Imposte dirette. Novita in materia di riporto delle perdite di periodo
Muovendo dall’esigenza di offrire un sostegno alle imprese che escono da una crisi economico-finanziaria senza precedenti, il d.l. n. 98/2011 ha eliminato il limite quinquennale al riporto delle perdite sofferte dai soggetti passivi Ires e, al contempo, ha introdotto un vincolo quantitativo all’utilizzo volto a garantire che, in ciascuno dei periodi d’imposta in cui ha luogo lo scomputo, si registri un livello minimo di tassazione. L’intervento di riforma supera, dunque, la dicotomia tra perdite a riporto limitato e perdite a riporto illimitato e differenzia, in maniera invero discutibile, il trattamento delle perdite patite dagli imprenditori individuali e dalle società di persone in regime di contabilità ordinaria da quello delle perdite occorse ai soggetti passivi Ires. Sullo sfondo resta un’opzione di sistema (la mancata previsione del riporto all’indietro) che, malgrado la rimozione del vincolo cronologico, compromette l’aderenza della disciplina in commento al principio della capacità contributiva.
Il legislatore è di recente tornato ad occuparsi del regime delle perdite di periodo e, riformulando il co. 1 dell’art. 84 t.u.i.r., ha stabilito che «la perdita di un periodo d’imposta … può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi in misura non superiore all’ottanta per cento del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l’intero importo che trova capienza in tale ammontare»1.
Per effetto delle modifiche apportate dall’art. 23, co. 9, del d.l. 6.7.2011, n. 98 (convertito nella l. 15.7.2011, n. 111), viene dunque meno la distinzione tra le perdite ordinarie (riportabili nei limiti di un quinquennio) e quelle patite nella fase di avvio di una nuova iniziativa produttiva (riportabili, invece e sulla scorta di quanto previsto dall’art. 84, co. 2, t.u.i.r., senza limiti di tempo) e, contestualmente, viene introdotto un vincolo quantitativo volto a garantire che, in ciascuno dei periodi d’imposta in cui si utilizzano le perdite del primo tipo, la tassazione sia almeno pari al 5,5% del reddito imponibile2.
La ratio dell’intervento novellatore, come si legge nella relazione illustrativa al decreto legge, va colta nella necessità di garantire un sostegno «alle imprese che, uscendo da una crisi economico/finanziaria senza precedenti, si trovino ad avere ingenti volumi di perdite pregresse che potrebbero non essere utilizzabili nell’arco di un quinquennio».
Che, peraltro, si tratti di un intervento di sostegno alle imprese è tutto da dimostrare giacché il novellato co. 1 dell’art. 84 t.u.i.r., lungi dall’introdurre misure di stimolo una tantum, delinea una modalità di impiego delle perdite destinata ad operare a regime. E ciò senza considerare che, se è vero che la rimozione del limite quinquennale assicura l’integrale assorbimento di uno stock di perdite che viene inesorabilmente alimentato da anni di acuta recessione economica, è altrettanto vero che l’allungamento del periodo di riassorbimento comporta un aggravio, quantomeno nel breve periodo, in termini di maggiori imposte da versare con conseguenze facilmente immaginabili sul piano finanziario.
La riformulazione del primo comma dell’art. 84 t.u.i.r. risponde, inoltre e stando ancora alla lettura della relazione illustrativa, ad «un’esigenza di semplificazione» consentendo, per un verso, di porre un argine alle pratiche di refreshing delle perdite e, per un altro verso, di rendere meno complesse le valutazioni aventi ad oggetto la loro recuperabilità ai fini dell’iscrizione in bilancio delle imposte differite attive.
Orbene ed anche ad assumere, in maniera del tutto impropria, che il contrasto al refreshing possa essere letto in chiave di semplificazione, non può farsi a meno di rilevare che la rimozione del limite quinquennale non attenua affatto il rigore e la complessità di quelle valutazioni (di recuperabilità) cui i correnti principi contabili, nazionali ed internazionali, subordinano la possibilità di iscrivere in bilancio attività per imposte anticipate3.
Fermo ciò e venendo all’esame delle principali questioni sollevate dall’intervento legislativo della scorsa estate, devesi innanzitutto dire dell’ambito applicativo e della decorrenza del nuovo regime.
Quanto al primo profilo, v’è da ricordare che le nuove previsioni, al pari di quelle modificate, regolano l’utilizzo delle perdite sofferte dai soggetti che determinano la base imponibile applicando le disposizioni di cui al titolo II, capo II del t.u.i.r., vale a dire: società di capitali residenti; enti commerciali residenti nonchè società ed enti non residenti purchè producano, nel territorio dello Stato, reddito d’impresa per il tramite di una stabile organizzazione.
