IMPRESA (fr. devise; sp. empresa; ted. Wappen; ingl. device)
Rappresentazione simbolica d'un proposito, d'un desiderio, d'una linea di condotta (ciò che si vuole "imprendere", intraprendere) per mezzo di un motto e d'una figura che vicendevolmente s'interpretano. Già usata dai Greci (cfr. I Sette a Tebe di Eschilo) e dai Romani (cfr. la famosa moneta di Tito, recante nel verso il delfino avviticchiato all'ancora), fu specialmente in onore nella società cortese di Francia nel Medioevo (vedine alcune riportate nelle poesie del Machaut e del Froissart), e dalla Francia passò in Italia al tempo della spedizione di Luigi XII, allorché il costume dei Francesi di decorare d'imprese (devises) vesti, cappelli, bandiere, colpì la fantasia d'alcuni letterati italiani. Nel suo Dialogo delle imprese militari e amorose (Roma 1555) Paolo Giovio (che nella letteratura delle imprese gode d'un primato analogo a quello dell'Alciato per gli emblemi) ricorda una conversazione avuta a quel proposito con Ludovico Domenichi, nel corso della quale fissa cinque requisiti dell'impresa; egli voleva: 1. che fosse con giusta proporzione di corpo (cioè figura) e d'anima (motto); 2. che non fosse sì oscura da aver bisogno della Sibilla per interprete, né tanto chiara che ogni plebeo l'intendesse: 3. che soprattutto avesse bella vista, cioè rappresentasse cose gradevoli all'occhio, come astri, fuoco, acqua, alberi, strumenti, animali, uccelli fantastici; 4. che non vi comparisse la figura umana; 5. che il motto che n'è l'anima fosse d'una lingua diversa dall'idioma di colui che faceva l'impresa, perché il sentimento fosse alquanto più coperto, e che il motto fosse breve, ma non tanto da essere oscuro o dubbioso.
Molte delle imprese ricordate dal Giovio son desunte dai geroglifici di Orapollo (vedi emblema), e questa comunanza d'origine con gli emblemi fa che talora sia difficile distinguere imprese da emblemi. Ma poiché le regole dell'impresa furono fissate con rigore accademico in Italia, mentre l'emblema si svolse relativamente libero da precetti di là dalle Alpi, ne segue che l'impresa sta all'emblema come il genere classico al romantico. Nelle accademie italiane del Cinque e Seicento non solo si disegnavano imprese, ma anche se ne faceva oggetto di sterili discussioni. L'impresa divenne a tal segno cosa italiana, che il Menestrier nella sua Philosophie des Images (1682) poté dire che il cardinal Mazzarino "aveva portato questo gusto e questa inclinazione in Francia dal suo paese".
La letteratura delle imprese è assai vasta in Italia, a causa delle innumerevoli questioni che sorgevano in quell'ambiente accademico d'allora circa i requisiti dell'impresa. Il Domenichi nel suo Ragionamento nel quale si parla d'imprese d'armi e d'amore, Milano 1559, si adopera, per es., a escludere dalle imprese vere i giuochi di parole e i rebus, e si burla d'un bolognese che portava una catena con in mezzo un re di carte in memoria della sua amata Cate-ri-na. Fra i primi trattatisti d'imprese figura anche il poligrafo fiorentino Gabriello Simeoni, il cui trattato Le imprese eroiche e morali (Lione 1559) fu ristampato in seguito insieme col primo volume che raccogliesse imprese di personaggi storici, le Devies héroïques di Claude Paradin (Lione 1551, con incisioni attribuite al Petit Bernard): C. Paradini et Gabrielis Symeoni Heroica Symbola, Anversa 1562. Nel suo Dialogo pio e speculativo, che apparve insieme con le Sentenziose imprese (Lione 1560), il Simeoni connette le imprese con le antiche medaglie. Ai suoi tempi ebbe fama di maestro e principe delle imprese Marc'Antonio Epicuro napoletano, ma di lui non si ha alcun trattato: tuttavia le sue regole ci son conservate nel dialogo di Scipione Ammirato, Il Rota, ovvero dell'Imprese, Napoli 1562. Si hanno opere di precettistica, di solito senza figure, di Alessandro Farra (parte settima del Settenario, Venezia 1571), di Bartolomeo Taegio (libro secondo del Liceo, Milano 1571), di Luca Contile (Ragionamento sopra la proprietà delle imprese, Pavia 1474, con figure), di G.A. Palazzi (Discorso sopra l'imprese, Bologna 1575), di F. Caburacci (Bologna 1580), di Scipione Bargagli (Siena 1578, prima parte, ristampata con la seconda e la terza a Venezia, 1594), di G. C. Capaccio (Napoli 1592, con figure), di Torquato Tasso (Il Conte, ovvero delle imprese, 1594), di Ercole Tasso (Della realtà e perfezione delle imprese, Bergamo 1612), di E. Tesauro (Il cannocchiale aristotelico, ossia Idea delle argutezze eroiche, 1654), ecc. Fuori d'Italia trattarono teoricamente delle imprese: Abraham Fraunce, (Insignium, armorum, emblematum, hieroglyphicorum et symbolorum, quae ab Italis Imprese nominantur, Explicatio, Londra 1588), A. d'Amboise (Discours ou Traité des devises, Parigi 1620), Henry Estienne (L'Art de faire les devises, Parigi 1645), i gesuiti P. Le Moine (De l'Art des devises, Parigi 1666), e C.