IMPUTABILITÀ
I. L'elemento obiettivo nell'imputabilità. - La questione del nesso causale. - L'istituto dell'imputabilità penale è costituito da un elemento obiettivo e da un elemento subiettivo. L'elemento obiettivo è il rapporto causale tra l'agente e il fatto punibile; rapporto che si suol chiamare nesso causale. Il fatto punibile può consistere semplicemente nella condotta (es. diffamazione), oppure richiedere, oltre la condotta, il verificarsi di un'effetto specifico (es. truffa). Nel primo caso il nesso causale, che riguarda sempre il fatto punibile, si esaurisce fra agente e condotta, nel secondo caso si estende anche all'effetto particolare, che entra a costituire il fatto punibile. L'elemento subiettivo è la condizione, per cui la causa è volontaria e non puramente fenomenica.
Alla produzione di un evento concorrono un numero infinito di condizioni o circostanze obiettive. Per determinare il nesso causale, è necessario stabilire quali tra le condizioni obiettive siano da considerarsi come causa. Vi sono al riguardo varie teorie.
1. La dottrina causale condizionalistica. - Si è discusso molto e ancora si discute se in tema di nesso causale obiettivo tra l'agente e il fatto punibile si debba andare alla ricerca di una soluzione giuridica, o se sia meglio lasciare la soluzione del problema a una disquisizione filosofica. Fu lo Stuart Mill a definire causa di un fenomeno l'insieme di tutti i suoi antecedenti. Da tale punto di vista filosofico non si può fare una cernita di valore tra le condizioni obiettive, che producono un evento lesivo e considerarne una sola, a esclusione delle rimanenti, quale causa del medesimo. Il giurista però non può fare a meno dei concetti di causa e di condizione, ed errano coloro i quali non ammettono tale distinzione come possibile. Dicono costoro che se l'evento x è il risultato degli antecedenti m + n + o, non si può tra i medesimi fare una cernita di valore, giacché ciascuno di essi è equivalente agli altri nella genesi dell'evento x. Ciò però non significa che m, n, o presi isolatamente siano efficienti alla produzione di x. Con tale dottrina, si dovrebbero punire come autori di un reato tutti coloro che si trovano in una qualsiasi relazione causale con il medesimo. Così tanto il commerciante che vende la polvere da sparo quanto colui che incita al delitto o rafforza altri nella decisione di commetterlo verrebbero ad essere puniti come autori del fatto delittuoso. Non è chi non veda tutta l'assurdità e ingiustizia di tale conclusione. Il risultato a cui tale dottrina porta è quello di considerare causa di un evento illecito anche chi concorra solo secondariamente e sussidiariamente alla generazione del medesimo (Frank).
In pratica la dottrina dell'equivalenza di tutte le condizioni non porta a risultati intollerabili, perché viene equilibrata dalla valutazione dell'elemento subiettivo della colpevolezza. Quid iuris però nei casi di reati, in cui l'effetto più grave verificatosi implica una pena più grave? Per esempio, una lesione in sé lievissima produce, per un caso eccezionale, un effetto assai grave. Qui i fautori della dottrina causale condizionalistica chiamano in soccorso, come temperamento, il . criterio della causalità adeguata. Così il Gerland ritiene che "siccome i casi dei reati qualificati dall'evento sono sorti per una presunzione di colpa, in essi si deve utilizzare il concetto di causa dato dalla teoria della causalità adeguata".
2. La dottrina della causalità adeguata. - Di fronte alla dottrina causale condizionalistica, per cui tutte le condizioni di un evento hanno la medesima efficacia causale, ci sono altre dottrine che ammettono la possibilità di sceverare la causa dalla condizione e che ci dbnno il criterio in base al quale compiere quest'operazione. Esse si riducono in sostanza a due: quella della causa adeguata e quella della causa efficiente.
Secondo la dottrina della causalità adeguata (von Kries), l'azione umana può essere ritenuta causa di un evento illecito solo nel caso in cui essa abbia l'ordinaria attitudine, desunta dall'esperienza, a produrlo. Ci dev'essere tra azione ed evento una corrispondenza adeguata; se quest'ultimo presenta caratteri atipici non esiste rapporto causale, e quindi viene a mancare qualsiasi imputabilità.
