Impurità
Nel linguaggio corrente il termine impurità è sinonimo di sozzura e di alterazione e si riferisce alla mescolanza di oggetti, comportamenti o individui che andrebbero separati. Nell'universo fisico, si dice impura una sostanza contaminata da elementi che ne alterano la composizione. In relazione al meticciamento di individui appartenenti a categorie differenti, si parla di impurità della specie o della stirpe. All'interno dell'universo morale, impurità è poi sinonimo di cattiva condotta, disonestà, intendendo metaforicamente che il vizio e la colpa sono la 'sporcizia' dei costumi.
L'impurità è definibile in rapporto all'ideale della purezza, dell'ordine, della norma, della santità; tuttavia, le varie accezioni che il termine può assumere, ovvero sporcizia, contaminazione, colpa e peccato, designano condizioni e aspetti di ordine diverso. Mentre sporcizia e contaminazione fanno riferimento alle condizioni materiali degli agenti, dei luoghi o degli oggetti, la colpa e il peccato riguardano l'interiorità degli individui. Nei contesti culturali tradizionali, stando a buona parte della documentazione etnografica, la differenziazione non è così nettamente tracciata: a una minor parcellizzazione e specializzazione istituzionale corrispondono modelli di pensiero meno diversificati. I termini locali che vengono tradotti con l'aggettivo impuro sembrano riferirsi a una gamma di oggetti, di individui e di situazioni estremamente eterogenei. La nozione di impurità, o piuttosto la coppia concettuale puro/impuro, emerse, nell'ambito delle discipline antropologiche, all'interno della riflessione sulle religioni primitive e in particolar modo sull'evoluzione dell'idea di sacro. Nel contesto dell'originaria indifferenziazione tra la sfera del sacro e quella del profano che caratterizza la vita dei 'selvaggi', l'impurità venne inizialmente definita come fonte di immaginari pericoli, bizzarria, superstizione; si analizzarono allora i comportamenti indifferentemente ispirati dal sacro e dall'impuro sotto la minaccia di sanzioni sovrannaturali. All'interpretazione dell'impurità, e delle interdizioni che la circondano come superstizioni, è seguita quella secondo la quale la progressiva differenziazione delle nozioni di purezza e di impurità ha avuto luogo parallelamente alla differenziazione delle funzioni sociali. In altri termini, se nelle società primitive le restrizioni e i comportamenti sanzionati in quanto impuri si riferiscono a un quadro normativo garantito con un mezzo eccedente rispetto alla mera sanzione sociale, lo sviluppo delle istituzioni giuridiche, politiche e burocratiche che organizzano la società occidentale contemporanea ha determinato una progressiva trasformazione dell'idea di impurità. All'interno di questa prospettiva, dunque, la riflessione antropologica si è spostata dall'analisi dei comportamenti ispirati dal puro e dall'impuro a quella dei sistemi di classificazione del reale: le 'cose impure' si caratterizzano in quanto anomalie, la cui natura ambigua minaccia l'ordine imposto al mondo. Da ciò è emersa una concezione dell'impurità come condizione associata alle violazioni delle regole naturali o sociali, una condizione inquietante poiché antitetica rispetto al modello che tutela la stabilità e il senso dell'esperienza umana. Minaccia di disordine, fonte di ansietà e di conflitti, l'impuro si sedimenta sulle zone di confine, sulle frontiere corporee come su quelle sociali. Nella riflessione di fine Ottocento sulle religioni primitive, la nozione di impurità, indistintamente riferita all'universo degli eventi fisici e a quello della morale, viene strettamente associata alla concezione originaria del sacro. Secondo autori come W.R. Smith e J.G. Frazer, il sacro primitivo, diversamente dalla nozione di santità elaborata all'interno della tradizione giudaico-cristiana, riassume in sé il sommo della purezza e dell'impurità. Il concetto di tabu (v.) permette di descriverne il carattere ambivalente. Dai resoconti etnografici dei viaggiatori dell'epoca, e in particolare dai diari della missione diretta da J. Cook nell'arcipelago polinesiano (attraverso i quali il termine tapu o tabu viene per la prima volta presentato ai lettori europei), risultava che i tabu primitivi potevano riguardare indifferentemente luoghi, oggetti e persone associate alle divinità, alcuni stadi particolari della vita umana, determinate parti o secrezioni corporee, elementi del mondo