Abstract
Ancorché la verifica della correttezza delle decisioni sia assicurata con mezzi diversi in relazione alle diversificate funzioni assegnate dal legislatore ai vari mezzi di gravame, gli strumenti di controllo appartengono ad un unico genere: le impugnazioni. Il legislatore ha conseguentemente redatto delle regole generali attinenti alla forma, ai tempi, agli effetti, alle implicazioni suscettibili di regolare in termini generali la materia. Del resto, essendo rimessa all’iniziativa delle parti la prosecuzione della vicenda processuale, questa deve rispettare – secondo ineludibili regole governate dalla tassatività – le modalità del suo svolgimento. Su di un piano più ampio le scelte in materia – ferma restando la ricorribilità per cassazione, garantita dall’art. 111, co. 7, Cost. -, non possono che essere governate dalla discrezionalità del legislatore – nel limite della ragionevolezza -, tenuto conto del modello processuale nel quale gli strumenti di controllo si inseriscono.
1. Premessa
La consapevolezza che le decisioni possono essere inficiate da errori o da vizi ha suggerito al legislatore di prevedere degli strumenti di controllo delle stesse (gravami; impugnazioni). Essendo il rischio dell'errore o del vizio meramente ipotetico, dovendosi presumere che la pronuncia sia esatta e corretta, si è optato - pur potendosi prospettare altri strumenti di verifica (ad es.: la c.d. doppia conforme, cioè, sempre la doppia decisione sulla stesso oggetto) - per l'affidamento alle parti dell'iniziativa di far progredire il procedimento teso al controllo della giustezza della decisione.
Conseguentemente, potrà essere impugnata una pronuncia che si potrà rivelare assunta legittimamente e correttamente; potrà non essere gravata (e diventare definitiva) una pronuncia errata o viziata.
L'inevitabile differimento del momento della definitività della decisione che, per effetto del ricorso - a volte strumentale - agli strumenti di controllo, si determina ha innestato il dibattito sulla compatibilità dell'attuale sistema dei gravami con il principio costituzionale della durata ragionevole del processo (art. 111, co. 2, Cost.), rafforzando alcune riserve che - al riguardo - erano già state prospettate con riferimento ad una presunta incompatibilità (assoluta o relativa) - soprattutto del giudizio di secondo grado - con il nuovo modello accusatorio.
La possibilità della reiterazione degli errori e dei vizi, se ha suggerito di prevedere una pluralità di controlli, ha anche imposto di differenziare il ricorso allo strumento di verifica, adeguando il mezzo alla finalità da perseguire.
Al di là delle numerose previsioni che – soprattutto con riferimento al ricorso per Cassazione – sono contenute nel sistema, in relazione a una varietà di provvedimenti, i mezzi di impugnazione nei confronti delle sentenze sono l’appello, il ricorso per cassazione e la revisione. Un discorso a parte va sviluppato in relazione ai provvedimenti cautelari. Con i gravami ordinari – appello e ricorso per cassazione – potranno essere dedotti sia errores in iudicando, sia errores in procedendo.
In particolare, gli errores in iudicando (vizi di giudizio) sono gli errori in cui è incorso il giudice nel giudizio di diritto, cioè, nella individuazione e nella applicazione delle norme che regolano il rapporto giuridico dedotto in giudizio; gli errores in procedendo (vizi di attività) sono gli errori di carattere procedurale, attinenti al rapporto processuale che si è concluso con l’emanazione della sentenza, cioè, gli errori nella osservanza delle norme giuridiche che regolano lo svolgimento del processo.
Si osserva che, nella prima ipotesi, viene denunciata l’ “ingiustizia effettiva” della sentenza; nella seconda, l’ “ingiustizia possibile”, attraverso la denunzia di un sintomo di quella ingiustizia, ossia la “violazione di una regola del procedimento”.
Diversi sono i poteri di cognizione della Cassazione nelle due ipotesi, poiché, mentre per gli errori di giudizio la Corte non può giudicare il fatto, per gli errori di procedimento è giudice anche di fatto, dovendo verificare se l’attività svolta corrisponda a quella prevista dalla norma processuale e, quindi, in che modo essa sia stata compiuta.
