dominicale imputabile al soggetto passivo in caso di perdite per mancata coltivazione e per eventi naturali (art. 27).
Cat. B. - Redditi di capitale. - L'ambito della categoria dei r. considerati dalla legge come nascenti dal capitale è più ampio di quello previsto dal Testo Unico delle imposte dirette e, anzi, l'elencazione dell'art. 41 del d.P.R. n. 597 non può neppure considerarsi tassativa nel senso che la lett. i) pone una norma di natura residuale mirante a comprendere nella categoria ogni tipo di provento derivante dall'impiego del capitale anche se non espressamente indicato nell'articolo stesso. In considerazione del fatto che la legge discrimina qualitativamente tali r. (considerati indici di una particolare capacità contributiva), in quanto nei loro confronti non è prevista alcuna deduzione di spesa inerente alla produzione, sarebbe stata più opportuna un'elencazione tassativa.
Costituiscono r. di capitale: a) i r. derivanti da capitali dati a mutuo o altrimenti impiegati in modo che ne derivi un r. in misura definitiva; b) gl'interessi e altri redditi derivanti da depositi e conti correnti; c) i r. derivanti dalla partecipazione in società, enti, associazioni e altre organizzazioni, escluse le Società di persone e quelle da esse assimilate all'art. 5, nonché i r. derivanti da partecipazione ad associazioni in partecipazione in qualità di associato (salvo che l'apporto sia costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro, nel qual caso il r. è considerato di lavoro autonomo, art. 49, lett. c); d) gl'interessi, premi e altri r. derivanti da obbligazioni e titoli similari e da altri titoli diversi dalle azioni; e) gl'interessi moratori, anche se compresi in somme spettanti a titolo di risarcimento di danni o di penale per inadempienza contrattuale; f) i compensi per prestazioni di garanzie e di fidejussione; g) i premi diversi da quelli su titoli, e le vincite delle lotterie, dei concorsi a premio, dei giuochi e delle scommesse; h) le rendite perpetue e le prestazioni annue perpetue di cui agli artt. 1861 e 1869 del cod. civ.; i) gli altri interessi non aventi natura compensativa e ogni altra rendita o provento in misura definitiva derivante dall'impiego di capitale.
Alla pari di quanto già previsto dall'art. 86 del Testo Unico delle imposte dirette (che peraltro prevedeva soltanto una presunzione relativa a favore dell'Amministrazione senza stabilire la misura degl'interessi, cosa che ha dato vita a un vastissimo contenzioso) la legge stabilisce che i r. di capitale sono determinati nella misura risultante dai relativi titoli, mentre per i capitali dati a mutuo è presunta, salvo prova contraria, l'esistenza d'interessi nella misura del saggio legale anche se dal titolo gl'interessi non risultano convenuti o risultano convenuti in misura inferiore.
Le indicate disposizioni subiscono tuttavia una profonda deroga per quanto concerne gl'interessi e proventi conseguiti nell'esercizio dell'impresa. Come precisa la relazione ministeriale, la difficoltà di espungere dal r. netto d'impresa alcune componenti, quali gl'interessi e gli altri r. di capitale, per valutarle autonomamente e imputarle al r. complessivo del soggetto, ha determinato l'esigenza di considerare i r. di capitale conseguiti nell'esercizio dell'impresa come r. d'impresa. Infatti, l'art. 44 stabilisce che non costituiscono r. di capitale, in quanto componenti del r. d'impresa, gl'interessi e gli altri proventi sopra indicati, salvo quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, conseguiti nell'esercizio di imprese commerciali nel territorio dello stato o mediante stabili organizzazioni nel territorio stesso, compresi quelli conseguiti da società in nome collettivo e in accomandita semplice. L'esclusione dei r. assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta deriva dall'esigenza di evitare una duplice imposizione qualora essi fossero assunti quali componenti del r. d'impresa.
Cat. C. - Redditi di lavoro. - Nell'ambito di questa categoria la legge comprende tanto il r. di lavoro dipendente che quello di lavoro autonomo a differenza di quanto disposto dal T.U. che, com'è noto, distingueva le Cat. C/1 e C/2 dell'imposta di ricchezza mobile.
1) Il r. di lavoro dipendente è per la legge quello derivante dal lavoro prestato con qualsìasi qualifica alle dipendenze e sotto la direzione d'altri, compreso il lavoro a domicilio quando sia considerato lavoro dipendente dalle norme della legislazione sul lavoro, nonché le pensioni o gli assegni a esse equiparati, le indennità di anzianità, di previdenza e di preavviso (anche se, in caso di morte del prestatore, vengano corrisposte alle persone indicate nell'art. 2122 cod. civ.) e ogni altra somma percepita una volta tanto per la cessazione di rapporti di lavoro dipendente, comprese le somme risultanti dalla capitalizzazione di pensione e quelle attribuite a fronte dell'obbligo di non concorrenza.
Ai fini fiscali non rileva dunque l'abitualità o la natura dell'attività prestata ma unicamente il fatto che il rapporto di lavoro abbia un carattere di subordinazione (cfr. art. 2094 cod. civ.).
Al r. di lavoro dipendente sono assimilati: a) i compensi percepiti dai lavoratori soci delle cooperative di produzione e lavoro, delle cooperative di servizi, delle cooperative agricole e di prima trasformazione dei prodotti agricoli e delle cooperative della piccola pesca; b) le indennità e i compensi percepiti a carico di terzi dai prestatori di lavoro dipendente per incarichi svolti in relazione a tale qualità, a esclusione di quelli che, per clausola contrattuale, devono essere riversati al datore di lavoro e di quelli che, per legge, devono essere riversati allo stato; c) le indennità, i gettoni di presenza o altri compensi corrisposti dallo stato, regioni, provincie e comuni per l'esercizio di pubbliche funzioni, a esclusione di quelli che per legge devono essere versati allo stato; d) le indennità percepite dai membri del Parlamento e quelle percepite per le cariche elettive in seno alle regioni, provincie e comuni e per le funzioni di giudice costituzionale; e) le rendite vitalizie costituite a titolo oneroso; f) ogni altro assegno periodico comunque denominato, alla cui produzione non concorrono attualmente né capitale né lavoro (come gli assegni periodici corrisposti in conseguenza di separazione legale, di scioglimento o annullamento del matrimonio e gli altri di cui alle lett. g) e h) dell'art. 10), escluse le rendite e le prestazioni annue perpetue, che rientrano nella categoria B.
Il r. di lavoro dipendente è costituito da tutti i compensi ed emolumenti, comunque denominati, percepiti nel periodo d'imposta in dipendenza del lavoro prestato, anche sotto forma di partecipazione agli utili e a titolo di sussidio o liberalità (gratifiche, incentivi, ecc.). Rientrano ovviamente nel r. anche i compensi in natura aventi carattere retributivo del lavoro prestato per la cui monetizzazione è applicabile il principio della valutazione in base al valore normale dei beni da cui sono costituiti, determinabile con i criteri fissati dall'art. 9, ultimo comma. Il r. dev'essere computato al netto dei contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore a enti o casse aventi esclusivamente fini previdenziali o assistenziali, in ottemperanza a disposizioni di legge, contratti collettivi o accordi aziendali. Criteri particolari sono dettati, nel 3° comma dell'art. 48 (modificato dall'art. 10 lett. f, della l. 2 dic. 1975, n. 576) per le indennità di trasferta, gli assegni di sede e le altre indennità percepite per servizi prestati all'estero, che vengono incluse nel r. per la parte eccedente il mero rimborso spese, determinato in via presuntiva dal legislatore. Le indennità percepite per la cessazione dei rapporti di lavoro che sono escluse dal r. complessivo e assoggettate a tassazione separata, risultano determinate con specifici criteri.
Come già nel sistema del T.U. del 1958, anche con la riforma tributaria il datore di lavoro, in linea di principio, è sostituto d'imposta per quanto concerne i corrispettivi pagati ai propri dipendenti (sostituiti) al fine di rendere più semplice e sicura la puntuale riscossione del tributo per l'ente impositore. Pertanto il datore di lavoro opera il calcolo delle ritenute sull'ammontare complessivo di tutte le somme percepite dal prestatore d'opera nel periodo di paga (mese, quindicina, ecc.) sulla base delle aliquote progressive per scaglioni annui di r. rapportati al periodo stesso, e quindi effettua, sull'ammontare d'imposta così risultante, le detrazioni soggettive di cui all'art. 15 e le altre detrazioni previste per i r. di lavoro dipendente dall'art. 16, rapportate anch'esse al periodo di paga. Inoltre alla fine dell'anno o, se precedente, alla data di cessazione del rapporto, il datore di lavoro deve effettuare il conguaglio tra l'ammontare delle ritenute operate sulle retribuzioni di ciascun periodo di paga e l'imposta dovuta sull'ammontare complessivo delle retribuzioni corrisposte nel corso dell'anno: ciò consente l'esonero dall'obbligo della dichiarazione per coloro che posseggono solo il proprio r. di lavoro dipendente, poiché in tal caso l'imposta risulta interamente corrisposta, mentre se il conguaglio evidenzia che l'ammontare delle ritenute è superiore a quello dell'imposta dovuta, il contribuente ha diritto al rimborso dell'eccedenza, ovviamente nei confronti del fisco, essendo il datore di lavoro tenuto al versamento delle ritenute all'esattoria entro i primi quindici giorni del mese successivo a quello in cui sono state operate (art. 8 d.P.R. n. 602).
È opportuno ricordare che sono tenuti a effettuare la ritenuta d'acconto, con obbligo di rivalsa nei confronti del percipiente: enti e società soggetti passivi dell'IRPEG, società di persone e associazioni assimilate di cui all'art. 5, le persone fisiche che esercitano imprese commerciali o imprese agricole; persone fisiche che esercitano arti e professioni quando corrispondono - per prestazioni di lavoro dipendente - compensi deducibili ai fini della determinazione del loro r. di lavoro autonomo.
2) La caratteristica qualificante e discriminante nell'ambito della categoria C tra r. di lavoro dipendente e quello di lavoro autonomo è costituita dall'esistenza o meno di un rapporto di subordinazione nei confronti del soggetto al quale il lavoro è prestato. Infatti, l'art. 49 del d.P.R. n. 597, dopo aver definito r. di lavoro autonomo quello derivante dall'esercizio di arti e professioni (anche se svolte in forma associata), precisa che per l'esercizio di arti e professioni s'intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva senza vincolo di subordinazione, di attività diverse da quelle contemplate nella categoria dei r. fondiari e d'impresa.
La legge, inoltre, al fine di evitare il sorgere di perplessità in merito a certe fattispecie, include espressamente tra i r. di lavoro autonomo, per es., a) i r. derivanti da rapporti di collaborazione continuativa e coordinata, senza vincolo di subordinazione, quali quelli di amministratore, sindaco o revisore di società ed enti, ecc.; b) i r. derivanti dall'utilizzazione economica delle opere dell'ingegno purché non conseguite nell'esercizio d'imprese commerciali; e infine, c) i r. derivanti dalla partecipazione ad associazioni in partecipazione quando l'apporto è costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro (si è visto che se l'apporto è diversamente costituito il r. è di capitale).
Il problema di maggior rilievo che sorge in merito alla definizione dell'ambito del r. di lavoro autonomo deriva dai non ben definiti confini esistenti rispetto alla categoria dei r. d'impresa. Problema non nuovo, in quanto esso era presente anche nel T.U. del 1958 in relazione alle categorie B e C/i dell'imposta di ricchezza mobile, ma che ora risulta aggravato in quanto, mentre al T.U. venne aggiunto con una legge del 1968 l'art. 85 bis che dette una certa definizione normativa dell'impresa artigiana tassata in C/1, l'art. 51 dell'IRPEF nel delimitare la categoria del r. d'impresa fa da ultimo riferimento (comprendendole nella categoria) alle attività di prestazioni di servizi a terzi, diverse da quelle previste all'art. 2195 cod. civ., organizzate in forma d'impresa. Ciò significa che i r. derivanti da tali prestazioni di servizi saranno considerati d'impresa o di lavoro autonomo a seconda che l'attività sia o meno organizzata in forma d'impresa. Sfortunatamente né la legge fiscale né il codice civile forniscono una definizione di organizzazione in forma d'impresa e quindi non è facile tracciare la linea di confine tra le categorie dei r. di lavoro autonomo e d'impresa, anche se, a nostro avviso, con la riforma si è avuto un ampliamento di quest'ultima categoria a danno di quella di lavoro autonomo rispetto a quanto previsto dal T.U. del 1958. Circa la determinazione del r. di lavoro autonomo la legge fa riferimento alla differenza tra i compensi percepiti nel periodo d'imposta e le spese inerenti all'esercizio dell'attività effettivamente sostenute.
