IMPRESSIONISMO
Nel 1874 ebbe luogo a Parigi, organizzata dalla Société anonyme des artisies peintres sculpteurs et graveurs, un'esposizione dei pittori C. Monet, A. Sisley, C. Pissarro, A. Renoir, E. Degas, B. Morisot e altri; e il critico dello Chanvan, Louis Leroy, prese spunto dal titolo di un quadro di Monet, Impression, Soleil levant, per intitolare appunto il suo articolo sulla mostra, Exposition des impressionistes. L'espressione, benché volesse essere dispregiativa, non mancava d'una certa evidenza; ed ebbe rapida fortuna; tre anni dopo, in una seconda mostra di gruppo, i medesimi artisti presero loro stessi il nome impressionistes.
I principali artisti dell'impressionismo francese furono Monet, Sisley, Pissarro, Renoir e accanto a questi, Édouard Manet. Nel decennio 1870-1880 essi si presentarono con affinità di caratteri che giustificano tuttora il loro aggruppamento: partendo da una concezione dell'arte del tutto veristica, si propongono di fissare le impressioni che la natura loro dà in un dato momento. E ciò mediante una pittura rapidissima, abbreviata, ma che pur renda l'illusione della realtà; e quanto a soggetti prediligono paesi e figure all'aperto in gran luce (plein-air) di cui vogliono rendere la gioia del colore chiaro e intenso. Posizione estetica quanto mai semplice, che risponde a uno stato d'animo elementare, ma umanissimo, e che si potrebbe definire ottimismo veristico. Per quest'insieme di caratteri, intimamente fusi, la pittura impressionistica appare alcunché di nuovo rispetto alla tradizione della pittura europea, anche se alcuni elementi di essa, approssimativamente considerati, già siano nella pittura precedente.
Le influenze che operarono sulla formazione dei pittori impressionisti furono numerose: verista anzitutto, sia pur con impostazione pittorica e patetica diversa, era già in gran parte la pittura francese; dall'Inghilterra, per il tramite di Jongkind, veniva l'esempio di paesaggio dal vero, rapido, mosso e vibrante di pennellate (Bonington e Turner); rimaneva copiosa e importante l'opera di Corot giovane; e cominciavano a diffondersi le stampe giapponesi a colori del '700 e '800 in gran parte di paesaggio, a tinte chiarissime, per toni giustapposti, e di una certa loro sommarietà di visione.
I due elementi di abbreviatura formale e di composizione per toni giustapposti sono già nell'Olympia di Manet (1863); e, dopo qualche opera in cui ritornano le sue predilezioni chiaroscurali, secentesche, egli, con la Veduta dell'esposizione universale del 1867, la Partenza del battello di Folkestone e alcune altre marine, giunge a darci vedute dal vero con pittura chiara e abbreviatissima e con notevole senso di vibrazione luminosa. E Monet, che ancora nella Route de Bas Bréau (1866, Parigi, Musée des Arts Décoratifs) imposta il quadro con un'intonazione d'insieme grigio dorata, nelle Femmes dans un jardin (Louvre), di ben poco posteriore, cerca di limitarsi al colore locale quale appare su forme in pieno sole. E, più conseguente e osservatore più minuto dei fatti luminosi di quel che fosse Manet, giunge all'esclusione del nero dalla sua tavolozza, e a dare le ombre non mediante il colore della zona in luce scurito, ma mediante colori più scuri sì, ma diversi e puri, prossimi, se non scientificamente identici, al colore complementare di quello della luce corrispondente. Cerca quindi di ridurre la tavolozza ai soli colori del prisma, di non mescolarli l'un l'altro, ma accostandoli sulla tela di dar con essi luminosamente esaltato il tono dell'oggetto. Il sistema coloristico impressionistico, scientificamente approfondito e rigidamente applicato, darà luogo al divisionismo (v.).
Ma l'estro pittorico degl'impressionisti, soprattutto di Manet, Monet e Sisley, non permetterà eccessiva schiavitù alla loro dottrina coloristica, l'applicheranno solo fin dove sentono di ottenere così gli effetti voluti di grande chiarezza, di ombre luminose e quindi di ariosità, di distanze evidenti, di morbidità di forme. Nel primo decennio almeno non vincolano mai (diversamente dai divisionisti) la forma o il verso della pennellata, il soprammettere o meno d'un colore a un altro, la composizione insomma del loro arabesco pittorico. La loro pennellata vuole essere bella, e si propone di rendere la materia e il senso delle cose come l'occhio e l'estro le vedono.
