Abstract
Vengono esposti i principi fondamentali della disciplina di vigilanza sulle imprese di assicurazione, una disciplina di origine comunitaria che si è sviluppata nel corso degli ultimi 40 anni ed è tuttora in evoluzione.
L’attività assicurativa può essere esercitata soltanto da imprese costituite nelle forme stabilite dalla legge (s.p.a., cooperative e mutue assicuratrici le cui quote siano rappresentate da azioni), il cui oggetto sociale sia limitato all’esercizio delle tipologie di operazioni elencate nell’art. 2, co. 1 (rami vita) e co. 3 (rami danni) del d.lgs. 7.9.2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private). Le imprese di assicurazione sono quindi imprese specializzate e la specializzazione comporta anche il divieto di cumulare l’esercizio delle assicurazioni contro i danni e delle assicurazioni sulla vita, con la sola eccezione della possibilità di cumulare l’esercizio delle assicurazioni sulla vita con i rami danni infortuni e malattia.
I rami vita comprendono, oltre alle assicurazioni sulla vita di cui all’art. 1882 c.c., le operazioni di capitalizzazione e di gestione dei fondi pensione, che non comportano l’assunzione di rischi relativi alla durata della vita umana, ma qualora siano esercitate da una impresa di assicurazione, sono assoggettate alla disciplina di vigilanza dell’attività assicurativa.
L’esercizio dell’attività assicurativa, a partire dal R.d.l. 29.4.1923, n. 966, è stato assoggettato ad un penetrante controllo pubblico, che inizia con l’autorizzazione all’esercizio e si conclude con la cancellazione della società dal registro delle imprese. La disciplina di vigilanza è ora di origine comunitaria. Il coordinamento delle norme di vigilanza degli Stati membri, condizione essenziale per la realizzazione del mercato unico delle assicurazioni, è stato realizzato per gradi, a partire dalla prima direttiva in materia di accesso e di esercizio delle assicurazioni diverse dalle assicurazioni sulla vita, che risale al 1973 (dir. 73/239/CEE). Con le cd. terze direttive (assicurazioni diverse dalle assicurazioni sulla vita e assicurazioni sulla vita) è stato introdotto il principio della autorizzazione unica e del controllo unico da parte dello Stato membro dove si trova la sede legale dell’impresa (dir. 92/49/CEE e dir. 92/96/CEE, quest’ultima ora riunita con la prima e la seconda direttiva vita nella dir. 2002/83/CE). Altre direttive hanno introdotto disposizioni speciali per la vigilanza sui gruppi assicurativi, sui conglomerati finanziari, in materia di risanamento e di liquidazione delle imprese di assicurazione e sull’esercizio di particolari operazioni assicurative.
Con il d.lgs. 7.9.2005 n. 209, la disciplina di attuazione della normativa comunitaria è stata riunita e riordinata in un unico testo legislativo.
La disciplina del codice delle assicurazioni, già modificata più volte rispetto al testo originario, anche a seguito delle direttive successive alla sua emanazione, dovrà essere in parte sostituita per adeguarla alla direttiva 2009/138/UE (cd. direttiva Solvency II), che ha revisionato e arricchito la normativa esistente, con particolare riguardo al regime di solvibilità e al monitoraggio/controllo dei rischi (risk management). La direttiva dovrebbe essere attuata entro il 2012, ma è previsto che il termine sarà prorogato al 2014.
L’attività di riassicurazione può essere esercitata sia dall’impresa di assicurazione sia dall’impresa che esercita la sola riassicurazione. Nel primo caso, si applica la disciplina di vigilanza dell’attività assicurativa; nel secondo caso, si applica una disciplina apposita, caratterizzata in larga parte da regole simili a quelle previste per l’esercizio dell’attività assicurativa (tit. V, c. assicurazioni).
Lo scopo principale della disciplina comunitaria di vigilanza è la garanzia di una sana e prudente gestione delle imprese di assicurazione (art. 3 c. assicurazioni; cd. vigilanza prudenziale). Per gestione sana e prudente si intende una gestione che garantisca la solvibilità dell’impresa mediante il rispetto delle tecniche assicurative, una efficiente gestione del patrimonio ed adeguate procedure di controllo interno e di gestione dei rischi.
A garanzia della solvibilità, la società, per ottenere l’autorizzazione all’esercizio dell’attività assicurativa, deve essere dotata di un capitale sociale (o di un fondo di garanzia, se mutua assicuratrice) non inferiore agli importi stabiliti dalla normativa di vigilanza a seconda dei rami che intende esercitare e costituito esclusivamente in danaro (art. 14 c. assicurazioni). Nel corso dell’esercizio, l’impresa deve soddisfare due condizioni essenziali: la costituzione delle riserve tecniche e il possesso del margine di solvibilità. A queste va aggiunta una appropriata ripartizione dei rischi assunti, mediante la coassicurazione e la riassicurazione.