Si deve rilevare che la legge, in applicazione di un principio generale della riforma delle imposte dirette, ha espressamente accolto un sistema d'imputazione dei ricavi e delle spese strettamente di cassa (art. 9 d.P.R. n. 597), visto che conta esclusivamente il momento della percezione dei corrispettivi e dell'effettuazione delle spese (v. invece l'art. 115 del T.U. del 1958 secondo cui il r. derivante dall'esercizio di arti e professioni era costituito dall'ammontare dei compensi delle attività svolte nell'anno dal soggetto al netto delle spese inerenti all'esercizio delle attività stesse).
Tale principio per quanto riguarda le spese di acquisto dei beni strumentali per l'esercizio dell'arte o professione trova tuttavia un temperamento: infatti, mentre per le spese riferentisi a beni strumentali con costo unitario non superiore a L. 500.000 è possibile l'immediata detrazione, per quelle che riguardano beni d'importo unitario superiore a quella cifra - a esclusione in ogni caso dei beni immobili - è previsto un sistema di ammortamento per quote annue in relazione a coefficienti stabiliti dal ministero delle Finanze.
I costi e gli oneri non documentati sono deducibili nella misura forfettaria del 3% dell'ammontare lordo dei compensi.
Per la determinazione dei r., considerati anch'essi di lavoro autonomo, sopra indicati alle lett. a) e b), l'art. 50 precisa che essa avviene mediante la deduzione forfettaria dell'ammontare complessivo delle somme percepite sotto qualsiasi forma e denominazione e anche a titolo di partecipazione agli utili del 10% per i r. indicati sub a) e del 30% per quelli sub b) (salvo che questi ultimi derivino dall'utilizzazione economica di diritti acquisiti per successione o donazione).
Per concludere sulla determinazione del r. di lavoro autonomo. non è inutile ricordare che le eventuali perdite derivanti dall'esercizio di arti e professioni (come pure quelle derivanti dall'esercizio di attività commerciali) determinate in base al risultato complessivo netto di tutti i cespiti della categoria possono essere portate in detrazione ai fini della determinazione del r. complessivo (cfr. art. 8), possono cioè essere algebricamente sommati ai r. provenienti dalle altre categorie.
Una novità della riforma tributaria è costituita dal principio dell'accertamento (anche) dei r. di lavoro autonomo in base alle risultanze delle scritturazioni contabili: infatti le persone fisiche che esercitano arti e professioni, nonché le società tra artisti o professionisti di cui all'art. 5 lett. c), devono annotare in un apposito registro le somme percepite nell'esercizio professionale e le relative spese, nonché il valore dei beni per i quali si chiede la deduzione di quote di ammortamento. Come conseguenza di tale formalismo contabile deriva l'obbligo dell'ufficio di attenersi alle risultanze della contabilità e di discostarsene solo nelle ipotesi espressamente previste dalla legge, indicate nell'art. 39 d.P.R., n. 600, con una serie di disposizioni che, dettate per i r. d'impresa delle persone fisiche, valgono - in quanto applicabili - anche per quelli di lavoro autonomo.
L'obbligo della contabilità non fa carico invece a coloro che producano r. assimilati a quelli di lavoro autonomo, sopra indicati alle lett. a), b) e c), per i quali si applicano le disposizioni comuni ai r. non accertati in base a contabilità (art. 38 d.P.R., n. 600).
Cat. D. - Reddito d'impresa. - Le critiche rivolte da più parti al sistema di determinazione dell'imponibile del r. derivante dall'esercizio dell'impresa come previsto dagli artt. 91 e 113 del T.U. del 1958 hanno indotto il legislatore delegante a porre dei principi direttivi tesi a far sì che la determinazione del r. d'impresa fiscalmente rilevante avvenga in base a criteri per quanto possibile adeguati a quelli previsti dalla legislazione cívile e dai principi ragioneristici. Nello stesso senso, d'altra parte, sono le disposizioni della legge delega relative all'accertamento che deve avvenire in base alle scritturazioni contabili e, salvo specifiche ipotesi previste dalla legge, mediante il sistema analitico.
Il r. d'impresa secondo l'art. 51 è quello che deriva dall'esercizio di imprese commerciali. Delimitato astrattamente l'ambito della categoria, la legge scende a una più specifica definizione normativa della stessa precisando: a) che per esercizio di imprese commerciali s'intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali di cui l'art. 2195 cod. civ., anche se non organizzate in forma d'impresa; b) inoltre, che le attività di prestazioni di servizi a terzi, che non rientrano in quelle previste dall'art. 2195 cod. civ., si considerano commerciali soltanto se organizzate in forma d'impresa. Quest'ultima disposizione (sub b) è stata inserita a seguito del parere della Commissione dei Trenta e mira a ricomprendere nell'ambito del r. d'impresa le prestazioni di servizi non comprese nel r. di lavoro autonomo.
Da queste disposizioni si possono ricavare i seguenti principi normativi: le attività di cui all'art. 2195 cod. civ. si considerano in ogni caso attività commerciali "anche se non organizzate in forma di impresa", mentre - come testualmente dice la legge - le attività di prestazioni di servizi a terzi non previste nell'art. 2195 cod. civ. si considerano commerciali soltanto se "organizzate in forma di impresa". Come si è accennato trattando del r. di lavoro autonomo sussistono molte perplessità circa l'individuazione di tale tipo di "organizzazione".
Il principio fondamentale generale, per la determinazione del r. d'impresa, è previsto all'art. 52, secondo il quale tale r. è costituito dagli utili netti conseguiti nel periodo d'imposta, determinati in base alle risultanze del conto dei profitti e delle perdite, con le variazioni derivanti dai criteri stabiliti nelle successive disposizioni: il sistema attuale muove quindi direttamente dal risultato economico della gestione sulla base del conto profitti e perdite, identificando tendenzialmente il r. fiscale con il r. effettivo dell'impresa (secondo le direttive contenute nella legge delega) quale risulta dalla valutazione effettuata dall'imprenditore sulla base della normativa civilistica e delle regole ragionieristiche pur con il temperamento delle inevitabili variazioni che possono derivare dall'applicazione dei particolari criteri dettati dal legislatore tributario in ordine a singole componenti attive e passive.
È da osservare che l'art. 2425 bis cod. civ. (introdotto con l. 7 giugno 1974, n. 216) stabilisce minuziosamente il contenuto del conto dei profitti e delle perdite, nel quale devono essere esposti i ricavi imputati all'esercizio, elencando tassativamente le partite da iscriversi nei profitti e nelle perdite e vietando i compensi di partite.
Una prima deroga al principio della rilevanza del conto profitti e perdite è costituita dal fatto che nella determinazione degli utili netti ai fini fiscali non si tiene conto dei proventi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta né dei proventi e dei costi relativi ai terreni e ai fabbricati situati nello stato che sono o debbono essere iscritti in catasto i quali non costituiscano beni strumentali per l'esercizio d'impresa.
In particolare i r. di questi beni immobili (non strumentali per l'esercizio dell'impresa) concorrono a formare il r. d'impresa nell'ammontare catastale (o in ogni caso in quello determinato secondo le disposizioni applicabili per la determinazione dei r. fondiari) e non già nella misura del r. effettivo, come le risultanze del conto profitti e perdite imporrebbero.
Inoltre, da tale disposizione si ricava una disciplina di particolare interesse: infatti, interpretando questa norma a contrario e in relazione all'art. 40, si può affermare che i beni immobili strumentali concorrono invece a formare il r. d'impresa nel senso che non bisogna tenere autonomamente conto del r. da essi prodotto (o producibile) in quanto la legge considera tale r. compreso nel r. prodotto dall'imprenditore mediante l'esercizio della propria attività commerciale.
Tra le componenti attive sono considerati ricavi i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa, nonché i corrispettivi delle cessioni di materie prime, materie sussidiarie, semilavorati e merci, acquistati per essere impiegati nella produzione, al netto dei relativi sconti, abbuoni e premi (tra i beni al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa sono pure compresi i titoli azionari e obbligazionari e i titoli similari, quando costituiscano oggetto specifico, ancorché non esclusivo, dell'attività svolta). La legge comprende tra i ricavi anche i teorici proventi di atti o fatti che non costituiscono trasferimento in senso giuridico (beni destinati al consumo personale o familiare dell'imprenditore, o ad altre finalità estranee all'esercizio dell'impresa ovvero assegnati ai soci) nonché la differenza tra il valore normale dei beni e dei servizi e i corrispettivi delle cessioni e delle prestazioni effettuate a imprese collegate, e ciò allo scopo di evitare il travaso di utili tra imprese controllanti e controllate.
Altre componenti positive del r. sono le plusvalenze, cioè quegli incrementi di valore che si attribuiscono ai beni in confronto ai loro costi o valori fiscali di riferimento. È importante rilevare che, affinché si possa parlare di plusvalenza, l'incremento di valore deve riferirsi ai beni relativi all'impresa (non vi è, quindi, compreso il patrimonio privato dell'imprenditore) ma diversi da quelli le cui cessioni danno luogo a ricavi: diversi, cioè, dai beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa, ecc. Le plusvalenze concorrono a formare il r. d'impresa nel periodo in cui sono realizzate mediante la cessione di beni a titolo oneroso, avendo presente che ai fini della determinazione del momento di realizzazione la legge richiama la disposizione relativa al momento di conseguimento dei ricavi.
Per quanto concerne la determinazione della plusvalenza, la legge precisa che essa è costituita dall'incremento di valore realizzato rispetto all'ultimo valore riconosciuto ai fini dell'imposta sui r., al netto degli oneri accessori di diretta imputazione, ivi compresa l'imposta comunale sull'incremento di valore degl'immobili. La legge, al fine di favorire il riammodernamento degl'impianti e in genere gl'investimenti, stabilisce che le plusvalenze sopra indicate non concorrono a formare il r. d'impresa alla condizione e nella misura in cui esse siano accantonate in un apposito fondo del passivo e siano reinvestite in beni ammortizzabili entro il secondo periodo d'imposta successivo a quello del realizzo. La legge precisa che l'ammontare non reinvestito entro il secondo periodo d'imposta concorrerà a formare il r. in tale periodo, senza peraltro alcuna aggiunta a titolo d'interessi o di sanzioni. È evidente l'intento di agevolare le imprese che mirano a effettuare trasformazioni e ristrutturazioni degl'impianti al fine dell'incremento della produttività incentivando il reinvestimento degli utili derivanti dalla cessione di beni patrimoniali. La legge, inoltre, considera quale ipotesi di realizzazione di plusvalenze il caso dell'autoconsumo esterno. Infatti stabilisce che le plusvalenze da determinarsi in relazione al valore normale dei beni si considerano realizzate e concorrono a formare il r. d'impresa anche nell'ipotesi di destinazione dei beni al consumo personale e familiare dell'imprenditore o ad altre finalità estranee all'esercizio dell'impresa.
In materia di plusvalenze relative a beni dell'impresa non si può non ricordare che con gli artt. 22-25 della l. 2 dic. 1975, n. 576, si è consentita, a particolari condizioni, una rivalutazione di natura straordinaria (del tipo di quella che nel dopoguerra aveva trovato sistemazione nella l. 11 febbr. 1952, n. 74) dei cespiti aziendali, dovuta all'esigenza di adeguarli alla diminuzione del potere d'acquisto della moneta e, quindi, all'eventualità del verificarsi di plusvalenze soltanto monetarie e non reali.
Anche le sopravvenienze attive sono considerate elemento positivo che concorre a formare il r. d'impresa. Esse, caratterizzate dalla straordinarietà e particolarità del loro manifestarsi, si ravvisano nei proventi conseguiti a fronte di costi e oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti periodi d'imposta: si tratta, pertanto, di una componente di carattere straordinario che si concreta o nella maggiorazione di un ricavo già conseguito ovvero nella diminuzione o annullamento di un costo già sopportato, e quindi con riferimento a precedenti fatti di gestione, in deroga all'autonomia dei singoli periodi d'imposta. L'art. 55 equipara alle sopravvenienze attive particolari fattispecie di incrementi patrimoniali gratuiti e consente l'accantonamento delle sopravvenienze in apposito fondo del passivo per spostarne nel tempo il concorso alla formazione del r. o escluderlo nel caso di destinazione alla copertura di perdite di esercizio.