La gioia delle cose e la gioia della bella pittura s'incontrano con impareggiabile facilità nelle ultime opere di Manet: Sur la plage, Argenteuil, Monet peignant dans son atelier, M.me Manet sur un canapé, Le modèle du "Bar aux Folies-Bergères", in un compiacimento perfetto tra le aspirazioni del suo spirito e le forme del mondo che gli appaiono. E di alta qualità in gran parte sono i paesaggi di Monet e Sisley oltre il 1880, d'un senso d'illusione perfetto, d'una grande solidità ed evidenza di piani attraverso una pittura rapida, fresca, intonata a una gamma di colori chiari. Vicinssimi sono in quegli anni Monet e Sìsley: solo Sisley è generalmente un po' più fuso e un po' meno spinto nel cromatismo impressionistico. Verso il '90 Monet, fissandosi sempre più sull'apparenza luminosa delle cose (la serie delle Cathédrales), finirà col render quasi inafferrabile l'immagine e col creare uno sciamar di colori su un tono dominante (Harmonie verte, Harmonie rose, come dicono i sottotitoli di certi suoi quadri), con pennellata però meno vibrante che nei suoi quadri giovanili; sino al grande fregio delle Nymphéas all'Orangerie, in cui cerca di trarre dallo stesso soggetto giuochi di luce sull'acque tra ninfee galleggianti, lo spunto d'una pittura di puro ondeggiare di colori, di valori ormai prevalentemente decorativi.
Pissarro si avvierà dopo il 1885 verso la tecnica divisionista. Degas invece, naturalmente disposto a una pittura di figura psicologicamente e tipicamente approfondita colta nel suo ambiente negli atti più rapidi e spontanei, accede all'impressionismo verso il '70 per il suo colore chiaro a zone giustapposte, in cui rende con grande freschezza ed evidenza gl'interni a luci artificiali delle sue scene di teatro, le sue vedute di corse di cavalli. E avrà due seguaci di talento in Forain e in Toulouse-Lautrec. Particolare è anche la posizione nell'impressionismo di Renoir, che vi si converte dopo aver dato già opere di figura importanti alquanto prossime al fare di Courbet, ma più gioiose e più leggiere d'esecuzione. Egli ha un gusto di vita fisica più umano e più copioso degli altri impressionisti; e dopo un decennio circa di tecnica impressionista, dopo varî mutamenti e studî d'opere antiche, giunge a un fare morbido e chiaro a pennellate sottilmente intrecciate senza accentuata compendiarità, ma con una semplificazione generale e intima della figura. Cézanne esporrà solo fino al 1877 con gl'impressionisti, poi se ne allontanerà sentendo la sua profonda differenza da essi; egli farà suo in gran parte il cromatismo chiaro degl'impressionisti e certe compendiarità d'esecuzione, ma ciò si fonderà in lui con un senso eccezionale del volume delle cose, delle resistenze delle superficie; con un bisogno d'effetto plastico e architettonico prepotente; e la sua arte sarà stimolo e appoggio alle prime esperienze cubiste, antitetiche all'impressionismo. Bazille morto giovanissimo, e P. Gauguin, seguace di Pissarro nei primi anni, hanno parte secondaria nel moto impressionistico.
Varietà quindi di temperamenti in una atmosfera psicologica e in un fervore di ricerche artistiche che li accomuna: tutti, il caso Cézanne a parte, d'una grande sapienza di disegno acquisita da giovani nell'ambiente pittorico francese sulla metà del secolo, tenaci nelle loro ricerche, imperterriti davanti all'incomprensione del pubblico che per decennî non vuol seguirli, benché la loro arte tanto aderisca all'epoca. Il loro successo si delinea sullo scorcio del secolo, e si afferma in principio del '900 con un interesse critico e commerciale imponente.
L' impressionismo fuori della Francia. - L'impressionismo fu e rimase sostanzialmente un fenomeno francese. Tuttavia il movimento ebbe larghe ripercussioni di là dai confini del paese in cui aveva avuto origine, anche se gli effetti non furono altrettanto felici e duraturi. Favorirono la rapida diffusione dell'impressionismo le ricerche tecniche che erano in voga un po' dappertutto e che in Italia avevano occupato i migliori artisti fino da quando, reduci dell'esposizione di Parigi del 1855, Domenico Morelli, Saverio Altamura e Serafino Da Tivoli proclamarono che la "macchia", intesa nel significato di "impressione", era il fondamento della pittura.