-F. Menestrier, il quale ultimo scrisse eruditamente, voluminosamente, e non senza finezza, di araldica (L'Art du blason justifié, Lione 1661), di emblemi (L'Art des emblèmes, Lione 1662), d'imprese (La Philosophie des images, Parigi 1682, La science et l'art des devises, Parigi 1686), e compose innumerevoli imprese in occasione di esequie, di feste date in onore di principi e del Re Sole (La devise du Roi Justifiée... avec un Recueil de cinq cents devises faites pour S. M. et toute la maison royale, Parigi 1679). Tipica dell'accademismo velenoso dell'epoca la lunga e scandalosa polemica che il padre Menestrier ebbe col padre Le Laboureur a proposito d'una divergenza d'opinioni sull'origine del blasone e sull'interpretazione di certi termini d'araldica (come gueules): il Menestrier fece perfino stampare una serie d'imprese a scorno dell'avversario. Si distingue dagli altri trattatisti per gusto e doti letterarie l'opera d'un altro gesuita francese, D. Bouhours, Les entretiens d'Ariste et d'Eugène, Parigi 1671, che tratta delle imprese nel sesto entretien.
Come l'arte sorella, quella degli emblemi, così l'arte delle imprese era coltivata dagli ecclesiastici, specialnente dai gesuiti, per fini didattici e decorativi. Fra i trattatisti religiosi italiani van ricordati il gesuita romano S. Pietrasanta (De symbolis heroicis, Anversa 1634); l'abate Giovanni Ferro (Teatro d'imprese, Venezia 1623), e il vescovo di Tortona, Paolo Aresi, autore di ben sette volumi d'Imprese sacre con triplicati discorsi illustrate e arricchite, a' predicatori, agli studiosi delle scritture sacre e a tutti quelli che si dilettano d'imprese e di belle lettere, e di dottrina non volgare, non men utili che dilettevoli, Venezia 1621-29. Alle critiche dell'abate Ferro l'Aresi rispose con la Penna riaffilata, a cui il Ferro replicò con Ombre apparenti nel teatro d'imprese, Venezia 1629, che provocò a sua volta da parte dell'Aresi la Retroguardia, libro settimo delle sacre imprese... in cui se stesso difendendo l'autore, non pochi luoghi delle divine lettere si espongono, e di tutta l'arte o scienza impresistica esattissimamente si tratta: anche i due ecclesiastici italiani erano arrivati a guerreggiare con le imprese. Tra gli Spagnoli ricordiamo il priore J. F. De Villava (Empresas espirituales y morales, Baeza 1613) e Juan de Borya (Empresas morales, Bruxelles 1680).
Una famosa raccolta d'imprese destinata ai predicatori è quella dell'Abate Filippo Picinelli (Mondo simbolico formato d'imprese scelte, spiegate ed illustrate, con sentenze ed erudizioni, sacre e profane, che somministrano agli oratori, predicatori, accademici, poeti, ecc., infinito numero di concetti, Milano 1653, Venezia 1670): è una raccolta di concetti predicabili rappresentati in imprese caratteristica del Seicento. Simili raccolte, ma di mole minore, fecero H. Engelgrave (Lux evangelica, Colonia 1655-1659; Coelum empyreum, Colonia 1668), J. M. von der Ketten (Apelles symbolicus, Amsterdam 1699), C. Labia (Simboli predicabili, Ferrara 1692).
Le raccolte dei laici avevano preceduto: ben note quelle d'Imprese di diversi principi disegnate dal pittore vicentino Battista Pittoni, accompagnate da versi di L. Dolce (Venezia 1566-68) e d'Imprese illustri di G. Ruscelli (Venezia 1576; con l'aggiunta d'un quarto libro di v. Ruscelli, Venezia 1584), d'Imprese illustri di Camillo Camilli (Venezia 1585), di Symbola divina et humana pontificum, imperatorum, regum (Praga 1601-03, con incisioni di E. Sadeler tolte dal museo d'imprese del romano O. Strada, commentate da I. Typotius e A. Boodt). La più notevole tra le raccolte inglesi è quella di H. Peacham, Minerva britanna, or a Garden of heroical devices, Londra 1612. La confusione con gli emblemi è evidente nel titolo stesso del Nucleus emblematum selectissimorum quae Itali vulgo Impresas vocant di G. Rollenhagen, Colonia 1611-13, con incisioni di Crispin de Passe che furono poi usate da G. Wither per la sua Collection of emblems, Londra 1635, ove le imprese sono applicate a un curioso genere di lotteria.
