IMPRESA (XVIII, p. 936)
1. Sebbene sia normalmente considerata il fulcro del libro del codice civile 1942 dedicato al lavoro, invano se ne cerca la definizione normativa, dato che il legislatore si limita a fornire la nozione dell'imprenditore in genere (art. 2082), che poi specifica a proposito dell'imprenditore agricolo (art. 2135) e di quello che esercita attività lato sensu commerciale (art. 2195): tuttavia, poiché l'imprenditore è chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni o di servizî (art. 2082) e, d'altro canto, è considerato il capo gerarchico dell'organizzazione (art. 2086), impresa è l'organismo mediante il quale l'imprenditore esplica professionalmente un'attività economica.
Ciò precisato, è agevole ravvisare nell'impresa i seguenti dati essenziali: a) l'organizzazione intesa come il coordinamento dei mezzi necessarî, b) per il conseguimento di uno scopo produttivo e, c) la professionalità di chi ne è il titolare; dati dei quali il primo e il terzo sono strutturali e il secondo funzionale o finalistico, ma il terzo è, senza alcun dubbio, il più importante. Esso sta a significare l'antitesi tra impresa ed occasionalità dell'attività economica, che pur assume talvolta (articoli 1655, 2070) rilevanza giuridica, e sottolinea la continuità dell'impresa nel tempo.
Estremamente delicata è la determinazione del primo elemento, posto che, per il carattere economico del fine, questo può essere conseguito attraverso la combinazione del lavoro proprio dell'imprenditore e altrui e dei capitali. Si delinea, a questo punto, l'indagine volta a determinare la nozione di piccolo imprenditore, che l'art. 2083 identifica con chi esercita un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia, distinguendola da quella dell'imprenditore comune (grande e medio) e, se ed in quanto possibile, dalla figura del lavoratore autonomo.
La distinzione tra piccolo imprenditore e imprenditore comune, che è data dal diverso dosaggio degli elementi del processo produttivo nell'ambito dell'impresa, non è sufficiente per concludere che lavoro e capitale debbano coesistere, sia pure in diverse dosi, per dar vita ad un'impresa: una conclusione del genere sarebbe, tra l'altro, smentita proprio dall'art. 2082 e dall'esperienza, la quale ammaestra nella capacità, insita in più lavoratori, di raggiungere, pur privi di capitali proprî, un risultato economico. È da ritenersi che l'assenza del capitale in tanto consenta di dar vita ad un'impresa in quanto l'organizzazione si estrinsechi nel coordinamento del lavoro di più prestatori d'opera: di converso, il difetto di collaboratori non esclude l'esistenza di un'impresa, ogni qual volta la virtù organizzativa dall'imprenditore si applichi a indirizzare capitali proprî o altrui al conseguimento di scopi di produzione.
Se l'azienda (v. azienda, in questa App.) è il complesso di beni organizzati per l'esercizio dell'impresa (art. 2555), la correlazione tra azienda e impresa è normale, ma non necessaria, perché c'è impresa ma non azienda se l'organizzazione si estrinsechi nel solo coordinamento del lavoro; per contro, il potere gerarchico, il quale suppone la esistenza di collaboratori dipendenti dall'imprenditore (art. 2086), non sussiste in quella impresa in cui l'organizzazione sia limitata al coordinamento dei capitali da parte del solo imprenditore.
Il secondo elemento, che si è sopra detto funzionale, consente di distinguere l'impresa da quelle organizzazioni, che, pur essendo professionalmente esercitate, non perseguono scopi di produzione (bensì educativi, ricreativi, e così via).
Tale essendo la nozione d'impresa, essa non può, ad un tempo, essere riguardata né un soggetto né un oggetto di diritti: non un soggetto perché la sua creazione (e il rilievo è particolarmente importante per il titolare di più imprese) non implica la separazione dei beni che ne formano oggetto dal restante patrimonio del titolare; non un oggetto perché, come si è visto, consta non solo di elementi patrimoniali (patrimonio), ma anche di elementi personali, diretta com'è alla organizzazione del lavoro altrui. Essa è invece, dal punto di vista statico, una istituzione che non è necessariamente personalizzata, se tale s'intende un organismo sociale, compito di soggetti e di oggetti di diritto vincolati al conseguimento di un fine, e, dal punto di vista dinamico, un complesso di attività che si sviluppano nel tempo dal sorgere all'estinguersi della impresa.