animale o vegetale ecc. Rapidamente l'uso del termine tabu si diffonde e si estende in riferimento a tutto ciò che, nelle società primitive, si trova interdetto in quanto sacro o corrotto. In Lectures on the religion of the Semites (1889), uno studio comparato delle norme primitive e di quelle semitiche della sacralità, il pastore Smith afferma che, nelle società primitive, il rispetto delle regole che limitano la libertà dell'uomo nell'impiego delle cose naturali è assicurato dal terrore di una punizione sovrannaturale. Le restrizioni che riguardano le cose oggetto di tabu sono finalizzate a proteggere gli uomini dagli effetti nefasti che, secondo i selvaggi, possono derivare da un eventuale contatto. Ciò vale sia per i tabu che regolano le relazioni con le divinità (e con tutto ciò che è a esse intimamente associato), sia per le interdizioni che circondano persone e sostanze contaminate e contaminanti. Nel primo caso ci troviamo di fronte alle restrizioni che proteggono l'uomo dal potere divino che permea le cose sacre e in ogni momento può colpire l'essere umano che vi si avvicini indebitamente, ovvero alle restrizioni che nella tradizione giudaico-cristiana sarebbero divenute le norme della sacralità. Nel secondo si tratta, invece, di interdizioni connesse all'impurità (esempi ne sono i tabu imposti alle donne incinte, alle ragazze mestruate, a coloro che hanno toccato un cadavere ecc.), norme che lo sviluppo del cristianesimo ha escluso dalla sfera della religione per relegarle a quella del profano. Smith conclude che le religioni primitive non operano una distinzione tra santità e impurità; in esse, invece, il sacro è una terrifica commistione di santità e di contaminazione, una fonte di pericoli da cui l'uomo comune deve essere separato. Non vi è, parallelamente, alcuna distinzione tra le norme di santità e le regole della contaminazione. Tale prospettiva è chiaramente evoluzionistica: da un lato, vi sono le religioni primitive dominate dalla superstizione e da una concezione dell'impurità che si basa esclusivamente sulle condizioni materiali; dall'altro, il cristianesimo, ove le regole che prevengono la contaminazione scompaiono e la purezza diviene eminentemente una questione spirituale. Le interdizioni registrate nei testi biblici testimoniano il passaggio da una forma di religiosità all'altra: sebbene l'antica religione di Israele fosse moralmente superiore alle religioni delle popolazioni circostanti, dominate dal terrore di potenze oscure e malefiche (il termine di confronto assunto da Smith sono le società arabe contemporanee), in essa vi sono alcuni elementi che, non avendo alcun rapporto con l'autentico spirito della religione ebraica, possono essere interpretati soltanto come sopravvivenze di primitive superstizioni. I tabu dei selvaggi, che in alcuni casi appaiono perfettamente comprensibili, mentre in altri assolutamente arbitrari, costituiscono un momento di transizione dal mondo magico a quello della religione, ove le regole di condotta sorvegliano i rapporti con Dio. Nella stessa linea con le tesi di Smith, Frazer, nel saggio Taboo and the perils of soul, contenuto in The golden bough (1890), sottolinea una curiosa coincidenza tra le norme di purezza cerimoniale imposte ai capi e ai sacerdoti e quelle riservate agli omicidi, alle donne che hanno partorito, alle fanciulle mestruate ecc., e osserva che i primitivi non fanno alcuna differenza tra queste norme. Non essendo ancora distinti i concetti di sacralità e di impurità, essi considerano alla stessa stregua le suddette categorie di persone, che sono simultaneamente pericolose e in pericolo. Anche per Frazer l'inglobante categoria di tabu, riconducibile in ultima analisi al contagio e alla punizione sovrannaturale, non permette di distinguere tra santità e impurità. Tra i tabu primitivi è possibile trovare allo stesso titolo quelle che sarebbero successivamente divenute norme positive di condotta, leggi, norme morali e, d'altro canto, vuote superstizioni popolari. Le analisi del tabu effettuate alla fine dell'Ottocento giungono a mettere in luce la natura contagiosa del sacro primitivo e dell'impuro: il contatto con le cose oggetto di tabu sprigiona il pericolo in esse 'condensato' e lo propaga come un'infezione. Per un verso, dunque, si considera il comportamento ispirato dal sacro, per un altro si evidenzia l'originaria indistinzione tra sacro e profano, puro e impuro. Questa immagine della concezione primitiva dell'impurità ebbe per diversi anni ampio seguito; così scriveva L. Lévy-Bruhl: "Sotto un certo aspetto essere impuri è una sorta di qualità essenzialmente mistica, che fa sì che un essere umano si trovi sotto un influsso nefasto, in immanenza di disgrazia. Sotto un altro è una contaminazione materiale, una macchia che aderisce fisicamente all'essere o all'oggetto impuro, che può trasferirsi, comunicarsi per contatto, che può esser tolta lavandola. Fra queste due rappresentazioni la mentalità primitiva non fa una scelta" (Lévy-Bruhl 1931, p. 292).