Innumerevoli sono i volumi d'imprese pubblicati in occasione di feste, esequie, canonizzazioni: basti ricordare quello stampato dal Plantin nel 1640 in commemorazione del centenario della fondazione della Compagnia di Gesù: Imago primi saeculi Societatis Iesu, con imprese incise da C. Galle celebranti le conquiste della Compagnia.
Un fecondo ramo d'applicazione delle imprese, come degli emblemi, fu quello destinato all'educazione di principi. Il trattato più notevole fu scritto dallo spagnolo Diego Saavedra Fajardo, Idea de un Príncipe político cristiano representada en cien empresas, dedicada al Príncipe de las Españas, Monaco di Baviera 1640, Milano 1642 (è la stampa di Milano a servir di modello alle seguenti); ma il Fajardo era stato preceduto dagli Emblemata politica di J. à Bruck Angermundt, dedicati all'imperatore Mattia (Colonia 1618) e dal Príncipe, tratto dagli emblemi dell'Alciato di G. C. Capaccio, Venezia 1620, dedicato a Federico II d'Urbino. L'opera del Fajardo fu tradotta in varie lingue ed ebbe numerosissimi imitatori; in Spagna J. de Solórzano Pereira (Emblemas regio políticos, Valenza 1658), il gesuita Andrea Mendo (Príncipe perfecto y ministros ajustados, Salamanca 1662, libro che fu tradotto in italiano nel 1816 da Carlo Luigi di Borbone e dedicato a Maria Luisa Duchessa di Lucca), il R. P. A. Luzón de Millares (Idea politica veri christiani, Bruxelles 1665). Anche in questo ramo si giunse al macchinoso e allo strano, come nella Meteorologia philosophico-politica dedicata a Giuseppe I d'Austria dal gesuita F. Reinzer (Augusta 1709), ove si derivano insegnamenti politici dai fenomeni meteorologici trasportati al morale.
Le accademie pubblicarono imprese insieme con i versi e le dissertazioni dei loro membri: Rime degli Accademici Occulti con le loro imprese e discorsi, Brescia 1568, Rime degli Accademici Gelati, Bologna 1597; Memorie, imprese e ritratti de' signori Accademici Gelati, Bologna 1672, Imprese delle Colonie Arcadiche, in appendice alla vita di G. M. Crescimbeni scritta da. F. M. Mancurti, Roma 1729; Emblemata anniversaria Academiae Altorfinae, Norimberga 1597 (imprese in forma di medaglie).
Talvolta qualche poeta si dilettò d'accompagnare con imprese un suo libro di versi: così Maurice Scève di Lione in Délie, objet de la plus haute vertu, Lione 1544, B. Percivallo, Rime e Imprese, Ferrara 1588, Ercole Tasso nel curiosissimo libretto La Virginia, ovvero Dea de' nostri tempi, trattato ove si hanno rime, imprese e dimostrazioni cabalistiche, ecc.
Benché i compositori d'imprese fossero di solito avventurieri della penna, come G. Simeoni, che ne scrivevano a scopo di lucro, e, più tardi, ecclesiastici, pure non sdegnarono quell'arte alcuni famosi scrittori; in Francia lo Scève, il Marot, il Jodelle, il Ronsard; tra noi il Tasso, il Marino; in Inghilterra S. Daniel, traduttore di Giovio (1585), il Greene, il Nash, il Sidney, E. Spenser, Drummond of Hawthornden, e lo stesso Shakespeare, che col Burbage compose l'impresa dell'Earl of Rutland, e in Pericles descrive alcune imprese in parte desunte dal Paradin. Ne fece per burla il Rabelais.
La moda delle imprese, come quella degli emblemi, passò col Settecento; ma, a differenza degli emblemi, le imprese hanno seguitato a usarsi in alcune applicazioni pratiche, come nelle marche tipografiche degli editori, nelle medaglie commemorative, negli ex-libris.
Bibl.: Oltre alle opere citate alla voce emblema, che di solito trattano anche d'imprese, vedi: J. Gelli, Divise, motti, imprese di famiglie e personaggi italiani, Milano 1916, antologia basata sulle principali raccolte italiane d'imprese. Per il Menestrier, v. P. Allut, Recherches sur la vie et les oeuvres du P. C.-F. Menestrier, Lione 1856, e J. Renard, Catalogue des oeuvres imprimées de C.-F. Menestrier, Lione 1883. Per l'Epicuro, v. E. Pèrcopo, in Giorn. stor. lett. ital., XII (1888), pp. 36-52. Una buona rassegna della letteratura delle imprese si trova nel Jugement des auteurs qui ont écrit des devises premesso alla Philosophie des images di C.-F. Menestrier, Parigi 1682. Sul Saavedra Fajardo v. la prefazione di V. García de Diego all'ediz. dell'Idea di un principe, Madrid 1927, ecc. Su S. Daniel, v. G. R. Redgrave, Daniel and the Emblem Literature, in Bibliographical Society Transactions, XI, Londra 1912. Per le marche tipografiche, v. l'appendice del vol. del Volkmann cit. per emblbma, e A.-H.-J. Delalain, Inventaire des marques d'imprimeurs et de libraires, 2ª ed., Parigi 1892.