Tra le componenti negative, rilevanti ai fini della determinazione del r. d'impresa si debbono ricordare: a) i costi relativi all'acquisizione dei beni e servizi, da cui traggono origine i ricavi, comprendenti i corrispettivi e gli oneri di diretta imputazione, esclusi gl'interessi passivi; b) le minusvalenze patrimoniali, cioè i decrementi relativi ai beni non idonei a generare ricavi; c) gl'interessi passivi, deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l'ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il r. d'impresa (comprese le plusvalenze patrimoniali e le sopravvenienze attive) e l'ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi, compresi quelli che fruiscono di esenzioni ed esclusi quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta; d) le sopravvenienze passive per mancato conseguimento di ricavi imputati al conto profitti e perdite in precedenti periodi d'imposta, o per la maggiorazione di oneri sostenuti in relazione a ricavi imputati al conto profitti e perdite in precedenti periodi d'imposta; le perdite e sopravvenienze passive derivanti dall'eliminazione totale o parziale di attività iscritte in bilancio in precedenti periodi d'imposta; e) non sono ammesse deduzioni a titolo di compenso dell'opera svolta dall'imprenditore e dai suoi familiari mentre sono deducibili, alle condizioni e nei limiti previsti dall'art. 59, i compensi per lavoro dipendente corrisposto ai parenti e affini entro il quarto grado dell'imprenditore (che non siano tra le persone a carico, di cui all'art. 15) compreso il coniuge legalmente ed effettivamente separato, nonché i compensi per lavoro dipendente corrisposti ai soci dalle società in nome collettivo e in accomandita semplice. È da ritenere che, quando la prestazione di attività lavorativa venga effettuata dal parente entro il terzo grado e dall'affine entro il secondo (che non siano tra le persone a carico di cui all'art. 15), nel r. complessivo del collaboratore familiare confluiscano sia il compenso corrisposto dall'imprenditore (come r. di lavoro dipendente) sia la quota parte di r. d'impresa imputabile a norma dell'art. 5, ultimo comma; f) sono anche deducibili le erogazioni a titolo di liberalità indicate nell'art. 60, secondo le proporzioni ivi previste; g) tra gli ulteriori costi e oneri che chiudono il quadro delle componenti negative sono da ricordare in primo luogo i tributi, in ordine ai quali è esclusa la deduzione sia per le imposte sul r. sia per quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa; le altre imposte sono deducibili nel periodo d'imposta in cui avviene il pagamento o ha inizio la riscossione dei ruoli nei quali sono iscritte.
È inoltre prevista la deducibilità degli appositi accantonamenti per imposte non ancora definitivamente accertate (cosiddetto fondo imposte e tasse) nei limiti dell'ammontare corrispondente alle dichiarazioni annuali, agli accertamenti degli uffici e alle decisioni delle commissioni tributarie.
L'art. 61, ultimo comma, contiene una disposizione di chiusura, e nel contempo un principio generale, per la sfera delle componenti passive del r., in quanto consente la deducibilità di ogni altro costo e onere non espressamente considerato dalla disciplina in esame, a condizione che sia stato sostenuto nell'esercizio dell'impresa e si riferisca ad attività e operazioni da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il r. d'impresa.
I costi e gli oneri non suscettibili d'imputazione specifica sono invece deducibili nella proporzione stabilita, per gl'interessi passivi, dall'art. 58, 1° comma.
Il quadro delle disposizioni concernenti le componenti attive e passive del r. d'impresa dev'essere completato con riferimento a ulteriori elementi suscettibili d'influenzare il risultato economico della gestione, elementi costituiti da un lato dalle cosiddette rimanenze di magazzino e dai titoli (rispetto ai quali il legislatore fiscale detta criteri di valutazione che non sempre sono vincolanti, potendo essere modificati su richiesta del contribuente) e, dall'altro, dagli accantonamenti (alcuni dei quali, come l'ammortamento o il fondo di previdenza e quiescenza per i dipendenti, sono obbligatori in base alla normativa civilistica).
Cat. E. - Redditi diversi. - In considerazione del fatto che, come si è detto, all'imposta sul r. delle persone fisiche sono assoggettati tutti i r. imputabili al soggetto passivo, la legge, dopo aver previsto il concorso delle varie categorie specifiche in relazione alla natura dei r., contempla una categoria di chiusura del sistema impositivo al fine di far concorrere alla formazione dell'imponibile complessivo quei r. che non possono essere compresi nelle categorie specificamente disciplinate.
Tra questi "r. diversi", il maggiore interesse è suscitato dai r. derivanti da operazioni speculative (art. 76).
L'imposizione delle plusvalenze nel nuovo sistema non si è molto discostata da quella disciplinata dal T.U. del 1958. Infatti, esse sono considerate imponibili (cioè r.) in quanto realizzate nell'esercizio dell'impresa ovvero, se realizzate al di fuori dell'esercizio dell'impresa, in quanto costituiscano il risultato di un'operazione effettuata con intento speculativo. Le plusvalenze conseguite mediante operazioni poste in essere con fini speculativi, e non rientranti fra i r. d'impresa, concorrono alla formazione del r. complessivo per il periodo d'imposta in cui le operazioni si sono concluse. Nel rilevare che per momento di conclusione dell'operazione si deve normalmente intendere quello dell'alienazione del bene, si precisa che la plusvalenza è costituita dalla differenza tra il prezzo di acquisto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene alienato, e il prezzo reale conseguito al netto dell'INVIM eventualmente dovuta.
La novità in tema, introdotta dalla nuova disciplina, è costituita da una serie di presunzioni assolute d'intento speculativo poste dal legislatore al fine di alleviare l'onere probatorio dell'amministrazione finanziaria relativamente all'operazione prevista. L'elencazione fatta dalla legge deve naturalmente considerarsi assolutamente tassativa e perciò relativamente alle altre operazioni (si ripete non rientranti nell'esercizio dell'impresa) incombe sull'amministrazione finanziaria l'onere della prova dell'esistenza del fine speculativo che, se non raggiunta, impedisce l'inclusione degli eventuali incrementi di ricchezza (plusvalenze) realizzati nel r. complessivo del contribuente.
La legge considera in ogni caso effettuati con fini speculativi, senza possibilità di prova contraria: a) la lottizzazione o l'esecuzione di opere intese a rendere edificabili i terreni inclusi in piani regolatori o in programmi di fabbricazione e la successiva vendita anche parziale dei terreni stessi; b) l'acquisto e la vendita di beni immobili non destinati all'utilizzazione personale da parte dell'acquirente o dei familiari, se il periodo di tempo intercorso tra l'acquisto e la vendita non è superiore a cinque anni; in proposito si deve rilevare che questa disposizione, alle stesse condizioni e negli stessi limiti, si applica anche quando le plusvalenze degl'immobili vengono conseguite mediante l'acquisizione e la successiva vendita di quote o di azioni non quotate in borsa di società il cui patrimonio è investito prevalentemente in beni immobili (art. 76 ultimo comma); c) l'acquisto e la vendita di oggetti d'arte, di antiquariato o in genere da collezione, se il periodo di tempo intercorrente tra l'acquisto e la vendita non è superiore a due anni.
Oltre ai r. derivanti da operazioni speculative sono compresi nella categoria E anche i r. derivanti da altre attività occasionali (che riguardano i r. realizzati al di fuori dell'esercizio di un'impresa o dell'esercizio abituale di un'attività professionale) che concorrono a formare il r. complessivo per il periodo d'imposta in cui sono stati percepiti al netto delle spese specificamente inerenti alla loro produzione e gli altri r. previsti dall'art. 80. Si tratta, in quest'ultimo caso, di una norma di chiusura del sistema d'imposizione del reddito complessivo mirante a comprendere nell'ambito dell'imposta ogni altro reddito di natura particolare non espressamente contemplato da altre disposizioni e costituisce la logica espressione del principio secondo cui alla formazione del r. complessivo concorrono tutti i r. di qualsiasi natura e da qualunque fonte provenienti.
In proposito si deve rilevare che l'art. 80 prevede il concorso di tali r. alla formazione del r. complessivo nel periodo d'imposta e nella misura in cui vengono percepiti. L'ultima parte di questa disposizione farebbe ritenere che tali r. vengono assunti all'imposizione senza alcuna detrazione a titolo di spesa inerente alla produzione.
Liquidazione d'imposta. - Una volta determinato il r. complessivo imponibile, mediante il concorso di tutti i r. e la detrazione - oltre che delle eventuali perdite derivanti dall'esercizio d'imprese o di arti e professioni - anche degli oneri deducibili di cui all'art. 10, l'imposta viene liquidata mediante l'applicazione all'imponibile di aliquote progressive per scaglioni di r., secondo la seguente tabella (valida a partire dal 1° genn. 1976).
Dobbiamo ricordare, tuttavia, che in omaggio all'art. 53 della Costituzione la legge prevede l'attenuazione del principio della progressività nei confronti di certi r. che vengono a formarsi in un lungo lasso di tempo ma che vengono percepiti in un solo periodo d'imposta: se, infatti, essi venissero assoggettati normalmente al tributo concorrendo cioè a formare il r. complessivo del contribuente in tale periodo d'imposta, determinerebbero l'applicazione di aliquote particolarmente elevate e, quindi, un prelievo eccessivo rispetto alla capacità contributiva manifestata da quei r. di formazione pluriennale.
A tal fine il legislatore ha previsto la tassazione separata di certi r. (come, per es., le plusvalenze patrimoniali percepite in dipendenza della liquidazione o della cessione di aziende; i compensi per la perdita di avviamento; il valore nominale delle azioni o quote gratuite o aumento nominale delle azioni o delle quote già possedute, se costituenti r. ai sensi degli artt. 41 e 45; emolumenti arretrati percepiti da lavoratori dipendenti; indennità di anzianità, di previdenza, di preavviso e simili in relazione alla cessazione dei rapporti di lavoro dipendente; indennità per la cessazione di altro rapporto di collaborazione coordinata e continuativa o di rapporti di agenzia, quando non siano componenti del r. d'impresa).
Per tali r. l'imposta è determinata applicando all'ammontare di ciascuno di essi, al netto dell'ILOR, l'aliquota corrispondente alla metà del r. complessivo netto del contribuente nel biennio anteriore all'anno in cui è sorto il diritto alla loro percezione e per gli arretrati, all'anno in cui sono percepiti (cfr. l'art. 13). È fin troppo evidente che mediante tale sistema i r. sopra indicati vengono assoggettati a un'imposizione proporzionale. Per le indennità di fine rapporto la legge (art. 14) contempla, inoltre, rilevanti riduzioni all'ammontare a cui applicare l'aliquota così determinata (riduzione dell'indennità al 50% o 30% o 20% e detrazione di L. 100.000 per ogni annualità).
Dall'imposta liquidata mediante l'applicazione delle aliquote al r. complessivo netto, determinato secondo i principi sopra indicati, è previsto nella disciplina dell'imposta sul r. delle persone fisiche un sistema di detrazioni da imposta. È stato preferito questo sistema rispetto a quello che si traduce in riduzioni o abbattimenti dell'imponibile, in quanto data la progressività delle aliquote, le riduzioni dell'imponibile comporterebbero risparmi d'imposta diversi a seconda della diversa entità del r. imponibile (e, precisamente, tanto più elevati quanto più elevato è il r. imponibile).
In particolare sono previste la detrazione di L. 36.000 per quota esente, spettante a tutti i contribuenti, e ulteriori detrazioni in relazione alla situazione personale del soggetto passivo e alla composizione qualitativa del r. imponibile (cfr. gli artt. 15 e 16, che prevedono detrazioni per le persone a carico e a favore dei lavoratori dipendenti e dei piccolo imprenditori).
Per concludere con l'imposta sul r. delle persone fisiche non si può non ricordare che naturalmente dall'imposta così determinata devono essere scomputate le eventuali ritenute d'acconto operate sui r. che concorrono a formare il r. complessivo e su quelli tassati separatamente e che, qualora l'ammontare delle ritenute sia superiore a quello dell'imposta, il contribuente ha diritto al rimborso.
II - L'imposta sul reddito delle persone giuridiche. - Principi generali. - Nel sistema attuato dalla riforma tributaria l'imposta sul r. delle persone giuridiche è in posizione alternativa rispetto all'imposta sul r. delle persone fisiche, nel senso che il r. complessivo del contribuente può essere assoggettato a uno soltanto dei due tributi individuato in relazione alla natura del soggetto passivo. L'alternatività, tuttavia, fino al 1977 non era tale da evitare che l'eventuale utile distribuito da una società assoggettata all'IRPEG venisse colpito in capo ai soci dall'imposta erariale ad essi applicabile.
Questa doppia imposizione (dal punto di vista economico) degli utili distribuiti, già rilevata e criticata in sede di approvazione della legge delega, è stata abolita con la l. 16 dic. 1977, n. 904, che ha introdotto il credito d'imposta per i soci percettori di dividendi di società di capitali. Più precisamente ai soci (persone fisiche o giuridiche) delle società di capitali che percepiscono utili distribuiti in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione dalle società stesse la legge attribuisce un credito d'imposta pari a un terzo dell'ammontare degli utili che concorrono a formare il loro r. imponibile ai fini dell'IRPEF o dell'IRPEG. Il credito d'imposta è computato in aggiunta agli utili nella determinazione del r. imponibile del socio ed è ammesso in detrazione dalla relativa imposta.
