IMPRESE DI ΤRAIAΝO, Maestro delle
Questo nome convenzionale, proposto da Ranuccio Bianchi Bandinelli nella sua prolusione fiorentina del 1938, designa, da allora, l'ignoto scultore al quale si deve attribuire l'ideazione, se non del tipo stesso della colonna coclide istoriata (v.), certo della sua prima incarnazione monumentale, la Colonna Traiana: ma già prima di lui Karl Lehmann-Hartleben aveva ipotizzato che a un solo Maestro si dovesse l'invenzione dei rilievi della Colonna Traiana e la direzione della complessa bottega che li eseguì. Tuttavia, la storia critica di questa pur anonima personalità artistica potrebbe farsi cominciare molto prima, da una lettera dove Baccio Bandinelli ipotizzava, per l'una e per l'altra colonna istoriata di Roma, «l'opera di venti maestri», ma tutti guidati da «un valente disegnatore», responsabile unico della «invenzione, che tiene il principato d'ogni eccellenza» (1547); e dovrebbe avervi un posto, egualmente, Flaminio Vacca che nel 1594 già notava che rilievi e prigionieri daci dell'Arco di Costantino dovevano essere «di mano del maestro della Colonna».
Nella definizione della sua personalità, tentata dal Bianchi Bandinelli, il giudizio di stile e una singolare passione e tensione etica concorrono in misura quasi eguale, caratterizzando il Maestro a partire dalla sua aperta simpatia per i Daci vinti, che si traduce nei rilievi della Colonna in «uno scomposto e doloroso impeto morale, che l'antichità non aveva creduto di poter ammettere sin qui alla sfera dell'arte»; talché, scriveva, «mi piacerebbe di più chiamarlo, anziché il «Maestro delle imprese di Traiano», il «Maestro dei Daci morenti».
«Creato» dal Bianchi Bandinelli in piena sintonia con le tendenze della storiografia artistica a concentrarsi sulla definizione di singole personalità (garantite, quando ne manchi l'evidenza documentaria, da un nome convenzionale e da un ricostruito catalogo delle opere), questo Maestro ha sostanzialmente resistito agli anni, pur senza trovare in nuove scoperte - come del resto era e resta improbabile - una più puntuale collocazione anagrafica. I presupposti per la definizione della sua personalità erano, per Bianchi Bandinelli, almeno tre: (a) la grande compattezza dello stile nei rilievi della Colonna Traiana; (b) il continuo rinnovarsi dell'invenzione compositiva, pur in un contesto narrativo che invitava all'iterazione dei temi e dei gesti; (c) la necessità, per la produzione nell'ambito di pochi anni di un monumento di così grandi dimensioni e impegno, dell'impianto di un cantiere, certo con più scultori al lavoro, ma con un Maestro al quale possa essere ricondotta l'idea generale dell'opera e la direzione dei lavori. Si può notare di passaggio che l'ultimo punto è del tutto indipendente dal giudizio di qualità sugli esiti formali: in questo senso, il «Maestro delle Imprese di Traiano» proposto da Bianchi Bandinelli e quello «delle Imprese di Marco Aurelio» proposto più tardi dal Becatti - e al quale Bianchi Bandinelli ha negato concretezza storica sulla base di un giudizio di qualità sui rilievi della Colonna Antonina - possono sì essere posti in scalatura di qualità, e tuttavia dovettero pur rivestire, nei rispettivi cantieri, un identico ruolo (v. a tal proposito la voce colonna coclide istoriata). Assai più caduca si è mostrata, alla luce degli studi più recenti, l'altra idea di Bianchi Bandinelli, che al Maestro si potesse attribuire una simpatia per i vinti che sconfinasse in nascosta opposizione, da suddito e da greco, all'impero dei Romani.
Intorno alla definizione stilistica ed etica del Maestro, Bianchi Bandinelli ne propose un catalogo, che alla Colonna subito aggiungeva, con incalzanti confronti, i rilievi del Grande Fregio Traianeo e poi, come a maggior distanza, i Daci prigionieri del Foro e parti dell'Arco di Benevento. Infine, sulla base della collaborazione (che in ogni caso dovette essere strettissima) fra lo scultore (coi suoi aiuti) e l'architetto della Colonna, che dovette essere quello stesso dell'intero complesso del Foro, Apollodoro di Damasco, Bianchi Bandinelli avanzava l'ipotesi che lo stesso Apollodoro potesse identificarsi come ideatore e scultore dei rilievi della Colonna. Ma era subito evidente che del Maestro così delineato, fosse o non fosse Apollodoro, non tanto importava la biografia o lo stato civile, quanto invece la funzione di snodo nello svolgimento dell'arte antica: massima personalità dell'arte romana, il Maestro doveva - per Bianchi Bandinelli - considerarsi, e proprio per quei suoi peculiari accenti, l'iniziatore e l'auspice di un'«arte romana vera e propria, fondamentalmente unitaria sino all'età di Teodosio». In realtà non v'è che un unico passo (SHA, Hadr., XIX, 9-13) in cui il nome di Apollodoro compare in connessione con un'opera di scultura, il colosso - peraltro non realizzato - della Luna, che doveva fare pendant a quello neroniano ridedicato al Sole: ma, a parte ogni considerazione sull'attendibilità della fonte, la frase «Apollodoro architecto auctore» può anche essere interpretata nel senso che ad Apollodoro si dovesse l'idea, e nulla più, di quel colosso mancato.