Conformemente a quanto sosteneva Smith, R. Hertz, in un saggio intitolato La prééminence de la main droite (1909), afferma che nelle società primitive la sfera del sacro corrisponde all'unità inscindibile di puro e impuro; ma questo è vero soltanto se si assume il punto di vista del profano, secondo cui sono sacre le potenze naturali che "agiscono in armonia con la natura delle cose", come pure quelle che "violano e turbano l'ordine universale" (Hertz 1909, trad. it., p. 141). Nella sfera religiosa, tuttavia, la distinzione puro/impuro assume una differente conformazione: l'impuro coincide con il profano e costituisce insieme a esso "il polo negativo del mondo spirituale" (p. 142). Non vi è più confusione o commistione tra il sacro e l'impuro; tra i due poli si impone una separazione necessaria alla stessa integrità della purezza o della sacralità. Da un lato, dunque, l'opposizione puro/impuro investe l'organizzazione della vita comunitaria nel suo insieme, ma dall'altro la sua definizione varia a seconda del contesto di riferimento. Il dualismo purezza/impurità, sostiene Hertz, è il principio dell'organizzazione cosmica, sociale e individuale dei primitivi: l'universo, la società e il corpo umano hanno un lato sacro, puro, nobile, destro, al quale si oppone un lato profano, impuro, immondo, sinistro. Sono categorie inscritte nella struttura del pensiero che si trasformano con l'evolversi della vita sociale, ma che appaiono, per i singoli individui, trascendenti e naturali. Elemento cardine del pensiero primitivo, la logica dicotomica risulta altrettanto essenziale per la comprensione di alcuni aspetti della vita sociale contemporanea, ove ogni forma di pensiero e di azione implicitamente la presuppone. Nel mondo occidentale l'organizzazione dualistica si presenta per lo più in forme laicizzate: destra/sinistra, alto/basso, maschile/femminile; qualora si ricerchi la genesi di tali opposizioni, si perviene inevitabilmente alla polarità religiosa primitiva individuata dalla coppia sacro/profano. Ciò che accomuna tutte le opposizioni termine contro termine, sviluppatesi dalla coppia puro/impuro (che per Hertz equivale a quella sacro/profano) è che il primo polo è sempre gerarchicamente superiore al secondo. La logica binaria è infatti - secondo Hertz - il principio di ogni gerarchia, vale a dire di ogni forma di articolazione della differenza a partire dalle sfumature, dalle gradazioni, dagli scarti reperibili in natura. "Ogni gerarchia sociale si vuole formata sulla natura delle cose [...]; in tal modo assegna a sé l'eternità, sfugge al divenire, alle innovazioni" (p. 137); in tal modo la preminenza della mano destra sulla sinistra viene legittimata invocando l'asimmetria organica del corpo umano e la subordinazione della donna all'uomo a partire dall'inferiorità naturale della prima in rapporto al secondo. Spetta al sociologo 'denaturalizzare' le gerarchie, mostrare cioè che la diseguaglianza ha in natura una radice incerta e indeterminata e la ragione per cui i due termini assumono e mantengono una valenza differenziale è essenzialmente culturale. Hertz opera tale denaturalizzazione in rapporto alla preminenza della mano destra sulla sinistra, confutando la tesi secondo cui essa sarebbe radicata nell'asimmetria morfologica del corpo umano. La destra è la mano pura, la mano dei saluti e dei giuramenti, mentre alla sinistra sono affidate tutte le funzioni impure e immonde. La prima è associata a ciò che è forte e legittimo, la seconda a ciò che è debole e malefico, così che un'eccessiva abilità della mano sinistra può essere interpretata come segno di un'indole "perversa e demoniaca" (Hertz 1909, trad. it., p. 151). Tra le due mani esiste una differenza di rango così evidente, sostiene Hertz, da far supporre che, se non vi fosse stata un'asimmetria naturale (che pure è parziale e non omogenea in tutti gli