2. Regole generali
Il tema delle impugnazioni è governato da alcuni principi tra i quali spicca quello di tassatività in forza del quale è la legge ad individuare i casi ed il mezzo con cui i provvedimenti possono essere impugnati ed i soggetti legittimati a farlo. Pertanto, i provvedimenti non soggetti per legge ad alcun mezzo di impugnazione, sono inoppugnabili, fatti salvi quelli sulla libertà personale e le sentenze (art. 111, co. 7, Cost.).
Poiché l'ordinamento non può non fare riferimento ai provvedimenti conformi al modello processuale, la previsione considerata non opera in relazione ai provvedimenti abnormi – caratterizzati dalla singolarità e stranezza del contenuto e conseguentemente collocati al di fuori delle norme legislative e dell'intero ordinamento processuale – per i quali deve ritenersi sempre consentito il ricorso in cassazione.
Al riguardo, s'impongono due precisazioni. La prima: naturalmente i termini e le forme del gravame dei provvedimenti abnormi saranno gli stessi dei provvedimenti ordinari. La seconda: a fronte del tentativo di tutte le parti di ottenere dalla Cassazione la decisione immediata sulla specifica questione oggetto di interesse, attraverso la dilatazione della nozione di provvedimenti abnorme, la giurisprudenza ha ridotto il concetto di atto atipico, confinandolo nell'ambito delle situazioni suscettibili di determinare una stasi processuale e lasciando la verifica delle altre decisioni giudiziarie ai successivi sviluppi del giudizio.
In estrinsecazione del principio di economia processuale, l’attivazione del rimedio è subordinata - a pena di inamissibilità (arg. ex art. 591, lett. a, c.p.p.) - all'esistenza in capo al soggetto, astrattamente legittimato, di un concreto interesse – giuridicamente apprezzabile - ad impugnare, inteso quale “misura dell'utilità pratica del mezzo”. In altri termini, ponendo a raffronto la decisione impugnata con quella che potrebbe essere emessa in caso di accoglimento del gravame, deve emergere una situazione di vantaggio per il soggetto impugnante, ritenuta dall'ordinamento meritevole di tutela. Da questo punto di vista, non si possono sollevare incertezze in ordine alla legittimazione del pubblico ministero ad impugnare a favore dell'imputato (rectius, a presentare un gravame i cui effetti potranno essere favorevoli all'imputato). Una conclusione in tal senso è sorretta dall'art. 73 ord. giud. a mente del quale il pubblico ministero «veglia all'osservanza delle leggi (e) alla pronta e regolare amministrazione della giustizia».
3. La legittimazione
Come anticipato, la legittimazione è fissata dal legislatore. In linea generale, per quanto attiene al p.m., va ricordato che gli uffici di procura legittimati non sono vincolati dalle conclusioni del rappresentante del pubblico ministero; che il procuratore generale può impugnare nonostante l'impugnazione o l’acquiescenza dell’organo d'accusa presso il giudice che ha emesso il provvedimento; che la legittimazione è attribuita anche al rappresentante del pubblico ministero che ha presentato le conclusioni; che il pubblico ministero che ha presentato le conclusioni e che ne faccia richiesta nell'atto di appello può partecipare al successivo grado di giudizio quale sostituto del procuratore generale presso la corte d'appello, qualora quest'ultimo lo ritenga opportuno.
L’iniziativa dell’accusa può essere sollecitata dalle parti private: l’art. 572, co. 1, c.p.p. prevede che «la parte civile, la persona offesa, anche se non costituita parte civile, e gli enti e le associazioni intervenuti a norma degli artt. 93 e 94, possono presentare richiesta motivata al pubblico ministero di proporre impugnazione a ogni effetto penale». A tutela dell'istante si dispone che il pubblico ministero, se non propone impugnazione deve, con un decreto motivato da notificare al richiedente, dar conto della sua decisione.