Discorde è l'esito, a oggi, di quelle proposte, così ricche di intelligenza critica e, in buona sostanza, consonanti con quelle pur così diverse del Lehmann-Hartleben. Le due strade finora percorse sono, ancora, quella che vuole un Maestro unico all'origine della creazione della Colonna; o, all'opposto, quella - subito formulata da G. Koepp nella sua recensione al libro di LehmannHartleben - che, sottolineando dislivelli nell'esecuzione, puntava su una pluralità di mani, negando anche l'unità dell'invenzione; questa stessa strada tentava specificamente il Gross, quando voleva distinguere, dei quasi sessanta ritratti di Traiano presenti sulla Colonna, più d'un esecutore. Più recentemente; si è tentata (W. Gauer) una sorta di strada intermedia, che accetta sì l'esistenza di un solo Maestro, o Bildorganisator - caratterizzato fra l'altro come collaboratore o consigliere di Apollodoro di Damasco - nelle fasi preparatorie del lavoro, ma insiste sulla molteplicità dei maestri che non solo eseguirono i rilievi, ma parteciparono alla loro progettazione e ideazione. Fra questi egli ha distinto personalità come il «Maestro di Giove», e anche all'interno di un'unica scena, quella della battaglia di Tapae, ha contrapposto un «Maestro dei Romani» a un «Maestro dei Daci» come autori, rispettivamente, delle due metà di una stessa composizione. Non diversamente P. Rockwell ha tentato, sulla base delle tracce degli strumenti di lavoro, la distinzione di due diverse équipes, responsabile l'una degli sfondi e l'altra delle figure umane nei rilievi della Colonna. Altri ha invece anche da poco riproposto, pur nell'ovvia molteplicità delle mani, l'unità della concezione e dell'esecuzione della Colonna come problema critico centrale, indicandone gli snodi su cui occorre sviluppare la riflessione e la ricerca non tanto nell'elencazione, fatalmente precaria, di personalità di piccoli maestri (tanto più fittizî e irrilevanti quanto più numerosi), ma piuttosto nel rapporto col committente e col pubblico, nella costituzione di una specifica cultura figurativa e nella sua elaborazione creativa, nonché nei problemi di leggibilità dei rilievi della Colonna e, per converso, nella specificità delle sue strategie compositive. Se si ha ragione di vedere nel programma della Colonna un riflesso fedele dell'immagine che Traiano voleva proiettare di se stesso, per il suo pubblico e per le generazioni a venire, allora il nome di «Maestro delle Imprese di Traiano» davvero è singolarmente appropriato, e merita di durare.
Bibl.: La lettera di Baccio Bandinelli è pubblicata in G. Bottari, S. Ticozzi, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura, I, Milano 1822, pp. 70-73: cfr. G. Agosti, V. Farinella, in S. Settis (ed.), La Colonna Traiana, Torino 1988, p. 586; ivi, p. 587 per il testo delle Notizie d'antichità diverse di Flaminio Vacca. - Ancora oggi fondamentale è il libro di K. Lehmann Hartleben, Die Trajanssäule. Ein römisches Kunstwerk am Beginn der Spätantike, Berlino-Lipsia 1926 (ree. di G. Koepp in Göttingische Gelehrte Anzeiger, CLXXXVIII, 1926, p. 369 ss.). - Inoltre: R. Bianchi Bandinelli, Un problema di arte romana: il «Maestro delle Imprese di Traiano», in Le Arti, 1,1938-39, p. 325 ss. (poi inserito nelle varie edizioni di Storicità dell'arte classica, fino all'ultima, Bari 1973, p. 349 ss.). - Sul suo percorso critico e su altri suoi interventi sul medesimo soggetto, v. G. Agosti, Ranuccio Bianchi Bandinelli dall'invenzione del «Maestro delle Imprese di Traiano» alla scoperta dell'«arte plebea», in AnnPisa, s. III, XVI, 1986, p. 307 ss. - L'analisi dei ritratti di Traiano sulla Colonna al fine di distinguerne i varî «autori» è in W. H. Gross, Bildnisse Trajans, Berlino 1940, p. 43 ss. - Sul contrasto fra Bianchi Bandinelli e Becatti a proposito del «Maestro delle Imprese di Marco Aurelio», v. la bibl. indicata s.v. Colonna coclide istoriata. - Sul grande fregio traianeo, A. M. Leander Touati, The Great Trajanic Frieze. The Study of a Monument and of the Mechanisms of Message Transmission in Roman Art (Acta Instituti Romani Regni Sueciae, s. IV, XLV), Stoccolma 1987. - Per le altre proposte menzionate nel testo: W. Gauer, Untersuchungen zur Trajanssäule. I. Darstellungsprogramm und künstlerischer Entwurf, Berlino 1977 (la seconda parte dell'opera, dove l'A. prometteva - I, p. 85 - un'analisi dettagliata della composizione al fine di distinguervi le varie mani, non è stata ancora pubblicata); P. Rockwell, Preliminary Studies of the Carving Techniques on the Column of Trajan, Roma 1983; S. Settis, in La Colonna Traiana, cit., p. 100 ss. e passim (con altra bibl.); id., La Colonne Trajane: l'empereur et son public, in RA, n.s. I, 1991, pp. 186-198; E. La Rocca, Ferocia barbarica, in Jdl, cix, 1994, p. ι ss. - Altre indicazioni bibliografiche, in particolare relative alla Colonna Traiana, si troveranno s.v. Colonna coclide istoriata.
Sui rapporti tra la figura storica di Apollodoro di Damasco e quella del «Maestro delle Imprese di Traiano»: F. Lepper, S. Frere, Trajan's Column. A New Edition of the Cichorius Plates. Introduction, Commentary and Notes, Gloucester 1988, pp. 16-19 e 187-193.