individui), sarebbe stato necessario inventarla. La valenza differenziale delle parti, degli organi e dei fluidi corporei è culturalmente determinata e, all'interno di un dato sistema di pensiero, se ne possono cogliere le relazioni con analoghe partizioni dell'ambiente sociale e naturale. L'analisi di Hertz non dice, tuttavia, perché sia il lato destro e non il sinistro a essere associato alla purezza. Una volta che alla base delle coppie oppositive che regolano l'organizzazione dell'uomo e del suo mondo è stata rinvenuta la polarità religiosa, e che la pretesa naturalità della preminenza di alcuni organi è stata sconfessata, non siamo ancora in grado di comprendere completamente le ragioni dell'impurità. Abbiamo osservato che impurità del corpo o delle sue parti è una qualità relazionale (la sinistra è impura in rapporto alla destra) e contestuale (il sangue può, a seconda delle circostanze, essere benefico o infausto, purificante o contaminante, simbolo di vita o inequivocabile segno di morte). Inoltre, la relatività delle categorie di purezza e impurità dipende dal punto di vista che assumiamo: Hertz ha sottolineato che l'impuro si oppone congiuntamente al sacro alla sfera del profano, mentre dal punto di vista del sacro la linea di demarcazione tra puro e impuro viene a sovrapporsi a quella che distingue il sacro dal profano. Nel saggio sopra citato (La prééminence de la main droite) viene tuttavia elisa la complementarità tra puro e impuro; detto altrimenti, la destra e la sinistra non vengono poste in relazione alla totalità del corpo cui appartengono. Nel sistema delle caste indiano la dicotomia puro/impuro, come ha sostenuto L. Dumont (1966), è impersonata dalla contrapposizione tra le categorie sociali che sono agli estremi della gerarchia sociale, i Brahamani e gli Intoccabili. Le norme della purezza/impurità vengono spesso giustificate a partire da motivazioni igieniche, ma in realtà il puro e l'impuro sono nozioni religiose che rinviano all'"ordine universale" e contrappongono "l'uomo religioso e sociale alla natura" (Dumont 1966, trad. it., p. 140). I criteri della purezza sono sempre relativi: mentre per alcune categorie di persone certi contatti sono considerati impuri, non lo sono per altre (così, per es., l'alimentazione a base di carne è interdetta ai sacerdoti ma non ai guerrieri). La gerarchia castale deriva dagli scarti differenziali nelle norme della purezza e dell'impurità di ciascun gruppo: in base a questi criteri, che sono differenti forme di uno stesso principio, ciascuna casta o sottocasta si separa da quella immediatamente superiore e da quella immediatamente inferiore. La polarità religiosa diviene così il principio organizzativo dell'ordine sociale, un ordine che pur dipendendo da un unico principio può assumere differenti conformazioni, a seconda dei criteri di distinzione adottati o del punto di vista a partire da cui viene tracciato. Dumont mostra che, all'interno dell'ordine universale del cosmo e della società, la purezza e l'impurità non solo si contrappongono ma sono complementari: la presenza di specialisti a cui sono delegati i compiti impuri è necessaria al mantenimento della purezza degli altri. La polarità religiosa puro/impuro, che è alla base della gerarchia, rinvia dunque, nel sistema indiano, alla configurazione complessiva ove trovano posto simultaneamente gli Intoccabili e i Brahamani. Tale configurazione è olistica dal momento che, sebbene sia una parte della società a decretarne la norma, essa si applica indistintamente a tutte le categorie intermedie, sino a inglobare il polo opposto della gerarchia. Nel pensiero indù, l'impurità è associata a ciò che riguarda la vita organica; la nascita, la morte, le dodici secrezioni corporee (tra cui "l'escremento, la saliva, la sorte inferiore riservata alla mano sinistra", p. 138) sono considerate contaminanti e le mansioni che le riguardano vengono delegate a particolari categorie di individui. Gli specialisti dell'impurità, come i lavandai e i barbieri, vivono in modo permanente nello stato in cui i loro clienti si trovano temporaneamente. Le impurità organiche possono essere suddivise in tre tipi fondamentali: 1) l'impurità relativa al corpo, che viene rimossa attraverso le cure igieniche mattutine e il bagno quotidiano; 2) l'impurità degli oggetti, che è connessa alla loro costituzione, alla qualità dei materiali, ma soprattutto all'uso che se ne fa; 3) l'impurità familiare, come quella della nascita che colpisce la madre e il bambino, o quella della morte che colpisce tutti i parenti del defunto, a prescindere dal fatto che essi si trovino o meno sul luogo del decesso. Le regole relative all'impurità organica, così come quelle che si riferiscono al contatto con il cibo o al matrimonio, consentono di conservare determinati rapporti tra le caste. Ciascuna di esse rappresenta un caso specifico della distinzione/complementarità della legge strutturale che pone in relazione il puro e l'impuro, ed è dunque una conseguenza della gerarchia piuttosto che il suo principio fondamentale.