Purtuttavia in Italia, per l'istintiva resistenza di una pittura educata da una tradizione di secoli a regolare e ordinare col vigore dello stile l'ansioso passaggio dall'intuizione e dall'istinto alla coscienza e all'arte, non poteva dar larghi frutti il moto che, partito da premesse idealistiche, si risolse ben presto in una forma di materialismo dove i concetti di luce, tono, distanza, valore, assorbirono l'ispirazione dell'artista, la rivolsero tutta al fenomeno esteriore svuotandola d'ogni contenuto morale. E quando, verso il 1880, dilagarono gli entusiasmi dinnanzi alle conquiste della tecnica nuova, solo i mediocri vi si abbandonarono intieri. Ma essi erano i più e le esposizioni furono tutte piene di paesaggi violetti, di nudi azzurri, di alberi arancione, di acque dai riflessi inverosimili, di raggi di sole che, per voler essere troppo luminosi, finivano col diventare opachi. I migliori o si lasciarono convertire seguendo il mezzo termine scientifico da cui nacque il divisionismo, oppure dei principî nuovi accettarono quel tanto che poteva adattarsi al proprio temperamento. Così, del resto, aveva fatto il De Nittis, che nel 1874 Degas invitò a esporre con gl'impressionisti. Fedele al suo temperamento italico, egli precisa infatti quello che vede, e fa della sua visione qualche cosa di più esatto di una semplice pittura; raggiunta l'unità della luce aperta, si compiace dell'aneddoto, della definizione dei tipi e delle mode. Un altro fedelissimo agl'insegnamenti dell'impressionismo, Federico Zandomeneghi, si differenzia per l'acutezza del disegno tagliente. Antonio Mancini, per il quale l'influenza impressionistica fu rivelazione, l'accordò col gusto classico e di sapore secentesco della terza dimensione. Il Michetti ne assorbì quel tanto che potesse conciliare la sua osservazione realistica, la sua particolare concezione dei problemi di forma-colore col suo desiderio di sintesi e di potenza espressiva. Armando Spadini impose a una pittura fondata sull'esperienza impressionistica l'aspirazione a salire dal molteplice al definitivo, a raggiungere attraverso il particolare gli universali eterni. Altri, e furono moltissimi, che lo accettarono senza discussioni e senza adattamento, compirono opera vana, la cui inefficacia consiste nell'azione negativa dell'antitesi esistente tra la sensazione moderna e l'oggetto dell'emozione artistica, nella mancanza d'una reale identità fra l'interno e l'esterno.
Passato dalla pittura alla scultura, l'impressionismo si annunciò tra noi anche come la ribellione della scultura nuova contro l'insegnamento accademico, manifestandosi con la noncuranza della linea, la ricerca del colore e del movimento mediante una modellatura sommaria e nervosa e il fondersi della forma nel viluppo atmosferico. Furono in questo senso e in diverso modo scultori impressionisti Giuseppe Grandi, Ernesto Bazzaro, Paolo Troubetzkoy, Medardo Rosso, e, in alcune opere giovanili, Leonardo Bistolfi e Libero Andreotti.
In Belgio (dove peraltro i maggiori pittori del tempo, Joseph e Alfred Stevens e Henri De Braekeler rimasero estranei al movimento) l'impressionismo fu introdotto verso il 1870 da un greco, Pericle Pantagis. Più d'un pittore, come Degreef e Vogels, ne profittano subito. A partire dal 1855 l'influenza di quella sensibilità nuova diventa irresistibile. Teodoro Rysselberge si forma agli insegnamenti del Seurat ormai passato al neo-impressionismo; George Lemmen li concilia con quelli del Renoir; Henri Eenepoel crea nell'Homme en rouge e nell'Espagnol à Paris pezzi di pittura che rivaleggiano col Manet; Rik Wouters, in quel suo risolvere forme e colori in marezzature di luce, fa pensare al Monet. Qualche riflesso del Manet è nelle prime opere di James Ensor, non ancora convertito al lirismo stravagante dei suoi fuochi d'artificio. L'Olanda dà all'impressionismo due maestri, Johan Barthold Jongkind e Vincent van Gogh. Ma, se il primo può dirsene un precursore, l'altro arriva per liquidarlo ed è a un tempo l'erede degl'impressionisti e il fondatore di un'altra arte. Ma, in fondo, la lezione dell'impressionismo non è perduta per nessuno, specialmente per Breitner che la associa a quelle venutegli da Frans Hals, per Isaak Israëls, per Jean Toorop che passa dal simbolismo al puntinismo del Seurat.
