IMPROVVISAZIONE
Musica. - L'arte di comporre eseguendo (le origini della quale son quelle della stessa musica) nella storia musicale dell'era nostra si manifesta già negli organa (v.) improvvisati dai cantori medievali sul canto liturgico. Si ritrova nelle analoghe diminuzioni (v.) della scuola di S. Gallo e delle irlandesi e francesi, e poi, via via attraverso i secoli, nelle fioriture dei cantori al liuto e nei vocalizzi del cosiddetto "bel canto" (v. canto). Come nella musica vocale, così anche nella strumentale si dà improvvisazione, specialmente negli strumenti polifonici; nei quali prese le mosse da semplici funzioni d'accompagnamento e di sostegno, sviluppandosi poi rapidamente (del sec. XV in poi) secondo intenzioni più libere: preludî, postludî, ecc., su canti dati o anche - nei tempi men lontani - originali. Così s'improvvisò al cembalo, sul basso numerato, l'accompagnamento della monodia vocale (secoli XVII-XVIII); all'organo, oltre che accompagnamenti, anche fantasiose elaborazioni di canti (o frammenti) liturgici, e in tale uso veniva intanto a maturità quella coscienza strumentale, cui debbono la loro esistenza le varie forme di Preludio, Ricercare, Capriccio, Canzone, Toccata, ecc., fondate appunto sugli usi (parafrasi, diminuzione, elaborazione, variazione) tipici, appunto, dell'improvvisazione su tastiera. Grandi improvvisatori furono, oltre i liutisti e gli organisti dei secoli XV-XVII, G. F. Händel, J. S. Bach (memoranda, per ragioni evidenti, la improvvisazione, da parte di Bach, nel genere fugato), L. van Beethoven, F. Liszt, C. Franck. Necessario è tuttora per i docenti d'organo l'esercizio dell'improvvisazione, per ragioni inerenti al servizio nelle funzioni chiesastiche.
Letteratura. - Non c'è forse poeta a cui non sia capitato d'improvvisare, se non altro per giuoco, componimenti più o meno lunghi e riusciti; e sempre e dovunque sono esistiti scrittori dotati di singolare facoltà di composizione estemporanea. Ma l'improvvisazione per così dire, professionale, fatta fine a sé stessa, è fenomeno italiano, che ha la sua massima fioritura nel Rinascimento e, con caratteri assai diversi, nel Settecento e nell'Ottocento.
Lasciando stare quel che d'improvvisato poteva esserci nella recitazione dei canterini umbri e toscani, stipendiati dai comuni, e dei cantori in panca, che intrattenevano il volgo con racconti tradizionali, cavallereschi o religiosi, o di fatti del giorno, ricorderemo che nel sec. XV la brigata medicea si compiaceva di comporre e ascoltare versi improvvisi, come se ne compiacque più tardi la corte di Leone X - alcuni degl'improvvisatori di questa non erano altro che buffoni -, e altre corti e convegni signorili di tutta Italia. Fama d'improvvisatori tra quei canterini ebbero il fiorentino Antonio di Guido e Niccolò Cieco d'Arezzo; mentre improvvisatori aulici, oltre a quasi tutti i maggiori poeti del tempo, furono Baccio Ugolini (morto nel 1494), Panfilo Sasso (1447-1527), Serafino Aquilano (1466-1500), Cristoforo Fiorentino detto l'Altissimo (1480-1514), Bernardo Accolti (1458-1535), e in latino Aurelio Brandolin (morto nel 1497).
