Impugnazioni. Tribunale della liberta
La Corte Suprema, risolvendo una questione logicamente pregiudiziale, non si pronuncia sull’applicabilità alle misure cautelari reali della disciplina della perdita di efficacia per tardiva trasmissione degli atti da parte del p.m.; ribadisce invece che anche nelle impugnazioni cautelari reali si produce, nei casi previsti dall’art. 587 c.p.p., l’effetto estensivo della decisione. Il recente contrasto giurisprudenziale sul primo punto, a proposito del quale la dottrina da lungo tempo chiedeva un ripensamento, sembra perciò destinato ad approfondirsi; sul secondo punto si attende ancora una più nitida ricostruzione sistematica.
Nell’impianto originario del codice del 1988, si prevedeva che il giorno successivo all’avviso di deposito della richiesta di riesame il p.m. trasmettesse al tribunale gli atti presentati a fondamento della misura cautelare personale o reale e, pena la sua perdita di efficacia, il collegio dovesse decidere entro dieci giorni dalla ricezione degli atti. L’esigenza di tempi rapidi e certi confliggeva con la possibilità che il p.m. ritardasse il deposito degli atti, facendo slittare corrispondentemente in avanti il dies a quo del termine di decadenza, senza limiti e senza sanzioni1.
La riforma del 1995 ritoccò il sistema, consentendo al p.m. di trasmettere gli atti fino a cinque giorni dopo l’avviso, ma ricollegando la perdita di efficacia della misura anche al superamento di questo termine. La modifica intervenne solo sul testo dell’art. 309 c.p.p., che si occupa delle cautele personali, e non su quello dell’art. 324 c.p.p., che si occupa delle cautele reali. Nell’art. 324, tuttavia, figurava e figura ancora un rinvio al co. 10 dell’art. 309, quello che, per effetto della riforma, stabilisce appunto l’inefficacia della misura per mancata trasmissione degli atti nei termini di cui al co. 5. D’altra parte, il co. 5, che ha introdotto la regola dei cinque giorni, non è oggetto di uno specifico rinvio, mentre l’art. 324 continua a prevedere il termine più rigoroso, ma non espressamente sanzionato, di un giorno.
Nonostante le proteste della dottrina2, le Sezioni Unite, seguendo la giurisprudenza maggioritaria, hanno perciò risolto il difetto di coordinamento ritenendo che in caso di ordinanza cautelare reale il p.m. sia soggetto al termine ordinatorio di un giorno e che il rinvio all’art. 309, co. 10, c.p.p. debba intendersi riferito alla sua versione antecedente, che prevedeva solo l’ipotesi della tardiva celebrazione dell’udienza3.
Nel 2011 la Sezione terza, su ricorso proposto da uno solo dei soggetti destinatari di una medesima ordinanza cautelare reale avverso un provvedimento interlocutorio del giudice del riesame, si è pronunciata tuttavia in senso contrario all’orientamento dominante, affermando che l’esigenza di stabilire un termine certo per il riesame dei provvedimenti cautelari ha rango primario4 e che perciò, nel “pasticcio” dei rinvii tra le due norme, va privilegiata l’interpretazione costituzionalmente conforme, assimilando integralmente il regime del riesame cautelare reale a quello personale5. Dopo la pronuncia, anche gli altri destinatari del provvedimento hanno presentato ricorso; dato il contrasto giurisprudenziale, la questione è stata devoluta alle Sezioni Unite, per chiarire se la trasmissione al tribunale del riesame degli atti posti a fondamento della misura cautelare reale oltre i cinque giorni dall’avviso ne comporti la perdita di efficacia.
Il vertice del Supremo Collegio, prima di occuparsi della questione, ha dovuto dedicarsi a un tema logicamente pregiudiziale: ossia se la pronuncia della Sezione terza, che aveva dichiarato la perdita di efficacia della misura cautelare reale nei confronti di uno solo dei soggetti che partecipavano al giudizio di riesame, dovesse estendere il suo effetto anche agli altri6.