Questa dottrina rivela una preoccupazione di giustizia rispetto ai casi straordinarî ed eccezionali. Il suo obiettivo è quello di contenere la responsabilità nel diritto penale entro i limiti imposti dai dettami di ragione. Così il Hafter afferma: "L'affinamento del concetto giuridico di causa, mediante la teoria della causalità adeguata, dà al giudice la possibilità di esser giusto nei riguardi dell'imputato". Se ben si guarda, però, la formula della causalità adeguata non è che un'etichetta moderna, dietro cui si cela l'antico criterio della prevedibilità. Perché una causa è adeguata? Evidememente perché è prevedibile. Sennonchè la dottrina della causalità adeguata porta la questione della prevedibilità nel campo della causalità obiettiva, anziché in quello della condotta volontaria.
3. La teoria della causa efficiente. - Per questa, causa è l'antecedente che con la sua azione produce l'effetto. Da essa si distingue la condizione e l'occasione. Condizione è ciò che permette alla causa efficiente di operare; occasione è una coincidenza, una circostanza più o meno favorevole che invita all'azione (A. Stoppato).
Ogni volta che l'agente è stato causa efficiente (non semplicemente condizione o occasione) di un dato evento, sussiste il nesso di causalità obiettiva. Ma può essere imputata ogni attività, che sia divenuta causa efficiente di un dato evento? Qui entra l'elemento subiettivo dell'imputabilità, che è la volontarietà. Quando una causa efficiente può dirsi volontaria? A tal proposito soccorre anzitutto il criterio della prevedibilità media o normale. Prendiamo, p. es., l'omicidio colposo. Se Tizio ha gettato sbadatamente un fiammifero acceso presso una capanna di sua proprietà, adibita a deposito di fieno, e produce la morte di un uomo, che per caso era andato a dormire in quella capanna, non è responsabile di omicidio colposo, perché egli non poteva prevedere che in quella capanna, dove nessuno era andato mai precedentemente a dormire, quella sera ci fosse qualcuno. Egli non è stato imprudente in rapporto all'omicidio; ma è stato imprudente solo nei riguardi della conservazione della cosa propria.
Concludendo, nei riguardi del problema della causalità obiet-, tiva due sono le soluzioni che si possono affacciare: o si considerano tutti gli elementi causali altrettante condizioni sine qua non per l'evento, o tra i medesimi si fa una scelta, sceverando la condizione-causa o secondo la dottrina della causalità adeguata o secondo quella della causa efficiente.
L'interruzione del nesso causale. - Per l'interruzione del nesso. causale non basta che vi s'intrometta un nuovo soggetto dolosamente o colposamente, come da molti viene affermato, ma occorre che intervenga una nuova catena causale, del tutto indipendente dalla prima e capace di far nascere l'evento.
II. L'elemento subiettivo della imputabilità. - L'imputabilità morale. - Esaminato il lato obiettivo dell'istituto dell'imputabilità e precisamente il nesso causale tra l'agente e il fatto punibile, dobbiamo rivolgere il nostro esame al lato subiettivo, cioè al nesso psichico tra la volontà del soggetto agente e il fatto illecito, in cui consiste l'imputabilità morale. Come già abbiamo accennato, il nesso di causalità in diritto penale deve esser inteso sotto due aspetti distinti: c'è il nesso obiettivo o materiale tra l'agente e il fatto delittuoso e quello psichico tra il fatto delittuoso e la libera decisione della volontà umana. Studiando l'istituto dell'imputabilità devono esser tenuti ambedue presenti e ad ognuno deve esser dato il suo giusto valore. Se, invero, volgiamo la nostra attenzione al solo rapporto obiettivo, possiamo giungere a un risultato indifferente ai fini della colpevolezza dell'agente, in quanto possiamo giungere a dare valore causale a un rapporto, che, per mancanza di dolo o di colpa, non ha alcuna rilevanza giuridica. Se, invece, guardiamo al solo nesso causale psichico, usciamo dal campo del diritto per entrare in quello strettamente etico. È necessario, quindi, che l'esame dei due nessi causali proceda parallelo per controbilanciare le conclusioni, a cui si arriverebbe con uno studio unilaterale; conclusioni che sarebbero da ripudiarsi, in quanto spezzano l'armonia e l'equilibrio a cui s'informa l'istituto dell'imputabilità penale.