Anche in Germania le ricerche tecniche, precedendo l'impressionismo, ne preparano la diffusione. Principale apostolo è Max Liebermann, che, partito dal nerume del Munkáczy, s'impregna a poco a poco delle influenze del Manet e del Degas. Il neo-impressionismo, alla sua volta, trova proseliti nel gruppo Scholle di Monaco, p. es. in Leo Putz e in Adolf Munzer. Tra i pittori scandinavi, i danesi imparano dalla nuova visione e dalla tecnica che conobbero anche attraverso la mirabile galleria creata da Guglielmo Hansen, ma non vi si convertono. Il Krøyer e, in minor misura, Michel Ancher e Frits Syberg si limitano a trarne il senso dell'atmosfera e carezze di luce diffusa. In Norvegia anche dopo il 1870 prevale l'influenza di Courbet e il movimento impressionista non ebbe largo seguito. Tra gli Svedesi Ernesto Josephon si apparenta a Manet, e tutto un gruppo di pittori, tra i quali ricordiamo Hugo Salmon e Hugo Berger, emigrato a Parigi, prende addirittura il nome di "generazione degli Svedesi di Parigi" (Parisersvenskarna); le loro opere, esposte nei Salon tra il 1880 e il 1890, si distinguono appena da quelle dei loro colleghi francesi. Anche il nuovo gruppo che entra in scena dopo il 1890, continua a domandare la sua ispirazione ai maestri francesi. Ma allora la tecnica impressionistica è con maggiore discrezione posta al servizio d'ispirazioni nazionali, come più tardi al neo-impressionismo Eugen Jansson chiede i mezzi per le sue sottili analisi dei riflessi del lago Malar. L'impressionismo entra come un elemento perfettamente assimilato a costituire la prodigiosa virtuosità di Anders Zorn. In Cecoslovacchia l'impressionismo agì soprattutto sui pittori che si raggrupparono intorno alla rivista Volné Směry (fra essi J. Úprka, J. Preisler, A. Slavıček).
La secessione che prese il nome di "Società degli ambulanti" (Peredvižniki), proclamando la necessità d'un'arte nazionale, salvò la pittura russa dalle influenze straniere, ma a partire dal 1890 tutto cambia e il gruppo Mir Iskusstva (Il mondo dell'arte) riprende la strada di Parigi. Sopra tutti Isaac Levitane, dopo un soggiorno fatto in Francia nel 1889, mette a profitto la lezione dell'impressionismo per i suoi paesaggi del Volga.
La grande tradizione salva la migliore pittura spagnola da una pedissequa imitazione delle tendenze francesi, tuttavia essa accoglie, senza rendersene schiava, gl'insegnamenti della teoria impressionistica, alla quale solo i mediocri si abbandonano senza reagire.
In Inghilterra più che una larga corrente impressionistica si avvertono influenze personali, del Degas su Henry Tonks, del Manet su Stanhope Forbes, di Claude Monet sulle opere mature di John Waterhouse, apostata del preraffaellismo, del Monticelli su Edward Hornell, Arthur Melville, Joseph Crawnall, George Henry, e, più tardi, di Degas e di Manet in qualche opera di Glyn Philpot, di Degas in Walter Sickert e in Spencer Gore, di Renoir in John Fergusson. Nell'evoluzione di John Lavery, L'Apertura dell'esposizione di Glasgow (1888) segna la sua transitoria adesione all'impressionismo. Il neo-impressionismo influenza specialmente Harold Gilman e W. Rothenstein. A partire dal 1885 Parigi diventa il centro dell'arte americana. Le classi di Cabanel, Lefeburs, Boulanger, Bonnat sono frequentate da dozzine di allievi d'oltre oceano, mentre altri, fra cui il Harrison, la Mac Monnies, Mary Cassat, Child Hassam, il Metcalf, il Twatchmann formano il gruppo compatto degl'impressionisti americani.
Impressionisti si dissero anche, per analogie di posizioni estetiche, i muicisti che, dal 1890 al 1910 circa, si raccolsero intorno a C. Debussy (v.).
V. tavv: CLXXXIII-CXC e tav. a colori..
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