Con tale strumento tecnico, si è inteso evitare del tutto o attenuare, a seconda delle diverse fattispecie impositive, nelle quali esso è destinato a operare, il vanificarsi del principio dell'alternatività dell'IRPEG rispetto all'IRPEF ovvero il verificarsi di una duplicazione della stessa IRPEG in sede d'imposizione degli utili societari.
Presupposto. - Come già anticipato, il presupposto dell'IRPEG è definito all'art. 1 del d.P.R. n. 598, con un'enunciazione identica a quella propria dell'IRPEF, nel "possesso di redditi in denaro o in natura, continuativi od occasionali, provenienti da qualsiasi fonte". La dizione, di per sé generica in quanto volutamente comprensiva di qualsiasi tipo di r., si qualifica giuridicamente quando si pone in relazione con le singole categorie di soggetti passivi tassativamente elencati nell'art. 2. A tale scopo, possiamo sin d'ora suddividere i soggetti passivi in tre categorie; la prima che comprende gli enti e le persone giuridiche che si possono definire "commerciali"; la seconda relativa agli enti, diversi dai primi, che si possono definire "non commerciali", e la terza, individuata non dall'attività ma dalla localizzazione, delle società ed enti non residenti. Sulla base di tale classificazione, notiamo che la diversa natura (commerciale o non commerciale) dei soggetti passivi che entrano, di volta in volta, in relazione con il presupposto strettamente inteso (possesso dei r.), conferisce al presupposto stesso (magari nel momento della sua quantificazione) una differente qualificazione giuridica. Un'immediata verifica normativa si rinviene nell'art. 5 del d.P.R. n. 598, il quale definisce il complesso dei diversi r. posseduti da quei soggetti passivi "commerciali" unitariamente come r. d'impresa. Al contrario, i singoli r. posseduti dall'altra categoria di soggetti "non commerciali" non degradano a componenti di un unico tipo di r. e mantengono la loro autonomia e la loro diversa qualificazione giuridica.
Soggetti passivi. - In relazione al fatto che la situazione base dell'imposta sul r. delle persone giuridiche è perfettamente identica a quella dell'imposta sul r. delle persone fisiche, si può senza timore affermare che l'elemento qualificante del presupposto e, quindi, dell'assoggettabilità all'uno o all'altro tributo è costituito dalla natura del soggetto passivo. L'esatta individuazione dei soggetti passivi dell'imposta sul r. delle persone giuridiche assume, quindi, un grande rilievo poiché l'assoggettamento all'uno o all'altro dei due tributi personali ed erariali non è indifferente, vista la particolarità delle disposizioni relative alla determinazione dell'imponibile.
Sono soggetti passivi dell'imposta sul r. delle persone giuridiche:
a) Le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione.
b) Gli altri enti pubblici e privati aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale "compresi i consorzi, le associazioni non riconosciute nonché le altre organizzazioni senza personalità giuridica non appartenenti ad altri soggetti passivi, nei confronti delle quali il presupposto dell'imposta si verifichi in modo unitario e autonomo ed escluse le società e associazioni indicate nell'art. 5 del d.P.R. n. 597 e le associazioni in partecipazione". L'elemento unificante di questo secondo gruppo di soggetti passivi, dalla composizione piuttosto eterogenea, che legittima la soggezione alle norme contenute nel titolo II° (relative alle società di capitali ed enti equiparati) è da ricercare nell'esercizio, in via esclusiva o principale, di un'attività commerciale: tale ricerca dev'essere condotta sulla base dell'atto costitutivo se redatto in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata, ovvero, in mancanza, sulla base dell'attività effettivamente esercitata, intendendo per attività commerciale quella delineata all'art. 51 del d.P.R. n. 597 che definisce il r. d'impresa.
Problemi d'interpretazione, cui già abbiamo fatto cenno, tuttavia, sorgono qualora si vogliano identificare con esattezza "le altre organizzazioni senza personalità giuridica non appartenenti ad altri soggetti passivi, nei confronti delle quali il presupposto si verifichi in modo unitario ed autonomo". Poiché la stessa norma esclude espressamente le società di persone, le società di fatto, le società di armamento, le società semplici nonché le società e associazioni fra artisti e professionisti e nomina espressamente i consorzi e le associazioni non riconosciute, non resta che identificare tali soggetti passivi nei comitati ovvero in altre fattispecie, in verità marginali, quali le fondazioni di fatto, ecc.
c) Gli enti pubblici e privati di cui alla precedente lettera b) non aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali. L'espresso rinvio all'elencazione contenuta nella precedente lettera b) ripropone, per questi soggetti passivi, tutte le questioni interpretative e le altre considerazioni precedentemente enunciate. Evidentemente la peculiarità di questo gruppo di soggetti si rinviene nell'esercizio prevalente o esclusivo di attività diverse da quella commerciale, che magari può essere anche svolta, ma in misura marginale e comunque non prevalente. Tutti i soggetti passivi dei quali abbiamo parlato finora, enti commerciali e non, lettere a) b) e c), hanno una comune caratteristica che li distingue dai soggetti indicati sub d): la "residenza" nel territorio dello stato. Il concetto di residenza ai fini dell'IRPEG che, come vedremo, influisce sulla determinazione della base imponibile in applicazione del cosiddetto "world wide system", si basa su tre criteri: sede legale, sede amministrativa, oggetto principale dell'attività. La sede legale costituisce, naturalmente, il criterio principale per localizzare le società, gli enti pubblici e privati, i consorzi e coincide con la sede che la disciplina propria di tali soggetti impone d'inserire nell'atto costitutivo. La sede amministrativa viene in evidenza come criterio preminente per tutti gli altri soggetti (e anche per i primi se non fosse indicata la sede legale) e s'identifica, comunemente in dottrina, nel luogo in cui viene svolta con continuità l'attività di gestione o l'attività amministrativa in senso lato. L'oggetto principale dell'attività costituisce, poi, un criterio sussidiario per tutti i soggetti passivi, anche se non meno importante degli altri. Data la sua natura eminentemente empirica, esso si evidenzierà da indagini condotte caso per caso avendo riguardo alla natura dell'attività esercitata, all'organizzazione dell'attività stessa in relazione agli scopi perseguiti dal soggetto passivo e alla sua struttura e dimensioni.
d) Infine, sono considerati soggetti passivi le società e gli enti di ogni tipo con o senza personalità giuridica comprese le società di persone (società in nome collettivo, in accomandita semplice e semplici), di fatto, le associazioni tra artisti e professionisti e le società di armamento ed escluse le associazioni in partecipazione, non aventi nel territorio dello stato la sede legale o amministrativa né l'oggetto principale.
Relativamente a questa ultima disposizione esistono, a nostro avviso, dubbi di costituzionalità in relazione alla sua conformità ai principi e ai criteri direttivi posti dalla legge delega. Infatti, dal combinato disposto dei nn. 8 e 9 dell'art. 3 della l. 9 ott. 1971, n. 825, si deve ritenere che il legislatore delegante abbia voluto escludere le società di persone (e, quindi, i soggetti a esse assimilati, che sarebbero società di fatto, associazioni tra professionisti e società di armamento) costituite all'estero e non aventi nel territorio dello stato né la sede dell'amministrazione né l'oggetto principale dell'impresa. Il che è esattamente il contrario di ciò che dispone la lettera d) sopra indicata per quanto concerne tali soggetti.
Base imponibile: disposizioni comuni. - Ai fini della determinazione della base imponibile dell'IRPEG la legge pone delle disposizioni di carattere generale applicabili alle tre categorie di soggetti (enti commerciali, non commerciali ed enti non residenti).
La definizione legislativa della base imponibile dell'imposta sul r. delle persone giuridiche corrisponde a quella relativa all'imposta sul r. delle persone fisiche e visto che entrambe le imposte hanno natura personale essa è costituita dal r. complessivo netto, formato da tutti i r. del soggetto passivo a esclusione dei r. esenti e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta.
Come vedremo, particolari disposizioni regolano la delimitazione della base imponibile degli enti non commerciali e degli enti non residenti. Il r. complessivo, che costituisce la base imponibile, è determinato in relazione agli utili netti conseguiti nel periodo d'imposta valutati in base alle risultanze del conto dei profitti e delle perdite o del rendiconto secondo le stesse disposizioni applicabili ai fini della determinazione del r. d'impresa relativamente all'imposta sul r. delle persone fisiche salvo le diverse specifiche disposizioni del d.P.R. n. 598. L'estensione all'imposta sul r. delle persone giuridiche della disciplina relativa all'imposta sul r. delle persone fisiche è espressamente prevista in relazione specialmente per gli artt. 40, 44, 53, 54, 55 e 59 del d.P.R. n. 597 riferentisi alle società in nome collettivo e in accomandita semplice che valgono, quindi, anche per tutte le società di altro tipo e per gli enti commerciali in genere soggetti all'imposta sul r. delle persone giuridiche.
Vista la natura dei soggetti passivi dell'IRPEG, la legge non contempla alcuna detrazione (come, per es., gli oneri previsti all'art. 10 del d.P.R. n. 597) in aggiunta a quelle dei costi, delle spese e delle passività in genere che concorrono in senso negativo alla formazione degli utili netti. Dal r. complessivo lordo sono, tuttavia, deducibili: a) l'imposta locale sui r. che concorrono a formare il r. complessivo soggetto all'IRPEG; b) l'INVIM dovuta per possesso decennale d'immobili da parte di società ed enti; c) nel limite del 75% le spese necessarie per la conservazione d'immobili d'interesse artistico, storico o archeologico imposte ai sensi dell'art. 16 l. 1 giugno 1939, n. 1089, o eseguite d'iniziativa del proprietario. L'imposta è determinata applicando l'aliquota del 25% al r. complessivo imponibile e da essa, ovviamente, si scomputano le ritenute di acconto operate sui singoli redditi.
Inoltre per i soggetti passivi residenti nel territorio dello stato, se alla formazione del r. complessivo imponibile concorrono r. prodotti all'estero, le imposte ivi pagate in via definitiva su tali r. sono ammesse in detrazione dall'IRPEG secondo le modalità previste all'art. 9 relative al credito d'imposta (analoghe a quelle previste ai fini dell'IRPEF).
È questo il credito d'imposta attribuito in relazione ai r. prodotti all'estero da non confondere con il credito d'imposta attribuito ai soci (di società di capitali) cui siano distribuiti dividendi (e di cui abbiamo già parlato nei Principi generali); il primo è teso a evitare l'imposizione in Italia e all'estero dello stesso r. (e opera soltanto in assenza di convenzioni internazionali contro la doppia imposizione), il secondo è teso ad annullare gli effetti economici del prelievo fiscale avvenuto in capo alla società in sede di eventuale tassazione in capo ai soci degli utili distribuiti.
Società di capitali ed enti equiparati: disposizioni particolari. - Alla determinazione del r. imponibile delle società e degli enti più indietro indicati alle lett. a) e b) (enti commerciali) rilevano gli utili prodotti in Italia e all'estero, indipendentemente dalla loro destinazione. L'irrilevanza della destinazione degli utili accentua l'esclusiva considerazione della legge nei confronti della produzione del r. (naturalmente al netto di tutti i costi e accantonamenti consentiti), non influendo all'uopo il fatto che tali utili, se prodotti, vengano o meno erogati o distribuiti ai soci ovvero, per es., destinati a creare riserve. Non concorrono invece alla formazione del r. imponibile i sovraprezzi di emissione e gl'interessi di conguaglio versati dai sottoscrittori di nuove azioni.
In relazione a specifici criteri direttivi posti dalla legge delega, le plusvalenze rilevano nei confronti dei soggetti indicati alle lett. a) e b) non solo se realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di beni (diversi da quelli alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa) ma pure in relazione all'elemento formale della loro iscrizione in bilancio (v. art. 12 d.P.R. n. 598) indipendentemente dalla cessione dei beni o dalla distribuzione ai soci, associati o partecipanti, ferma restando la regola dell'esclusione delle plusvalenze dal r. imponibile se destinate al reinvestimento a norma dell'art. 54, 6° comma del d.P.R. n. 597. Si aggiunga che molto opportunamente, a differenza di quanto avveniva nel T.U. del 1958, rilevano anche le iscrizioni in bilancio delle minusvalenze in conseguenza delle valutazioni di cui agli artt. 62 e 64 del d.P.R. n. 597.
Un'altra disposizione di grande importanza, applicabile soltanto alle società di capitali e agli enti equiparati, è quella che consente a tali soggetti di riportare le perdite di un certo periodo d'imposta in diminuzione del r. complessivo imponibile fino al 5° periodo d'imposta successivo.