L'imputabilità fondata sulla libertà del volere. - Dobbiamo vedere quindi quale sia il fondamento di questo rapporto causale subiettivo tra volontà e fatto punibile; in altre parole quale sia la base su cui si aderge l'imputabilità penale. E senz'altro affermiamo che fondamento dell'imputabilità in diritto penale è la libertà, di cui è dotata la volontà umana, di agire o di non agire in un determinato modo. Se l'uomo non agisce liberamente non è suscettibile di alcun giudizio morale; l'aver agito con coscienza e libertà è la conditio sine qua non per applicare a una persona una sanzione penale. Senza libertà non c'è imputabilità, senza imputabilità manca ogni responsabilità, e, quindi, viene a cadere il diritto penale. La libertà di volere è, dunque, il presupposto del diritto penale, il quale si ridurrebbe a un nome vano, nell'ipotesi in cui lo si volesse erigere su basi deterministiche.
III. Responsabilità penale. - Il codice penale italiano del 1930 ha disciplinato il problema della responsabilità per dolo e per colpa molto più razionalmente di quanto non fosse stabilito nel codice del 1889, il quale non definiva l'elemento psicologico del reato ma rimetteva la sua formulazione alla dottrina e alla giurisprudenza. Gli articoli 42 e 43 del nuovo codice penale contemplano tale problema. Innanzi tutto, concretizzando quanto è affermato genericamente dall'art. 85, l'art. 42 stabilisce che "nessuno può essere punito per un'azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l'ha commessa con coscienza e volontà". Tale formula è più ampia di quella contenuta nel vecchio codice il quale parlava unicamente di volontarietà, e permette di suffragare la tesi della libertà del volere come fondamento dell'imputabilità, anche se nella relazione ministeriale la formula viene considerata come l'espressione legislativa della dottrina del determinismo psicologico. Nei tre capoversi dell'art. 42 si parla della responsabilità per dolo e per colpa, della responsabilità obiettiva e della responsabilità nelle contravvenzioni. Normalmente per radicare una responsabilità penale la legge richiede il dolo; il delitto colposo e il delitto preteritenzionale si hanno nei casi in cui queste figure sono espressamente previste dalla legge.
A maggior ragione questo principio dovrà trovar applicazione nei casi di responsabilità obiettiva, quando cioè il legislatore nell'inflizione di una sanzione prescinde completamente dall'esistenza di un nesso psichico tra l'animo dell'agente e l'evento cagionato. Questa forma di responsabilità obiettiva, sebbene corrisponda a epoche primitive di civiltà, non è in certi casi sparita e si mantiene e fu per nuovi casi introdotta in base a urgenti criterî di politica criminale.
Nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Così non basta la materialità del fatto per aversi contravvenzione. Ci vuole anche qui la causalità coscientemente volontaria, se no non si tratterebbe di un atto umano, ma solo di un atto dell'uomo: e mancherebbe l'imputabilità morale, senza di che non può normalmente sussistere responsabilità penale. La differenza fra le contravvenzioni e i delitti sta in questo: che nelle contravvenzioni la volontarietà si presume, mentre invece nei delitti deve essere dimostrata dall'accusa. Si tratta di una presunzione iuris tantum, che può essere demolita da prova contraria.
L'art. 43 definisce l'elemento psicologico del reato, il quale può essere doloso, o secondo l'intenzione; preterintenzionale, od oltre l'intenzione colposo, o contro l'intenzione. Per esaminare quando ci troviamo di fronte a una di queste tre figure dobbiamo prendere in osservazione l'evento prodotto dall'azione di una persona. Se l'evento è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione o omissione, abbiamo il dolo. Esso consiste, quindi, nella coscienza e volontà di reahzzare tutti gli estremi del fatto che costituisce il reato. Se l'evento è conseguenza involontaria più grave di quella voluta dall'agente, abbiamo il delitto preterintenzionale; qui l'agente ha di mira e vuole la realizzazione di un evento dannoso o pericoloso, ma dal suo agire ne scaturisce uno più grave di cui la legge lo chiama a rispondere. Così se Tizio, al fine di ferire Caio lo pugnala nella schiena e lo ammazza, sarà chiamato a rispondere d'omicidio preterintenzionale. Quando invece l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, siamo nel campo della colpa, la quale per sussistere richiede sempre la volontarietà di una condotta, genericamente o specificamente contraria a regole di esigenze fondamentali per la vita sociale. L'evento può essere previsto o no; deve però essere sempre stato prevedibile.
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