L'impurità allude al disordine, alla mescolanza, alla commistione; in quanto tale è percepita come fonte di pericolo. Per comprendere il ruolo che essa gioca nella vita sociale e nella produzione dei sistemi simbolici occorre, per un verso, interrogarsi sui pericoli insiti nelle istituzioni, e per l'altro analizzare la struttura dei sistemi simbolici che li arginano. È quanto ha fatto M. Douglas (1966), sostenendo che ogni cultura propone una classificazione del mondo, ma ogni classificazione genera inevitabilmente delle anomalie. Gli elementi anomali, che sfuggono all'ordine, sono considerati impuri; interdicendoli, la società tutela la propria rappresentazione concettuale del mondo. Una parte della riflessione dell'autrice è dedicata alle interdizioni della Bibbia: gli abomini del Levitico, e in particolare le regole dietetiche, sono stati oggetto, nel corso dei secoli, delle più disparate interpretazioni. La Legge vieta la consumazione dei ruminanti che non hanno lo zoccolo diviso e per converso degli animali ungulati non ruminanti dallo zoccolo spaccato, dei pesci senza squame, degli esseri che strisciano e brulicano sulla terra. Si tratta di cibi impuri, chiunque ne mangerà sarà a propria volta impuro. Perché queste specie non si addicono alla consumazione? Perché il maiale, il cammello, la lepre e l'irace sono impuri? Secondo Douglas, non si tratta di sopravvivenze di arcane superstizioni (come voleva Smith), né di misure igieniche o di rappresentazioni allegoriche dei vizi e delle virtù. Gli esseri interdetti in quanto impuri sono quelli che hanno una collocazione ambigua rispetto alle classi in cui gli ebrei suddividono il mondo naturale, o che appartengono a una classe che non si accorda alla loro disposizione dell'universo. Gli animali che non si lasciano collocare all'interno del modello tassonomico imposto da ciascuna cultura al mondo sono simbolicamente separati dagli esseri normali, in modo tale che lo schema non debba essere rimesso in causa. Così interpretate, le interdizioni alimentari del Levitico possono aiutarci a far luce sul senso delle norme dell'impurità. La contaminazione è un tipo di pericolo che minaccia il modello 'rappresentazionale' del mondo, della società e dell'esistenza umana, un pericolo che preme sui suoi confini esterni, sulle linee di demarcazione interna, che accompagna gli stati ambigui, i passaggi, le transizioni. Come le classificazioni tassonomiche generano necessariamente degli ibridi e dei mostri, le frontiere dell'esperienza individuale e collettiva non giungono mai a eliminare completamente le ambiguità. Le interdizioni e i riti dell'impurità servono allora a controllare gli elementi che sfuggono all'ordine che regola l'esperienza sociale, assolvendo simultaneamente una funzione strumentale di controllo e una funzione espressiva, quella di rendere pubblici i modelli simbolici e di permetterne l'elaborazione. I modelli sono elaborati in base a un materiale che viene selezionato a partire dal disordine: "nel disordine non vi è alcun modello ma un infinito potere di crearne" (Douglas 1966, trad. it., p. 157). È questo infinito potere creativo, dal quale insorgono l'ordine e simultaneamente ciò che lo minaccia, che viene riconosciuto nei riti. Il disordine della mente, dello spazio extraumano, della malattia costituisce una minaccia per la stabilità collettiva e individuale, ma nel contesto controllato dei rituali il disordine, accuratamente manipolato, diviene una fonte di potere. Se, per es., osserviamo i riti funebri (nei rituali del lutto il tema dell'impurità è certamente dominante), constateremo che spesso essi enfatizzano la minaccia del caos che irrompe nella comunità per poi risolverla affermando la continuità e la norma sociale. I riti dell'impurità addomesticano simbolicamente il disordine e lo fanno accentuando