multinazionale, impresa
Impresa che opera in più Stati, nei quali possiede centri di produzione o di distribuzione (sussidiarie o succursali), ma il cui nucleo di direzione strategica (casa madre) rimane nel Paese di origine. Il meccanismo attraverso cui la casa madre dà vita a e controlla le sussidiarie è l’Investimento Diretto all’Estero (IDE). Le m. sono in genere molto grandi e dispongono di potere di mercato e contrattuale nell’arena politica. Esse generano posti di lavoro nei Paesi in cui si insediano, ma ne possono distruggere negli Stati che abbandonano. Molti Paesi cercano di attrarre le m., perché apportano competenze, tecnologia e opportunità economiche, da cui la nazione ospite può trarre beneficio.
Le m. sono aumentate notevolmente a partire dagli anni 1980 e 1990, con alcune conseguenze: la globalizzazione ha portato a una crescita del commercio mondiale e circa i tre quarti di questa crescita è stata realizzata da multinazionali; gli investimenti diretti esteri sono aumentati considerevolmente, tanto che molte nuove m. sono sorte nei Paesi emergenti, soprattutto in Brasile, Russia, India e Cina (➔ BRIC). Secondo la United Nations Conference on Trade and Development (➔ UNCTAD), circa un terzo del commercio mondiale è intramultinazionale, ossia è rappresentato da transazioni realizzate tra le imprese controllate appartenenti a una stessa multinazionale.
A seconda di specifiche fasi storiche, la teoria economica distingue diversi modelli di multinazionalizzazione. Nella prima fase, dalla fine dell’Ottocento agli anni 1940, il modello dominante fu quello denominato ‘basato sulle risorse’ (➔ resource-based view): le m. effettuavano IDE in altri Paesi principalmente per accedere a specifiche risorse, tra cui quelle agricole e le materie prime.
Nella seconda fase, tra gli anni 1950 e 1960, la multinazionalizzazione venne detta ‘basata sul mercato’ (ingl. market-based): il motivo principale per cui le imprese creavano divisioni o succursali negli altri Paesi era un più agevole accesso al mercato locale. Questo modello è stato, per es., quello seguito dalle m. statunitensi in Europa in quegli anni.
Infine, il terzo modello, che è prevalso dagli anni 1970, è quello dello strategic asset-oriented («orientato agli assetti strategici»), nel senso che le m. creavano imprese o acquisivano aziende già esistenti nei mercati esteri per ottenere attività strategiche, come le conoscenze e le competenze, il know-how (➔), la tecnologia e il capitale umano.
Anche le m. provenienti dai Paesi emergenti, in particolare dai BRIC e dalla Cina, hanno attraversato queste diversi fasi, pur se in momenti differenti. Nel 2010, 3 fra le più grandi m. del mondo erano cinesi; nel 2000 ce ne era una soltanto, mentre nel 1990 provenivano tutte dai Paesi occidentali.
Riguardo alle determinanti che inducono le imprese a diventare m., esistono in economia diversi studi sia teorici sia empirici. Dal punto di vista teorico, un modello dominante è il paradigma OLI (Ownership, Location, Internalization), introdotto dall’economista inglese J. Dunning (➔ anche investimento diretto estero). Esso distingue 3 fattori principali della scelta di multinazionalizzazione: il fattore O, che indica la proprietà (ingl. ownership), ossia i vantaggi legati alla proprietà dei fattori, come le competenze nella produzione oppure le capacità manageriali e imprenditoriali specifiche dell’impresa; il fattore L, che designa i vantaggi legati alla localizzazione (ingl. location), vale a dire i vantaggi legati alle caratteristiche del Paese ospitante, come le risorse naturali, le infrastrutture o la disponibilità di manodopera; infine, il fattore I, che denota la internalizzazione (ingl. internalization) e si riferisce ai benefici derivanti dal realizzare le transazioni all’interno dell’impresa e non attraverso il mercato, come nel caso in cui i prodotti siano esportati verso il Paese estero, oppure nel caso in cui l’impresa affidi la produzione dei beni destinati al mercato del Paese ospite a produttori locali non controllati.
Gli studi realizzati sulle m. mostrano che la maggior parte degli investimenti di queste imprese all’estero sono di natura ‘orizzontale’; ciò significa che le imprese impiantano all’estero attività di produzione o distribuzione degli stessi prodotti, principalmente per venderli nel mercato locale. Gli investimenti ‘verticali’, invece, rappresentano quei casi in cui l’impresa ne crea un’altra all’estero per realizzare una fase della produzione. La creazione di una succursale dipende effettivamente dai vantaggi OLI: le caratteristiche del Paese ospite (livello di reddito, dimensione del mercato, fattori culturali ecc.) sono importanti, così come lo sono i costi del commercio internazionale (che rendono l’internalizzazione vantaggiosa), come, per es., i costi di trasporto e le barriere commerciali.