Ancora sotto il profilo soggettivo, merita segnalare che, non essendo stato modificato il co. 3 dell’art. 8 t.u.i.r., le perdite sofferte dagli imprenditori individuali, dalle società di persone e dagli enti non commerciali esercenti attività d’impresa continuano ad essere riportabili nei cinque periodi d’imposta successivi con possibilità di utilizzo integrale in ciascuno di essi. Resta, inoltre, ferma la preclusione al riporto in avanti per le perdite sofferte dalle imprese minori ossia dai soggetti che determinano il reddito applicando le disposizioni di cui all’art. 66 t.u.i.r.
Rispetto al passato, viene dunque introdotta una discutibile differenziazione nel trattamento delle perdite sofferte dalle persone fisiche imprenditrici e dalle società di persone in regime di contabilità ordinaria, da una parte, e dai soggetti passivi Ires, dall’altra parte, distinzione che, a giudizio dei primi commentatori, potrebbe essere stata ispirata dalla considerazione che «le perdite di entità più rilevante sono, in via di principio, realizzate dalle società di capitali ed enti commerciali»4.
Orbene, una lettura di questo tipo sembra presupporre, a tacer d’altro, una non condivisibile svalutazione dell’argomento secondo cui alla base della peculiare delimitazione soggettiva vi sono ragioni collegate essenzialmente ad esigenze di gettito: ed invero, se si assume che le perdite sofferte dai soggetti passivi Irpef sono di norma di ammontare esiguo, si deve ritenere che l’impatto sul gettito sia tutto sommato trascurabile.
Ad ogni modo e fermi restando gli effetti sul piano del gettito che, com’è noto, risentono di una moltitudine di variabili, due sono i profili di illogicità che caratterizzano il nuovo assetto legislativo e di cui si deve dar brevemente conto. Per prima cosa, non sfugge l’intima contraddizione insita nella peculiare delimitazione soggettiva: se, come si accennava in premessa, le nuove previsioni costituiscono misure di sostegno alle imprese, si deve ritenere che il legislatore, optando per una loro applicazione circoscritta ai soli soggetti passivi Ires, o reputa le imprese gestite da persone fisiche incapaci di patire perdite o, com’è pure possibile e parimenti discutibile, non le ritiene bisognose di sostegno.
In secondo luogo ed in termini più generali, non può essere sottaciuta l’irrazionalità di una scelta che, operando un distinguo tra i soggetti rientranti nel campo di applicazione dell’Ires e quelli estranei a tale tributo, collide con un assetto ordinamentale che dovrebbe essere caratterizzato dalla «neutralità» delle forme soggettive utilizzabili per svolgere attività di impresa5.
Altre e diverse sono le questioni connesse alla decorrenza temporale del nuovo regime. L’elisione del vincolo temporale e la coeva introduzione di un limite quantitativo induce, infatti, a chiedersi se le perdite disponibili (perdite, cioè, sofferte nei cinque periodi d’imposta precedenti e non ancora utilizzate alla data di entrata in vigore del d.l. n. 98/2011) soggiacciono alla vecchia limitazione temporale o se, in alternativa, le stesse non debbano considerarsi a riporto illimitato con restrizione quantitativa alla compensazione.
L’articolato normativo, sul punto, si presenta piuttosto lacunoso e – fatto salvo un anomalo, quanto a collocazione, riferimento all’entrata in vigore della disposizione in commento (cfr. co. 6 dell’art. 23) – nessuna chiara indicazione viene fornita a supporto dell’applicabilità del nuovo regime al basket di perdite disponibili. Indicazioni contrarie, peraltro, sono rinvenibili tanto nella relazione governativa («in assenza di un regime transitorio, il riporto delle perdite maturate prima dell’entrata in vigore della modifica normativa deve avvenire secondo le disposizione dell’art. 84 ante modifica») quanto nella relazione tecnica («le perdite pregresse maturate nei periodi d’imposta precedenti a quello in corso mantengono il trattamento fiscale secondo la normativa originaria per quanto riguarda i cinque esercizi di utilizzabilità»). È tuttavia sin troppo evidente che una chiusura alla possibilità di estendere alle perdite pregresse il nuovo regime striderebbe con il già ricordato intendimento legislativo di evitare che, in un contesto di grave e perdurante crisi economica, il binomio perdite ingenti e reiterate-limite quinquennale comporti l’irrimediabile sterilizzazione del diritto al loro utilizzo. Ben venga, dunque, l’apertura dell’Agenzia delle entrate che, con approccio attento al contesto in cui è maturata la riforma, evita di trincerarsi dietro il mero dato formale ed ammette la possibilità di applicare il nuovo regime anche alle perdite sofferte nei periodi d’imposta anteriori all’entrata in vigore delle nuove disposizioni6.