Condizione primaria per garantire la solvibilità dell’impresa è il rispetto di appropriate tecniche assicurative, che consentano di trasformare l’alea relativa al rischio assunto con ciascuno dei contratti di assicurazione in esercizio di attività non aleatoria. A questo scopo, l’assicuratore deve calcolare il premio, che deve essere corrisposto dai singoli contraenti/assicurati, in base alla stima della probabilità di verificazione dei rischi assicurati in modo da poter disporre di una massa di premi sufficienti a far fronte agli impegni assunti con la massa dei contratti stipulati e ai relativi costi di gestione (compensazione/neutralizzazione dei rischi). I premi riscossi devono essere accantonati in apposite riserve (riserve tecniche).
Le riserve tecniche sono costituite essenzialmente con i premi riscossi. Il calcolo delle riserve deve però essere effettuato in base alle obbligazioni assunte, non in base ai premi riscossi.
Le riserve tecniche sono poste del passivo reale che rappresentano l’esposizione debitoria complessiva, ad una data determinata, dell’impresa nei confronti dei contraenti e degli assicurati, sulla base di dati appropriati ai vari tipi di impegni assunti, e devono comprendere anche accantonamenti destinati a far fronte alle spese future dell’impresa. La garanzia effettiva delle prestazioni assicurate non è quindi costituita dalle riserve tecniche, ma dalle attività patrimoniali dell’impresa. Di qui l’obbligo che il patrimonio, per un ammontare almeno pari alle riserve tecniche, sia investito soltanto in determinate categorie di attivi di proprietà dell’impresa, tenendo conto del tipo di rischio e delle obbligazioni assunte e della esigenza che sia garantita la sicurezza, la redditività e la liquidità degli investimenti, provvedendo ad una adeguata diversificazione e dispersione degli attivi medesimi (art. 38 c. assicurazioni).
L’esposizione debitoria dell’impresa rappresentata dalle riserve tecniche è determinata, come i premi, sulla base di dati previsionali. Di qui l’esigenza che l’impresa sia dotata non solo di un capitale sociale non inferiore agli importi stabiliti dalla legge, a seconda dei rami esercitati, ma anche di un margine attivo proporzionale al volume di affari, che consenta di fare fronte ad eventuali andamenti sfavorevoli dei rischi assunti (margine di solvibilità).
Il margine di solvibilità è rappresentato dal patrimonio netto, al netto degli elementi immateriali, e non deve essere inferiore alla misura stabilita dalla normativa di vigilanza (artt. 44-51 c. assicurazioni, reg. Isvap n. 19). Sotto il profilo patrimoniale, il margine di solvibilità assorbe la garanzia costituita dal capitale sociale, che concorre alla costituzione del margine, ma sul piano giuridico capitale sociale e margine di solvibilità sono entità che vanno tenute debitamente distinte e alle quali si applicano discipline diverse.
Le imprese di assicurazione che controllano o partecipano in almeno una società assicurativa sono tenute a calcolare la situazione di solvibilità corretta secondo metodi che escludano il cd. doppio impiego del patrimonio netto (art. 217 c. assicurazioni).
La disciplina del margine costituisce la garanzia principale della solvibilità. Per questo motivo la stessa è affidata in larga misura alla valutazione discrezionale dell’autorità di vigilanza, che ha anche il potere di intervenire a monte del dissesto evidenziato dalla insufficienza del margine minimo (art. 223 c. assicurazioni).
La direttiva Solvency II prevede un nuovo requisito patrimoniale (Solvency Capital Requirement – SCR), che corrisponde al capitale necessario per fare fronte ad eventi inattesi.
Una terza regola fondamentale per garantire l’equilibrio patrimoniale dell’impresa è costituita dall’adozione di una adeguata ripartizione dei rischi assunti. Si consideri che il calcolo delle probabilità dà risultati tanto più attendibili quanto maggiore è il numero e l’omogeneità dei rischi che vengono compensati. Risultati attendibili possono quindi realizzarsi soltanto mediante un’adeguata ripartizione dei rischi assunti tra una pluralità di imprese. Una prima ripartizione si realizza mediante l’assunzione in comune con altre imprese di assicurazione e per quota di singoli rischi (coassicurazione); tuttavia, per garantire l’equilibrio della gestione assicurativa è comunque indispensabile ricorrere alla riassicurazione, che consiste nel trasferimento di una parte dei rischi assunti ad un’altra impresa di assicurazione o ad una impresa di riassicurazione. Il riassicuratore, a sua volta, ripartisce i rischi riassicurati trasferendone una parte ad un altro riassicuratore (cd. retrocessioni), e così via in una catena tendenzialmente indefinita e tanto più articolata quanto più grave è il rischio assunto dal primo assicuratore (cd. assicuratore diretto).