Molto interesse destano le disposizioni che concernono le trasformazioni e le fusioni delle società. Per quanto concerne le trasformazioni, l'art. 15 del d.P.R. n. 598, in linea con il principio secondo cui tali operazioni comportano soltanto un mutamento della forma giuridica attraverso la quale l'imprenditore esercita la propria attività e non determinano trasferimento delle attività sociali, stabilisce che la trasformazione delle società da uno a un altro dei tipi indicati all'art. 2200 cod. civ. non costituisce realizzo delle plusvalenze e delle minusvalenze patrimoniali anche se queste risultano dalla relazione di stima prevista dall'art. 2498, 2° comma, cod. civ. Naturalmente facendo la legge riferimento alle plusvalenze e alle minusvalenze realizzate rimane salva la rilevanza di esse nel caso che vengano iscritte in bilancio. Anche per quanto concerne la fusione di più società la legge, accogliendo l'impostazione di una parte della dottrina, considera che l'operazione non dà luogo a realizzazione o distribuzione di plusvalenze e minusvalenze patrimoniali delle società fuse anche se risultino dalle situazioni patrimoniali previste dall'art. 2502, 2° comma, cod. civile.
Se tuttavia le plusvalenze sono iscritte nel bilancio della società risultante dalla fusione (nel caso di fusione vera e propria) o della società incorporante (nel caso di fusione per incorporazione), con o senza imputazione al capitale, esse rilevano secondo la regola generale prevista dall'art. 12. Qualora, però, la fusione avvenga per incorporazione e la società incorporante, avendo partecipazione nella società incorporata, annulli le azioni o quote in suo possesso, la legge prevede che non si tiene conto delle plusvalenze per un importo pari alla differenza fra il costo delle azioni o delle quote annullate e il valore del patrimonio netto della società incorporata risultante dalle scritture contabili.
Enti non commerciali: disposizioni particolari. - Come già accennato a proposito del presupposto d'imposta, mentre l'insieme dei r. posseduti dagli enti "commerciali" viene riunito sotto l'unica nozione di r. d'impresa, i singoli r. posseduti dagli enti non commerciali (art. 2 lett. c) mantengono la loro identità e autonomia. Ne consegue che il r. complessivo imponibile di tali soggetti è formato dalla somma dei singoli r. che essi sono in grado di produrre, in relazione alla loro composizione e struttura, determinati secondo le norme proprie di ciascun tipo di reddito. In particolare concorrono alla formazione della base imponibile: i r. fondiari, di capitale e quelli derivanti dall'esercizio marginale e non prevalente di un'attività commerciale, ovunque prodotti e indipendentemente dalla loro destinazione. Questa elencazione tassativa dei componenti la base imponibile (art. 19), che sembra un implicito riconoscimento di una minore capacità contributiva degli enti non commerciali rispetto a quelli commerciali, necessita di ulteriori specificazioni. Per quanto attiene in particolare alle associazioni non riconosciute e alle altre organizzazioni di persone e di beni, non concorrono alla formazione del r. imponibile le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di contributi o quote associative a eccezione di quelle corrisposte per specifiche prestazioni rese a tali soggetti nell'esercizio di attività commerciali. Il legislatore, quindi, ha aderito alla tesi secondo la quale le somme in questione non costituiscono ricavi (tranne le specifiche prestazioni rese commercialmente agli associati) bensì meri apporti di capitale. In considerazione, poi, del fatto che questi enti non svolgono attività commerciale prevalente, concorrono a formare il r. imponibile soltanto le plusvalenze realizzate mediante operazioni speculative (secondo quanto disposto dall'art. 76 del d.P.R. n. 597) ovvero, nell'ipotesi in cui venga esercitata un'attività commerciale secondaria rispetto all'attività prevalente, anche le plusvalenze realizzate mediante cessione di beni destinati o comunque relativi all'attività commerciale esercitata. In tale ipotesi, occorre tenere conto anche delle sopravvenienze attive inerenti alla stessa attività commerciale, e, si ritiene, anche di quelle passive. Per quanto riguarda i componenti negativi del r. imponibile, l'art. 21 pone a carico degli enti in questione l'onere di dimostrare, mediante una distinta gestione e una separata contabilità, l'inerenza delle singole passività ai r. imponibili, in modo da evitare la detraibilità dei costi e oneri relativi a quelle attività degli enti non commerciali che non concorrono a formare il r. complessivo imponibile. In mancanza di una contabilità separata, i costi e gli oneri sostenuti dagli enti, compresi gl'interessi passivi ed escluse le minusvalenze delle quali parleremo, sono detraibili mediante un sistema forfettario in proporzione al rapporto esistente fra l'ammontare dei ricavi e proventi che concorrono a formare il r. complessivo e l'ammontare globale di tutti i ricavi e proventi. Le minusvalenze patrimoniali possono essere dedotte dal r. imponibile complessivo soltanto se verificate in dipendenza di cessione di beni destinati o relativi all'attività eventualmente esercitata.
Società ed enti non residenti: disposizioni particolari. - Conformemente ai principi generali in tema di territorialità, la base imponibile è costituita esclusivamente dai r. prodotti nel territorio dello stato. Per la localizzazione territoriale della produzione dei singoli r. la legge rinvia ai criteri previsti per i singoli tipi di r. dall'art. 19 d.P.R. n. 597. Si deve, inoltre, precisare che se il soggetto non svolge in via principale o esclusiva attività commerciale e in ogni caso non sia una società, il r. imponibile è costituito soltanto dai r. fondiari, di capitale e da quelli derivanti dall'eventuale, marginale, attività commerciale. I r. derivanti da prestazioni artistiche e professionali effettuati nel territorio dello stato concorrono in ogni caso alla formazione del r. complessivo imponibile. Se invece si tratta di società ovvero di enti diversi dalle società che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali, si tiene conto per i r. d'impresa anche delle plusvalenze e delle minusvalenze dei beni destinati o comunque relativi ad attività commerciali esercitate nel territorio dello stato, ancorché non conseguite attraverso stabili organizzazioni.
Dobbiamo rilevare che in relazione all'ultima parte di questa disposizione (e cioè quella che prevede il concorso delle plusvalenze anche se non conseguite mediante una stabile organizzazione nel territorio dello stato) esistono dubbi di legittimità costituzionale, visto che il n. 9 dell'art. 3 della legge delega sembra condizionare l'imponibilità delle plusvalenze e la detraibilità delle minusvalenze di cui si tratta, al conseguimento di esse mediante stabili organizzazioni nel territorio dello stato.
La legge rinvia alle norme del titolo II e a quelle del titolo III del d.P.R. n. 598, per la determinazione del r. complessivo netto dei soggetti non residenti che svolgono attività commerciali in via esclusiva o principale, da un lato, e dall'altro, dei non residenti per cui tale attività non è né esclusiva né principale. Naturalmente la compensazione tra le perdite e gli utili di diversi periodi d'imposta è applicabile solo alle società e agli enti diversi da esse che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali.
III - L'imposta locale sui redditi. - Principi generali. - L'originario progetto di riforma tributaria prevedeva l'istituzione, accanto alle due imposte erariali sui redditi (IRPEF e IRPEG) tra loro alternative, di un'imposta ordinaria sul patrimonio che doveva essere accertata e riscossa dagli uffici erariali, ma il cui gettito era destinato agli enti locali, in particolare territoriali. L'opposizione incontrata da tale progetto comportò la sostituzione dell'imposta patrimoniale con un'imposta sui r. patrimoniali che poi nel corso dell'iter parlamentare del disegno di legge delega fu estesa anche ai r. professionali, che certo non possono considerarsi patrimoniali. A questa stregua il tributo assunse la nuova denominazione d'imposta locale sui r., che in sostanza colpisce tutte le categorie reddituali a esclusione dei r. di lavoro dipendente, avendo perso anche la finalità di discriminare qualitativamente i r. di natura patrimoniale.
Tuttavia, a pochissimi anni dall'entrata in vigore della riforma tributaria già si parla nuovamente e con insistenza di un'imposta patrimoniale, accertata e riscossa dagli enti locali, in sostituzione dell'ILOR e dell'INVIM: anzi già sono stati presentati disegni di legge in tal senso nell'ambito del più vasto programma della riforma della finanza locale. Nel nuovo assetto dell'ordinamento tributario generale generato dalle leggi di riforma, imperniato su imposte sui r. quali l'IRPEF e l'IRPEG marcatamente personali, tendenti, cioè, a colpire il complesso dei r. del soggetto passivo ovunque prodotti nel mondo, l'ILOR costituisce l'unico esempio d'imposta reale: la natura "reale" dell'ILOR si sostanzia nel fatto che essa in linea di principio, a differenza degli altri due tributi sul r., colpisce i singoli r. facenti capo ai soggetti passivi e in ogni caso soltanto i r. prodotti in Italia. La natura reale del tributo in esame avrebbe dovuto comportare, come prima conseguenza, la necessità di un accertamento dei singoli r., autonomo e distinto rispetto all'accertamento degli stessi r. ai fini dell'IRPEF e dell'IRPEG. Tuttavia l'esigenza dell'unicità e per quanto possibile dell'uniformità dell'accertamento nell'ambito del sistema delle imposte sui r. che, come è noto, ha costituito uno dei motivi ispiratori della riforma, si è tradotta nell'art. 4 del d.P.R. n. 599, che pone il principio generale secondo cui l'ILOR si applica sull'ammontare dei singoli r. "determinato ai fini dell'IRPEF", ovvero sull'ammontare del r. complessivo "determinato ai fini dell'IRPEG". Il legislatore, in tal modo, ha cercato di evitare la temuta duplicità (e spesso disparità) di accertamenti mutuando, in linea di principio, le norme relative alla determinazione della base imponibile dall'IRPEF e dall'IRPEG. Vedremo, poi, come questo criterio di accertamento non possa operare sempre, essendo differenti nell'ILOR, rispetto alle altre imposte sui r., la natura e il presupposto.
Presupposto. - Il presupposto dell'ILOR è delineato all'art. 1, 1° comma, del decreto istitutivo secondo cui "Presupposto dell'imposta locale sui redditi è il possesso di reddit1, in denaro o in natura, continuativi o occasionali, prodotti nel territorio dello stato, ancorché esenti dall'IRPEF e dall'IRPEG". Tuttavia il secondo comma, con un'ulteriore precisazione, ne completa la definizione dichiarando esclusi dall'imposta e, quindi, non compresi nel presupposto: a) i r. di lavoro dipendente e assimilati indicati negli artt. 46 e 47 del d.P.R n. 597; b) i r. derivanti dalla partecipazione in società di ogni tipo e dalla partecipazione in enti soggetti all'IRPEG; c) i r. assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta.
L'esclusione dal presupposto dell'imposta in esame dei r. di cui al punto a) permette di definire l'ILOR un tributo che assolve a una funzione discriminante rispetto alle altre imposte sui r. in vigore: essa, infatti, si può giustificare solamente con l'intento del legislatore di attuare una discriminazione fiscale qualitativa a favore dei r. di lavoro dipendente e a sfavore di tutti gli altri tipi di r. ritenuti espressione di una maggiore capacità contributiva (anche se con motivi metagiuridici quale quello tendente a ristabilire l'equità fiscale, visto che mentre per i r. di lavoro dipendente non vi sarebbe evasione - stante il sistema delle ritenute - per gli altri tipi di r. le frange d'evasione sarebbero assai vaste). Tale discriminazione appare, però, sospetta di incostituzionalità e infatti la Corte Costituzionale si accinge a giudicare della sua legittimità.
Le altre due esclusioni, al contrario, si giustificano con l'esigenza di evitare una duplicazione d'imposta: nell'ipotesi sub b) in quanto gli stessi r. sono già tassati in capo alle società di ogni tipo e agli enti soggetti all'IRPEG; nell'ipotesi sub c) in quanto nel vigente sistema la ritenuta alla fonte a titolo d'imposta è onnicomprensiva e sostitutiva di ogni tributo sui redditi. Tornando all'esame della definizione positiva del presupposto contenuta nel 1° comma dell'art. 1, notiamo che essa è apparentemente uguale a quella propria del presupposto rilevante ai fini IRPEF comprendendo tutti i r. di qualsiasi genere o natura, ancorché occasionali. Identità apparente, tuttavia, per diversi aspetti: tanto nell'ILOR, quanto nell'IRPEF la definizione giuridica del presupposto s'incentra nel "possesso dei redditi". Tuttavia, mentre nell'IRPEF (imposta personale) ha rilievo anche la libera disponibilità dei r. altrui, ciò non avviene nell'ILOR. La sua natura reale esclude la libera disponibilità dei r. altrui e limita il presupposto al "possesso" come appartenenza diretta del r. al soggetto passivo.