Quanto all'imputato, l’art. 571 c.p.p. stabilisce che il gravame può essere proposto (per il ricorso in cassazione v. art. 607 c.p.p.) sia da lui personalmente o per mezzo di procuratore speciale nominato anche prima dell'emissione del provvedimento (art. 37 disp. att. c.p.p.), sia dal difensore al momento del deposito del provvedimento (art. 548, co. 2, secondo periodo, c.p.p.) o da quello designato per la fase di impugnazione (art. 571, co. 3, primo periodo, c.p.p.) . La previsione relativa al difensore opera anche per il contumace, senza che l’eventuale impugnativa dell’avvocato precluda il diritto del contumace di chiedere la restituzione nel termine per impugnare (arg. ex art.175, co. 2, c.p.p.).
Il gravame dell'imputato incapace di intendere e di volere spetterà al tutore per l’imputato soggetto alla tutela e al curatore speciale per l’imputato incapace di intendere o di volere che non ha tutore (art. 571, co. 2, c.p.p.).
In caso di impugnazione sia dell'imputato, sia del suo difensore, va esclusa la prevalenza dell'impugnazione dell'imputato, quando tra i vari atti vi sia contraddizione, ferma restando la possibilità che l’imputato, nei modi previsti per la rinuncia, tolga effetto all'impugnazione proposta dal suo difensore. Non risulta esplicitamente ammessa neppure la possibilità di integrare - ai fini della regolarità del gravame, anche in relazione ai motivi - l'atto di impugnazione dell'imputato con quello del suo difensore.
Gli aspetti formali dell'impugnazione per i soli interessi civili sono disciplinati dagli artt. 573-576 c.p.p. In linea generale, l'art. 573 c.p.p. dispone, da un lato, che l'impugnazione per i soli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale; dall'altro, che in deroga a quanto previsto dall'art. 588 c.p.p., la stessa non sospende l'esecuzione delle disposizioni penali del provvedimento impugnato. Più specificatamente, l’imputato con il mezzo previsto per le disposizioni penali della sentenza, può impugnare sia i capi della decisione che riguardano la sua condanna alla restituzione ed al risarcimento del danno, nonché alle spese processuali, sia le disposizioni della pronuncia di assoluzione relativamente alle domande da lui proposte per il risarcimento del danno e per la rifusione delle spese processuali. Contro le disposizioni della sentenza riguardanti la responsabilità dell’imputato e quelle relative alla condanna, alla restituzione, al risarcimento del danno ed alla rifusione delle spese processuali, possono impugnare, attraverso lo stesso mezzo consentito all'imputato, la persona civilmente obbligata, nel caso in cui sia stata condannata, ed il responsabile civile. Quest'ultimo può impugnare, altresì, le disposizioni della sentenza di assoluzione relativamente alle domande proposte per il risarcimento del danno e la rifusione delle spese. Quanto al querelante, la sua legittimazione rimane circoscritta all'ipotesi della condanna alle spese ed ai danni.
Il legislatore attribuisce alla parte civile il diritto di appellare i capi della sentenza di condanna che riguardano l’azione civile e, ai soli effetti della responsabilità civile, la pronuncia di proscioglimento pronunciata in giudizio, nonché la sentenza pronunciata nel giudizio abbreviato, quando la stessa parte civile abbia acconsentito al rito.
E’ stato abrogato dalla l. 20.2.2006, n. 46, l’art. 577 c.p.p. ove si prevedeva l’impugnazione della persona offesa costituita parte civile anche agli effetti penali, contro la sentenza di condanna e di proscioglimento per i reati di ingiuria e diffamazione.
In caso di pronuncia in grado di appello o nel giudizio di cassazione di estinzione del reato per amnistia o prescrizione, preceduta in primo grado da una condanna (una condanna anche generica) dell'imputato alle restituzioni ed al risarcimento del danno causato dal reato a favore della parte civile, il giudice dell'impugnazione deciderà sull'impugnazione anche agli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza concernenti gli interessi civili.
Disposizioni specifiche sono dettate sia per quanto attiene alle impugnazioni delle ordinanze emesse nel dibattimento, sia in tema di impugnazione delle sentenze che dispongono misure di sicurezza (artt. 586 e 579 c.p.p.).