2. Ne è a capo una persona fisica, ovvero una società fornita di autonomia patrimoniale o di personalità giuridica.
Poiché l'impresa si scinde, sul piano dinamico, in una serie di atti giuridici, occorre, nella persona fisica titolare, la generica capacità di agire. In tanto la società di capitali diviene titolare d'impresa, in quanto acquisisce, con la iscrizione, la personalità giuridica.
La qualità di ente pubblico non contrasta con la titolarità e con l'esercizio dell'impresa; giova però distinguere gli enti pubblici sindacalmente inquadrati - cui le disposizioni disciplinatrici dell'impresa si applicano normalmente - dagli enti pubblici, che, pur non essendo sindacalmente inquadrati, sono titolari di imprese, alla cui attività è limitata l'applicazione del quinto libro del codice civile (art. 2093). Pur con riferimento alla prima categoria di enti pubblici, l'equiparazione con le imprese private non è assoluta perché, in caso d'insolvenza, essi non sono assoggettati alle procedure del fallimento e del concordato preventivo (art. 2221).
3. Dal punto di vista delle dimensioni, l'impresa può essere piccola, grande e media; ma, mentre i due ultimi attributi non implicano differenze di natura giuridica, il primo è davvero fondamentale perché il piccolo imprenditore non è tenuto all'onere della iscrizione nel registro delle imprese (art. 2202), non deve tenere il libro giornale e il libro degli inventarî (art. 2214), né è, in caso d'insolvenza, soggetto alla procedura di fallimento e di concordato preventivo (art. 2221).
La difficoltà di valutare la prevalenza del lavoro dell'imprenditore e dei suoi familiari sugli altri elementi dell'impresa ha indotto il legislatore ad elencare, nell'art. 1 delle disposizioni sul fallimento e sulle altre procedure concorsuali (r. decr. 16 marzo 1942, n. 267), altri elementi, quali l'accertamento di un reddito inferiore al minimo imponibile per il tributo di ricchezza mobile e, in difetto, l'investimento di un capitale minore di 30.000 lire; varî, e non tutti convincenti, sono stati i tentativi finora fatti per contemperare le due citate disposizioni e armonizzare i criterî che vi sono dettati, ma più accettabile si presenta la opinione di chi vede nei criterî indicati nell'art. 1 elementi presuntivi, che, in sede di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, è consentito di oppugnare con il richiamo alla prevalenza del lavoro dell'imprenditore e della famiglia di lui, contemplati dall'art. 2083.
4. Dal punto di vista dell'attività spiegata, l'imprenditore commerciale, definito dall'art. 2195, differisce dall'imprenditore agricolo, definito dall'art. 2135; è una vecchia tradizione che il legislatore, per motivi non in tutto approvabili, non si è sentito di abbandonare. La elencazione di attività lato sensu commerciali (commerciale stricto sensu, o intermediaria nella circolazione dei beni, di cui l'attività di trasporto, bancaria e assicurativa non sono che sottospecie) è, indubbiamente, più stringata di quella adoperata dall'art. 3 dell'abrogato codice di commercio, ma sostanzialmente vi corrisponde; dal suo canto, l'art. 2135 identifica la impresa agricola nell'attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento del bestiame e alle attività connesse, per identificare le quali ultime si fa capo al criterio della normalità dell'esercizio dell'agricoltura.
La inserzione nella categoria degli imprenditori commerciali è di grande importanza perché essi, e non gli imprenditori agricoli, sono, purchénon siano "piccoli imprenditori", tenuti ad iscriversi nel registro delle imprese (art. 2136), a conservare il libro giornale e il libro degli inventarî (art. 2214), e, salvo l'art. 2200, sono, in caso d'insolvenza, soggetti alla procedura del fallimento e del concordato preventivo (art. 2221).