In argomento si erano già pronunciate le Sezioni Unite in due occasioni. Nella prima, in tema di cautele personali, si era affermato che il giudizio di riesame ha peculiarità tali che non consentono un’automatica applicazione della disciplina generale delle impugnazioni. In particolare, l’estensione dell’impugnazione disciplinata dall’art. 587 c.p.p., vale a dire la partecipazione del non impugnante al giudizio di gravame, non potrebbe valere nella fase cautelare, ove un’unica ordinanza plurisoggettiva può generare giudizi di impugnazione del tutto autonomi; peraltro, la grande discrezionalità che caratterizza il riesame renderebbe difficile individuare motivi comuni, mentre tra nulla vieta al non impugnante di chiedere la rivalutazione dei presupposti della misura mediante un’istanza di revoca. Al contrario, nei procedimenti cautelari cumulativi sarebbe possibile l’estensione degli effetti favorevoli della decisione, purché, naturalmente, tali effetti non trovino il loro presupposto in motivi non comuni7.
Nel 2002 questo dispositivo è stato importato in ambito di cautele reali; è stato perciò ribadito che ai fini dell’estensione degli effetti favorevoli della decisione al soggetto rimasto estraneo al giudizio di impugnazione occorre verificare che dall’unico provvedimento cautelare a struttura plurisoggettiva non siano sorti procedimenti incidentali frammentari e autonomi8.
Raccogliendo questi spunti, le Sezioni Unite, poiché nel caso di specie il provvedimento cautelare reale a struttura plurisoggettiva era stato impugnato da tutti i destinatari, i quali avevano partecipato al giudizio di riesame, hanno ritenuto che il procedimento avesse carattere unitario e che l’autonomia del ricorso avverso un provvedimento interlocutorio comportava l’anticipazione delle decisione su un profilo processuale, ma non ne spezzava l’unitarietà. L’effetto favorevole della decisione della Sezione terza, ossia la perdita di efficacia della misura, è stato perciò esteso anche agli attuali ricorrenti9.
Sotto il profilo dell’applicabilità al procedimento cautelare dell’effetto estensivo dell’impugnazione, la decisione della Corte, che pure ha ribadito un orientamento consolidato, pare ruotare intorno al concetto di «unitarietà del procedimento» scaturito da un’ordinanza plurisoggettiva, utile solo nell’ipotesi in cui i destinatari dell’ordinanza abbiano già chiesto il riesame, ma solo alcuni di loro abbiano proposto il ricorso. Rimane aperto però il problema dell’ordinanza cautelare plurisoggettiva impugnata ab origine solo da alcuni dei destinatari: l’asserita inapplicabilità dell’art. 587 c.p.p. contrasta con il fatto che l’estensione dell’impugnazione è disposta proprio a beneficio di chi non ha impugnato ed è ben possibile che un’ordinanza cautelare plurisoggettiva sia affetta da vizi processuali; forse l’unico serio ostacolo, di natura non teorica ma pratica, è costituito proprio dalla necessaria tempestività dei rimedi cautelari10.
Sotto il profilo degli effetti della tardiva trasmissione degli atti da parte del p.m., il fatto che la decisione della Sezione terza, contrastante con una giurisprudenza consolidata, sia pure a causa della risoluzione di una questione logicamente pregiudiziale, non sia stata nemmeno incidentalmente censurata lascia sperare che si sia aperto lo spazio per un ripensamento sul tema.
1 Vedi Ceresa Gastaldo, M., Il riesame delle misure coercitive nel processo penale, Milano, 1993, 117-122.
2 Adorno, R., Il riesame delle misure cautelari reali, Milano, 2004, 120-129.
3 Cass. pen., S.U., 29.5.2008, n. 25932.
4 Cfr. C. cost., 22.6.1998, n. 232.
5 Cass. pen., 3.5.2011, n. 24163.
6 In tema vedi Gallo-Orsi, M., Impugnazione (effetto estensivo della), in Dig. pen., X, Torino, 1995, 679.
7 Cass. pen., S.U., 22.11.1995, n. 41.
8 Cass. pen., S.U., 26.6.2002, n. 34623.
9 Cass. pen., S.U., 29.3.2012, n. 19046.
10 Spangher, G., Prime riflessioni su di un tema complesso: l’effetto estensivo dell’impugnazione e l’effetto estensivo della decisione nei gravami de libertate, in Cass. pen., 1996, 3395.