In particolare, le ordinanze predibattimentali e dibattimentali possono essere impugnate soltanto con l’impugnazione nei confronti della sentenza; l’impugnazione è ammissibile anche se la sentenza è impugnata per il solo fatto dell’ordinanza; l’impugnazione dell’ordinanza è giudicata unitamente a quella contro la sentenza (art. 568, co. 1 e 2, c.p.p.). Peraltro, i riferiti canoni sono assunti con alcune eccezioni. La più rilevante è quella relativa alle ordinanze in tema di libertà personale. Ai sensi del co. 3 dell’art. 568 c.p.p., infatti, si riconosce che «contro le ordinanze in materia di libertà personale è ammessa l’impugnazione immediata, indipendentemente dall’impugnazione contro la sentenza». Invero, da un lato, la particolare materia che non sembra indurre a eccessive dilatazioni e, dall’altro, la possibilità di mezzi d’impugnazione “autonomi” suscettibili di incanalarsi verso specifiche competenze funzionali ben giustificano la riferita eccezione. Non mancano, peraltro, altre eccezioni seppur di diverso peso specifico. Così, potrà essere impugnata autonomamente l’ordinanza di sospensione del giudizio ex artt. 3 e 479 c.p.p.; così, sarà separatamente ricorribile l’ordinanza di sospensione del procedimento ai sensi dell’art. 71 c.p.p. Anche la riferita regola in tema di valutazione contestuale delle ordinanze dibattimentali e della sentenza congiuntamente impugnata non esclude – in caso di espressa previsione legislativa – la possibilità di effettuare giudizi separati.
Per quanto attiene all’impugnazione delle sentenze che dispongono misure di sicurezza (art. 579 c.p.p.), si dispone che contro le sentenze di condanna, di proscioglimento o di non luogo a procedere è data impugnazione anche per ciò che concerne le misure di sicurezza, se l’impugnazione è proposta per un capo della sentenza che non riguardi esclusivamente gli interessi civili. Si è così previsto che l’impugnazione contro le sole disposizioni della sentenza che riguardano le misure di sicurezza è proposta a norma dell’art. 680, co. 2, c.p.p. In altri termini, qualora il soggetto impugnante intende far oggetto del proprio gravame le sole misure di sicurezza il mezzo di impugnazione sarà costituito dalla domanda al tribunale di sorveglianza; qualora, invece, il soggetto legittimato intenda impugnare – oltre alle misure di sicurezza – anche altre parti della sentenza che non attengono esclusivamente alla materia degli interessi civili, il mezzo di gravame esperibile sarà quello ordinario attivabile nei confronti delle altre parti (penali) della sentenza. La previsione, naturalmente, non troverà operatività nel caso di applicazione provvisoria delle misure di sicurezza (artt. 312, 313 c.p.p.) in funzione cautelare. In tal caso, infatti, nei confronti del provvedimento sarà necessario attivare gli strumenti di controllo specificatamente predisposti per i provvedimenti de libertate (art. 313, co. 3, c.p.p.). Inoltre, per specifica volontà del legislatore la previsione non opererà nel caso di gravame nei confronti del provvedimento di confisca. Pur riconoscendo, infatti, alla confisca la natura di misura di sicurezza, si è previsto che «l’impugnazione contro la sola disposizione che riguarda la confisca è disposta con gli stessi mezzi previsti per i capi penali» (art. 579, co. 3, c.p.p.).
4. L’unicità del mezzo
In estrinsecazione del principio di tassatività e dell’unicità del mezzo di impugnazione nei confronti dei provvedimenti giurisdizionali, il legislatore appronta, oltre a quelli indicati, anche altri strumenti.
A tal fine, innanzitutto, l’art. 568, co. 5, c.p.p. stabilisce che deve ritenersi irrilevante il nome che la parte attribuisce al mezzo d'impugnazione: il gravame è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione a esso data dalla parte che ha impugnato ed il giudice incompetente deve trasmettere gli atti al giudice competente. Resta inteso che il gravame proposto dovrà aver rispettato i requisiti temporali, formali e sostanziali del mezzo nel quale verrà convertito. Così, l'appello da convertire in ricorso dovrà essere sottoscritto da un difensore iscritto nell'albo speciale della Cassazione.