2.1 Il nuovo regime e le perdite sofferte nella fase di start-up
Un ulteriore e diverso profilo di problematicità attiene al coordinamento delle disposizioni recate dall’art. 84, co. 1, t.u.i.r. con quelle dedicate al riporto delle perdite sofferte nella fase di avvio di una nuova iniziativa produttiva, perdite che, sulla scorta di quanto previsto dal secondo comma del medesimo art. 84, erano e sono riportabili senza limiti di tempo. Sotto questo profilo, corre l’obbligo di ricordare che, eccezion fatta per un intervento di mero coordinamento normativo, il secondo comma dell’art. 84 t.u.i.r. non ha subito modificazioni sostanziali e, di conseguenza, resta impregiudicato il riporto senza limiti di tempo delle perdite sofferte nella fase di start-up e, soprattutto, resta ferma la possibilità di utilizzare tali perdite in misura piena senza, cioè, incappare nella restrizione dell’80%. Ed è proprio tale ultima circostanza a sollecitare qualche breve considerazione in ordine alle priorità di utilizzo giacché, su di un piano di ottimizzazione del carico fiscale, è evidente che le imprese, all’opposto di quanto accadeva in passato, avranno interesse a “consumare” dapprima le perdite patite nei primi tre periodi d’imposta (ad utilizzo pieno) e quindi quelle ordinarie (che, di converso, sono soggette alla limitazione dell’80%). L’inversione, rispetto al passato, dei termini del discorso non cambia, tuttavia, la sostanza del problema: in assenza di espresse prescrizioni in ordine alle priorità di utilizzo, esistono ostacoli di ordine logico alla possibilità di scomputare prioritariamente le perdite sofferte nella fase di start-up? Ebbene, volendo prendere posizione sul punto, non sembra si possa omettere di considerare che, negando la possibilità dello scomputo prioritario, si porrebbero sullo stesso piano le perdite ordinarie con quelle patite nella fase di avvio di una nuova iniziativa produttiva e, così facendo, si vanificherebbe la scelta del legislatore che, invece, muove dalla chiara percezione della necessità di trattare in modo differente le due diverse categorie di perdite7.
2.2 Il coordinamento con gli istituti della tassazione per trasparenza e su base consolidata e delle società di comodo
Inevitabilmente, la riformulazione del primo comma dell’art. 84 t.u.i.r. impatta anche sulle modalità di impiego delle perdite nei regimi di tassazione per trasparenza e su base consolidata8. In via di estrema sintesi e prendendo le mosse dalla trasparenza intersocietaria, giova ricordare che le perdite antecedenti l’esercizio dell’opzione e quelle di periodo eccedenti la quota di patrimonio netto contabile riferibile a ciascun socio non possono essere trasferite ai soci e devono essere computate in diminuzione del reddito della partecipata fino ad integrale assorbimento tenendo conto, in ogni caso, della neointrodotta restrizione quantitativa. Parzialmente diverso è il discorso da farsi per le perdite sofferte dalla partecipata in costanza di opzione ed imputate ai soci nel rispetto dei limiti connessi al patrimonio netto giacché, in questo caso, la società partecipata utilizza, senza limitazioni di sorta, le perdite imputate per trasparenza e, solo in caso di incapienza, riporta nei successivi periodi d’imposta la parte eccedente avendo, ovviamente, cura di rispettare i limiti quantitativi di cui al riformato art. 84 t.u.i.r. Nulla cambia, invece, in materia di piccola trasparenza: in questo caso, infatti, la compagine sociale è necessariamente composta da persone fisiche e le perdite di periodo devono o, se si preferisce, continuano ad essere imputate ai soci secondo quanto stabilito dal già citato art. 8 t.u.i.r.9
In materia di consolidato domestico il discorso è, se possibile, ancor più lineare: ed invero, le perdite antecedenti l’esercizio dell’opzione restano nella disponibilità delle singole consolidate e vengono da queste utilizzate, fino ad integrale assorbimento, nei limiti dell’80%; le perdite sofferte in costanza di opzione, invece, sono utilizzabili, in via diretta ed immediata, all’interno del gruppo mediante compensazione con i redditi imponibili prodotti dalle altre società incluse nel perimetro di consolidamento; le eventuali perdite sofferte dal consolidato nel periodo di validità dell’opzione, infine, possono essere portate a nuovo senza limiti di tempo dal soggetto consolidante e computate, salvo che non si tratti di perdite sofferte nella fase di start-up, in diminuzione del reddito globale di gruppo nei limiti dell’80% (cfr. l’art. 7 del d.m. 9.6.2004).