Da popolare e aulica, la poesia improvvisa diviene nei secoli XVIII e XIX accademica e patriottica, e assume una singolare importanza letteraria e sociale. L'ideale arcadico di poesia semplice, generalmente diffuso, rendeva quasí obbligatorî anche per gli autori di rime meditate, e tanto più per i rimatori estemporanei, determinati argomenti e modi di poesia; la musica, con cui quasi tutti quegl'improvvisatori accompagnavano i loro versi, favoriva l'indeterminatezza dell'espressione e dell'immagine; d'altra parte la concezione romantica della poesia istintiva, che si avviava rapidamente a trionfare, faceva considerare con interesse, con simpatia, infine con entusiasmo oggi appena credibile i nuovi "bardi" e "trovatori", i nuovi poeti-profeti che cantavano sotto l'immediata, incoercibile ispirazione. Presto un nuovo repertorio e armamentario sentimentale si sostituì al vecchio repertorio arcadico: chi scorra i programmi delle innumerevoli accademie che una vera folla d'improvvisaiori, tra maggiori e minori, tenevano nei salotti e nei teatri di tutta Italia e dell'estero, trova che i temi dati a essi dai pubblici più diversi si ripetevano con tale frequenza, che per improvvisare non occorreva certo una straordinaria ricchezza di fantasia. Ma non tutti erano istrioni e mestieranti. Alcuni soffrivano per quel tanto d'ineliminabile istrionismo a cui eran costretti e che intorbidiva la loro vena, piccola ma genuina; di essi, parecchi poterono più o meno presto rinunciare ai guadagni e ai facili applausi per darsi a studî e modi d'arte più severi.
Bernardino Perfetti (1681-1747) fu il primo a esibirsi, improvvisatore di professione, in improvvisazioni su temi dati dal pubblico; egli ebbe l'onore di quella corona capitolina che era stata del Petrarca, e che fu poi, non senza acri contrasti, di un'altra improvvisatrice, la celeberrima Corilla Olimpica (Maria Maddalena Morelli, 1727-1800), l'ispiratrice della Corinne di Madame de Staël. Sulle orme di Corilla si muove Amarilli Etrusca (Teresa Bandettini, 1763-1837). Superiore a esse fu il famoso emulo e nemico di V. Monti, Francesco Gianni (1749-1822), che finì con lo stabilirsi a Parigi, poeta imperiale napoleonico. Accanto a lui ricorderemo alcuni minori: Emilia Ballati Orlandini (1683-1757), Orazio Arrighi Landini (nato nel 1718), Gian Domenico Stratico (1732-1799), Matteo Berardi (1745-1805), Gaspare Mollo (1754-1823), Marco Faustino Gagliuffi (1765-1834), che improvvisava in latino, Fortunata Sulgher Fantastici (1755-1824), Rosa Taddei (1799-1869), e molti altri. Grande stupore suscitò, improvvisando addirittura intere tragedie, Tommaso Sgricci (1789-1836): un articolo del Giordani su di lui (1816), nel quale l'improvvisazione era detta ludus impudentiae, destò gran clamore pro e contro. Tragedie improvvisarono anche Luigi Carrer (1801-1850) e Luigi Cicconi (1804-1856).
Ma ormai questi improvvisatori mescolano ai temi convenzionali, per propria elezione e su richiesta delle folle, motivi più freschi, ispirati dalle passioni e dagli avvenimenti del tempo: ricorderemo tra i maggiori Gabriele Rossetti (1783-1854), Bartolomeo Sestini (1792-1822), Giannina Milli (1825-1888), Eliodoro Lombardi (1836-1894), e il più famoso e il più poeta fra tutti, Giuseppe Regaldi (1809-1883).
Intanto la poesia popolare improvvisa, tradizionale ab antiquo nelle campagne di alcune regioni d'Italia, massime della Toscana, continuava a fiorire, e l'Ottocento romantico e folklorista la pregiò in particolar modo. In quel secolo Beatrice del Pian degli Ontani (1802-1885) ne fu la maggiore rappresentante (v. bugelli, beatrice). Tuttora improvvisatori popolari continuano a fare la loro arte, che ha sue proprie caratteristiche.
Bibl.: Vedi le voci dedicate ai maggiori tra i poeti qui ricordati. Cfr. A. Vitagliano, Storia della poesia estemporanea nella lett. it. dalle origini ai nostri giorni, Roma 1905; G. Natali, Il Settecento, Milano 1929, I, pp. 98-102, 157-160. Per una forma diversa d'improvvisazione, v. commedia dell'arte.