In secondo luogo, l'art. 580 c.p.p., dispone che, quando contro la stessa sentenza sono proposti mezzi di impugnazione diversi, nel caso in cui sussista la connessione di cui all’art. 12 c.p.p., il ricorso per cassazione si converte in appello: in altri termini, nel caso di pluralità di rimedi esperiti contro un unico provvedimento, il giudizio deve restare unitario.
Infine, l’art. 569 c.p.p. prevede il c.d. ricorso per saltum; la possibilità, cioè, di adire direttamente la Cassazione anche nei confronti delle sentenze appellabili. In caso di pluralità di imputati, alcuni dei quali abbiano ricorso per saltum e altri abbiano appellato, si prevede che, entro quindici giorni dalla notificazione del ricorso, le parti che hanno proposto appello possono dichiarare tutte di rinunciare per proporre direttamente ricorso per cassazione. In questa ipotesi, l’appello si converte in ricorso e le parti, entro ulteriori quindici giorni dalla dichiarazione suddetta, devono presentare motivi nuovi se l’atto di appello non ha i requisiti per valere come ricorso. Diversamente, il ricorso per saltum si converte in appello. Si tratta d'un istituto importante nella prospettiva dell'accelerazione del processo, ma che, tuttavia, per i limiti fissati per il ricorso (sono esclusi i motivi di cui alle lett. d ed . dell’art. 606 c.p.p.), non ha avuto il successo sperato e che non viene usato da chi, contando sui tempi lunghi della giustizia, spera di lucrare la prescrizione del reato.
5. Forme, termini e modalità di proposizioni delle impugnazioni
In una materia che sottende esigenze di certezza, il legislatore fissa rigorosamente le forme, i termini e le modalità di presentazione dell’atto di impugnazione.
A tale proposito, è previsto che l’impugnazione si proponga come un atto scritto, comprendente sia la dichiarazione di gravame (cioè, la volontà di impugnare), sia la motivazione (cioè, le ragioni che la giustificano). In tale atto devono, infatti, essere indicati il provvedimento impugnato, la data e il giudice che lo ha emesso, e sono, inoltre, enunciati i capi o i punti della decisione impugnati, le richieste ed i motivi con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono le singole richieste.
Dopo alcune incertezze iniziali, la giurisprudenza si è orientata a ritenere ammissibili anche i gravami per i quali sono stati presentati in momenti distinti due diversi atti – l’uno contenente la sola dichiarazione e l’altro (anche) solo i motivi – purché l’attività sia esperita nei termini di legge. Comunque, anche così definito, il sistema dell'unicità dell'atto d'impugnazione bene si raccorda con le nuove modalità di redazione, pubblicazione e deposito della sentenza dibattimentale contenute negli artt. 544, 545 e 548 c.p.p. (per la sentenza di non luogo a procedere pronunciata dal giudice per le indagini preliminari si rinvia all'art. 424 c.p.p.). La motivazione della sentenza dibattimentale è, infatti, redatta subito dopo la stesura del dispositivo; solo nell'eventualità in cui ciò non sia possibile, il giudice deve provvedervi entro quindici giorni dalla pronuncia, a meno che, essendo la motivazione particolarmente complessa (per il numero delle parti o per il numero e la gravità delle imputazioni), il medesimo ritenga necessario un termine più lungo, da indicarsi nel dispositivo della decisione, comunque non eccedente i novanta giorni dalla pronuncia.
Queste scelte legislative, ispirate alla logica della funzionalità, si riverberano anche sul regime dei termini per impugnare. Alla stregua dell'art. 585, co. 2, lett. . e c, c.p.p., infatti, i termini in questione – che, ai sensi dell'art. 585, co. 1, c.p.p., sono di quindici giorni nell'ipotesi di cui all'art. 544, co. 1, c.p.p.; di trenta giorni nel caso previsto dall'art. 544, co. 2, c.p.p.; di quarantacinque giorni qualora si realizzino le situazioni di cui all'art. 544, co. 3, c.p.p., salva restituzione del termine ex art. 175, co. 2, c.p.p. – decorrono dalla lettura del provvedimento in udienza, per tutte le parti che sono state o debbono considerarsi presenti, nel caso di contestuale lettura della motivazione (art. 545, co. 3, c.p.p.), ovvero dalla scadenza del termine fissato dalla legge o dal giudice per il deposito della sentenza (art. 548, co. 1, c.p.p.), o ancora dal giorno della notificazione o comunicazione dell'avviso di deposito, nel caso di inosservanza di tale termine (art. 548, co. 2, c.p.p.).