Siccome tra le imprese commerciali sono da annoverarsi quelle che esercitano attività di trasporti per acqua e per aria (art. 2195, n. 3), mentre il codice della navigazione ravvisa un'impresa di navigazione nell'esercizio di una nave (art. 765) o di un aeromobile (art. 874), è d'uopo sottolineare la diversità delle accezioni, in cui la nozione d'impresa è accolta nei due codici: differenza che emerge sotto un triplice profilo: sia perché non è essenziale all'impresa di navigazione il requisito della professionalità; sia perché l'armatore di più navi è ad un tempo titolare di una sola impresa nel senso seguìto dal codice civile, mentre è, nel significato accolto dal codice della navigazione, titolare di tante imprese per quante sono le navi (o gli aeromobili); sia, infine, perché diverse sono le forme di pubblicità disciplinate dai due codici.
5. Comune ad ogni sorta d'impresa è la caratteristica per la quale la sua titolarità non si accompagna, necessariamente, alla proprietà dei beni che ne formano l'elemento materiale: singolare è che la dissociazione si verifica nei più disparati campi dell'attività produttiva, dalla navigazione aerea e marittima, nella quale l'armatore, che è il titolare dell'impresa di navigazione, può non essere il proprietario della nave o dell'aeromobile (art. cit., cod. navig.), all'agricoltura, in cui l'affittuario è il titolare dell'impresa agricola, attraverso l'affitto dei beni produttivi non agricoli. Questo fenomeno dà luogo a non poche conseguenze, specie nel campo delle garanzie patrimoniali, e, in particolare, dei privilegi; di qui la responsabilità che l'imprenditore assumeva, verso lo stato, in ordine all'indirizzo della produzione e degli scambî, responsabilità che si estrinseca in sanzioni che vanno dalla sospensione dell'esercizio della impresa alla nomina di un amministratore (articoli 2088 a 2092); è, peraltro, da opinare che tale responsabilità, strettamente collegata al vigore dell'ordinamento corporativo, sia venuta meno con la soppressione di quest'ultimo.
Rimangono in vigore altre disposizioni nelle quali la qualità d'imprenditore apporta deroga alle norme di carattere più generale: si pensi, ad es., alla persistente efficacia della proposta o dell'accettazione dell'imprenditore nell'esercizio della sua impresa, pur dopo che egli sia morto o sia divenuto incapace (art. 1330), e all'art. 1368, per il quale le clausole ambigue di un contratto s'interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui è la sede dell'impresa.
Infine, comune ad ogni sorta d'impresa, è la difesa contro la concorrenza sleale.
6. Innovazione, che non è per ora attuata, è, nel vigente codice, il registro delle imprese, cui sono tenuti ad iscriversi i soli imprenditori commerciali e, ancorché non esercitino un'attività commerciale le società esclusion fatta delle società semplici (per le società la pubblicità continua a svolgersi secondo le forme previste nel codice di commercio). (V. registro, in questa App.).
Bibl.: A. Asquini, Il diritto commerciale nel sistema della nuova codificazione, in Riv. dir. comm., 1941, I, p. 429; F. Ferrara, Imprenditori e società commerciali, 2ª ed., Firenze 1945; W. Bigiavi, La piccola impresa, Milano 1947; id., La professionalità dell'imprenditore, Padova 1948; R. Franceschelli, L'imprenditore, Milano 1944; P. Greco, Profilo dell'impresa economica nel nuovo codice civile, negli Atti della Reale Accademia della Scienza di Torino, LXXVII, Torino 1941; G. Ferri, in Commentario del codice civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, libro V: Del Lavoro (articoli 2060-2246), Bologna-Roma 1943; F. Santoro Passarelli, L'impresa nel sistema nel diritto civile, in Riv. dir. comm., 1942, I, p. 376; A. Graziani, L'impresa e l'imprenditore, Napoli, s. d., ma 1946; G. Valeri, Manuale di diritto commerciale, I, Firenze 1945.