Un’ultima area di problematicità riguarda il coordinamento tra le neointrodotte restrizioni quantitative all’utilizzo delle perdite pregresse e quelle dettate in materia di società di comodo (cfr. l’art. 30, co. 3, della l. 23.12.1994, n. 724, a mente del quale, laddove il test di operatività non risulti superato, «le perdite di esercizi precedenti possono essere computate soltanto in diminuzione della parte di reddito eccedente quello minimo»). In argomento e considerati i limiti della presente trattazione, ci si limita a segnalare la recente presa di posizione dell’Agenzia delle entrate che, rispondendo ad un quesito posto in occasione di un incontro con la stampa specializzata, ha avuto modo di precisare che il limite dell’80% deve essere riferito al reddito imponibile con la conseguenza che, entro questo limite e ferma rimanendo l’intangibilità del reddito minimo, le imprese possono utilizzare le perdite per compensare la parte di reddito che eccede quello minimo senza ulteriori limitazioni10.
Il superamento del vincolo quinquennale segna, indubbiamente, un passo in avanti: da tempo, infatti, la migliore dottrina lamentava l’illogicità di un sistema che, da un lato, conosceva un limite temporale al riporto in avanti piuttosto angusto e, dall’altro lato, non prevedeva il riporto all’indietro. In questa cornice, si può peraltro pensare che l’elisione del limite quinquennale, ancorché accompagnata dall’introduzione di un vincolo quantitativo legato a contingenti esigenze di stabilizzazione del gettito, sia sintomatica di un’irreversibile scelta di sistema: si può, cioè, ritenere che la generalizzata previsione del riporto in avanti senza limiti di tempo, unitamente alle opportunità concesse in materia di utilizzo delle perdite nell’ambito dei sistemi di tassazione per trasparenza e su base consolidata, abbia indotto il legislatore a ritenere non necessarie aperture sul fronte del riporto all’indietro. Ora, anche a voler ritenere corretta questa chiave di lettura, non può non rilevarsi come la mancata previsione del riporto all’indietro determini un significativo allentamento dell’aderenza della disciplina in commento al principio della capacità contributiva. Esistono, infatti, dei casi in cui il riporto all’indietro è una delle poche soluzioni prospettabili per garantire la tassazione di una capacità contributiva effettiva: si pensi al caso della liquidazione di società in cui, per ovvie ragioni, non sono ipotizzabili periodi successivi a quello in perdita ovvero, ancora, al caso in cui la particolare conformazione della base imponibile rende praticamente impossibile il riassorbimento della perdita nei periodi d’imposta successivi. Ed è proprio su questo fronte che occorreva, forse, un po’ di coraggio in più.
1 Per un accurato commento alla novella in materia di riporto delle perdite, v. diffusamente Di Siena, M., Note sparse a margine del rinnovato regime di riporto delle perdite fiscali da parte dei soggetti Ires, in Riv. trim. dir. trib., 2012, fasc. 3, 73 ss.
2 In questo senso, v. Ferranti, G., La disciplina del riporto delle perdite si adegua alla crisi economica, in Corr. trib., 2011, 2480, e la circ. dell’Agenzia delle entrate n. 53/E del 6.12.2011; contra Lupi, R., Aspetti teorici di una modifica «fatta in corsa», in Dialoghi tributari, 2011, 386.
3 Cfr. il documento Oic 25 ed il principio Ias 12.
4 Così, testualmente, la circ. n. 24/IR del 14.9.2011 dell’Irdcec.
5 Perrone, L., Le perdite nell’imposta sui redditi delle persone fisiche, in Rass. trib., 2012, in corso di pubblicazione.
6 Cfr. il par. 1.7. della già citata circ. n. 53/E del 2011.
7 Sul punto v. la risposta al quesito 5.8 riprodotto nella circ. dell’Agenzia delle entrate n. 25/E del 19.6.2012 ove, tra l’altro, si precisa che «la disposizione in commento non stabilisce alcun ordine di priorità nell’utilizzo qualora il contribuente disponga di perdite pregresse in parte riferibili ai primi tre periodi d’imposta e in parte ai successivi. In assenza di regole al riguardo, si ritiene che il contribuente abbia la facoltà (e non l’obbligo) di utilizzare prioritariamente le perdite relative ai primi tre periodi d’imposta potendo, in alternativa, scegliere di impiegare dapprima quelle maturate negli esercizi successivi».
8 In argomento e per un quadro sinottico, v. i documenti interpretativi predisposti dall’Irdcec (circ. n. 24/IR del 2011), dall’Agenzia delle entrate (circ. n. 53/E del 2011) e da Assonime (circ. n. 33 del 22.12.2011).
9 Per le perdite antecedenti l’esercizio dell’opzione e per quelle di periodo eccedenti la quota di patrimonio netto contabile riferibile a ciascun socio valgono, invece, le stesse considerazioni svolte per la trasparenza intersocietaria.
10 Cfr. la risposta al quesito 6.1 riprodotto nella circ. n. 25/E del 2012 che, sul punto, riprende una delle due chiavi di lettura suggerite da Assonime nella già citata circ. n. 33/2011.