il pericolo che comportano i passaggi, le frontiere, i tagli che organizzano il continuum sociale e naturale, fissando l'identità degli individui e dei gruppi. In quanto dispositivi di controllo della pressione sociale, i riti dell'impurità possono essere comparati alle norme morali. Le regole della contaminazione non corrispondono esattamente a quelle morali; le prime sono generalmente associate alla dimensione materiale dell'azione umana, le seconde dipendono dal modo in cui le situazioni vengono valutate. Questo fa sì che mentre le norme della contaminazione sono mediamente inequivocabili, le regole morali possono essere vagamente delineate e la loro applicazione a situazioni particolari può essere incerta. Se è vero che le norme della contaminazione non riguardano tutti i comportamenti moralmente riprovevoli, è pur vero, come ha osservato Douglas, che esse rappresentano un complemento a rinforzo delle norme morali incerte, oltre a organizzare la disapprovazione collettiva nelle situazioni moralmente neutre. Invece di assumere che nei mondi 'primitivi' la morale e le credenze relative alla contaminazione costituiscano un insieme compatto e indifferenziato, occorre indagare le relazioni che connettono un sistema con l'altro, chiedersi quali siano i loro punti di contatto e in che modo essi si completino. Tutte le culture, compresa quella occidentale contemporanea (ove, stando a quanto sostiene Douglas, le idee sullo sporco non differiscono sostanzialmente dalle idee primitive sulla contaminazione), imprimono un ordine all'universo, alla società e al corpo umano. Sebbene il senso di ciascun modello non possa prescindere da quello degli altri, e dipenda in ultima analisi dalla struttura dell'organizzazione sociale, è pur vero che il simbolismo del corpo ha, per la sua immediata connessione con la sfera emotiva, un maggiore potere espressivo. La ragione simbolica attinge il materiale dalle zone di confine, che in questo caso sono rappresentate dagli orifizi, dalle secrezioni (come il sangue mestruale, lo sperma, la saliva) e da tutti gli elementi che vengono tagliati o separati dal corpo (come le unghie, i capelli, il sudore), e sui confini, sui margini catalizza l'attività rituale.
Nella misura in cui ogni ordine culturalmente determinato è arbitrario, purezza e impurità non hanno una relazione necessaria con i dispositivi simbolici rituali. Quello dei simboli della contaminazione è "un potere inerente alla struttura delle idee, un potere da cui si suppone che la struttura si voglia proteggere" (Douglas 1966, trad. it., p. 182). I simboli dell'impurità sono convenzionali: le sostanze organiche non sono di per sé né pure né impure, lo diventano nel momento in cui a esse viene attribuito un senso. Le uniformità nelle regole della contaminazione, e in modo particolare in quelle che vertono sulle sostanze e sulle parti del corpo, dipendono dal fatto che la ragione simbolica si esercita ovunque su una stessa riserva di materiali. L'interpretazione di Douglas, pur invocando l'opportunità di tenere simultaneamente conto dei diversi modelli che sistematizzano l'esperienza umana (l'ordine cosmologico, sociale e antropologico), tende a privilegiare il rapporto tra le norme dell'impurità e la struttura sociale, intesa non come struttura complessiva dei reali rapporti sociali ma come struttura rappresentazionale. "Per comprendere la contaminazione corporale dobbiamo cercare di ragionare partendo dagli ignoti pericoli della società per giungere alla nota selezione di temi corporei, e cercare così di riconoscere quale corrispondenza vi sia" (p. 195). Il senso della contaminazione corporale è certamente sociale; lo è in quanto dipende dai modelli condivisi che sistematizzano l'esperienza. Tra l'ordine cosmico, quello sociale e quello biologico, vi sono corrispondenze e omologie. Tuttavia l'interpretazione delle norme di ciascuno di questi ordini può procedere accordando una relativa autonomia al livello di realtà in questione, per poi considerarlo all'interno di costellazioni di significato più ampie. Per comprendere il senso dell'impurità del sangue mestruale, per es., possiamo chiederci quali siano le sue caratteristiche nel quadro della fisiologia locale, quali i suoi rapporti con gli organi e le funzioni del corpo femminile. Se il sangue mestruale viene definito come sostanza calda, quali sono le implicazioni che tale qualificazione possiede all'interno del sapere medico