Termini e decorrenze diversi sono però fissati, anzitutto, in relazione ai provvedimenti emessi in camera di consiglio (per il cui deposito si rinvia all'art. 128 c.p.p.), essendo previsto che, riguardo ad essi, il termine per impugnare, di quindici giorni decorra sempre dal giorno della notificazione o comunicazione dell'avviso di deposito del provvedimento (art. 585, co. 1, lett. . e co. 2, lett. a, c.p.p.). L'unica eccezione è rappresentata dalla sentenza di non luogo a procedere con redazione immediata dei motivi (art. 424 c.p.p.), nel qual caso il termine per impugnare decorre dalla lettura del provvedimento in udienza, ai sensi dell'art. 585, co. 2, lett. b), c.p.p., come per la sentenza dibattimentale.
Una disciplina differenziata è stabilita, inoltre, con riferimento sia al contumace, sia al procuratore generale presso la corte d'appello rispetto ai provvedimenti emessi in udienza da qualsiasi giudice diverso dalla corte stessa, essendo previsto che riguardo a entrambi il termine per impugnare decorra dal giorno della notificazione o comunicazione dell'avviso di deposito «con l'estratto del provvedimento» (artt. 548, co. 3 e 585, co. 2, lett. d, c.p.p.). Infine, nel caso di decorrenze del termine distinte per l’imputato e per il suo difensore, è stato fissato il principio che, per l'uno e per l’altro, debba operare il termine che scade per ultimo (art. 585, co. 3, c.p.p.).
Nonostante l'unicità dell'atto d'impugnazione sarà possibile, fino a quindici giorni prima dell'udienza, presentare nella cancelleria del giudice dell'impugnazione motivi nuovi. Fermo restando che l'inammissibilità dell'impugnazione non può essere “sanata” dalla presentazione dei nuovi motivi, la circostanza che la norma faccia riferimento ai motivi nuovi e non ai motivi aggiunti indurrebbe ad escludere la necessità di limitarsi ad una prospettazione diversa ed integrativa dei motivi già depositati (art. 529, co. 2, c.p.p. abr.), per privilegiare, invece, la soluzione relativa ai punti ed ai capi non censurati con i motivi iniziali. Tuttavia, intervenendo sul punto, le Sezioni unite – ancorché limitatamente al ricorso per cassazione in materia cautelare (art. 311, co. 4, c.p.p.) ed al procedimento in camera di consiglio nel giudizio di legittimità (art. 611, co. 1, c.p.p.) – hanno affermato che i motivi nuovi a sostegno del gravame devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell'originario atto di gravame ai sensi dell'art. 581, co. 1, lett. a, c.p.p. (Cass., S.U., 25.2.1998, Bono, in Cass. pen., 1998, 2583).
È sorretta da una finalità di favore anche la disciplina relativa alla presentazione dell'impugnazione. L'atto, infatti, è presentato personalmente (con riferimento alle persone detenute, arrestate o internate si veda l’art. 123 c.p.p.) ovvero a mezzo di incaricato nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (art. 582, co. 1, c.p.p.), oppure è alla stessa trasmesso, con effetti dalla data di spedizione (art. 583, co. 2, c.p.p.), a mezzo di telegramma o raccomandata (art. 583, co. 1, c.p.p.).
Inoltre, le parti private ed i difensori possono presentare l'atto di impugnazione anche nella cancelleria del tribunale o del giudice di pace del luogo dove si trovano (se è diverso da quello in cui il provvedimento fu emesso) o davanti ad un agente consolare all'estero (art. 582, co. 2, c.p.p., ex d.lgs. 19.2.1998, n. 51, e l. 16.12.1999, n. 479).