Altro aspetto peculiare del presupposto in esame (anch'esso dipendente dalla natura reale del tributo) è dato dalla rigida limitazione di esso ai r. prodotti nel territorio dello stato. Limitazione, questa, che rende necessaria una definizione legislativa del r. prodotto nello stato con particolare riferimento ai non residenti (persone fisiche o giuridiche) e ai r. prodotti, parte nel territorio dello stato e parte all'estero. Per la prima ipotesi l'art. 3, con una delle numerose norme di rinvio, rimanda alla disciplina degli artt. 19 d.P.R. n. 597 e 22 d.P.R. n. 598 i quali, rispettivamente (limitandoci alle fattispecie più frequenti), considerano prodotti nel territorio dello stato i r. fondiari, i r. di capitale corrisposti dallo stato o da soggetti residenti, i r. di lavoro dipendente o autonomo prestato nel territorio dello stato, i r. d'impresa con stabile organizzazione nel territorio dello stato, ecc. Una deroga a tali principi generali è contenuta nel 2° comma dell'art. 3 che, nei confronti dei soggetti residenti nel territorio dello stato o aventi in esso la sede legale o amministrativa o l'oggetto principale dell'attività, considera prodotti nel territorio dello stato anche i r. derivanti da attività commerciali esercitate all'estero senza stabile organizzazione, né contabilità separata e quelli derivanti da attività di lavoro autonomo esercitate all'estero quando non siano imputabili a una base fissa ivi stabilita. Norma questa che avvicina, per i soggetti in questione, il concetto di r. imponibile ILOR a quello imponibile ai fini IRPEF e IRPEG (r. ovunque prodotto).
Soggetti passivi. - La definizione dei soggetti passivi è la più ampia possibile nei limiti del presupposto sopra descritto. L'art. 2 elenca, quali soggetti passivi, le persone fisiche, le società di ogni tipo, comprese le società di persone, gli enti pubblici e privati, compresi i consorzi, e le associazioni non riconosciute: quindi, con tipica norma di chiusura, vi comprende anche tutte le altre organizzazioni non aventi personalità giuridica, nei confronti delle quali il presupposto si realizza in modo unitario e autonomo.
Da notare l'inclusione tra i soggetti passivi dell'ILOR anche delle società di persone nonché di quelle a esse equiparate ai sensi degli artt. 5 e 6 del d.P.R. n. 597: tali società non figurano comprese tra i soggetti passivi dell'IRPEF, data l'esigenza per tale imposta di determinare il r. complessivo di ciascun partecipante.
Nulla, al contrario, è previsto per le imprese familiari: si può ritenere in proposito che, qualora i partecipanti abbiano redatto, ai sensi di legge, la dichiarazione annuale relativa alla ripartizione dei r. prodotti, il presupposto (possesso dei r.) si verifichi in capo a ciascuno di essi e quindi che ciascuno possa essere considerato soggetto passivo. Non sembra, infatti, che nei confronti delle imprese familiari il presupposto si verifichi in modo unitario e autonomo, cosa che è invece espressamente richiesta dall'art. 2 per l'imposizione degli enti o associazioni non aventi personalità giuridica. Con tale norma il legislatore ha cercato d'imporre il tributo nei confronti di tutti quegli enti pubblici e privati, commerciali o non e su tutte quelle associazioni, comitati ed entità in genere che, non avendo personalità giuridica, né (molto spesso) altro motivo aggregante diverso dallo scopo perseguito, potevano facilmente sfuggire all'imposta pur producendo un r. imponibile, in quanto non rientranti in tutti i loro aspetti in una delle categorie soggettive tipizzate dalle altre branche del diritto.
Base imponibile. - Come abbiamo anticipato in precedenza, allo scopo di unificare l'accertamento nell'ambito delle imposte sui r. il d.P.R. n. 599 per la determinazione della base imponibile, in linea di principio, rinvia a quanto stabilito ai fini IRPEF o IRPEG. Tuttavia, scendendo a un esame dettagliato della disciplina contenuta negli artt. 4 e seguenti, occorre precisare: in primo luogo è necessario distinguere tra soggetti passivi - persone fisiche o enti assimilati - e soggetti passivi - persone giuridiche o enti assimilati -, e nell'ambito di ciascuna di queste categorie, distinguere ancora, rispettivamente, tra le persone fisiche e le società di persone e tra le persone giuridiche in senso proprio e gli altri enti soggetti all'IRPEG.
a) Nei confronti delle persone fisiche, ai sensi dell'art. 4, la base imponibile è costituita dall'ammontare dei singoli r. determinato ai fini IRPEF ovvero, quando questa non è applicata, l'imponibile si determina con i criteri previsti per la determinazione dei singoli r. ai fini dell'imposta medesima (si evidenzia ancora una volta, sotto questo profilo, la natura reale dell'ILOR). Per la determinazione dei singoli r. costituenti la base imponibile per le persone fisiche e le società semplici non è previsto un accertamento autonomo in quanto l'imposta si applica sull'ammontare dei singoli r. determinato ai fini IRPEF ovvero, se questa non è applicata, con i criteri previsti per la determinazione dei singoli r. ai fini dell'imposta medesima. A tale scopo sono applicabili tutte le norme previste nel d.P.R. n. 597 per l'esatta determinazione e quantificazione delle categorie dei r. imponibili: non si ha tuttavia un'integrale ricezione delle norme relative alla determinazione della base imponibile IRPEF. Infatti, dalla disciplina posta dall'art. 4 si rileva in primo luogo che non possono trovare applicazione le deduzioni dall'imponibile lordo degli oneri spiccatamente personali (interessi passivi, premi di assicurazione, spese per la frequenza scolastica delle persone a carico e simili) e, in secondo luogo, che non è consentito dedurre dagli altri r. le eventuali perdite verificatesi nell'esercizio dell'impresa o del lavoro autonomo (che sono, invece, detraibili per determinare il r. complessivo soggetto all'IRPEF). Ciò che si vuole colpire con l'ILOR non è l'ammontare netto della somma di tutti i r. afferenti il soggetto passivo, ma l'ammontare netto di ciascun r., separatamente considerato e valutato in tutte le sue componenti attive e passive.
Nei confronti delle società in nome collettivo e in accomandita semplice l'imposta si applica sull'ammontare del r. determinato ai fini dell'IRPEF ovvero, quando questa non è applicata, con i criteri previsti per la determinazione del r. stesso. A differenza delle persone fisiche la base imponibile di tali società di persone è costituita dal complesso dei r., come accertato in sede IRPEF: logica conseguenza della norma (art. 6 d.P.R. n. 597, 3° comma) applicabile a tali società anche in sede ILOR, secondo la quale i r. dalle stesse prodotti da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l'oggetto delle società, si considerano r. d'impresa e accertati unitariamente. Ne sono esclusi solo i r. fondiari che, come vedremo, vengono comunque tassati separatamente nei confronti di qualsiasi soggetto passivo.
Determinato l'ammontare netto dei singoli r. posseduti dalle persone fisiche o l'ammontare del r. d'impresa prodotto dalle società di persone, non si è ancora giunti alla base imponibile di tali soggetti passivi: infatti, l'art. 7 prevede a favore delle persone fisiche e delle società di persone una deduzione dal r. netto d'impresa, di lavoro autonomo e agrario. La ratio di tale norma si ricollega alla funzione impositiva discriminante propria dell'ILOR e si deve ricercare nell'esigenza, avvertita dal legislatore, di attenuare l'imposizione nei confronti di quei tipi di r. in cui vi sia una componente costituita dal lavoro. Tale deduzione si risolve in una vera e propria agevolazione che consente, a richiesta del contribuente nella dichiarazione annuale, di detrarre dal r. netto (di lavoro autonomo, d'impresa o agrario) una quota pari al 50% del r. stesso, con i limiti minimo e massimo di 6 e 12 milioni, ragguagliata ad anno. La deduzione, peraltro, per i r. agrari e d'impresa è attribuita a condizione che il soggetto presti la propria opera nell'impresa e che tale prestazione costituisca la sua occupazione prevalente (espressione, questa, della ratio sopra enunciata).
Nei confronti di titolari di più r. cui competano le deduzioni in esame, l'ammontare della deduzione, entro i limiti sopra illustrati, è determinato sul cumulo dei r. stessi ed è imputata proporzionalmente a ciascuno di essi. Per quanto riguarda, poi, le società di persone ed enti assimilati, ciascuno dei soci potrà operare la deduzione dalla quota di r. a esso spettante a condizione che egli presti la propria opera nell'impresa e che tale prestazione costituisca la sua occupazione prevalente.
b) Nei confronti delle società di capitali e degli altri enti pubblici o privati, commerciali o non, aventi l'oggetto esclusivo o principale nel territorio dello stato o la sede legale o amministrativa in esso, l'imposta si applica sull'ammontare del r. complessivo determinato ai fini dell'IRPEG ovvero, quando questa non è applicata, con i criteri previsti per la determinazione del predetto r. complessivo. Sembrerebbe che in tale fattispecie si verifichi una perfetta coincidenza della base imponibile ILOR e di quella IRPEG, ma in realtà ciò non avviene. In primo luogo per la determinazione della base imponibile ILOR è necessario, in virtù del principio generale della territorialità, escludere e scorporare dall'ammontare del r. complessivo determinato ai fini IRPEG i r. prodotti all'estero con stabile organizzazione o con una base fissa. Inoltre espressamente la legge vieta il riporto delle perdite, subite in un determinato esercizio, negli esercizi successivi, a differenza di quanto consentito in sede di IRPEG. Tali perdite, perciò, graveranno integralmente nell'esercizio nel quale si sono verificate, creando una differenza nel r. imponibile ILOR rispetto al r. imponibile ai fini IRPEG negli esercizi (fino al quinto) successivi a quello in cui si sono verificate.
Nei confronti degli enti di ogni tipo con o senza personalità giuridica e delle società non residenti, l'imposta si applica sull'ammontare dei singoli r. determinati secondo le disposizioni del titolo IV del decreto istitutivo dell'IRPEG: si applica, in altre parole, sui r. prodotti nel territorio dello stato e determinati secondo la loro natura e tipologia ai sensi di quanto previsto nei decreti IRPEF e IRPEG.
Un discorso a parte meritano, poi, i r. fondiari, sui quali l'imposta si applica sempre separatamente, anche nei confronti delle società di persone e di capitali e degli altri enti, con o senza personalità giuridica, soggetti all'IRPEG. I r. fondiari, pertanto, non entrano quali componenti del r. d'impresa prodotto dalle società di persone o di capitali, né quali componenti del r. complessivo degli altri soggetti passivi dell'IRPEG, ma devono essere scorporati e tassati separatamente (allo scopo di attribuire il gettito relativo ai comuni nel cui territorio si trovano i singoli immobili). A seguito delle modifiche apportate dall'art. 1 del d.P.R. n. 920 del 1976 e dall'art. 1 della l. n. 38 del 1978, anche i r. fondiari, che venivano in precedenza tassati in base alle risultanze catastali, debbono essere dichiarati e assoggettati all'ILOR in base alla dichiarazione e per periodo d'imposta (non più per anno solare).
Accertamento e riscossione. - Come già accennato, uno dei motivi ispiratori della riforma è stato quello della razionalizzazione dell'accertamento che si manifesta nell'unicità dell'organo a esso preposto e delle procedure da seguire e anche nella tendenziale unicità del risultato dell'accertamento stesso. In omaggio a tale principio l'art. 8 d.P.R., n. 599, dispone che l'imposta in esame sia accertata a cura degli stessi uífici che procedono all'accertamento delle imposte erariali. La disposizione si completa con un rinvio alle norme del d.P.R. n. 600 e del d.P.R. n. 602 per quanto attiene, rispettivamente, all'accertamento e alla riscossione. In base a tale disciplina, i contribuenti sono tenuti a presentare un'unica dichiarazione annuale ai fini IRPEF o IRPEG e ILOR contenente l'indicazione di tutti i r. e di tutti gli elementi rilevanti agli effetti di dette imposte.
Richiamandoci a quanto già evidenziato nell'esame dei soggetti passivi, sottolineiamo che le società di persone (e le società e associazioni a esse equiparate ai sensi dell'art. 5 d.P.R. n. 597) devono presentare la dichiarazione annuale agli effetti dell'ILOR da esse dovuta e agli effetti dell'IRPEF o dell'IRPEG dovuta dai soci o associati.