locale? E come si colloca il caldo nel relativo quadro cosmologico? Siamo evidentemente a un livello interpretativo distinto (nonché complementare) rispetto a quello che si interroga su quali siano i pericoli dai quali, attraverso l'interdizione del sangue mestruale, la società si tutela. L'impurità che i samo (Burkina Faso) attribuiscono al sangue del parto e al sangue mestruale viene interpretata da F. Héritier (1996) in relazione alla coppia caldo/freddo (secco/umido), dal cui equilibrio, nel pensiero locale, dipende la stabilità del mondo nella sua interezza. Vi sono elementi caldi, come la terra e il fuoco, ed elementi freddi, come l'acqua e l'aria. Sul versante freddo si collocano il villaggio, la Luna, la pioggia, la pace, la salute, il matrimonio, la donna; su quello caldo il Sole, la Terra, la guerra, le epidemie, le relazioni sessuali, l'uomo. Caldo e freddo si attraggono reciprocamente. L'equilibrio è la condizione ideale, mentre un eccesso di calore consuma l'umidità, inaridisce, dissecca e, inversamente, un eccesso di freddo produce un'umidità intollerabile che, per es., nel caso dei riti di pubertà celebrati nei giorni di pioggia, induce la perdita delle sostanze vitali e può condurre gli iniziandi alla morte. Il sangue è caldo e quando una donna ha le mestruazioni si dice che rende il suo calore alla Terra. Quando poi essa è incinta il calore si accumula per formare il bambino. Il parto si accompagna a una 'enorme e brutale' dispersione di calore. Immediatamente dopo aver partorito, la donna è estremamente fredda, ma torna a riscaldarsi durante l'allattamento. Congiungersi con una donna mestruata, con una partoriente o con una donna che allatta significa esporsi a un eccesso di calore, dal quale si corre il rischio di essere inariditi. Dalla medesima logica termica deriva inoltre l'interdizione dei rapporti con le ragazze impuberi che, non perdendo periodicamente calore attraverso i mestrui, accumulano una temperatura eccessiva e letale. Abbiamo affermato che le norme relative alla contaminazione corporea sono convenzionali e che in quanto tali, pur attingendo da una riserva simbolica limitata (orifizi, fluidi corporei, sostanze, parti che si separano dal corpo), sono arbitrarie. Pertanto, nella maggior parte dei casi, esse si concentrano in particolare sulle funzioni e sulle sostanze associate alla perpetuazione del gruppo. Il contenuto di un buon numero di tabu verte sui rapporti sessuali e sull'alimentazione; impuri sono parimenti i momenti di transizione che scandiscono la vita individuale (nascita, pubertà, morte). Tra i thailandesi del Nord-Est la relazione tra alimentazione e rapporti sessuali emerge dal termine che impiegano in riferimento alla cerimonia nuziale: kin daung, letteralmente "mangiare l'organo sessuale femminile" (Tambiah 1969, p. 426). Le regole matrimoniali locali vietano l'unione con i fratelli, con i cugini di primo e con quelli di secondo grado (sebbene per questi ultimi si possano verificare alcune eccezioni). È invece consentito il matrimonio con i cugini dal terzo grado in avanti e con i non parenti che provengono dagli altri villaggi della regione. Il matrimonio con gli stranieri, gli individui più lontani dall'universo socialmente riconosciuto, non sono proibiti; nondimeno è in relazione a questo tipo di unioni che le accuse di stregoneria sono più frequenti. Le interdizioni alimentari che riguardano gli animali domestici hanno un'evidente relazione con le norme relative all'attività sessuale e al matrimonio. Tra gli animali domestici il cane è l'animale più impuro: si nutre di feci, è quindi 'sporco', ma soprattutto è impuro in quanto è considerato un essere incestuoso. Come afferma Tambiah, il suo consumo alimentare è severamente interdetto, "la sua immangiabilità corrisponde alle nozioni di sporcizia e di incesto" (p. 435). Il bufalo e il bue rientrano nella categoria degli animali commestibili, e tuttavia la loro consumazione avviene soprattutto durante le occasioni cerimoniali: vengono macellati durante alcune feste del calendario buddhista, o durante i riti familiari. Quando l'uccisione avviene in occasione delle feste del villaggio, il bufalo o il bue devono provenire da un villaggio vicino: gli animali autoctoni non possono essere macellati; analogamente, nel caso di un rituale familiare, l'animale deve provenire dall'armento di un'altra famiglia dello stesso villaggio o da un villaggio differente. Vi è dunque un