Va sottolineata - ai sensi dell'art. 582, co. 1, secondo periodo, c.p.p. - la possibilità per chi presenta l'impugnazione di farsi rilasciare attestazione della avvenuta presentazione. L'art. 582 c.p.p., infatti, prevede che il pubblico ufficiale addetto apponga l’indicazione del giorno in cui riceve l’atto e della persona che lo presenta, che lo sottoscriva, lo unisca agli atti del procedimento e rilasci, se richiesto, attestazione della ricezione. Come è facilmente intuibile, si tratta di una previsione di garanzia, tendente a risolvere i successivi eventuali contrasti in ordine all'ammissibilità del gravame.
6. Il controllo di ammissibilità
La fissazione di regole vincolanti per l’attivazione del giudizio impone, da un lato, di verificarne il rispetto; dall’altro, di sanzionarne l’inosservanza.
Il controllo sull'ammissibilità dell'impugnazione è affidato soltanto al giudice ad quem cui sono trasmessi senza ritardo gli atti dell'impugnazione e quelli del procedimento (art. 590 c.p.p.).
Ferma restando la possibilità di dichiarare in ogni stato e grado del procedimento l'inammissibilità non rilevata in precedenza (art. 591, co. 4, c.p.p.), il giudice - anche d'ufficio - pronuncia ordinanza in camera di consiglio (art. 591, co. 2, c.p.p.); non essendo state richiamate le forme previste dall'art. 127 c.p.p. non è richiesta la presenza delle parti. Notificata a chi ha proposto l'impugnazione, nonché al difensore, se a presentarla è stato personalmente l'imputato, l'ordinanza è soggetta a ricorso per cassazione (art. 591, co. 3, c.p.p.).
I motivi di inammissibilità sono individuati dall'art. 591, co. 1, c.p.p., nel difetto di legittimazione o nella mancanza d'interesse dell'impugnante, nell'inoppugnabilità del provvedimento, nel mancato rispetto delle disposizioni relative alla forma, alla presentazione, alla spedizione ed ai termini dell’impugnazione, ed infine nella sopravvenuta rinuncia. In presenza di una impugnazione inammissibile, non è possibile applicare l’art. 129 c.p.p., ossia prosciogliere l’imputato sia nel merito, sia per ragioni di rito, sia per cause estintive (Cass., S. U., 11.2.1995, Cresci, in Giur. it., 1996, 504).
L’impugnazione è rinunciabile. Il termine entro il quale può essere presentata in dibattimento la rinuncia all'impugnazione risulta fissato prima dell’inizio della discussione (art. 589, co. 3, c.p.p.). Sotto il profilo formale resta, invece, confermato che le parti private possono rinunciare all'impugnazione sia personalmente, sia a mezzo di procuratore speciale. Ed ancora che la dichiarazione di rinuncia, ove non fatta in dibattimento, va presentata ad uno degli organi competenti a ricevere l'impugnazione nelle stesse forme e nei medesimi modi previsti per la presentazione del gravame (art. 589, co. 2 e 3, c.p.p.). Non mancano, tuttavia, indicazioni giurisprudenziali orientate ad ammettere anche la revoca implicita del gravame, purché orientata in modo univoco. Tale non dovrebbe ritenersi la mancata illustrazione di alcuni motivi d'impugnazione da parte del difensore, anche per la difficoltà di riconoscere una rinuncia parziale.
7. Gli effetti
Sono ritenuti – tradizionalmente – tre gli effetti delle impugnazioni. Il primo, è l’effetto devolutivo in forza del quale il giudizio di impugnazione si trasferisce – anche per evitare cause di incompatibilità – ad un altro giudice, quasi sempre di grado superiore.
Il secondo effetto è quello estensivo, cioè, l’esplicazione di effetti anche ai soggetti non impugnanti. Al riguardo, è necessario operare una distinzione tra gli effetti determinati dall'impugnazione ed i casi in cui gli stessi operano. Sotto il primo profilo, sarà necessario distinguere tra l'estensione dell'impugnazione (implicante il diritto per il non impugnante di partecipare al giudizio di gravame ex art. 601, co. 1. c.p.p.) e l'estensione della sentenza (cioè, il diritto per il non impugnante di beneficiare della decisione favorevole).