L’impresa deve operare con una idonea organizzazione amministrativa e contabile e con un adeguato sistema di controllo interno, che preveda procedure di monitoraggio dei rischi (art. 30 c. assicurazioni). La direttiva Solvency II rafforza la governance dell’impresa, dando maggior solidità ai controlli interni e alla valutazione e gestione dei rischi (risk management). Disposizioni in merito sono già state anticipate da un regolamento Isvap (reg. n. 20). Solvency II richiede inoltre la presenza di una funzione attuariale (cfr. artt. 31 e 34 c. assicurazioni).
La partecipazione dell’impresa di assicurazione in altre società può comportare l’assunzione, sia pure indiretta, di rischi imprenditoriali diversi da quelli inerenti all’esercizio delle assicurazioni o può risolversi in altro modo in un pericolo per la stabilità dell’impresa partecipante. Ma rischi anche più gravi per la stabilità dell’impresa possono derivare dal fatto di essere partecipata o controllata da soci che non diano garanzie di correttezza nell’esercizio dei loro poteri di gestione, con particolare riguardo al rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza dell’amministrazione della società partecipata.
Per questi motivi, da un lato, l’assunzione di partecipazioni da parte di imprese di assicurazione e l’assunzione di partecipazioni in imprese di assicurazione sono assoggettate a limitazioni e controlli e, dall’altro lato, la legge attribuisce all’Isvap particolari poteri di vigilanza in presenza di gruppi di società dei quali facciano parte imprese di assicurazione (cd. vigilanza supplementare sul gruppo assicurativo). Sono previste tre forme di vigilanza supplementare: informativa anche di tipo ispettivo; sulle operazioni infragruppo rilevanti e verifica della solvibilità corretta (tit. VII e XV c. assicurazioni).
Il codice assicurazioni affianca alla vigilanza prudenziale la vigilanza sulla trasparenza e la correttezza dei comportamenti delle imprese, degli intermediari e degli altri operatori del settore assicurativo nei confronti dei contraenti, degli assicurati e degli altri aventi diritto a prestazioni assicurative (art. 3 e tit. XIII c. assicurazioni).
In primo luogo, le imprese e gli intermediari devono acquisire dai contraenti le informazioni necessarie a valutare le esigenze assicurative o previdenziali ed operare in modo che questi siano sempre adeguatamente informati. In particolare, prima della conclusione del contratto, deve essere consegnata, unitamente alle condizioni di assicurazione, una nota informativa, contenente le informazioni necessarie affinché il contraente possa pervenire ad un fondato giudizio sui diritti e obblighi contrattuali. In secondo luogo, imprese e intermediari devono evitare conflitti di interesse con i contraenti, ove ciò sia ragionevolmente possibile, e, in caso contrario, curare la trasparenza sui possibili effetti sfavorevoli e gestire i conflitti di interesse in modo da escludere tali effetti. Infine questi soggetti devono adottare, nella gestione finanziaria, misure idonee a salvaguardare i diritti dei contraenti e degli assicurati.
Questa disciplina non si applica ai contratti di assicurazione sulla vita Unit Linked e Index Linked e ai contratti di capitalizzazione (rami vita III e V, cd. prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione), nonché alle operazioni delle imprese di assicurazione nell’ambito del settore dei fondi pensione (gestione del fondo e piani individuali pensionistici, cd. PIP). Le assicurazioni Linked e la capitalizzazione sono assoggettate alla disciplina sulla trasparenza e sulla correttezza dei comportamenti del settore finanziario, con conseguente assoggettamento alla vigilanza della Consob. Alla gestione dei fondi pensione e alle PIP si applica la disciplina di cui alla l. 5.12.2005, n. 252, con conseguente assoggettamento alla vigilanza della Covip. In tutti i casi resta ferma la competenza dell’Isvap in materia di vigilanza prudenziale.
D.lgs. 7.9.2005, n. 209; l. 12.8.1982, n. 576.
Rossetti, M., Il diritto delle assicurazioni, I, Padova, 2011; Volpe Putzolu, G., a cura di, Commentario breve al diritto delle assicurazioni, Padova, 2010; Capriglione, F., diretto da, Il Codice delle assicurazioni private, Padova, 2007; Candian, A.D., a cura di, Il codice delle assicurazioni, Torino, 2007; Amorosino, S.,-Desiderio, L., a cura di, Il Nuovo Codice delle assicurazioni, Milano, 2006; Bin, M., a cura di, Commentario al Codice delle assicurazioni, Padova, 2006.