parallelismo tra il tabu concernente la carne di cane e il tabu dell'incesto, la cui controparte è rappresentata dal parallelismo tra le prescrizioni relative alla consumazione del bufalo e del bue e le prescrizioni matrimoniali. Lungi dall'essere interamente riducibili alle anomalie formali della classificazione, le interdizioni che regolano i rapporti con il mondo animale chiamano in causa le loro relazioni con l'habitat naturale e umano. Le prescrizioni matrimoniali e le regole alimentari sono strettamente associate all'organizzazione spaziale. I cugini di primo grado e gli zii sono le sole persone ad avere accesso (pur non potendovi dormire) ai compound ove dormono i componenti della famiglia nucleare. Tale area della casa è parimenti interdetta ai cani ma non ai gatti che, pur non essendo considerati idonei al consumo alimentare, non sono considerati impuri. Nell'area sottostante ai compound ove dormono i coniugi (le case dei villaggi tailandesi sono sorrette da pilastri che le sollevano dal suolo; il vano sottostante è adibito a stalla e a deposito per gli attrezzi agricoli, la legna ecc.), i bufali e i buoi vengono legati durante la notte. Il compound coniugale rappresenta l'area più intima dello spazio domestico; all'estremo opposto vi è il luogo dell'estraneità radicale: la foresta. Se gli animali selvaggi che rappresentano la controparte degli animali domestici (bufali, gatti e anatre selvatici) sono commestibili, gli animali della foresta non sono idonei al consumo alimentare. Un sentimento di avversione, analogo a quello ispirato dal consumo degli animali della foresta, è suscitato dagli animali che sono difficilmente collocabili in rapporto non tanto alla classificazione in specie, quanto piuttosto a quella che fa riferimento all'ambiente. Si tratta degli animali che possono vivere nell'acqua e sulla terra (per es., il varano o il varano acquatico) o degli animali non domestici che tuttavia si trovano in casa (come i topi di campagna o i camaleonti). Tuttavia, gli esseri ambigui in rapporto all'organizzazione spaziale non costituiscono necessariamente un tabu, ma possono essere considerati positivamente, come segni di buon auspicio. L'insieme delle norme relative al matrimonio, quello che ordina e regola l'accesso allo spazio domestico e, infine, l'insieme delle norme relative alla consumazione degli animali, domestici e selvatici, sono almeno in parte omologhi e isomorfi. L'impurità è associata ai rapporti sessuali incestuosi, alla violazione dei tabu alimentari (in particolare a quello che interdice la carne di cane) e alla promiscuità (intesa come comunanza spaziale) con i parenti durante il sonno; all'estremo opposto stanno il sospetto che circonda il matrimonio con gli stranieri, l'interdizione del consumo alimentare degli animali della foresta, l'esclusione degli estranei dallo spazio domestico. Oltre alle secrezioni e alle funzioni sociali fondamentali (riproduzione e alimentazione), spesso la nozione di impurità si riferisce alle fasi transizionali della vita umana. I passaggi che scandiscono l'esistenza individuale sono percepiti come fonte di pericolo, in primo luogo per coloro che li attraversano, ma più generalmente per il gruppo familiare e locale. La nascita e la morte, che nell'ideologia indiana rappresentano le due fonti principali di impurità familiare, sono spesso oggetto di un'intensa attività rituale. La chiusura della seclusione postnatale e il termine del lutto comprendono la celebrazione di riti di purificazione (molto spesso sotto la forma di lavacri e bagni rituali). In quanto limiti della vita umana, nascita e morte generano un'apprensione quasi universale: sono fasi transizionali, ambigue; gli esseri che le attraversano si lasciano difficilmente collocare all'interno delle categorie che separano gli esseri umani definendone l'identità (immediatamente dopo il decesso il defunto non è più vivo e contemporaneamente non è ancora definitivamente morto; uscito dal ventre materno il neonato difficilmente viene considerato come un essere umano: è un essere ambiguo la cui esistenza si colloca sotto il segno dell'indeterminatezza e della precarietà). Il discorso sull'impurità e i riti che l'accompagnano non rinviano soltanto alla purezza dell'ordine e della classificazione; essi chiamano in causa anche la dimensione temporale dell'esistenza umana, la transitorietà e la caducità del corpo.
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