Il principio dell'unicità dell'accertamento si attua, concretamente, nell'attribuire esclusivamente agli uffici erariali (ed esattamente all'ufficio distrettuale delle imposte dirette nella cui circoscrizione il contribuente abbia il domicilio fiscale) il potere di determinare il r. complessivo o i singoli r. rilevanti ai fini dell'IRPEF o dell'IRPEG e dell'ILOR (gli artt. 38 e 40 del d.P.R. n. 600 dispongono che l'avviso di rettifica o di accertamento sia unico agli effetti dell'IRPEF o IRPEG e dell'ILOR). L'ufficio distrettuale delle imposte dirette, quindi, è competente per tutte le fasi dell'accertamento, dal controllo della fedeltà e completezza delle dichiarazioni all'espletamento di poteri istruttori e all'invio dell'avviso di rettifica o di accertamento d'ufficio: il comune ha soltanto il potere di partecipare all'accertamento nei confronti delle sole persone fisiche, segnalando elementi e proponendo aumenti d'imponibile. Per quanto riguarda la riscossione, la l. n. 38 del 1978, innovando profondamente rispetto al sistema previgente che contemplava soltanto l'iscrizione a ruolo, ha uniformato la riscossione dell'ILOR a quella prevista per le altre imposte sui r., consistente nell'autoimposizione con versamento diretto e nell'eventuale iscrizione a ruolo dell'imposta non versata direttamente dal soggetto (o per mancata autoimposizione o per successivo maggiore accertamento): anche per l'ILOR, inoltre, è stata introdotta l'anticipazione, nella misura del 75% dell'imposta dichiarata per l'anno precedente, da versarsi entro la fine di novembre dell'anno in corso.
Soggetti beneficiari del gettito. - Come si evince anche dalla denominazione, l'ILOR è un'imposta "locale", nel senso che il gettito che da essa deriva è attribuito integralmente a enti locali, territoriali e non, elencati tassativamente dalla legge: comuni, province, regioni, camere di commercio, aziende di cura, soggiorno e turismo nel cui territorio (o circoscrizione) è prodotto il r. imponibile.
Pur essendo tali soggetti i beneficiari del gettito, si può molto discutere circa la loro qualificazione di soggetti attivi del tributo in esame. Infatti, dal punto di vista della potestà normativa tributaria, da quando con la l. n. 38 del 1978 l'aliquota dell'ILOR è stata fissata nel 15%, gli enti locali non possono più deliberare, tra i minimi e massimi in precedenza previsti dalla legge, la misura effettiva dell'aliquota. Inoltre la potestà d'imposizione, intesa come complesso dei poteri di accertamento, riscossione, irrogazione delle eventuali sanzioni, che realizzano la funzione tributaria, è sostanzialmente riservata allo stato (inteso come amministrazione centrale) o a soggetti da esso delegati in base alla legge (come si è visto, i comuni hanno soltanto una marginale partecipazione nell'accertamento).
Riscosso il tributo, lo stato deve trasferirne l'importo agli enti beneficiari, secondo le rispettive attribuzioni per determinare le quali, agli artt. 11 e 12 del d.P.R. n. 599, sono fissate precise norme che individuano il criterio di ripartizione nel luogo di produzione dei r. imponibili. In riferimento a tale criterio, si considerano prodotti: i r. fondiari, nel comune in cui è situato l'immobile; i r. di capitale e i r. che derivano dall'utilizzazione economica di marchi di fabbrica, brevetti, opere dell'ingegno, nel comune di domicilio fiscale del debitore; i r. di lavoro autonomo, e i r. d'impresa, nel comune in cui è esercitata la rispettiva attività (mediante una base fissa, limitatamente ai r. di lavoro autonomo); i r. diversi di cui al titolo VI della disciplina IRPEF, nel comune di residenza del contribuente; le plusvalenze realizzate in occasione della cessione di aziende e i compensi percepiti per la perdita dell'avviamento, nel comune in cui era l'azienda ceduta o liquidata o nel comune in cui è situato l'immobile rilasciato. Per il r. complessivo realizzato dai soggetti IRPEG, vigono le norme e i criteri, ai quali abbiamo fatto cenno in relazione al r. d'impresa, dettagliatamente contenuti nel n. 4 dell'art. 11. Qualora il r. sia prodotto, alla luce dei criteri ora illustrati, in comuni diversi, il contribuente deve indicare nella dichiarazione annuale le quote di r. prodotte in ciascun comune. L'ufficio imposte del domicilio fiscale del contribuente può rettificare la ripartizione dichiarata dal contribuente stesso e può attuarla d'ufficio, in caso di omissione della dichiarazione, notificandola agli enti interessati e al contribuente. A questo proposito è previsto dalla legge un procedimento contenzioso particolare, di tipo amministrativo, per dirimere le eventuali controversie sull'attribuzione del gettito. Contro i provvedimenti di ripartizione del gettito, tanto gli enti interessati, quanto il contribuente, possono ricorrere, in via gerarchica, al ministero delle Finanze. Il provvedimento del ministro è impugnabile dinanzi al TAR o dinanzi al Consiglio di Stato a seconda che gli enti interessati appartengano alla stessa o a diverse regioni, instaurandosi, così, la fase di vero e proprio contenzioso giurisdizionale amministrativo.
Bibl.: A. E. Granelli, Il presupposto dell'imposta sul reddito gloale delle persone giuridiche, in Studi Urbinati, 1972-73; V. Uckmar, L'imposta sul reddito delle persone giuridiche, in Rass. Parlam., 1974, p. 94; G. C. Croxatto, Disposizioni generali sulla determinazione della base imponibile ai fini dell'IRPEG, in Dir. Prat. Trib., 1974, I, p. 1125; A. Fantozzi, accantonamenti ed oneri diversi: la loro disciplina nella riforma tributaria, in Giur. Comm., 1974, I, p. 44; G. Falsitta, La certa e definitiva produzione delle plusvalenze quale presupposto della loro imponibilità, in Imp. dirette, 1974, I, p. 41; C. Cosciani, Su alcune deformazioni della progressività dell'IRPEF, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1975, I, p. 3; G. Falsitta, Fusione tra società e realizzo di plusvalenze, in Dir. Prat. Trib., 1975, I, p. 17; B. Visentini, Il problema del riconoscimento degli effetti esercitati dalle variazioni dei prezzi e dei cambi sul bilancio della impresa e la regolamentazione legislativa civile e tributaria, in Bancaria, 1975, p. 483; B. Cocivera, R. Merlino, L'imposta sul reddito delle persone fisiche, Milano 1975; N. D'amati, La progettazione giuridica del reddito, vol. I, Padova 1975; A .Fedele, Possesso di redditi, capacità contributiva ed incostituzionalità del "cumulo", in Giur. cost., 1976, I, p. 2159; L. Perrone, Il cumulo dei redditi, il principio della capacità contributiva e la progressività del sistema tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1977, II, p. 113; A. Fantozzi, Il concetto di imprenditore nella determinazione fiscale del reddito di impresa, in Giur. Comm., 1977; I, p. 413; G. A. Micheli, Soggettività tributaria e categorie civilistiche, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1977, I, p. 419; A. Berliri, L'imposta sul reddito delle persone fisiche (Lezioni), Milano 1977; P. M. Tabellini, L'imposta sul reddito delle persone giuridiche, ivi 1977; G. A. Micheli, Primi appunti sull'efficacia soggettiva dell'iscrizione a ruolo, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1978, 2, p. 267; G. Marongiu, La discriminazione qualitativa dei redditi di lavoro al vaglio della Corte Costituzionale, in Dir. prat. trib., 1978, 2, p. 505; E. Antonini, Personalità giuridica e IRPEG, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1978, 3, p. 381; G. A. Micheli, Corso di diritto tributario, Torino 1978; E. Potito, L'Ordinamento tributario italiano, Milano 1978; N. D'amati, Lineamenti di legislazione fiscale, Torino 1978; M. Maccarone, Teoria e tecnica delle imposte sui redditi, I, II, Milano 1978; Autori vari, Riforma tributaria e diritto commerciale, ivi 1978; A. Berliri, Corso istituzionale di diritto tributario, ivi 1978.
Imposta negativa sul reddito. - L'imposta negativa sul r., a prescindere da qualche applicazione parziale in Inghilterra alla fine del secolo 19°, venne proposta per la prima volta in questo dopoguerra da J. E. Rhys-Williams, e diede luogo, specie negli anni Sessanta, a un'ampia e approfondita discussione a livello scientifico, prevalentemente tra economisti nord americani. I vari schemi proposti vennero attentamente esaminati sia sotto il profilo delle diverse modalità di realizzazione, sia con riferimento agli effetti economici dei singoli piani suggeriti.
L'idea fondamentale da cui partono questi schemi è quella di utilizzare il sistema fiscale come mezzo per attenuare, se non per eliminare, il problema della povertà dei larghi strati della popolazione che sussistono nei paesi industrializzati a economia di mercato, malgrado il loro elevato sviluppo economico. E ciò abbinando, con il medesimo strumento, il prelievo a carico delle classi più abbienti a un sussidio monetario a beneficio delle altre.
Il punto di partenza, filosofico, religioso o sociologico, è che ciascun individuo ha diritto, come persona, alla propria sussistenza e quindi ai mezzi necessari per soddisfare i bisogni essenziali.
L'idea non è nuova: da tempo lo stato si è assunto tale compito nei confronti dei propri cittadini, ma le varie forme di assistenza pubblica o quella più perfezionata della sicurezza sociale non sembrano soddisfacenti ai sostenitori dell'imposta negativa sul reddito, perché parziali e inadeguate a risolvere il problema. Con questi schemi si cerca di superare il problema della ricerca dei motivi per cui una persona non è in grado di assicurarsi i mezzi indispensabili (disoccupazione, inabilità, ecc.) o le cause che rendono in casi particolari inadeguate le sue risorse a fronteggiare esigenze vitali (malattia, vecchiaia, ecc.), rendendo necessario il ricorso all'aiuto dello stato, previo accertamento di volta in volta delle singole circostanze, per attribuire a ciascuno il diritto a un sussidio pubblico per il solo fatto che il suo r. non raggiunge un certo livello minimo.
Di conseguenza, i vari progetti assumono come punto di partenza il presupposto che un certo ammontare di r. annuo è da considerare come un livello minimo per tutti, necessario per soddisfare i bisogni essenziali di una famiglia o di una persona. Coloro che hanno un r. superiore a tale ammontare sono assoggettati a un'imposta che in tal modo riduce il loro r. disponibile. Il gettito relativo viene destinato a dare un sussidio (detto appunto "imposta negativa sul r.") alle famiglie e agl'individui che si trovano al di sotto di tale livello, aumentando, così, le loro risorse disponibili.
In ultima analisi queste varie formulazioni si propongono di ampliare e di rendere più razionale la funzione della finanza pubblica degli stati moderni, di procedere a una redistribuzione del r. nazionale dalle classi più abbienti a quelle più povere, per attenuare la concentrazione di r. attribuibile sia a fattori istituzionali (eredità, ambiente in cui si forma l'individuo, ecc.) sia alle diverse capacità personali degl'individui stessi. Ma, mentre le varie impostazioni dell'imposta progressiva sul r. o sul patrimonio si propongono di attenuare la concentrazione dei r. riducendo quelli più elevati, l'idea di base dell'imposta negativa sul r. è quella di elevare i r. minori, concependo il prelievo sui r. maggiori come un mero strumento per realizzare questo obiettivo.
Per meglio comprendere la portata di questa idea sembra opportuno riassumere sinteticamente alcuni di questi piani, tra i più significativi.
Il primo piano è quello della Rhys-Williams presentato nel 1943 e riformulato nel 1953, e che va sotto la denominazione del "dividendo sociale" Venne successivamente riprodotto da altri, con modalità differenti, sotto il nome di "credito d'imposta generale" (E. R. Rolph) o del "reddito generale garantito" (Theobald) o, ancora, della "concessione di un reddito base" (J. Tobin).
Il piano Rhys-Williams può venir così sintetizzato.
a) Il piano si applica soltanto nei confronti di coloro che vi aderiscono volontariamente. Coloro che non dànno la loro adesione non beneficiano del sussidio e, d'altro lato, non sono costretti ad accettare qualsiasi lavoro, al salario corrente, che viene loro offerto, pena la decadenza dei benefici. Il prelievo dell'imposta, di cui si dirà, è obbligatorio anche nei confronti dei dissenzienti.
b) Ciascun individuo, che sia un lavoratore o che sia disposto a lavorare, ha diritto a una certa somma, indipendentemente dal r. di cui già dispone, graduata a seconda del sesso e dell'età (nel secondo piano, le somme previste vennero ridotte).
c) Tale sussidio in denaro sostituisce tutte le varie prestazioni previste dalla sicurezza sociale e le varie detrazioni personali dall'imposta sul r., rimanendo in vigore solo le prestazioni sanitarie, che continuano a venir rese gratuitamente (nel secondo piano, sono aumentate le prestazioni in natura gratuite).
d) Il finanziamento di questo sussidio generalizzato è assicurato oltre che dalla riduzione delle spese per la sicurezza sociale, da un'imposta proporzionale su tutti i r. in ragione del 40% (nel secondo piano si prevede, inoltre, un'addizionale a carico dei r. superiori alle 600 sterline).