Sotto il secondo profilo, relativamente, cioè, ai casi in cui gli effetti dell’impugnazione operano,l’estensione dell'impugnazione (espressa nel contesto dell'art. 587 c.p.p. attraverso l’impiego del verbo “giova”) si manifesterà: a) nel caso di concorso di persone nel reato quando l’impugnazione di un imputato sia fondata su motivi non esclusivamente personali (come nel caso in cui con il gravame si sostenga l'insussistenza del fatto); b) nel caso di riunione di procedimenti per reati diversi (art. 17 c.p.p.), qualora i motivi addotti dall'impugnante riguardino violazioni della legge processuale e non si tratti di motivo esclusivamente personale (come nel caso in cui con il gravame si deduca l'irregolarità della costituzione del collegio giudicante in prima istanza); c) nel caso di impugnazione del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria a favore dell'imputato, anche agli effetti penali, purché l'impugnazione non sia fondata su motivi esclusivamente personali d) nel caso di impugnazione dell'imputato a favore del responsabile civile e del civilmente obbligato per la pena pecuniaria.
Il terzo effetto è quello sospensivo. Al riguardo, l’art. 588 c.p.p. dispone che l'esecuzione del provvedimento sia sospesa, dal momento della sua pronuncia, durante i termini per impugnare e fino all'esito del giudizio di impugnazione. La regola prevede alcune deroghe che riguardano, da un lato, determinate ipotesi specifiche (fra queste, quelle previste dagli artt. 127, co. 8, 257, 318, 322, 325, 355, 479, 573, 666 e 680 c.p.p.), dall'altro, le impugnazioni contro i provvedimenti in tema di libertà personale.
Le questioni in ordine all’esecuzione della sentenza assumono un particolare rilievo proprio nel caso in cui incrociano quelle relative all'estensione dell'impugnazione. Va a tale proposito sottolineato che, secondo le Sezioni Unite (Cass., S.U., 23.6.1995, Cacciapuoti, in Cass. pen., 1995, 2497), il fenomeno processuale dell'estensione dell'impugnazione a favore del coimputato non impugnante (o l’impugnazione del quale era stata dichiarata inammissibile) opera di diritto, come rimedio straordinario che, al verificarsi dell'evento consistente nei riconoscimento, in sede di giudizio conclusivo sul gravame, è idoneo a revocare il giudicato in favore del non impugnante, rendendo questi partecipe del beneficio conseguito dal coimputato.
8. Le spese
A seguito del giudizio di impugnazione la parte soccombente è condannata alle spese (art. 592 c.p.p.).
Si stabilisce, infatti, che la decisione di rigetto o di inammissibilità dell'impugnazione determina la condanna alle spese del procedimento della parte privata impugnante (non più del solo imputato); che i coimputati partecipanti al giudizio di impugnazione sulla base dell'effetto estensivo di cui all'art. 587 c.p.p. sono condannati in solido con chi ha proposto l’impugnazione; che nel caso di condanna l'impugnante è condannato alle spese dei precedenti giudizi anche se in questi era stato prosciolto; che in caso di impugnazione per i soli interessi civili le spese sono dovute dalla parte privata soccombente (per alcune specifiche previsioni in relazione al giudizio di cassazione ed a quello per revisione si rinvia, rispettivamente, all' art. 616 c.p.p., nei limiti precisati da C. cost., 13.6.2000, n. 186, e all'art. 637, co. 4, c.p.p.).
Fonti normative
Artt. 568-592 c.p.p.
Bibliografia essenziale
Gaito, A., a cura di, Le impugnazioni penali, Torino, 1998; Marandola, A., Le disposizioni generali, in Trattato di procedura penale, a cura di G. Spangher, V, Torino, 2009, 1; Spangher, G., Impugnazioni penali, in Dig. pen., VI, Torino, 1992, 217; Valentini, C., Le disposizioni sulle impugnazioni in generale, in A. Gaito, a cura di, Le impugnazioni penali, I, Torino, 1998, 191.