IMPUGNAZIONE
Si definiscono mezzi d'impugnazione delle sentenze i rimedî concessi dalla legge contro una sentenza reputata ingiusta, per ottenere il riesame della controversia mediante un processo di riparazione (opposizione del contumace, opposizione del terzo, revocazione) o di rinnovazione (appello, cassazione). Per una trattazione storica, dogmatica e critica dei singoli mezzi v. appello; cassazione, ecc. Si è tentata dalla moderna dottrina processualistica la classificazione sistematica dei mezzi d'impugnazione. La legge li distingue in ordinarî (appello e opposizione contumaciale) e straordinarî (revocazione, opposizione del terzo, ricorso in cassazione). I principali criterî distintivi, sui quali si appoggia l'accennata distinzione, sono i seguenti: a) mediante i primi, è tutta la controversia che viene ripresa in esame con gli stessi poteri del primo giudice, laddove, con i secondi, non si possono denunziare che determinati vizî, e i poteri del giudice sono, di conseguenza, limitati; b) di regola, i primi sospendono, mentre i secondi non sospendono l'esecuzione. È da ricordare altresì che per l'ammissibilità dei mezzi straordinarî si richiede il previo deposito di una somma, che va perduta a titolo di multa ove l'impugnativa venga respinta.
In sostanza la distinzione, che ha pure vivaci oppositori, è fondata sulla diversa natura giuridica dei mezzi appartenenti alle due categorie; mentre infatti i mezzi ordinarî sono istituti di mero diritto processuale (gravami, in senso stretto), i mezzi straordinarî, per converso, rientrano in un concetto d'impugnativa, elaborato dalla dottrina generale del negozio giuridico. Sotto un altro profilo, e cioè della diversa loro efficacia rispetto al passaggio in giudicato della sentenza, si possono raggruppare, da una parte, l'appello, l'opposizione contumaciale, la revocazione (art. 494, nn. 4, 5 cod. proc. civ.) e il ricorso per cassazione; dall'altra, l'opposizione del terzo e la revocazione (art. 494, nn.1, 2, 3). Se infatti i primi, per la loro larga e frequente applicazione, per la brevità dei termini a cui è subordinata la loro esperibilità non permettono di ravvisare nella sentenza ad essi soggetta, un accertamento definitivo, ma piuttosto un elemento suscettibile di diventar sentenza col concorso di altri elementi (decorso del termine); il contrario s'ha da ritenere per i secondi, i quali, per la loro stessa natura e disciplina, consentono alla sentenza, ad essi tuttavia soggetta, di acquistare valore dì accertamento definitivo (Chiovenda). Questa distinzione è avvalorata dai diversi effetti che, nell'un caso e nell'altro, produce la riforma della sentenza, nei confronti dei terzi: nel primo caso, infatti, la riforma della sentenza fa cadere i diritti eventualmente acquistati dai terzi nel frattempo; i quali diritti, invece, rimangono illesi nel secondo caso. È da ricordare che, tra i mezzi d'impugnazione non si può far rientrare, secondo il nostro diritto, la correzione delle sentenze (art. 473 cod. di proc. civ.), la quale mira, con un rapido procedimento, a emendare errori materiali od omissioni, non importanti nullità, in cui sia incorsa la sentenza, senza che il giudizio venga, come tale, impugnato, trattandosi semplicemente di far coincidere l'espressione materiale con l'effettiva volontà del giudice.
Per il valido esperimento dei mezzi d'impugnazione si richiede, anzitutto, l'esistenza del diritto d'impugnazione (che può venir meno per la decorrenza dei termini prescritti, o per l'accettazione espressa o tacita della sentenza), l'interesse, che è dato generalmente dalla soccombenza, e la legitimatio ad causam. I mezzi d'impugnazione si propongono con citazione, a eccezione del ricorso per cassazione, che si notifica come la citazione.
Bibl.: L. Mattirolo, Trattato di diritto giudiziario civile, 6ª ed., Torino 1903-06; L. Mortara, Commentario del cod. e delle leggi di procedura civile, Milano 1924; G. Chiovenda, Principi di diritto processuale, 4ª ed., Napoli 1928, par. 82; F. Carnelutti, Lezioni di diritto processuale, IV, Padova 1930, n. 317; R. Schmidt, Lehrbuch des deutschen Zivilprozessrechts, 2ª ed., Lipsia 1906; J. Weismann, Lehrbuch des deutschen Zivilprozessrechts, Stoccarda 1903, I, par. 97 segg.; R. Pollak, System der österr. Zivilprozessrechts, Vienna 1906, par. 105; G. Kleinfeller, Lehrbuch des deutschen Zivilprozessrechts, Berlino 1910, paragrafo 114; P. Calamandrei, Vizi della sentenza e mezzi di gravame, Firenze 1915; K. Hellwig, System des deutschen Zivilprozessrechts, Lipsia 1912, I, par. 237 segg.