Il meccanismo ora descritto consente all'autrice di affermare che gl'incentivi a lavorare non vengono intaccati dal piano in quanto chi preferisce il lavoro all'ozio (volontario o forzato) non perde il beneficio del sussidio, che spetta a tutti; mentre d'altro lato tale beneficio viene perduto da chi non accetti un qualsiasi lavoro che i privati o l'autorità gli offrono.
La critica di maggior rilievo che viene avanzata a questo tipo di soluzione del problema della povertà è che un sussidio corrisposto a tutti i cittadini, indipendentemente dal loro r., se semplifica dal punto di vista amministrativo il funzionamento dell'imposta personale e le prestazioni di servizi sociali, implica un costo notevole e, quindi, un'imposta sui r. superiori al minimo a tassi molto elevati, per finanziare il piano stesso.
L'entità del costo ha indotto altri economisti a ripiegare sull'idea dell'imposta negativa sul r., che limita il sussidio alle classi il cui r. è situato al disotto del livello minimo, e pertanto implica un costo finanziario notevolmente ridotto.
La prima e più autorevole proposta in tale senso è stata avanzata nel 1962 da M. Friedman. I contribuenti dell'imposta federale sul r. godono negli Stati Uniti (come in ogni altro ordinamento in sede d'imposta personale sul r.) di una detrazione fissa, oltre a detrazioni supplementari per i carichi di famiglia.
Coloro che superano la somma di tali detrazioni, vengono a godere di una riduzione dell'imposta per un ammontare rapportato a tale somma. Coloro, invece, che si trovano al di sotto di tale ammontare sono esenti, ma non godono di alcun beneficio supplementare in funzione del loro minor r. rispetto all'ammontare esente. Il Friedman propone, pertanto, di dare a costoro un sussidio pari al 50% della differenza tra il r. conseguito dal contribuente in un anno e l'ammontare delle detrazioni cui avrebbe diritto se fosse soggetto all'imposta personale.
Così, se le detrazioni cui ha diritto una famiglia tipo in sede di determinazione d'imposta personale è di 3000 dollari, chi possiede un r. di 1000 avrebbe diritto a un sussidio pari alla metà della differenza, cioè a 1000 (= (3000 − 1000) × 0,50) che si aggiunge al suo r. preesistente di 1000 elevandolo a 2000. Cioè il sussidio (S), chiamando con E l'ammontare delle detrazioni e con P il r. proprio, è dato dalla formula S = 0,50 (E − P), e va da un massimo di 1500 per un r. di 0 a un minimo di 0 per un reddito pari o superiore a 3000. In tal modo il Friedman ritiene di affrontare direttamente il problema della povertà senza entrare nel merito delle sue cause; garantendo a ciascuno un r. minimo pari alla metà delle detrazioni personali e un sussidio decrescente col crescere del r. proprio che si elimina al raggiungere di tale somma.
Friedman, in compenso, propone l'abolizione di tutti i sistemi di assistenza sociale, conseguendo l'obiettivo di non provocare distorsioni nel mercato e nelle scelte degl'individui, che possono in tal modo distribuire il loro r. disponibile secondo le proprie preferenze, senza esser costretti a usufruire dei servizi pubblici resi gratuitamente, prescelti dallo stato, anche se meno conformi ai loro gusti.
Lo schema di Friedman venne ripreso da altri economisti che lo riproposero modificando essenzialmente la misura del sussidio o cercando un compromesso con il piano del dividendo sociale.
Tra questi schemi merita essere ricordato uno dei vari piani (Piano I) elaborati da R. J. Lampman e che va menzionato perché si propone, essenzialmente, di rendere più razionale l'applicazione dell'imposta progressiva sul r., nei confronti di coloro che per effetto delle detrazioni e delle deduzioni sono esentati da tale imposta. Infatti, in questo piano vengono mantenute in vita tutte le provvidenze del sistema della sicurezza sociale. Coloro che hanno un r. superiore all'ammontare complessivo delle detrazioni personali e delle deduzioni per carichi di famiglia (detraibili dal r. netto per ottenere il r. imponibile su cui applicare l'imposta a tasso progressivo) godono di un vantaggio che cresce col crescere del reddito. Coloro, invece, che si trovano al di sotto di tale somma, hanno in sostanza un valore inutilizzato di esenzione e detrazione. Per dare pieno valore a queste deduzioni e detrazioni è necessario corrispondere un sussidio pari all'aliquota minima dell'imposta sul r. (supposta del 14%) applicata all'ammontare non utilizzato. Cioè il sussidio in definitiva risulterebbe dalla formula S = 0,14 (E − P).
Ciò porterebbe, nell'ipotesi già fatta di un ammontare di detrazioni e di deduzioni di 3000 dollari, a un sussidio che da un minimo di 420 dollari, per chi è privo di r., si andrebbe gradualmente riducendo fino ad annullarsi per coloro che hanno un r. di 3000 dollari.
L'adozione dell'imposta negativa sul r. implica un approfondimento preliminare di taluni problemi tecnici e un esame degli effetti economici che ne derivano.
Il primo problema da risolvere, e che determina i limiti e le modalità di attuazione, concerne il costo finanziario dell'imposta negativa. L'ammontare da finanziare con l'imposta è di notevoli dimensioni, specialmente negli schemi che partono dall'idea del dividendo sociale, cioè di un sussidio da corrispondere a tutti i cittadini indistintamente e di ammontare pari a quello corrispondente al r. ritenuto minimo necessario. È vero che questo sussidio corrisposto alle classi al di sotto della linea della povertà rende più tollerabili le imposte indirette che generalmente si ritengono regressive, e che eventualmente potrebbero affiancarsi alle imposte dirette nel finanziamento del piano. Ma in tal modo si verrebbe ad annullare, parzialmente, il beneficio concesso.
È essenzialmente questo il motivo, come si è detto, che induce a limitare il sussidio, con l'imposta negativa, solamente a coloro che si trovano al disotto del limite della povertà. Altri, ancora, fronteggiano parte del costo riducendo o eliminando le spese pubbliche relative alle varie prestazioni sociali e assistenziali rese gratuitamente. Ma questa ultima proposta implica la soluzione di un problema di fondo, che involge l'intera concezione della vita economica.
Con l'imposta negativa si assicura a ciascuno un certo ammontare minimo di r. o di potere d'acquisto, che l'interessato può liberamente disporre sul mercato. Con la sicurezza sociale, invece, è la pubblica autorità a determinare quali sono i beni e servizi che ciascuno deve godere gratuitamente (cure sanitarie, istruzione gratuita, abitazioni popolari sane, ecc.) o a prezzi politici di favore, ritenendoli di carattere primario per la vita sociale degl'individui.
La prima soluzione risponde a una concezione liberale dell'economia, che parte dalla fiducia nel giudizio illuminato dal consumatore e nel funzionamento efficiente delle regole del mercato.
La seconda soluzione, invece, accettando le critiche mosse al meccanismo del mercato e alla capacità di scelta del consumatore, sostituisce il giudizio dello stato in alcuni settori a quello dell'individuo. Si può dire che mentre con l'imposta negativa si risolve il problema della povertà, col secondo sistema si attenuano gli effetti più deleteri della povertà, assicurando alla collettività beni e servizi in natura ritenuti essenziali, per sfuggire alla cosiddetta "trappola della povertà", rimuovendo le cause per cui gl'individui non riescono a uscire da questa situazione.
D'altro lato, i contribuenti che sono chiamati ad assolvere l'onere del finanziamento del piano sono più propensi a sostenerlo se attraverso la spesa del gettito delle imposte hanno la garanzia. che almeno talune cause essenziali dell'infelicità umana sono eliminate, garanzia che non viene offerta attraverso un sussidio monetario che può portare alla soddisfazione di consumi meno essenziali per la vita dell'individuo, lasciando scoperti quelli più fondamentali dei beneficiati.
Il costo è di grande rilievo al fine di determinare due punti critici dell'imposta negativa: livello di r. minimo garantito (o sussidio massimo per coloro che sono sprovvisti di qualsiasi r.) e livello di r. di equilibrio (break-even point). Quest'ultimo, corrispondente alla linea della povertà, è l'ammontare di r. in corrispondenza del quale sussidio e imposta sono uguali a zero, al di sotto vi è l'imposta negativa, al di sopra l'imposta personale.
Fissati questi due ammontari, il costo dipende, inoltre, dalla struttura dell'imposta negativa. Essendo questa commisurata alla differenza tra il r. di equilibrio e il r. posseduto da ciascuno (come l'imposta personale è commisurata sulla differenza tra r. posseduto e ammontare delle detrazioni), l'imposta negativa è una percentuale di tale differenza. E tale percentuale può esser proporzionale (nel caso limite se è del 100% significa che a tutti coloro che sono al di sotto della linea della povertà viene assicurato sempre un r. pari al r. d'equilibrio), oppure variabile. Con l'aliquota regressiva il tasso marginale da applicarsi alla differenza tra le due somme è più elevato per coloro che hanno un r. di zero e decresce con l'avvicinarsi al r. di equilibrio, mentre con l'aliquota progressiva il tasso marginale tende a crescere col crescere del r. proprio. Col primo sistema si eleva il r. minimo totale dei soggetti meno poveri e si assicura una maggiore uniformità nel r. complessivo (proprio e sussidio) di coloro che sono sotto la linea della povertà.
Dal punto di vista pratico l'imposta negativa sul r. implica un lavoro addizionale per l'amministrazione: si tratta di estendere l'accertamento del r. da coloro che sono soggetti all'imposta personale a tutti coloro che sono esenti, cioè a tutti indistintamente i cittadini. Questa condizione fa sì che l'imposta negativa sia in concreto possibile solo nei paesi che hanno un grado di efficienza dell'amministrazione molto elevato, cioè, in altre parole, non si presta per i paesi sottosviluppati.
La critica di maggior rilievo dell'aspetto economico che si muove all'imposta negativa si riferisce agli effetti deleteri sugl'incentivi a lavorare. Nel caso limite in cui a tutti coloro che sono al di sotto della linea della povertà viene assicurato un contributo tale da portarli al livello di equilibrio, non vi è alcun motivo per cui l'individuio debba lavorare, in quanto il guadagno che percepisce va a decurtare il sussidio cui ha diritto. È come se si corrispondesse un sussidio uguale a tutti, con un'imposta del 100% sui r. propri. Se il sussidio copre con una percentuale uniforme la differenza tra il r. proprio e il r. di equilibrio (per es. del 50%) è come se si prelevasse un'imposta della stessa percentuale sui r. propri. Ancora più marcato è il disincentivo a lavorare se l'aliquota dell'imposta negativa è regressiva. Questa soluzione corrisponde all'ipotesi di un prelievo a tasso marginale crescente sui r. propri.
In sostanza per l'imposta negativa si ripetono le medesime critiche che si formulano contro l'imposta progressiva personale. È vero che gli effetti disincentivi di un'imposta progressiva sull'offerta di lavoro non trovano concorde riprova nelle ricerche empiriche e anche sul piano dell'analisi economica non portano a soluzioni univoche. Ma è molto probabile che le osservazioni valide per gli strati superiori dei r. non si possano estendere puramente e semplicemente a quelli inferiori. Per i primi, possessori di r. elevati, gl'incentivi al lavoro provengono in parte notevole da motivazioni non economiche (desiderio di fare carriera, soddisfazione del proprio lavoro, posizione sociale che deriva dalla qualifica professionale, ecc.). Ma per i r. minimi le motivazioni che spingono l'individuo a lavorare sono esclusivamente quelle economiche, rivolte a un dato benessere economico, e il lavoro svolto è sempre considerato come uno sforzo o penosità indesiderata.
E allora un'imposta che assorbe in misura consistente il provento del lavoro (sotto forma di un minor sussidio corrispondente a un maggior r. conseguito) può effettivamente disincentivare il lavoratore. Specie se, come avviene per le donne coniugate o con prole, il recarsi al lavoro implica anche un costo monetario addizionale necessario per farsi sostituire nelle mansioni casalinghe.
Questi inconvenienti non si verificano, invece, per i vari sistemi di sicurezza sociale quando determinate prestazioni (malattia, istruzione, ecc.) vengono fornite gratuitamente a tutti, indipendentemente dal loro reddito.
Bibl.: J. E. Rhys-Williams, Something to look forward to, Londra 1943; ead., Taxation and incentives, New York 1953; M. Friedman, Capitalism and freedom, Chicago 1963; C. Green, Negative taxes and the poverty problem, Washington 1968; R. J. Lampman, Approaches to the reduction of poverty, in American Economic Review. Papers and Proceedings, LV, n. 2, maggio 1969; N. A. Barr, Negative income taxation and redistribution of income, in Oxford Bulletin of economics, febbraio 1975; Un reddito garantito per tutti?, a cura di A. Martino, Torino 1977.