imprecazione
Consiste nell'augurare un male. Essa rientra nelle forme più comuni del linguaggio satirico, e in particolare dell'invettiva, ed è perciò, fra le opere di D., soprattutto presente nella Commedia. Spesso l'i. si fonde con l'apostrofe (v.) e l'esclamazione (v.). Così nell'invettiva contro Pistoia (If XXV 10-12) il poeta augura indirettamente la distruzione della città (Ahi Pistoia, Pistoia, ché non stanzi / d'incenerarti... ?), e nell'invettiva contro l'avarizia (Pg XX 10 ss.) l'i. si riduce a una semplice maledizione: maladetta sie tu, antica lupa... È notevole che la medesima violenza era toccata ancora all'avaro nelle Rime: Maladetta tua culla, / che lusingò colanti sonni invano! / Maladetto lo tuo perduto pane...! (CVI 78 ss.). Una breve esclamazione è l'i. di If XXVII 70 (il gran prete, a cui mal prenda!; cfr. Rime LI 5 mal lor prenda). Nella forma dell'interrogazione si risolve invece l'i. in Pg XX 94 ss., dove l'apostrofe al Signore toglie alla figura il carattere della diretta violenza verbale: O Segnor mio, quando sarò io lieto / a veder la vendetta...? Tale violenza verbale è evidente invece in i. come quella di Pg VI 100-101 giusto giudicio da le stelle caggia / sovra 'l tuo sangue, e sia novo e aperto, oppure in If VIII 37-38, dove tuttavia l'i. è nel senso più che nella struttura della frase (Con piangere e con lutto, / spirito maladetto, ti rimani), in quanto la risposta del poeta equivale effettivamente al cattivo augurio di un dolore perenne.
Talora l'i. assume forme più eloquenti, come l'i. immaginosa di If XXXIII 82-84 (muovasi la Capraia e la Gorgona, / e faccian siepe ad Arno in su la foce, / sì ch'elli annieghi in te ogne persona!), dov'è notevole l'imitazione del linguaggio profetico e biblico. Più complesso è il caso di If XXVI 11 ss., dove il poeta crea un fine contrasto fra la maledizione e l'affetto: Così foss'ei, da che pur esser dee! / ché più mi graverà, com' più m'attempo.
Una serie di tipiche i. si legge in If XXX 120 ss. " e sieti reo che tutto il mondo sallo! ". / " E te sia rea la sete onde ti crepa " / ..." la lingua... ", in un volgare scambio di battute fra dannati.
L'i. si affaccia sovente nelle Rime morali come nella già citata canzone CVI 144 ss. (Oh cotal donna pera, / che sua biltà dischiera / da natural bontà) e in quelle dove il poeta sceglie il parlare aspro: Cosi vedess'io lui fender per mezzo / lo core a la crudele che 'l mio squatra! (CIII 53-54), dov'è evidente la ripresa, con un'intenzione realistica, del linguaggio della lirica amorosa.